lunedì 2 maggio 2022

LA PRIMA GENERAZIONE CRISTIANALA RIASCESA DEL SACRIFICIO PRIMITIVO

 (segue da qui)


IV

LA RIASCESA DEL SACRIFICIO PRIMITIVO

Se l'evoluzione delle società si fa dall'irrazionale al razionale, se la religione è la forma primigenia che rivestono le società, lo stato «puro» della religione (nel senso in cui si impiega la parola «puro» in chimica) sembra dover essere cercato solo tra i primitivi. La fede perfetta è possibile, in principio, solo in due momenti: dapprima, nelle epoche preistoriche, ai tempi in cui nascono le religioni, quando non c'è una controparte; in seguito, quando una religione rinasce in un ritorno di misticismo senza restrizioni. Se in ogni evoluzione vi è un punto massimo e un punto minimo, il punto massimo per le religioni è nei giorni della loro giovinezza (o del loro ringiovanimento); è, per la conoscenza positiva, quando invecchiano.

Ciò non significa che una religione non cominci in piena barbarie, che non si purifichi a poco a poco (nel senso morale della parola, questa volta), che non «progredisca», diranno le persone che restano fedeli all'idea di progresso; ma, per manifestarsi all'origine tramite le formule più grossolane, essa ottiene nondimeno il suo culmine nei giorni della sua nascita e lo recupera solo nei suoi giorni di revival.

Così abbiamo trovato all'origine delle civiltà, nell'irrazionalità dei nostri antenati neolitici, la comprensione più profonda della natura e della funzione degli dèi e la realizzazione più perfetta della cosa religiosa sotto la forma del sacrificio del dio (sacrificio di Eliminazione e sacrificio di Comunione teofagica), e la ritroviamo nel primo secolo della nostra era nel cristianesimo. Il cristianesimo poteva diventare la grande religione degli uomini solo a condizione di riportare loro, non il fuoco conquistato da Prometeo, ma la carne stessa di Prometeo sacrificato.

E questo è ciò che non sembra essere facilmente ammesso.

Si sa che fino al momento in cui l'antropologia inglese rinnovò la storia delle religioni, l'unanimità degli studiosi consentiva di studiare l'«opera della redenzione» solo dal punto di vista dell'antica teologia, appena modernizzata, e si disinteressava dei rapporti che il sacrificio della Croce poteva avere con i sacrifici delle altre religioni.

Quanto all'istituzione eucaristica, ostinandosi a studiarla in isolamento, vale a dire senza tener conto dei paralleli, gli  studiosi indipendenti non vollero vedervi che un semplice pasto confraternale accompagnato da preghiere alla moda ebraica, divenuto più tardi una commemorazione della morte del Signore, poi una comunione sacramentale. [1]

Dall'inizio del secolo, i maestri tedeschi della Religionsgeschichte avevano reagito contro questi metodi e fatto riconoscere il carattere sacramentale delle prime istituzioni cristiane; ma, al posto di cercarne l'origine nella direzione che aveva aperto Robertson Smith e l'antropologia inglese, addussero dei prestiti dalle religioni misteriche ellenistiche, prestiti di cui gli studiosi cattolici non ebbero difficoltà a dimostrarne la nullità. [2]

Ancora recentemente, alcuni studiosi si domandarono se il cristianesimo non avesse preso il pasto di comunione eucaristica dai culti egiziani; [3] ma la sorta di transustanziazione che hanno voluto vedervi è solo un caso della vecchia legge di sostituzione che si ritrova in tutte le pagine della storia delle religioni. [4] L'interesse maggiore dell'Eucarestia cristiana sta nel fatto della teofagia e non in quello della transustanziazione.

