(segue da qui)
§ 117) Le feste della resurrezione. — Ma le feste più grandiose, celebrate dagli uomini dell'antichità remota in onore del Sole, erano quelle che coincidevano coll'equinozio di primavera. Con esse non solo si commemorava la resurrezione, in tutta la sua forza calorifera, del Sole stesso; ma si celebrava altresì il risorgere a nuova vita dell'umanità, già prostrata ed avvilita per le lunghe sofferenze causate dai rigori invernali.
Ed infatti, mai forse, come in questi ultimi anni (l'autore scriveva queste pagine durante gli orrori della guerra 1939-1945), nei quali tanti furono i morti per freddo e per fame, in conseguenza di una guerra spietata, si è compreso di quanta importanza fosse il ritorno del sole equinoziale, dopo le lunghe sofferenze invernali. La natura sorgeva come da un incubo; gli uccisi dal freddo si dimenticavano colle sofferenze superate e l'umanità riprendeva il suo cammino, lieta ancora di vivere, e lieta di poter nuovamente riscaldarsi ai raggi del Sole.
Nell'epoca storica le feste della resurrezione del Sole duravano vari giorni, e venivano contrassegnate, oltre che da giochi e banchetti (a ricordo delle vecchie feste del pane e del vino, delle quali fu detto in altra opera), dal rito d'iniziazione dei giovanetti, rito questo di gran lunga importante, perché contrassegnante l'entrata degli adolescenti nella vita degli adulti. [1] Ed allo stesso modo che i giovanetti, dopo l'iniziazione, venivano considerati morti alla precedente vita del Gineceo, e risorti alla vita responsabile degli adulti, così, dopo le feste dell'equinozio di primavera, colle quali si celebrava sostanzialmente l'iniziazione del Sole, questo si considerava morto alle brume ed ai freddi invernali, e risorto ad una nuova vita, con tutta l'energia del suo calore vivificante. È interessante però, agli effetti del nostro studio, conoscere il rituale apposito, vigente presso i romani, prima che il Cristianesimo fosse subentrato al gentilesimo.
a) Il rituale romano. — Nella Roma più antica, le feste di resurrezione del Sole avevano anch'esse luogo in coincidenza coll'equinozio di primavera, mentre il Sole veniva colà ipostatizzato ora in Marte, [2] ora in Libero, ora in Quirino, ora in Conso. Tali feste poi, che venivano aperte colla cerimonia di benedizione degli alberi portati appositamente dalla campagna nel tempio, [3] anche in Roma venivano contrassegnate dalla cerimonia d'iniziazione dei giovinetti (che, pervenuti all'età di 17 anni, lasciavano la toga pretesta per indossare la toga virile), e venivano proseguite, per parecchi giorni, ricche di folclore, con ogni sorta di giochi (ludi), gare, corse di carri e spettacoli vari. Chiudeva da ultimo la cerimonia il pubblico banchetto tradizionale, nel quale veniva offerta al Sole, e quindi consumata dal popolo, la tradizionale focaccia di farro non lievitata (avanzo dell'antica festa del pane), ed insieme l'uovo sacro, simboleggiante il mondo rinato. [4]
Il suddetto cerimoniale, già patrimonio di tutte le genti, e che nella famiglia vedica si era mantenuto più a lungo, in prosieguo di tempo ebbe a subire trasformazioni e variazioni più o meno radicali (come dall'autore è stato meglio chiarito in «La Prima Umanità»). Ne venne da ultimo che in certe regioni, nelle feste dell'equinozio di primavera, mentre una complessa rappresentazione coreografica (exoterica ossia «esterna») aveva luogo in pubblico a iniziativa delle masse, altra celebrazione mistica (esoterica ossia «interna») aveva luogo in privato, ad opera di un gruppo di iniziati. E mentre la prima implicava la cerimonia originaria, che rifletteva il primitivo concetto naturista delle feste solari, con processioni di popolo e riti vari culminanti nel banchetto pubblico; la seconda — implicante una cerimonia derivata — consisteva nella celebrazione di un dramma mistico, raffigurante, nelle sue varie fasi, il concetto solare ipostatizzato, e terminante con un banchetto simbolico.
