lunedì 24 luglio 2023

Le profezie messianiche

 (segue da qui)

VII — LA GUERRA MESSIANICO-APOCALITTICA


§ 16) Le profezie messianiche. — La Storia d'Israele non fu che un movimento messianico sempre rinnovantesi. Dal primo «salvatore» Mosè all'ultimo «salvatore» Bar-Kokhebhah, lo storico che volesse ricostruirne gli sviluppi non avrebbe che un filo conduttore da seguire: l'idea messianica cioè, la quale, dopo Mosè e Giosuè, era rimasta acquisita alle facoltà seminali di tutto il popolo.

Volendo adesso rendersi conto delle vicende più recenti di Israele, collegate coll'ideologia messianica e quindi col Cristianesimo, occorrerà anzitutto mettere in evidenza la profezia messianica fondamentale della tradizione biblica: quella profezia cioè, nella quale tutte le profezie posteriori trovarono fondamento. Al quale proposito dobbiamo premettere che durante le più remote fasi e le involute dell'attuale periodo storico dell'umanità (dopo-diluvio), non potendosi più ottenere che gli uomini agissero per intima convinzione, o per coscienza civica, i capi ne avevano sollecitato la subordinazione, facendo ricorso all'oracolo, alla profezia, od alla divinazione. Con questo sistema si era riuscito a persuadere il popolo che il comando di fare o di non fare, ad esso impartito, proveniva direttamente da Dio, il cui timore era stato da allora l'unica leva (cfr. La Prima Umanità, $ 44 e segg.). Quando poi, per una sciagura capitata, occorreva confortare a bene sperare il popolo, era ancora il volere divino che si faceva intervenire. E poiché, una volta iniziato un simile «sistema di governo», col succedersi delle generazioni i capi avevano finito col credere essi stessi al «principio», ne era venuto che a poco a poco tutte pressoché le azioni delle collettività venivano determinate da profezie, oracoli o divinazioni. Dal che i «Libri Sibillini» ed il «Collegio degli Auguri» in Roma; la «Sibilla Babilonese» in Babilonia, ed i molti «Oracoli» in Egitto, in Grecia ed altrove.

Venendo al caso specifico, apprendiamo da Genesi (XLIX, 10) che il vecchio Israele — conosciuto comunemente come Giacobbe — sentendosi presso a morire, aveva chiamato a sé i dodici figli, e dopo aver pronunziato davanti ad essi il suo testamento politico, così aveva aggiunto: «Lo scettro non sarà rimosso da Giuda, né il legislatore d'infra i piedi di esso, finché non sia venuto Colui al quale quello (lo scettro) appartiene, e verso il quale si volgerà da allora l'ubbidienza di tutte le genti». La detta profezia — che gli Israeliti avevano portato seco uscendo dall'Egitto — nella sua redazione originaria aveva avuto verisimilmente per scopo di confortare i popoli durante la fase tragica succeduta alle distruzioni diluviali: nell'attesa cioè di una rinascita dello «Spirito Umano» (Pensiero). Giacché il diluvio aveva distrutto il primevo Spirito Umano (che già aveva fatto vivere il mondo degli uomini in una «armonia umana», analoga alla «armonia cosmica»), creando invece i settarismi, diventati più tardi nazionalismi. E poiché, per virtù seminale, l'aspirazione delle genti aveva continuato inconsciamente ad orientarsi verso il ritorno al primevo stato di armonia umana, si erano da ciò generati, presso tutti popoli, i vari vaticini, circa una futura «repubblica universale». Tra questi fu la profezia di Genesi, secondo cui Giuda avrebbe dovuto tenere lo scettro d'Israele soltanto durante l'interregno: in attesa cioè che lo Spirito rinato avesse ripreso a guidare armonicamente tutte le genti.

Senonché, solo qualcuno tra gli Israeliti avrà interpretato la detta profezia nel senso universale e laico ora detto (ed appunto aderente a tale concezione può considerarsi l'attuale messianismo rabbinico); la maggioranza dei dottori della legge e del popolo Giudeo volle interpretarla invece e la interpretò in senso particolare e settario. Nacque pertanto la credenza che allorquando il comando su Israele fosse tolto ai successori di Giuda, passando ad uno straniero, il popolo non dovesse avvilirsi, perché contemporaneamente sarebbe nato in Giudea un Inviato di Dio (Messia), il quale, giunto a maturità, avrebbe riconquistato quel comando, portando poi il popolo alla supremazia su tutto il mondo (cfr. anche Numeri, XXIV, 17). 

In conseguenza di una tale interpretazione della detta profezia, tutte le volte che Israele era caduta in schiavitù, oppure un re straniero era venuto a governarla, il popolo era diventato irrequieto ed aspettante, perché contemporaneamente doveva essere nato il Messia. Da ciò la facilità con la quale, nei periodi di dominio straniero, veniva riconosciuto «Messia» qualsiasi agitatore che, avendo trovato un seguito, si fosse proclamato «ispirato».


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