venerdì 2 giugno 2023

Origini Sociali del CristianesimoIl conflitto dottrinale

 (segue da qui)


Il conflitto dottrinale.

La dottrina finalmente rivelata a questi candidi iniziati differiva singolarmente da quella che era professata dalla massa. Ne era, più esattamente, l'antitesi costante. Basta evocarne, per rendersene conto, gli articoli essenziali.

Il vero Dio non è il monarca capriccioso intravisto da Mosè e da alcuni profeti, che dal cielo dove troneggia dispone a suo piacimento degli uomini e delle cose, che favorisce gli uni e maltratta gli altri, che dispensa come gli piace la vita e la morte. È uno spirito puro, infinito per natura, abisso insondabile, che copre l'immensità, che per secoli innumerevoli non ebbe altra compagnia che il silenzio. In lui risiedono tutte le perfezioni e nessun difetto lo sfiora. Così non ha alcun contatto con la materia. Non ha nulla in comune con noi. Nessuno lo ha mai visto e non può farsene un'idea positiva. Non è suo Figlio che ha fatto il mondo. Egli è troppo perfetto, essendo la sua immagine vivente, per produrre un'opera così imperfetta, dove il male si manifesta in tante forme. È una potenza inferiore, derivata da lui dopo molte generazioni intermedie, che ha fornito gli elementi del cosmo, in seguito ad un pensiero disordinato, di una sconsideratezza che ha fatto cadere una porzione della sostanza divina in seno alla materia. Da questo avatar divino, da quella sapienza caduta, nacque un Figlio, riflesso della sua natura composita, miscuglio di spirito e di materia. È per mezzo di lui che sono stati fatti con i cieli e la terra, gli Angeli e gli uomini con tutti gli altri esseri della creazione. Egli è il Principe di questo mondo. È preso per il vero Dio ed è confuso con lui dalla Bibbia ebraica, i cui autori hanno scritto sotto la sua ispirazione. Ma non è che un falso Dio, un'immagine ingannevole dell'Altissimo.

Non è certo questo Demiurgo ignorante e mentitore ad essere il Padre di Gesù. Il suo vero figlio è il Diavolo, che ha fatto di tutto per perdere il Salvatore. Da lui provengono anche i malvagi Angeli, che operano anch'essi contro di noi. Egli è il primo autore del male che regna in questo mondo, mentre tutto ciò che vi è di buono quaggiù procede dal Bene Supremo. 

Quanto a Gesù, egli non è, come si pensa comunemente, un uomo come noi, in cui doveva discendere il figlio di Dio, lo Spirito Santo. È un Essere divino per natura, in cui risiede la pienezza della divinità, poiché tutti gli Esseri del Pleroma hanno contribuito alla sua formazione e hanno messo in lui ciò che avevano in sé di meglio. Chiamato a svolgere quaggiù il ruolo di Salvatore, prese uno spirito e un corpo, ma solo l'apparenza della carne, perché il suo corpo era spirituale. 

I cristiani comuni sono dunque in un grande errore quando si appellano alla fede che salva. Quella che professano, ben lungi dal salvarli, rischia di portarli alla loro rovina. Essa si traduce infatti in opere spesso riprovevoli. Credendo in uno Spirito venuto nella carne, sono perennemente esitanti tra gli uomini carnali e gli spirituali. Non vogliono confondersi con i primi, che si legano alla terra e seguono solo l'impulso dei sensi. Ma non devono nemmeno essere confusi con i secondi, i cui occhi sono rivolti al cielo e che conducono una vita esemplare. Essi professano di servire Dio, ma si comportano troppo spesso come i figli del Diavolo. Sono «psichici», la cui anima oscilla costantemente tra tendenze contrarie. 

Cosa devono fare per essere salvati? Si elevino da quella fede cieca che li distoglie dalla gnosi divina che li illuminerà sulla loro vera natura e sul loro destino. Si comportino secondo i suoi insegnamenti e cessino di conformarsi ai desideri della carne per vivere d'ora in poi secondo lo spirito. Si sforzino in altri termini di staccarsi da questo mondo perverso, di reprimere in loro la concupiscenza, di mortificare i loro corpi. Nella misura in cui vi riusciranno, la loro mente si aprirà, il seme spirituale che è nella loro anima germoglierà, si sentiranno e saranno i figli di Dio. 

