(segue da qui)
GALILEA, GELIL HAGGOYIM
Sembra che occorra un certo coraggio ad un uomo d'azione per riconoscere i suoi errori; la cosa è più facile per un uomo di studi. In un libro pubblicato più di un quarto di secolo fa, ho scritto che la Galilea era giudaizzata nel primo secolo, intendendo con ciò non solo che i Galilei obbedivano alle leggi ebraiche, ma che erano diventati «senza restrizione» ebrei. Devo ancora a Joseph Halévy di aver corretto le mie vedute su questo argomento.
Avendo letto questo passo del mio libro, il maestro mi domandò se fossi ben sicuro di ciò che avevo avanzato e, senza attendere una risposta, mormorò:
— Galilea, Gelil haggoyim.
Gelil haggoyim, ciò significa in ebraico «Cerchio dei pagani», e così il paese è chiamato in epoca biblica. [1] Fino a qual punto aveva cessato, in epoca post-biblica, di meritare il suo nome? In realtà, la questione del «giudaismo» della Galilea doveva prendere nei miei lavori un'importanza primaria, e non potrei abbastanza felicitarmi di aver potuto studiarla, non dico sotto la direzione, ma sotto l'influenza e con i consigli dell'incomparabile studioso.
Come, dall'ottavo secolo, la Galilea fosse ridiventata un paese pagano, Gelil haggoyim, dove sussistevano appena alcuni discendenti delle antiche famiglie cananeo-israelite, e come, all'inizio del primo secolo, le bande giudee avessero invaso il paese e imposto col ferro e col fuoco il giudaismo alle popolazioni, lo abbiamo esposto nel capitolo dedicato alla storia dell'antica religione di Gesù. [2] All'opera a mano armata dei soldati maccabei era presto succeduta quella, non meno formidabile, dei Farisei e dei loro agenti. L'oppressione dopo il terrore. E ci siamo domandati se sia possibile che una popolazione a cui si impone con la forza una religione nuova non conservi in segreto una parte delle sue antiche credenze e delle sue antiche pratiche, che adeguerà a poco a poco a quelle che gli sono imposte. Così vi sarebbe, nel caso della Galilea, tutt'altra cosa e molto più delle infiltrazioni pagane che abbiamo riconosciuto negli ambienti della Diaspora.
Il signor Guignebert distingueva, [3] tra gli abitanti della Galilea intorno all'anno 1, Fenici, Siriani, Arabi, Greci ed ebrei; la discriminazione è insufficiente; tra quelli che il signor Guignebert chiama in blocco «i Giudei», è impossibile confondere, da una parte, i discendenti degli ebrei di Giudea immigrati in Galilea, vale a dire gli ebrei autentici, e, d'altra parte, i discendenti degli indigeni giudaizzati con la violenza e che ci ha lui stesso descritti come fossero stati costretti a «scegliere tra lo sfratto e la circoncisione». La confusione non può essere che una svista; non uno storico ammetterà che un secolo sia bastato per identificare gli uni agli altri, e anche con un ritardo molto più lungo, una tale assimilazione sarebbe, a quell'epoca e in quell'Oriente, inimmaginabile. Tutt'al più si potrà concedere che un piccolo numero di famiglie, evidentemente quelle appartenenti alle classi superiori, si siano rapidamente radunate e abbiano sposato la causa dei vincitori; ma non vi sarà là che un caso eccezionale. Richiamo su questo l'attenzione degli specialisti. [4]
Nella massa degli indigeni convertiti con la forza al giudaismo, si deve evidentemente distinguere tra la grande maggioranza degli uomini di ascendenza pagana e la piccola minoranza dei discendenti delle antiche famiglie cananeo-israelite; ma, con poche eccezioni, i discendenti del vecchio Israele e con loro quelli degli antichi Cananei più o meno israelizzati sono, insomma, come pure i loro vicini pagani, gente che non saranno mai che dei Giudei di seconda categoria, tanto simili ai loro vicini pagani quanto persone che non sarebbero mai state più che ebrei di seconda categoria, che gli ebrei autentici avrebbero tenuto sempre in sospetto. Così Joseph Halevy non ammette che ci fossero in Galilea, nel primo secolo, altri ebrei oltre a quelli o ai figli di quelli recentemente immigrati dalla Giudea.