Manifestazioni di questo genere erano state in Babilonia le feste dell'equinozio di primavera ai tempi cui risalgono i primi cuneiformi: feste chiamate «del capodanno», perché anche in Babilonia, come in Roma, il nuovo anno aveva originariamente inizio coll'equinozio di primavera. In esse, mentre pubblicamente, con una rappresentazione coreografica sfarzosa, veniva festeggiata la vittoria del Dio Marduk (che in questo caso rappresentava il Sole), sulla dea Tiamat (raffigurante i geli glaciali ed i freddi invernali); in privato veniva recitato dai sacerdoti il dramma liturgico del Dio, riproducente il mito — animizzato e ipostatizzato — della morte e resurrezione di Marduk-Sole, colle conseguenti gioie di tutti gli Dèi minori (l'umanità), che vedevano in quello il loro salvatore. [5]
b) La Gran Madre. — Nella società romana, al tempo in cui il Cristianesimo stava per introdursi dominatore, era in vigore, accanto al più vecchio cerimoniale naturista delle feste solari d'origine vedica, un nuovo e più complesso cerimoniale, introdottovi dalla Frigia, insieme coi riti della Gran Madre. E poiché il Cristianesimo ha poi assorbito e fatto proprio questo secondo cerimoniale, è necessario dire di esso più minutamente.
Premettiamo che, allorquando, nel 548 di Roma, la repubblica si era trovata in difficoltà per la presenza in Italia di Annibale, erano stati consultati i libri sibillini, e vi si era trovato un antico carme, [6] il quale precisava che qualora un nemico straniero avesse portato la guerra in Italia, si sarebbe potuto cacciarlo fuori, se la Madre Idea [7] fosse stata da Pessinunte portata a Roma. Reso pubblico tale pronostico, il Senato si era affrettato a chiedere ad Attalo di Frigia il prezioso simulacro, e, avutolo, lo aveva fatto portare con grande solennità a Roma.
Veramente il richiamo ai libri sibillini non era stato che un espediente, per far accettare ai popoli romano e frigio un'alleanza, che avesse controbilanciato l'alleanza di Annibale con Filippo di Macedonia. Comunque, è certo che da allora furono introdotti in Roma i riti frigi delle feste equinoziali, e da allora Roma celebrò, oltre alle sue vecchie feste solari, a fondo naturista (che avevano inizio col 15 marzo), anche le feste in onore della Gran Madre, a fondo animista, costituite sia dai riti frigi veri e propri, che venivano celebrati dal 22 al 27 marzo, sia da festività romane di natura civile, istituite in quell'occasione. Il calendario filocaliano però registra quali riti religiosi solo le feste di rito frigio, mentre registra quali ricorrenze civili le feste d'istituzione romana, chiamandole «Giuochi in onore della Gran Madre», ovvero «Ludi megalesi» (dalla voce greca Megàle, ossia Grande, con riferimento alla Gran Madre).
Anche nei riti frigi, come nei riti romani, si tendeva a commemorare, nelle feste equinoziali, la resurrezione del Sole. Difatti il periodo precedente l'equinozio di primavera era contrassegnato dalla Natura in lutto: spoglia cioè di ogni sua veste floreale; mentre col ritorno del Sole equinoziale la Natura tornava sorridente, e si rivestiva dei suoi fiori olezzanti e multicolori. Appunto su questi concetti era nata tutta una rappresentazione coreografica, che nei riti frigi aveva luogo sia attorno alla figura di Attis, ipostasi del Sole, sia attorno alla figura della Gran Madre (Cibele), ipostasi della Terra.
La rappresentazione coreografica celebrata in pubblico, mostrava dapprima il giovane Attis (ipostasi del Sole) che veniva sottratto ed ucciso dal geloso padre di Cibele (il Tempo o Cronos), e poco dopo mostrava Cibele, in gramaglie per tanta perdita, peregrinante e lacrimante in cerca di Attis (mater dolorosa). Da ultimo presentava Attis miracolosamente risorto, che andava a congiungersi colla Gran Madre; mentre quest'ultima, ormai felice e parata a festa per la ritornata gioia, si ricongiungeva, dopo tante traversìe, col proprio figlio ed amante.
Si deve sottolineare a questo proposito che una doppia veste aveva assunto, nell'elaborazione del mito, la figura della Gran Madre. Essa difatti era madre, ed era ad un tempo sposa di Attis. Una tale duplicità non deve sorprendere, in quanto la Gran Madre rappresentava la Madre-Terra. Attis poi rappresentava bensì il Sole; ma rappresentava anche il frutto terreno, generato dal Sole incarnatosi nella Terra. Il frutto quindi era anche figlio della Terra, cioè figlio della Gran Madre. Ma il frutto, giunto a maturità, diventa seme e feconda la terra. Di questa pertanto esso si manifesta anche lo sposo, oltre che il figlio. Da ciò il mito di Attis, figlio e sposo ad un tempo di Cibele; e da ciò il mito di Cibele, madre e sposa ad un tempo di Attis.