È l'acquisizione e lo sviluppo di quella vita nuova che simboleggiano i sacramenti cristiani. Non la producono da soli, come la massa dei credenti si immagina. La raffigurano a modo loro e per ciò stesso la stimolano. Ma ottengono il loro effetto provvidenziale solo in coloro che ne hanno l'intelligenza, tra gli spirituali.

Che follia pregare Dio perché ci renda la salute del corpo quando quella dell'anima è la sola che conta! Quale follia ancora più grande immaginare che ci farà risorgere un giorno in questa carne peccaminosa, che ci porta incessantemente al male, come se non fosse per liberarci per sempre da esso che devono tendere tutti i nostri sforzi! La vera resurrezione è quella che ci fa passare dallo stato di peccato a quello della grazia. Ora ciò si opera ad ogni secondo, è già avvenuta tra i santi della Chiesa spirituale, la sola che merita questo nome, come un fatto compiuto. 

Così conosciuta e presentata senza veli, la gnosi appariva, fin dalla esposizione delle prime origini fino a quella del nostro ultimo destino, come l'esatta negazione della fede comune. Differiva più dal cristianesimo ufficiale di quanto quest'ultimo dal giudaismo, perlomeno da quello che era diffuso nella Diaspora. Un conflitto, in queste condizioni, era inevitabile. La grande maggioranza dei cristiani di Roma doveva mostrarsi ancora più ostile allo gnosticismo di quanto non lo fosse stata all'antigiudaismo. Il mistero che circondava quella teologia trascendente era fatto proprio per scontentare le masse. La pretesa che manifestavano i suoi adepti di elevarsi al di sopra dell'uomo comune tramite la pratica di una vita più perfetta irritava ancora di più. Il pubblico non ama le persone che si atteggiano a sapienti senza lacune, a virtuosi senza difetti, e che scherniscono la sua ignoranza o la sua volgarità. Prova un maligno piacere nel coglierle in fallo, nel mostrare che la loro sapienza confina con la stupidità, la loro santità con la lussuria.  Si allontana da loro ancor più di quanto loro stessi si allontanino da esso. 

Questo fu l'atteggiamento che i cristiani di Roma adottarono, in massa, nei confronti degli gnostici. Erma ne è l'esempio ben rappresentativo. Non nutre contro di loro alcuna animosità personale. Al contrario, ha subìto in larga misura la loro influenza.  Ma è del popolo, riflette le sue tendenze, le sue antipatie. Anche in questo stesso libro del Pastore, che in vari punti porta la loro impronta, formula su di loro critiche piuttosto aspre: «Queste persone», dice, «sono credenti, ma impenetrabili, presuntuose, infatuate di sé stesse, si piccano di sapere tutto e non sanno assolutamente nulla. A causa della loro presunzione, l'intelligenza si è ritirata da loro, per far posto alla follia e alla stoltezza. Si lusingano di possedere un grande intuito e si danno per dottori, mentre sono colpiti dalla follia. Questo orgoglio, spingendoli ad esaltarsi, ne ha fatto cadere un gran numero in una vanità ridicola, perché è un possente demone la presunzione e la vanagloria! Molti di questi uomini sono stati respinti, ma alcuni si sono pentiti, sono tornati alla fede e, riconoscendo la loro follia, si sono sottomessi a coloro che possiedono l'intelligenza. Gli altri uomini di quella categoria possono egualmente fare penitenza, perché il loro caso non è tanto la malvagità quanto la follia e la stoltezza. Se dunque si convertono, vivranno per Dio; ma se trascureranno di fare penitenza, andranno ad abitare con le donne dalla vita malvagia». [25]

Queste osservazioni si leggono nel penultimo capitolo del Pastore, che appartiene all'edizione più recente. Al tempo in cui ci riportano, vale a dire, secondo ogni apparenza, verso la metà del secondo secolo, «molti» gnostici sono stati già stati esclusi dalla Chiesa. La loro dottrina era ormai considerata eterodossa. Essa rientra nella categoria delle «eresie». Su coloro che si ostinano a difenderla, come su tutta la gente che si allontana dall'ortodossia, peserà il doppio verdetto di «stoltezza» e di «vita malvagia».


NOTE DEL CAPITOLO 9

[25] ERMA, 9° Similitudine 22:1-4. [La traduzione di A. Lelong (edizione Hemmer e Lejay) è stata ritoccata da P. Alfaric sul testo greco.] (J.M.).

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