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D. Nazionalità dell'Autore.
Come cristiano, lo scrittore guarda egualmente ai pagani e agli ebrei: l'“Israele secondo la carne”. Pertanto, il suo parlare degli israeliti come “nostri padri” non dimostra nulla in relazione alla sua nazionalità. Lui li considera semplicemente gli antenati spirituali di tutti i cristiani. Lui pensa in greco proprio come si esprime. Se deve faticare con la lingua, ciò è dovuto non all'uso di ciò che non è la sua lingua madre, ma al fatto di dover esprimere i nuovi pensieri del cristianesimo. È stato persino dimostrato da G. A. Deissmann (Die neutestamentliche Formel “in Christo Jesu”, 1892) che il “nuovo termine tecnico”, ἐν Χριστῷ (Ἰησοῦ), una formula preferita dall'autore dell'Epistola, si radica nell'uso non della letteratura ebraica alessandrina, ma di quella greca “profana”. Nel citare o appropriarsi silenziosamente di parole dell'Antico Testamento, lui usa la Septuaginta. Solo in tre casi troviamo letture divergenti: ossia in 3:19, 14:21 e 15:54. Nel primo di questi casi fu seguita un'altra traduzione, o forse una citazione di qualche scrittore apocrifo. Nel secondo, si sa da Origene che la traduzione utilizzata era quella di Aquila. Nel terzo, le parole riportate concordano con la traduzione di Teodozione, cosicché, se si ritiene che questa non fosse stata alla portata dell'autore, si deve ritenere che sia esistita una traduzione precedente seguita da Teodozione. Al pari di Filone e di Giuseppe, l'autore dell'Epistola lesse l'Antico Testamento in greco; dove si differenzia da loro è nel mostrare da nessuna parte la minima traccia di familiarità con l'ebraico. Il passo 15:42b-43 (44), che sembra essere stato copiato da un antico inno cristiano, fu evidentemente composto in greco. L'uso della parola “barbaro” in 14:11 indica uno scrittore che è di nazionalità greca. La visione ascetica del matrimonio ha i suoi predecessori tra i greci e i romani piuttosto che tra gli ebrei. [1] Non sarebbe stato facile per uno che era stato ebreo non solo ammettere tacitamente, ma esortare energicamente, che un uomo debba pregare col capo scoperto. In effetti, nessuno avrebbe mai pensato di prendere l'epistola per l'opera di un nativo ebreo se essa non avesse preteso di essere stata scritta dall'apostolo Paolo. L'ovvio “sfondo ebraico” dello scritto è comune a tutta la letteratura cristiana antica. Se questa fosse una prova della nazionalità ebraica dello scrittore, allora ne deriverebbe che Giustino Martire fosse un ebreo, sebbene egli stesso ci dica che suo padre e suo nonno furono pagani.
NOTE
[1] Si può dire che ci furono gli Esseni, i quali — anche se, come si è pensato, copiarono la loro disciplina ascetica dai Pitagorici — furono una setta ebraica riconosciuta e precedettero il Paolo storico. Nell'Epistola, però, troviamo già qualcosa dell'ascetismo peculiare e disdicevole del cristianesimo monastico. Al pari della teologia che l'accompagna, anche questo deve aver richiesto un certo tempo per emergere. Perciò la sua presenza — sebbene forse non da ricondursi nella sua differenza specifica a nessun tipo preesistente, greco o romano piuttosto che ebraico — favorisce ancora la tesi dell'origine tardiva.
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