Tale concetto è reso più chiaramente nella leggenda di Agdistis, il giovane ermafrodito, che genera Attis, e che poi è preso d'amore per esso, desiderando di essere da lui fecondato. Giacché anche qui si tratta della leggenda della Gran Madre, diversamente elaborata. [8]
c) Il rituale frigio. — Illustreremo adesso le varie fasi del cerimoniale frigio, quale è stato a noi tramandato dal calendario Filocaliano.
La festa aveva inizio subito dopo l'equinozio di primavera, e cioè il 22 marzo, anche qui come nel corrispondente rito romano, colla benedizione nel tempio degli alberi, portativi appositamente dalla campagna. Per questo, nel calendario Filocaliano, la giornata del 22 marzo viene contrassegnata colla frase: «arbor intrat» (analoga all'altra «canna intrat» che contrassegnava l'iniziarsi, il 15 marzo, delle feste solari d'origine romana). Seguiva, il 23 marzo, un periodo preparatorio ai riti solenni dei giorni successivi, periodo che viene contrassegnato nel calendario colla voce: «Tubilustrium» (in quanto si ripulivano le tube, ossia le trombe, e gli altri accessori del rito). Il terzo giorno, 24 marzo, era giorno di lutto (sanguis), per essere giunta la notizia circa l'avvenuto sacrificio di Attis, il cui sangue versato veniva commemorato in quel giorno. Finalmente il quarto giorno (25 marzo), contrassegnato nel calendario colla voce «Hilaria», era giorno di tripudio, perché Attis era risorto dalla tomba, e andava incontro alla Gran Madre che affannosamente lo cercava. Seguiva, il quinto giorno, la «requietio», e cioè il riposo tranquillante dopo gli affanni dei giorni precedenti, e da ultimo, il 27 marzo, chiudeva le feste la «Lavatio», che era il rito finale di purificazione. [9]
Quando il Cristianesimo è diventato in Roma religione ufficiale, trovando radicate nel popolo le feste in onore della Gran Madre, si sforzò di far abolire quei riti. Senonché abolire non era possibile, perché i popoli, specie nel contado, sono sempre attaccati alle vecchie tradizioni. Non restava quindi che continuare a celebrare i riti stessi, sostituendo di mano in mano i simboli cristiani ai simboli megalesi, il che fu gradatamente conseguito. Le due feste pertanto: quella di rito romano e quella di rito frigio, a poco a poco furono riunite e fuse nella nuova festa pasquale cristiana; cosicché lentamente, al vecchio culto della «Gran Madre degli Dèi» si venne sostituendo il nuovo culto della «Gran Madre di Dio».
Aveva origine così nel Cristianesimo il culto di Maria, quale un accessorio del culto di Gesù, e rispondente a necessità pratiche. Sappiamo infatti che nei primi secoli del cristianesimo il culto di Maria era del tutto ignorato, e nessuno degli scrittori cristiani, non solo del periodo apostolico, ma anche del periodo apologetico, ne aveva fatto menzione. Sorse esso invece verso il 300 circa, per reazione ed opposizione al culto della Gran Madre. E come il Cristianesimo aveva proceduto per i riti del Natale, assimilandosi i riti mitraici, così procedette per i riti della Resurrezione, assimilandosi i riti frigi. Mutati difatti nomi e simboli, la festa della resurrezione (Pasqua), quale era stata celebrata nei nomi di Attis e Cibele, continuò ad essere celebrata nei nomi di Gesù e di Maria.
d) Il rituale cristiano. — Anche nel rito cristiano le feste pasquali si aprono colla benedizione degli alberi (palma e ulivo), i cui rami vengono portati appositamente dalla campagna nel tempio. Proseguono nei giorni successivi con riti vari e preparatori, nei quali vengono intercalati i riti d'origine romana (cresima, ossia iniziazione, e cena, ossia banchetto pubblico), fino al venerdì santo, che è giorno di lutto, e corrisponde al dies sanguinis dei riti frigi, commemorandosi in esso il sangue preziosissimo sparso dal Gesù sulla Croce. Segue, col sabato, un giorno di gioia (Hilaria) per la resurrezione del Gesù stesso, [10] ed alla domenica la gesta giunge all'acme, colla cerimonia dell'incontro della Madre col proprio figlio risorto, come già nei riti frigi la cerimonia dell'incontro di Attis con Cibele.
Notiamo a questo riguardo che, secondo la tradizione cristiana, il Gesù sarebbe risorto il terzo giorno, mentre nel rituale liturgico la sua resurrezione viene commemorata al secondo giorno. La ragione di ciò non va ricercata in motivi peregrini, ma nel corrispondente rituale frigio, documentato dal calendario filocaliano.