Si deve cercare di prevedere tutte le obiezioni. Non penso però che si possa obiettarmi che i primi cristiani di Galilea (quelli che la tradizione rappresenta come i discepoli del Cristo) siano provenuti dalle poche famiglie di ebrei purosangue di Giudea che erano venuti a stabilirsi in Galilea e vi formavano una sorta di aristocrazia, o dalle poche famiglie di origine galilea che si erano radunate ed erano entrate in relazioni di collaborazione e senza dubbio di matrimonio con i funzionari che Gerusalemme inviava nel paese. Si immaginino i primi cristiani galilei solo sotto l'aspetto che abbiamo indicato più sopra, di uomini della gente comune proveniente dal vecchio nucleo della popolazione galilea. Si troverà d'altronde, nella letteratura cristiana, la traccia della pretesa che avrebbero manifestato di essere originari di Giudea o alleati ai funzionari giudei? Si ricorderà, per contro, con quanta insistenza la tradizione evangelica ha opposto Gesù ai farisei come pure ai sadducei e agli ufficiali del sacerdozio gerosolomitano, tradizione così potente che l'autore dei primi capitoli degli Atti non ha potuto, malgrado il suo desiderio di dipingere la chiesa galilea di Gerusalemme sotto dei colori giudaizzanti, trattenersi dal mettere quest'ultima in conflitto con le autorità.
Esauriamo le ipotesi possibili. Forse si vorrà che i primi cristiani siano stati discendenti del vecchio Israele galileo. La situazione sarebbe la stessa. Che i primi cristiani abbiano avuto un'ascendenza puramente israelita oppure una ascendenza pre-israelita, essi sono, in entrambi i casi, discendenti di uomini che si ha giudaizzato per mezzo di coercizione, e che hanno conservato segretamente la maggior parte delle antiche credenze e delle antiche pratiche che sono loro proibite.
Abbiamo trovato recentemente una conferma della nostra tesi in un articolo del signor R. Pettazoni, [5] in cui l'eminente professore dell'Università di Roma, distinguendo tra «sincretismo» e «conversione», ricorda i casi frequenti in cui le religioni antiche continuano a sussistere accanto alle religioni nuove, e richiama l'attenzione sul fenomeno della «doppia credenza» (pagina 129). Così realizziamo come abbia potuto sussistere nel primo secolo, nel contesto eppure così stretto del giudaismo, una vecchia religione pre-canaanita, successivamente contaminata da elementi cananei, israeliti, siriani e infine giudaici.
Ma se consideriamo particolarmente il caso di coloro tra i Galilei che praticavano l'antica religione di Gesù al momento della conquista ebraica e che furono costretti, anche loro, a scegliere tra lo «sfratto» e la conversione al giudaismo, non è sufficiente comprendere come essi conservassero in segreto le loro antiche credenze e le loro antiche pratiche; si deve anche comprendere come le credenze e le pratiche del giudaismo, che erano state loro imposte con la forza, abbiano finito per organizzarsi con le prime ed entrare così nella loro tradizione.
La resistenza di un'antica religione alla persecuzione si spiega con la tendenza naturale degli uomini a perseverare nelle credenze e nelle pratiche ereditate dai loro padri; si spiega anche, nella nostra tesi, quanto alle poche generazioni che hanno immediatamente preceduto l'era cristiana, con la rinascita religiosa che abbiamo chiamato il Revival, e che fu parallela alla fioritura delle sette battiste; l'oppressione, non si potrebbe abbastanza ripeterlo, essendo impotente ad arrestare la crescita di un grande movimento religioso. Quanto all'accettazione di una nuova religione imposta con la violenza, essa si spiegherà non solo con l'impossibilità di sottrarvisi, ma, quando il tempo entra in gioco, con un lento lavoro che si deve cercare di rappresentarsi nel suo sviluppo cronologico.
Prendiamo, immaginiamo, a titolo di riferimento, la famiglia da cui sarebbe venuto l'uomo che la Chiesa ha denominato San Pietro. Tra l'epoca in cui la Galilea è asservita dagli ebrei (intorno all'anno 100) e l'epoca (intorno all'anno 1) in cui nacquero gli uomini che dovevano essere i primi cristiani e in cui sembra essere nato San Pietro stesso, un secolo passa. Come le cose si saranno svolte?
Il trisavolo di San Pietro è stato costretto ad obbedire alla legge ebraica sotto minaccia di morte; è comprensibile che si sia nascosto per continuare ad adorare l'antico dio dei suoi padri!
