sabato 14 ottobre 2023

Gesù d'Anano

(segue da qui)

XXX. — I DUE CARATTERI INFORMATORI DEI VANGELI

§ 98) Gesù d'Anano.C'è però una parte preponderante nei Vangeli, che non può essere spiegata né con Giuda Galileo, né colla «dottrina della salvezza» di Paolo, né colle tradizioni bibliche. Difatti i Vangeli, nella parte più recente, ci presentano in Gesù un uomo pacifico e mite, che maltrattato non reagisce, che a chi lo percuote su di una guancia offre l'altra, un uomo che predìce la fine di Gerusalemme e del Tempio molto tempo prima che essa si verifichi, che, ripreso dal governatore romano, davanti al quale è accusato, non risponde sillaba e non maledice quelli che lo maltrattano; un uomo insomma che è la bontà e la rinuncia fatta persona. Ora quest'uomo non è, e non può essere Giuda Galileo, filosofo terribilissimo, il quale aveva discacciato a sferzate dal tempio i profanatori, [1] ed aveva detto non essere egli venuto per portare la pace, ma la spada. [2] Chi dunque ha fornito alla tradizione la figura di quest'uomo mite e paziente, immagine dell'agnello portato al sacrificio?

Il Drews, e con lui molti critici aconfessionali, hanno spiegato e spiegano questa parte della tradizione insistendo che una tale figura era stata magistralmente tracciata dal profeta Isaia al capo 53. La tradizione cristiana quindi non avrebbe fatto altro che applicare al Gesù — più o meno mitico secondo le varie tesi — le caratteristiche del personaggio profetico. [3] Senonché (e questo è l'errore principale della tesi mitica) la tradizione ha tramandato le gesta di un personaggio vivo e vitale, mentre i carmi profetici non sarebbero stati mai idonei a creare nel popolo una tradizione viva e vitale.

I carmi profetici potevano dare la coloritura e, diciamo meglio, la forma al racconto, quando la speculazione se ne fosse impadronita, per elaborarlo e trasportarlo nello scritto. Per creare invece l'episodio, per vivificare il racconto in mezzo al popolo, occorreva il fatto. Nella storia quindi, non già nei profeti, avrebbe dovuto essere ricercato il fondamento primo, anche di quest'aspetto della tradizione. Ciò tanto più in quanto Giuseppe ci ha presentato i particolari di un personaggio — Gesù d'Anano — che risponde perfettamente all'uomo dei Vangeli. Per giunta quest'uomo si chiamava proprio Gesù, e un tal nome, in un periodo nel quale il primo assertore dell'idea cristiana aveva del tutto cessato di chiamarsi col nome originario di Giuda, per essere chiamato coll'appellativo di «Gesù», non deve essere stato causa ultima dell'equivoco ingeneratosi presso le comunità galilee della diaspora greca. 

L'episodio relativo a Gesù d'Anano fu da noi abbondantemente illustrato nella prima parte di quest'opera (§ 54). Qui aggiungiamo che dell'episodio, e delle profezie di Gesù d'Anano, non potevano gli ebrei superstiti della grande guerra non aver conservato chiaro ricordo, specie dopo l'avveramento delle profezie stesse. È naturale quindi che, allorquando le nuove masse di Zeloti, dopo la distruzione della città santa (70 E.V.), si rifugiarono nelle comunità della diaspora greca, abbiano esse raccontato, tra le cose memorabili di quella guerra, i fatti miracolosi di Gesù d'Anano, e specialmente le sue profezie circa la prossima rovina della città e del tempio. In tal modo la leggenda di Gesù d'Anano, uomo mite e pacifico, che porge l'altra guancia a chi lo percuote sull'una, che contro chi lo insulta e lo maltratta non reagisce, che flagellato non muove una lacrima, che deriso come pazzo non si lamenta, che interrogato dai Magistrati non risponde verbo, che preannunzia la fine prossima di Gerusalemme e del Tempio, ebbe subito pressa in quella ormai vasta comunità, e molti furono allora nella diaspora coloro i quali, data la coincidenza del nome, pensarono essere riferibili al Gesù Galileo i fatti che si raccontavano invece sul Gesù d'Anano.

Tale leggenda, tramandata in seguito colle altre già formate sul «Gesù Galileo», completò il materiale necessario alla formazione della tradizione. E poiché l'aspetto mite e pacifico di Gesù d'Anano era molto più appropriato alla evoluzione paolista del concetto messianico, che non l'aspetto violento e ribelle di Giuda Galileo, si ebbe che a poco a poco nella tradizione il carattere ascetico del Gesù d'Anano prevalse sul carattere battagliero di Giuda Galileo, e che il primo assertore dell'idea cristiana si preferì immaginarlo con l'atteggiamento paziente e mite di Gesù d'Anano, piuttosto che con l'aspetto fiero e vigoroso del filosofo galileo. 


NOTE

[1] Giovanni, II, 15.

[2] Matteo, X, 34.

[3] La descrizione che fa Isaia dell'uomo sacrificato alla salvezza d'Israele è ancora la descrizione della vittima umana, quale da noi illustrata in «La Prima Umanità» (§§ 52, 53). Per i raffronti eventuali riportiamo qui il passo citato:

Disprezzato e abbandonato dagli uomini,

Uomo di dolore abituato alle sofferenze

Come colui dal quale si distoglie lo sguardo,

Noi l'abbiamo spregiato, senza farne alcun caso.

Ciò malgrado egli ha portato le nostre pene,

Si è caricato dei nostri dolori.

L'abbiamo considerato condannato,

Colpito da Dio e umiliato,

Mentre egli era stato punito per le nostre colpe,

Castigato per la nostra iniquità.

Il castigo, dopo del quale subentra la pace, cadde su di lui, 

E fu per le sue sofferenze che noi abbiamo avuto guarigione.

Eravamo smarriti come pecore

E ciascuno seguiva una propria via;

Ma Dio ha colpito lui per l'iniquità di tutti.

Maltrattato ed oppresso non mosse lamento;

Come un agnello si lasciò condurre al supplizio

E non ha aperto bocca.

Muto, come pecora davanti a chi la tosa. 

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