L'ultima cerimonia, dell'incontro della Madre col Figlio risorto, è stata conservata — perfettamente quale era stata celebrata coi riti di Attis e di Cibele — negli usi di molti villaggi dell'Italia meridionale. Crediamo anzi utile descrivere tale cerimonia, quale potrà essere osservata da chicchessia anche ai nostri giorni, specie in Calabria ed in Sicilia.
Al mattino della domenica di Pasqua, verso le ore dieci, esce dal tempio la statua di Maria parata a lutto, per andare in cerca del figlio, del quale si sa soltanto che è morto. È accompagnata da Giovanni, il cui simulacro raffigura un adolescente. [11] Le due statue procedono per qualche tempo insieme, indi Maria si ferma come stanca ad una estremità del villaggio, mentre Giovanni prosegue da solo in cerca di notizie.
Torna indietro Giovanni dopo circa mezz'ora, per riferire; ma alla domanda affannosa della madre (recitata a voce alta da un uomo che sta vicino alla statua) «Giovanni Giovanni che nuove mi porti?» risponde quello accorato: «Ti porto la nuova che tuo figlio è morto». Riparte però Giovanni, ancora in cerca di notizie, per altra direzione, e nuovamente ritorna più tardi; ma alla stessa angosciosa domanda della madre, non può dare che la medesima angosciosa risposta. Ancora e per la terza volta riparte Giovanni per altra direzione, ma questa volta ritorna raggiante, ed alla domanda della madre: «che nuove mi porti?» risponde finalmente. «Ti porto la nuova che tuo figlio è risorto». Sorpresa ansiosa della madre, che tremante eccepisce: «Ma come posso credere?». Al che Giovanni risponde: «Venendo con me».
Le due statue si muovono allora insieme, per andare incontro al Gesù risorto, nel mentre dall'altro lato del villaggio, dove la statua del Cristo si trovava in attesa, la stessa si muove anch'essa, per avviarsi incontro alla madre. Ha luogo così poco dopo, nella piazza principale, l'incontro spettacolare tra la madre e il figlio, in mezzo ad una folla commossa, e piangente più che plaudente. Giacché appena avvistatesi le due statue, quella della mamma e quella del figlio, si avvicinano di corsa l'una verso l'altra, s'inchinano quindi, come per un abbraccio reciproco; ritornano poi alquanto indietro rinculando, come per meglio contemplarsi, quindi nuovamente si avvicinano di corsa, come per un nuovo abbraccio, e così ancora per una terza volta, mentre Giovanni si tiene in disparte, per consentire l'espansione affettuosa dei due. [12]
Ognuno vede come questa cerimonia sia identica alla cerimonia dell'incontro tra Attis e Cibele. Non può dubitarsi quindi che i riti pasquali di carattere pubblico, quali hanno cominciato ad essere celebrati dal Cristianesimo nel quarto secolo, siano stati una trasformazione ed una continuazione delle feste equinoziali frigie, già celebrate in Roma in onore della Gran Madre.
e) Il rituale esoterico. — Correttivamente ai suddetti riti pubblici (exoterici), venivano celebrate, nelle feste equinoziali, tanto nel culto della Gran Madre, quanto nelle altre religioni misteriosofiche, altri cerimoniali riservati (esoterici). Questi cerimoniali venivano generalmente concretati in una rappresentazione detta «tragedia», che veniva celebrata nell'interno del tempio, a edificazione esclusiva degli iniziati. Tale «tragedia» (da Thragòs odè) raffigurava la passione e morte del Dio redentore (vittima o capro), colla conseguente sua resurrezione.
Anche di questo cerimoniale il Cristianesimo si è impadronito facendolo proprio. E mentre in pubblico, ossia all'aperto, dal IV secolo in poi il Cristianesimo celebrò ad ogni Pasqua il rito dell'incontro tra la madre ed il figlio risorto, nell'interno del tempio, e per i soli battezzati (iniziati), esso celebrò il rito della «tragedia»: il mistero cioè della passione e morte del Redentore. [13]
f) I Lari compitalizi ed i Santi. — Per chiudere l'argomento, aggiungiamo che quando la religione cristiana subentrò in Roma a tutti gli altri riti e a tutti gli altri Dèi del gentilesimo, anche le altre feste e gli altri riti, che si riferivano a divinità secondarie, vennero assimilate dai Cristiani, i quali alle varie deità del gentilesimo sostituirono i propri Martiri. E poiché tutte le vie confluivano in crocicchi (compita), al centro dei quali era posta una cappella avente tanti ingressi quante erano le strade che vi affluivano, e con dentro, collocati in apposite nicchie, i simulacri dei Lari protettori, anche quest'uso il Cristianesimo si assimilò, conservando le nicchie, e collocandovi, al posto dei Lari, i simulacri dei propri Santi. Le vecchie feste compitali pertanto, già dedicate ai Lari, venivano anch'esse trasformate in feste cristiane, dedicate ai Santi.