Il bisnonno, nato in pieno terrore, non ha potuto che seguire queste peregrinazioni ed ereditare da suo padre le sue duplici pratiche; il periodo di terrore ha cessato, quando è diventato adolescente, ma un regime di costrizione è seguito, che non si attenuerà mai.
Con il nonno, è già una tradizione che si stabilisce.
Con il padre, la tradizione è stabilita; vale a dire che il padre fa per tradizione ciò che il trisavolo faceva sotto minaccia di morte.
Ma quella osservanza giudaica, che presso i Farisei era tutta convinzione, tutto slancio, tutto ardore e tutto amore, non ci stupiremo che sia stata, presso i discendenti dei Galilei asserviti, educazione ricevuta e abitudine ereditaria, allo stesso tempo che obbligo imposto; essi obbedivano alla legge mosaica pressappoco come la maggior parte di noi obbedisce a ciò che chiamiamo «la legge». Ciò che vi era di amore e di fede nei loro cuori andava all'arcano del Revival.
Tale sarà la nostra conclusione. In Galilea, gli uomini che, dopo essere stati i precristiani, sono stati i primi cristiani sono nel contempo, rispetto al giudaismo, conformisti e anticonformisti. Non conformisti in quanto praticano in segreto una religione misterica, sono conformisti in quanto obbediscono alle leggi mosaiche.
Sono lieto di avere qui l'occasione di precisare questo punto che è di una importanza capitale nella comprensione del cristianesimo primitivo.
Uno studioso per cui io professo tanto rispetto quanto ammirazione, in un articolo che ha dedicato al Dieu Jésus, [6] ha sollevato un'obiezione abbastanza inattesa. Poiché avevo esposto che i miei precristiani praticavano in segreto un culto proibito e che allo stesso tempo osservavano le leggi mosaiche, egli si è levato contro l'«ipocrisia» che io avrei loro attribuito accusandoli di seguire le osservanze giudaiche «per nascondere il loro gioco». Non vi è nulla di ciò.
Perché i precristiani seguivano le osservanze giudaiche?
Prima ragione. Molto semplicemente, perché «era la legge», perché sarebbero stati ben impediti dal fare altrimenti, e perché, non potremo mai abbastanza insistervi, le autorità ebraiche avevano in Galilea tanto quanto in Giudea potere coercitivo.
Seconda ragione. Queste leggi mosaiche che erano state imposte con la violenza ai loro antenati, si erano a poco a poco imposte ai Galilei del primo secolo tanto per l'abitudine e l'educazione quanto per l'autorità legale; essi erano nati ed erano stati allevati nell'obbedienza alla legge ebraica; vi obbedivano.
Terza ragione. Avevano finito, da una generazione all'altra, col perdere il senso che ci fosse opposizione tra le osservanze mosaiche e il culto del loro secondo dio. A partire dal momento e dal fatto stesso che avevano riconosciuto nel dio d'Israele il dio padre della loro antica setta, essi non avevano più motivo di rifiutare di obbedire alle leggi che egli aveva dato. Non bisogna in effetti mai perdere di vista che l'antica religione di Gesù era a poco a poco entrata nel contesto del giudaismo con quella sola ma essenziale differenza, che essa vi sovrapponeva in segreto la continuazione delle sue antiche pratiche.
Una volta stabiliti a Gerusalemme, continuarono a combinare le osservanze mosaiche e il culto di Gesù, compiendo con l'acquiescenza della loro volontà (se non con amore) ciò che erano altresì obbligati a compiere.
NOTE
[1] Isaia 8:23.
[2] In particolare, pagine 49 e seguenti.
[3] Vie cachée de Jésus, pagina 12.
[4] Correggendo ciò che, ripetiamo, non poteva essere che una svista, il signor Guignebert riconosce nel suo ultimo libro, il Monde juif vers le temps de Jésus, pagina 203, che «all'inizio dell'era cristiana una gran parte della popolazione ebraica della Galilea si trovava composta da convertiti recenti, ex abitanti del paese, costretti alla circoncisione e piegati alla Torà (alla legge mosaica) dai coloni israeliti», vale a dire dagli ebrei di Giudea immigrati in Galilea fin dalla conquista maccabea.
[5] Syncrétisme et conversion, nella Revue d'Histoire et de Philosophie Religieuses, marzo-aprile 1934. Anche, Bulletin du Comité International des Sciences Historiques, 1933, pagine 24 et seguenti.
[6] Padre Lagrange, Revue Biblique, 1928, pagine 289-294.
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