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§ 79) Giacomo il «Giusto». — Abbiamo accennato altrove, e spiegheremo meglio in seguito, che la scuola di Giuda Galileo diede luogo a due ramificazioni. Uno di esse, detta degli Zeloti, ma che potremmo chiamare dei massimalisti, coltivò l'aspetto politico e rivoluzionario della dottrina messianica, e cioè la lotta contro l'autorità romana; l'altra, detta dei Galilei, e che potremmo chiamare dei riformisti, sviluppò l'aspetto religioso e mistico della dottrina stessa. In Giudea le due fazioni si tennero separate fin verso l'anno 65 E.V., dalla quale epoca, sopravvenuta la guerra, si fusero e confusero nuovamente. Per contro, nella diaspora prevalse sempre e si evolse la fazione galilea.
La fazione zelota diede molto da fare in Palestina alle autorità politiche. E poichè coloro che detengono il potere confondono spesso i loro avversati coi delinquenti comuni, era avvenuto che gli Zeloti di Giuda Galileo erano stati spesso confusi coi molti malandrini che infestavano le contrade di Palestina, e che venivano chiamati comunemente «Sicari». Era quindi naturale che, confondendosi, nei frequenti movimenti di popolo, i Sicari cogli Zeloti, venissero talvolta arrestati anche taluni Zeloti in mezzo ai primi. E poiché a loro volta i «Galilei», seguaci della corrente «riformista», venivano spesso dai sacerdoti sadducei confusi cogli Zeloti, capitava talvolta che anche i Galilei venissero arrestati, in mezzo agli Zeloti ed ai Sicari.
Ciò premesso, dal racconto di Giuseppe ricaviamo che il Giacomo di cui al passo surrichiamato era stato arrestato mentre altri «sicari» e zeloti erano stati pure arrestati. Ora, simile arresto, riferito in mezzo al racconto riguardante la lotta contro i sicari, non può non farci ritenere che Giacomo fosse stato arrestato, appunto perché accusato quale capo o fautore di tali sicari. Fu per questo che gli amici di esso, e molte altre persone amanti della giustizia, come dice lo storico, protestarono presso il procuratore romano contro Anna, il quale aveva commesso un abuso di potere (non potendo a quell'epoca il Sinedrio pronunziare condanne capitali), ed aveva per giunta condannato, come zelota e sicario, un «Galileo» ch'era invece pacifico. Da ciò l'immediata destituzione di Anna, appena il procuratore romano giunse in sede.
Si deve pertanto argomentare che quantunque il Giacomo di cui parla Giuseppe sia stato persona diversa dall'apostolo, tuttavia deve essere stato il successore di quello nel comando della collettività galilea di Gerusalemme. E proprio questo elemento deve aver fatto confondere i due personaggi, nella tradizione che si veniva allora formando fuori di Palestina.
Quanto sopra si arguisce già dalla esposizione storica; ma la tradizione ci fornisce elementi sicuri, per argomentare che il Giacomo di cui parla a questo punto lo storico è stato un capo della Chiesa di Gerusalemme, succeduto a Giacomo l'apostolo, e una persona quindi diversa dall'apostolo stesso. Si tratta di quel Giacomo il Giusto, sul quale si è formata, al pari che su Pietro e sui principali discepoli del Gesù, una tradizione molto immaginosa, riportata da Egesippo, e citata, per quanto confusamente, anche da Eusebio.
Per comodità del lettore riportiamo qui dalla Storia del Padre Orsi (Istoria Ecclesiastica, Ferrara 1749, Vol. I, pp. 237 e segg.) la tradizione che si era formata in Giudea su Giacomo il Giusto, quale era stata raccolta e tramandata da Egesippo:
«Molto diversamente dall'istorico Giudeo descrive il martirio di S. Giacomo Egesippo. Racconta egli ch'essendo Giacomo, per la sua insigne pietà e giustizia, in una grandissima venerazione presso i Giudei, ed essendosi molti di essi, eziandio dei principali, per le sue prediche ed esortazioni convertiti alla fede, alcuni Scribi e Farisei cominciarono a mettere la città a rumore, e a strepitare che ormai tutto il popolo diventava cristiano (recte «messianico»). Per apportare dunque rimedio ad un sì gran male (per quanto essi ne giudicavano), furono a trovare lo stesso Santo, e con parole dolci e piene di stima verso la sua persona, gli significarono che, errando ormai il popolo circa la persona del Gesù, reputato vero Messia, egli volesse disingannarlo, e rimuoverlo da un tale errore, essendo tutti disposti a riportarsi al suo giudizio, per essere a ciascheduno ben nota la sua giustizia. Essere il tempo della Pasqua, che allora si celebrava, molto opportuno al loro disegno, per il gran concorso di Giudei e di Gentili a Gerusalemme, per intervenire a questa solennità. E affinché quell'immensa moltitudine potesse comodamente vedere la sua persona, e intendere la sua voce, lo fecero salire sopra un'alta loggia, o terrazza del Tempio. Indi da basso cominciarono ad alta voce a gridare: — O uomo giusto, cui ragion vuole che noi tutti prestiamo fede, poiché il popolo è in errore seguendo Gesù Crocifisso, tu additaci qual sia la parte di questo Gesù Crocifisso —. Rispose loro il Santo ad alta voce e chiare note: — A qual fine m'interrogate voi intorno a Gesù figliuolo dell'Uomo? Egli siede in Cielo alla destra della gran virtù e potenza di Dio, e ha da venire un giorno sulle nubi del Cielo —.