Alcuni studiosi noti professano, d'altronde, ancora oggi, che il cristianesimo ha preso dal giudaismo la nozione del sacrificio redentore; certi, confondendo il sacrificio (nel senso derivato del termine) del Servo di Jahvé con il sacrificio (nel senso letterale) di Gesù, vedono nel famoso brano di Isaia 53 il prototipo della Passione. La risposta è troppo facile. Ciò che caratterizza il cristianesimo non è che ha continuato la pratica del sacrificio espiatorio, ma che la vittima espiatoria sia, in pieno primo secolo, il dio stesso. Di fatto, la nozione del dio sacrificato è qualcosa di pressappoco impensabile nel giudaismo. Quanto alla resurrezione che i Farisei vi avevano introdotto in ritardo, chi potrebbe immaginare che uno solo di questi legalisti ortodossi si sia mai sognato di subordinare quella glorificazione del popolo ebraico alla morte e alla resurrezione del suo dio? Il considerevole errore dei troppi numerosi studiosi evemeristi e dei pochi miticisti che vogliono che il cristianesimo sia uscito dal giudaismo, è di ammettere quella mostruosità: che il dio morto e risorto abbia potuto nascere dalla religione di Jahvé!

Ne è lo stesso del pasto di comunione teofagico. Che questo provenga dai pasti sacri del giudaismo, la cosa è praticamente impensabile.

Non provenendo le nozioni del dio sacrificato e del dio dato in nutrimento né nel giudaismo né dalle altre religioni ufficiali né dalle religioni misteriche contemporanee, come spiegare l'apparizione, nel primo secolo, di pratiche e di credenze così straordinarie? Tale è il problema di cui ho sentito molte volte il signor Isidore Lévy riconoscere la difficoltà. 

Non sapendo come trarsi d'impaccio, alcuni studiosi, tra quelli per cui la salvezza non esiste se non nella critica interna, sono ritornati, passivamente, agli errori dell'antica esegesi; sotto pretesto di rendere queste pratiche e queste credenze più accettabili, le estendono attraverso i primi secoli della Chiesa, vale a dire che le fanno entrare a pezzi, le une dopo le altre, nel cristianesimo: dapprima il pasto, poi la commemorazione, in seguito la nozione sacrificale.

Ora, io pongo la domanda. 

Essendo dato: che la comunione teofagica, essersi praticata tra i primitivi, non esisteva più nel primo secolo nel mondo mediterraneo se non in sopravvivenze dove tutto il suo significato era scomparso, e che tutto di colpo è riapparsa nel cristianesimo, dove si pratica ancora oggi; che la messa a morte del dio, dopo essersi praticata nelle religioni primitive, era egualmente scomparsa nelle religioni del mondo greco-romano, e che è egualmente riapparsa nel cristianesimo; io domando se si introduca il minimo inizio di spiegazione retrocedendo il fatto di un quarto di secolo, vale a dire fino all'arrivo di San Paolo a Corinto, o di uno o due secoli, oppure fino in pieno medioevo, — come se il ritorno del primitivismo, che sarebbe stato impossibile sotto Augusto e Tiberio, sarebbe stato perfettamente ammissibile sotto Claudio o sotto gli Antonini, nonché sotto il regno dei papi o nell'atmosfera del Concilio di Trento! 

Altri sperano di aggirare la difficoltà minimizzando le cose; il sacrificio in senso letterale è preso nel senso derivato, che è quello di un semplice atto di devozione; la comunione teofagica è presa nel senso di comunione di commensalità, quando non si va fino a farne un puro simbolo, alla maniera del vecchio protestantesimo liberale. La Chiesa cattolica stessa, forse nell'intenzione di non urtare troppo violentemente il «buon senso», sfuma le immagini, ammorbidisce i tratti e si preoccupa soprattutto di evitare le parole precise; chi oserebbe, in un ambiente credente, dire che si «mangia» il corpo del Cristo?

