sabato 6 novembre 2021

IL DIO GESÙLa spiritualità

 (segue da qui)

LA SPIRITUALITÀ

Devono essere, in origine, definite spirituali le cose concepite per mezzo della conoscenza mistica (vale a dire al di fuori di ogni esperienza e di ogni controllo razionale), come esterne al mondo fisico e come in rapporti con esso. Ho detto poc'anzi che l'uomo si è elevato al di sopra dell'animalità ed è pervenuto alla socialità perché è capace di conoscenza mistica; il che equivale a dire che egli si distingue dagli altri animali in quanto è capace di concepire le cose spirituali.

La parola spiritualità non è comunemente usata in un'accezione così larga; la Chiesa cattolica ha fatto della spiritualità il coronamento della sua teologia, e propone a giusto titolo la vita spirituale come l'oggetto supremo al quale deve tenere il cristiano. La spiritualità, come l'hanno compresa e praticata i santi del cristianesimo, non è però che una sublimazione del fatto religioso più grossolanamente primitivo. Possa non vedermi, a mia volta, accusato di sconvenienza. In verità, spirituale si oppone a materiale come mistico si oppone a razionale, come sacro si oppone a profano, come sociale si oppone a individuale, come fede si oppone a ragione. Dalla spiritualità di un ottentotto alla spiritualità di San Francesco d'Assisi, la distanza è la stessa e lo stesso è il rapporto tra un dio ottentotto e Gesù.

La spiritualità, per quanto sia umile, è nata nel momento in cui l'uomo ha creduto in un'esistenza di poteri che non gli era data dall'esperienza fisica. Terribilmente rozza all'origine, e dall'apparenza quasi assolutamente magica, essa si svilupperà e si raffinerà nello stesso tempo in cui la religione si evolverà; e finché la religione rimarrà la forma stessa della società, non ci sarà altra spiritualità che la spiritualità religiosa.

A poco a poco, però, si opererà il lento lavoro di laicizzazione che trasformerà la società (e sia ben chiaro che la sociologia usa il termine laicizzazione senza la minima intenzione polemica). Accanto alla spiritualità religiosa apparirà la spiritualità laicizzata del poeta, del filosofo, dello studioso (intendo lo studioso della scienza pura). Soltanto, la nozione primitiva di «potere» è diventata la nozione di «valore».

Se, in effetti, la spiritualità consiste originariamente nel concepire un mondo estraneo al mondo fisico, non si deve mai perdere di vista che ciò significa che ciascuno di loro esercita un'azione sull'altro. E tale è il carattere essenziale per via del quale gli esseri spirituali sono fondamentalmente altra cosa rispetto a qualunque vana finzione. Le potenze del soprannaturale che concepisce l'uomo primitivo (e altrettanto bene i riti che pratica, i miti che immagina) hanno interesse ed esistono per lui solo in quanto agiscono sul mondo fisico e lui agisce su di esse. Le religioni più evolute hanno evidentemente conservato questo carattere; la spiritualità laicizzata lo ha continuato facendo delle cose spirituali la ragion d'essere delle cose fisiche e, in uno stadio più avanzato, l'espressione del loro valore. Per essa, il mondo è un flusso di fenomeni che l'esperienza constata e che la mente si sforza di comprendere. E sarà sempre impossibile all'uomo che scrive queste righe dimenticare con quale accento la grande voce di Mallarmé insegnava che il poeta è colui che dice il senso delle cose. 

Continuando dal punto di vista della scienza pura l'opera che la teologia ha praticato dal punto di vista della religione, la sociologia, almeno per come la intendo io, ha per oggetto di discernere il senso delle istituzioni, della storia e della vita umana, ricercando come i fatti corrispondano alle necessità dell'evoluzione.

Sarebbe temerario voler abbozzare in dieci righe un quadro della storia delle civiltà. Basterà al nostro scopo ricordare che queste cominciano con un atto di spiritualità infinitamente rozza, ma che è l'elevazione stessa dell'uomo al di sopra dell'animalità. A poco a poco, la conoscenza razionale nasce e si sviluppa accanto alla conoscenza mistica, e il dominio della ragione si espande accanto a quello della fede. Secoli e secoli passano, e un giorno arriva in cui la meraviglia dell'equilibrio si stabilisce. Ma il razionalismo, continuando a progredire, prende presto il primo posto; l'evoluzione si accentua; la civiltà si fa sempre più materialista; nel trionfo della ragione e del progresso materiale, la spiritualità non è più che una luce che si estingue.

Il mondo era, il giorno in cui il cristianesimo è apparso, al punto in cui una rivoluzione era necessaria per liberarlo dall'oppressione materialista. È permesso domandarsi se la nostra società contemporanea non sia altrettanto matura per la rivoluzione come lo era, diciotto secoli fa, la società greco-romana. A che pro sospirare per il giusto equilibrio in cui l'homo duplex si realizzerebbe allo stesso tempo nella natura fisica e nello spirito? L'equilibrio, questo ideale, è, nell'evoluzione di una civiltà, un istante che non ritorna più. Quando una civiltà ha perso la spiritualità, un cataclisma è solo capace di rigenerarla; per risorgere, bisogna prima morire. 

La maggior parte dei nostri contemporanei rideranno all'idea che si possa rinunciare ad un razionalismo di cui si inorgogliscono e ritornare ad una mentalità spirituale che disprezzano. Lo stesso scoppio di risa ha risuonato tra i saggi dell'Areopago, intorno all'anno 50, quando San Paolo annunciò loro, a detta del libro degli Atti, la mistica della resurrezione dei morti.

...Alcuni lo deridevano, altri dissero: ti sentiremo su questo un'altra volta.

La sociologia spiega in cosa, contro ogni apparenza, San Paolo aveva ragione, e in cosa, contro ogni apparenza, i saggi dell'Areopago avevano torto. Non diremo dunque, con il signor Homais, che le credenze delle religioni primitive sono delle invenzioni ridicole, né, con il piccolo borghese erudito del Trinity College, che i loro riti sono delle pratiche ignobili e imbecilli. Ammireremo, al contrario, il fatto che le società preistoriche abbiano così trovato i loro mezzi per nascere e per durare, e che il cristianesimo, nella più formidabile sfida che sia stata lanciata alla ragione, sia nondimeno riuscito a reimmergersi nelle origini.

 Il mio regno non è di questo mondo, dice il Gesù del quarto vangelo.

I grandi simboli sono sempre suscettibili di interpretazioni diverse. Si intende comunemente che il regno di Gesù è quello dell'aldilà; tutt'altro è il significato che ci suggerirà la storia della civiltà umana.

In un'epoca perduta di progresso materialista la rivoluzione cristiana portò un messaggio, e dice:

 Il regno che io annuncio è quello che non conosce né controlla la conoscenza razionalista; solo la conoscenza spirituale ne aprirà la porta; il mio regno è quello della spiritualità.

È quello dei santi; ed è anche quello dei poeti, dei filosofi e degli studiosi che non hanno sacrificato a Mammona.

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