NOTE
[1] Cfr. H. Webster, Società segrete primitive, Bologna, 1922 e bibliografia.
[2] È noto che il Marte latino, corrispondente al Mithra vedico, era inizialmente per i romani la personificazione del nume solare.
[3] «Canna intrat» V. Calendario Filocaliano al 15 marzo.
[4] Cfr. Macrobio, Saturnalia, VII, 16, Ovidio, Fasti, III, 725. L'uovo sacro, del quale nelle feste liberali si faceva grande uso, è stato conservato nei riti cristiani, avendo la Chiesa benedetto l'uovo pasquale (vedi Vaccai, op. cit.); mentre la focaccia di ferro è stata conservata nella benedizione e distribuzione del pane, fatta il giovedì santo.
[5] Cfr. Furlani, La Religione Babinlonese ed Assira, vol. II, capitolo Le feste, nonché l'opuscolo dello stesso Furlani: «Il poema della creazione», (Enuma Elis), ricco di note.
[6] Livio, Deca III, 1, IX, c. III. Cfr. anche Mommsen, Corpus Inscriptionum Latinarum, vol. I, 2, p. 313, ediz. II.
[7] Si chiamava Idea dal Monte Ida, dove tutte le antiche leggende collocavano la Gran Madre, che allevava e salvava il figlio (cfr. colla leggenda sulla nascita di Giove nella mitologia greca).
[8] Sul mito di Attis e Cibele cfr. colle opere già citate: Loisy, Mystères, pp. 85 e segg.; H. Hepding, Attis, seine Mythen und seine Kult, Giessen, 1903; H. Graillot, Le culte de Cybèle mère de Dieu à Rome et dans l'empire romain, Paris, 1915. Giuliano Imperatore, Inno alla Madre degli Dèi (nell'edizione di Bari). Notare anche la voce «madre» e «mamma» nel senso di «terra» e di «natura» che si è conservata e si conserva ancora nel linguaggio tartaro (cfr. Clodd, L'uomo primitivo, Torino, 1923, p. 19).
[9] Negli ultimi tempi il rito della «lavatio» deve essere alquanto degenerato, poiché in quest'ultimo giorno il popolo si abbandonava, durante la processione degli idoli, a schiamazzi e ad atti indecorosi, che hanno attirato, nel 410 i rimbrotti di S. Agostino (Agostino, De Civitate Dei, II, 4-5). Da notare però che Agostino mette in evidenza solo la parte coreografica che si celebrava nell'ultimo giorno delle feste di Cibele; non accenna al rituale simbolico che si celebrava nei giorni precedenti, e che in gran parte doveva essere stato già assorbito dal Cristianesimo.
[10] Secondo la tradizione cristiana ed in base alla tradizione zoroastriana, Gesù sarebbe risuscitato non già il giorno successivo alla sua morte, bensì il terzo giorno.
[11] Non sappiamo quale dei tanti Giovanni la tradizione abbia voluto raffigurare in questo compagno di Maria. Verosimilmente trattasi del «nipote» Battista; ma più che altro si trattava di trovare un «santo» con cui sostituire il fedele messo di Cibele, già mandato da quella alla ricerca di Attis.
[12] La cerimonia qui descritta è quale si celebra tutti gli anni la domenica di Pasqua, in Rizziconi di Calabria. In altri paesi della Calabria e della Sicilia la cerimonia si riproduce pressoché allo stesso modo, ma invece che usare statue, si usano personaggi umani, vestiti alla foggia dell'epoca.
[13] Nei villaggi calabresi e segnatamente in Rizziconi, dove il rito è stato conservato, la rappresentazione della Tragedia (detta anche Tragedia del Calvario), dopo il 1920, d'ordine delle autorità ecclesiastiche (che vollero ovviare alle critiche, lamentanti che il Tempio si trasformasse quel giorno in Teatro) fu portata all'esterno. Essa oggi si ripete nella piazza antistante la Chiesa. Notare poi che in quel paese, se ad un contadino si domanda che cosa sia la «Tragedia», quegli risponde: «È la rappresentazione della passione e more di N. S. G. C.» (vedere il capitolo «Origini della tragedia e del ditirambo» in «La Prima Umanità»).
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