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CONCLUSIONE
Ora alla fine siamo finalmente pronti a rispondere all'obiezione avanzata con tanta esultanza da Weinel e da Weiss, per non citarne altri, secondo cui nessuno avrebbe scritto Matteo 2:23: “Andò ad abitare in una città chiamata Nazaret”, quando qualsiasi galileo avrebbe potuto subito obiettare: “Non esiste questa città”. Così pure il giudeo avrebbe potuto protestare che non c'era un luogo come Gabbata o Golgota o Getsemani, né una piscina come Betzaeta. Ma a Matteo e Giovanni non sarebbe importato nulla di queste obiezioni, non più che a un poeta o a un romanziere importerebbe un'accusa di imprecisione nei nomi mossa alla sua immaginazione. Perché i genitori immaginari di un bambino immaginario non avrebbero potuto stabilirsi in un villaggio immaginario? Né Matteo o Luca si sarebbero commossi più di tanto per la facile dimostrazione che non ci fu alcuna strage di bambini a Betlemme, né alcuna migrazione di popoli al momento del censimento; al contrario, fu ordinato loro di rimanere a casa, ognuno alla propria pietra del focolare; [1] e ancora di più si sarebbero preoccupati del fatto che non ci fossero state “tenebre su tutta la terra fino all'ora nona” “dall'ora sesta”. Quest'ultima affermazione, in tutti i Sinottici, era il più diretto schiaffo possibile a tutta l'esperienza, se accettata alla lettera; come avrebbero potuto, allora, gli Evangelisti esporsi a una controreplica così sbalorditiva come quella che avrebbero dato loro Weinel e Weiss? Cosa avrebbero potuto rispondere a critici così acuti? Avrebbero sorriso con un'alzata di spalle e detto: “Signori, ahimè, non capite, La lettera uccide, lo spirito vivifica. Noi non stiamo scrivendo Storia; noi stiamo scrivendo un Vangelo. Ci dispiace davvero che non vediate il nostro significato; ma se il nostro vangelo è ancora velato, è velato per quelli che sono sulla via della perdizione” (2 Corinzi 4:3).
No! Non dobbiamo mai dimenticare che le Scritture furono scritte per i credenti e non per i non credenti; per coloro che sono dentro e non per “coloro che sono fuori”. Si può confidare che tali lettori, “istruiti per il Regno dei cieli”, “comprendano tutte le parabole”. Non si sarebbero meravigliati di fronte a eclissi in stagioni impossibili, sia che durassero tre minuti o tre ore; non sarebbero inciampati in una serie di dettagli topografici e di altro tipo immaginari, né in anacronismi e assurdità evidenti, né in narrazioni miracolose a volontà. Perché il loro senso ben informato, anche se troppo istruito a non prendere nulla alla lettera, avrebbe in ogni caso attraversato il velo del discorso fino al nocciolo interno del significato; il dio di questo mondo non aveva accecato i loro pensieri in modo che la luce del Vangelo non potesse risplendere nei loro cuori. Mille obiezioni come quella di Weinel e di Weiss avrebbero potuto essere sollevate, e in effetti lo sono state ripetutamente, dagli increduli accecati, che vedono il segno e lo confondono col significato; ma esse sono insensate e impossibili per noi dopo che Egli “ha brillato nei nostri cuori fino all'illuminazione della gloriosa Gnosi di Dio”.
NOTE
[1] ἐπανελθεῖν εἰς τὰ ἑαυτῶν ἐφέστια — editto di Caio Vibio Massimo, in occasione del censimento in Egitto, 104 E.C.
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