È curioso e abbastanza divertente constatare che in realtà i cattolici che si scandalizzano oggi allorché si precisa il carattere realistico della comunione, riprendono per conto loro l'incomprensione dei discepoli stessi del maestro, se si crede al vangelo secondo San Giovanni, e si espongono allo stesso ironico avvertimento. Quando Gesù, si legge in effetti in questo vangelo, 6:35 e seguenti, spiega loro che si deve mangiare la sua carne e bere il suo sangue, e che «la sua carne è in verità nutrimento e il suo sangue è in verità bevanda», li sente mormorare. E, in una frase che si crederebbe di oggi:

Ciò vi scandalizza? domandò loro... Τοῦτο ὑμᾶς σκανδαλίζει...

Ispirandosi meno al Cristo che ai discepoli che ci presenta il quarto vangelo, si poteva vedere, non molto tempo fa, uno scrittore famoso e uno studioso non meno famoso, entrambi professanti un cattolicesimo stretto, alternare un canto elegiaco in cui si mescolavano l'indignazione e il dolore, perché certi studiosi osavano paragonare l'Eucarestia cristiana alle pratiche preistoriche della comunione teofagica, e altrettanto bene l'idea cristiana di redenzione ai modi primitivi del sacrificio espiatorio. La denuncia di uno studioso tanto informato quanto il padre Lagrange [5] non poteva che essere discreta. Meno al corrente dello stato dell'erudizione, il signor Georges Goyau, se la prendeva particolarmente [6] con la scuola sociologica e le Notions de sociologie dei signori Hesse e Gleize. Ed ecco le frasi (quanto prudenti però!) di cui si indignava.

Quanto alla comunione teofagica:

Nelle religioni più idealiste si ritrova, purificato e trasfigurato, quel pensiero che assorbendo una parte di un alimento ritenuto sacro, il fedele comunicherà con un principio mistico, fonte della vita.

Quanto al sacrificio espiatorio primitivo:

Questo fatto così notevole della sostituzione delle vittime si ritrova nella dottrina cristiana di Gesù che prende su di sé tutti i peccati dell'umanità.

È questo al fine di evitare alla religione tutto ciò che potrebbe nuocere alla sua rispettabilità? Di non sconcertare il gregge, tanto mondano quanto piccolo-borghese? Di reagire contro l'infatuazione che imperversa nei circoli artistici per l'arte negra? O piuttosto, timeo Danaos, di non accettare nulla dalle mani dei sociologi non-cristiani?... Si strappa al cristianesimo il privilegio unico di essere la religione scaturita dal primo sforzo dei selvaggi neolitici per uscire dall'animalità. Dal punto di vista stesso del credente, perché negare che il figlio di Dio fatto uomo abbia rinnovato e idealizzato antiche concezioni, come lo ha fatto in tante altre occasioni? La trascendenza che ogni credente ha il diritto di rivendicare per ogni religione non è nemmeno messa in questione dal punto di sapere se Gesù ha preso nel passato o creato quel giorno lo stampo nel quale gli è piaciuto di inserire il sacramento che istituiva.

Ammiro troppo il cristianesimo per ammettere che i suoi due riti essenziali siano spuntati, un bel giorno, come dei funghi di cui non si è sicuri che siano commestibili. E, a mia volta, intonerò un canto elegiaco per deplorare il fatto che, tra i cattolici che sanno pensare, ci si scandalizzi ancora di accostamenti che danno meglio al cristianesimo il suo volto di perpetuità. 

NOTE

[1] Harnack, Brod und Wasser, 1891, e il maggior numero degli studiosi che lo hanno seguito, ivi compreso il signor Hans Lietzmann, Messe und Herrenmahl, 1927.

[2] Riassunto in Werner Goossens, Origines de l'Eucharistie, 1931.

[3] Tra altri lavori, Georges Méautis, Revue de l'Histoire des Religions, 107, pagine 5 e seguenti.

[4] Il signor Edouard Dhorme, ibid., pagina 107 e seguenti, lo ha ricordato agli studiosi che potevano dimenticarlo. 

[5] Evangile de Jésus-Christ, 1929, pagina 510.  

[6] Figaro del 10 ottobre 1929.

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