Mentre molti, pienamente di ciò persuasi, per una sì pubblica e solenne testimonianza, davano lodi a Dio e cantavano osanna al Figliuolo di Davide, gli Scribi e i Farisei pieni di confusione tra loro dicevano: — E che abbiamo fatto? Noi l'abbiamo male indovinata; noi stessi abbiamo procurato questa testimonianza a Gesù. Ma portiamoci colassù, e di là precipitiamolo, onde tutti spaventati non prestino fede alcuna alla sua dottrina —. E alzata la voce: — Oh — gridarono — oh, anche il Giusto è in errore —. Lo gettarono adunque giù da quel luogo. Non essendo egli subito morto per la caduta; ma postosi in ginocchioni, e colla faccia rivolta verso il cielo pregando per i suoi persecutori, questi si misero a lapidarlo, risoluti di finirlo sotto una tempesta di pietre. Allora uno dei “figli” dei Recabiti, di cui abbiamo l'elogio in Geremia, con grande ardore e zelo spintosi avanti: — Che fate?, disse, non vedete voi come quest'uomo giusto prega per voi? —. Ma un lavandaio, alzata la stanga con cui sogliono gli omini di tale professione sollevare e premere i panni, percuote con gran furia il capo del Santo, il quale per un tal colpo finì di vivere in terra, e ornato della corona di Martire, passò a vivere ed a regnare eternamente nel Cielo. Ed in quel medesimo luogo, presso il tempio — ove tuttora, dice Egesippo, si vede una memoria colla iscrizione del suo nome — fu il suo corpo sepolto».
Raffrontando il racconto di Egesippo col racconto di Giuseppe, è facile argomentare a quali fantasticherie può giungere la tradizione orale abbandonata al popolo. E notiamo che il racconto di Egesippo non è ritenuto attendibile oggi neppure dai dotti ecclesiastici, appunto perché contraddetto da Giuseppe Flavio.
Anche Eusebio — che riporta (II, 23) il testo intero di Egesippo — sdoppia il personaggio, e mentre per lui Giacomo l'apostolo sarebbe morto per condanna di Erode, Giacomo fratello del Signore sarebbe morto più tardi, e sarebbe stato tutt'uno con Giacomo il Giusto. Rileviamo infatti che al libero II, Capo I, § 3, così Eusebio scrive: «Clemente, nel libro VI delle sue Ipotiposi osserva che Pietro, Giacomo e Giovanni, dopo l'esecuzione del Salvatore, non pretesero per sé la gloria dell'episcopato di Gerusalemme, ma vi fu scelto Giacomo il Giusto». È manifesto però l'errore nel quale sono incorsi i primi apologeti cristiani, compreso Eusebio, appunto perché erroneamente avevano calcolato all'anno 42 la morte di Giacomo l'apostolo, invece che all'anno 48. Infatti è incontrovertibile, in base all'Epistola di Paolo ai Galati, che il primo capo della comunità galilea di Gerusalemme fu Giacomo l'apostolo, detto anche fratello del Signore. Soltanto dopo la sua morte, nel 48 E.V., Giacomo il Giusto sarà succeduto alla direzione della comunità dei messianici di Gerusalemme. In conseguenza, non c'è dubbio che i due principali discepoli del Galileo storico, Giacomo e Simone, siano stati i medesimi Giacomo e Simone, conosciuti dalla tradizione popolare come principali discepoli del Galileo evangelico.
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