(segue da qui)
$ 14) L'apocalittica zoroastriana ed i rapporti tra Giudei e Persiani. — La più antica «apocalisse», completa di tutti i suoi elementi, noi la troviamo nell'Avesta: il libro sacro degli Irani, dei quali i Persiani di Ciro erano continuatori. L'Avesta è il più antico testo sacro conosciuto (a parte il Rig-Veda), ed il suo influsso — specie sul sacerdozio levita e sul pensiero farisaico — non deve essere sottovalutato. Ora appunto nell'escatologia avestaica noi troviamo elencati gli elementi preannunziatori dell'evento messianico, assimilati dalla successiva apocalittica giudaica.
Tali elementi (che integreranno la dottrina neo-messianica del Salvatore-Redentore), nell'ordine in cui ci furono tramandati, così possono classificarsi: 1°) Segni premonitori, annunzianti la prossima fine del mondo; vale a dire: prodigi nel cielo, terremoti e tempeste sulla terra, ecc.; 2°) Arrivo dall'Oriente del Saosyant (Salvatore-Redentore) coronato di stelle (prima parusia), accompagnato dagli eroi gloriosi del tempo antico, appositamente risuscitati; 3°) Lotta contro le potenze del male, condotta dal Salvatore, oppure nel suo nome, per 57 anni; 4°) Vittoria definitiva del bene sul male, e resurrezione dei morti con conseguente giudizio universale, presieduto dal ricomparso Salvatore (seconda parusia); 5°) Distruzione di tutto il mondo attuale ad opera del fuoco (solvet saeculum in favilla), che tormenterà i rei, mentre passerà come tiepido latte sui buoni; 6°) Purificazione finale di tutti gli esseri umani, e ristabilimento per tutti del regno di Dio, in un nuovo mondo senza dolori e senza patimenti di sorta, e con un ritorno quindi al primitivo paradiso terrestre. [1]
I suddetti elementi dell'apocalittica zoroastriana (sui quali dobbiamo richiamare particolarmente l'attenzione del lettore, perché senza la loro nozione non è possibile rendersi conto degli eventi succeduti in Giudea, né delle origini cristiane) appaiono manifesti nell'apocalittica giudaica, diventata in prosieguo apocalittica cristiana. Tali elementi noi li troviamo nell'Apocalisse di Giovanni: la sola, delle molte un tempo esistenti, ad esserci giunta integralmente. E proprio dall'apocalittica zoroastriana, diventata apocalittica giudaica, il neo-messianismo galileo prese gli elementi della propria formazione, quantunque ne abbia poi attribuito l'origine al Salmista, ed alla Sibilla Babilonese (come si ricava dai versetti: «Dies irae, dies illa — Solvet saeculum in favilla — Teste David cum Sibylla»). Ma come mai i suddetti elementi erano passati dalla religione di Zarathustra nel pensiero israelita?
È un fatto che l'unico popolo col quale gli Ebrei vissero amichevolmente nella più recente antichità fu il popolo persiano. Dal decreto di Ciro infatti, che autorizzava i Giudei a rientrare in patria (537 a. E.V.), fino all'avvento di Alessandro Magno (333 a. E.V.), inutilmente noi cercheremmo in Giudea i soliti moti di rivolta o di avversione allo stato dominante. Giacché essendo stato Ciro proclamato «Unto di Jahvè», era naturale che anche i suoi successori fossero considerati in Giudea sovrani legittimi e cooperatori di Jahvè.
Ma non solo gli Ebrei avevano celebrato il persiano Ciro quale proprio Messia e strumento di Jahvè, sottostando disciplinati anche ai suoi successori; perfino durante il predominio seleucida, Ircano I, succeduto a Giuda Maccabeo nel governo d'Israele, aveva evitato di combattere i Persiani, continuatori di Ciro, quando aveva stretto alleanza con Antioco VI, nemico di quelli. Non basta: quando più tardi l'odio dei Giudei contro la potenza romana proromperà senza freno, improntando di sé la nuova letteratura apocalittica, saranno ancora i Persiani, loto tradizionali amici, che i Giudei chiameranno in aiuto, affinché distruggano la nuova Babilonia. E chiederanno essi a Jahvè che prosciughi l'Eufrate, affinché più facilmente i persiani stessi, nemici di Roma, possano passare, pe travolgere il mondo latino (Apocalisse di Giovanni, XVI, 12; cfr. anche Giuseppe, Guerra, VI, VI, 3).
I buoni rapporti quindi dei Giudei coi Persiani non subirono mai soste. E poiché le concezioni religiose rispettive — la concezione giudaica cioè e la concezione zoroastriana — avevano molti punti in comune, specie per il monoteismo di entrambe e per l'idea messianica d'Israele analoga alla idea persiana del Saosyant, era naturale che nel periodo di dominazione persiana gli Ebrei ascoltassero la dottrina zoroastriana con quella stessa simpatia che provavano verso il popolo che la professava. E poiché nei duecento anni circa di dominio persiano — mentre magistrati e funzionari persiani si trovavano continuamente in contatto con l'elemento israelita — la letteratura zoroastriana di contenuto apocalittico era penetrata favorevolmente in Giudea, non potevano le idee persiane non rimanere da ultimo acquisite al popolo d'Israele.
Dalla letteratura persiana quindi, gli Ebrei appresero la «forma» apocalittica delle loro narrazioni, ed insieme la dottrina del Salvatore-Redentore (Saosyant), che poi guiderà le folle messianiche, durante la grande guerra del 65-70. È bene però mettere in chiaro che la prima letteratura apocalittica di Giudea, sorta in periodo seleucida, pur risentendo l'influsso persiano, non sorse in conformità coi principi iranici, bensì quale una elaborazione nuova del vecchio concetto israelita di «Salvatore» (trito messianismo), per il quale il popolo, nei momenti più difficili, aveva invocato da Jahvè un Messia, condottiero di eserciti. Esempio di questo tipo di «apocalisse» è il libretto di Daniele, risalente all'epoca di Antioco IV (§ 10). Successivamente però anche il «contenuto» dell'apocalittica, e cioè l'idea informatrice e quindi la dottrina, si venne trasformando. Ed a poco a poco, nei componimenti successivi, si vennero accogliendo tutti i sei elementi della apocalittica iranica. Finché da ultimo, e precisamente dopo la caduta di Gerusalemme (70 E.V.), nei territori della diaspora greca, dove quasi tutti i superstiti della guerra messianica contro Roma si erano rifugiati, il concetto informatore del pensiero apocalittico risultò del tutto trasformato rispetto all'originario concetto israelita, ed al posto di un Messia terreno, tipo Mosè, Giosuè o Sansone, si ebbe finalmente un Messia celeste, tipo Saosyant.
NOTE
[1] Cfr. Zoroastro, l'Avesta, trad. Pizzi, ed. Immortali, Milano, p. 101. Vedi anche la bibliografia sul Zoroastrismo in fine al volume.
Nessun commento:
Posta un commento