sabato 19 giugno 2021

IL MITO DI GESÙ (XVIII)

 (segue da qui)


7. ULTIME OBIEZIONI.

Contro quella conclusione si alza ancora una volta il coro dei credenti imbevuti di storicismo, che pretendono che, se Cristo non fosse un personaggio storico, i suoi seguaci difficilmente si sarebbero dedicati a lui fino a subire le più crudeli torture, e perfino la morte. Ma è vero che lo fecero per un personaggio storico? Non si dedicarono piuttosto ispirandosi alla loro fede nell'opera redentrice del Salvatore, senza preoccuparsi dalla sua realtà storica? Giustino dice che «per il nome di Gesù uomini di ogni razza hanno accettato ed accettano ogni sofferenza pur di non rinnegarlo». [1] Per l'amore del nome di Gesù, ciò vuol dire evidentemente: perché speravano di essere salvati in suo nome. Del resto, lo storico Seeck fa sottolineare a giusto titolo che «non fu tanto la fedeltà verso le loro convinzioni che fece accettare la morte ai martiri cristiani, quanto la paura di arrendersi ai demoni partecipando ai sacrifici. Paragonati alle pene eterne che li attendevano se cedevano, che importavano le torture passeggere che potevano infliggere loro le autorità pagane? [2] Ci si sacrifica solamente per un uomo ? Al contrario, le più grandi devozioni non si ispirano piuttosto ad un'idea impersonale? In ogni tempo, le idee di patria, di libertà, di onore, di gloria e così via, hanno incitato gli uomini alle prodezze più straordinarie. Quali piatti materialisti questi teologi che pretendono che solo una cosa tangibile, come uno dei nostri simili, possa ispirare atti straordinari! Per Gesù in quanto uomo, è improbabile che qualcuno abbia subito il martirio. Bruno Bauer ha fin troppo ragione ad esclamare: «Il Cristo dei Vangeli, se si dovesse assumere la sua esistenza storica, sarebbe un fenomeno che dovrebbe far rabbrividire l'umanità, una figura che non potrebbe che ispirare terrore e orrore». [3]

Non fu nemmeno il Gesù storico che decise la vittoria del cristianesimo sulle altre religioni. Lo si è spesso preteso nella controversia a proposito del mito di Gesù, cosa che non impedisce che sia assurdo. Ridurre la diffusione di una religione all'eccellenza e alla superiorità morale del suo fondatore equivale, come dice Robertson, ad aggrapparsi a nozioni pre-scientifiche di causa ed effetto, come se si professasse la credenza geocentrica. [4] Ciò che ha elevato il cristianesimo al di sopra delle religioni rivali furono, lo ripetiamo, la sua metafisica nuova, le prospettive che apriva ai suoi adepti, e ancor più la sua organizzazione tutta particolare che attraeva gli uomini e li legava in una maniera durevole; ma il Gesù dei Vangeli non vi ha contribuito tutt'al più che nel sembrare offrire alla fede cristiana un sostegno più solido di quello fornito da altre rivelazioni soprannaturali degli dèi. In un mondo immerso nella schiavitù, il cristianesimo recò l'idea di una libera democrazia; donò alle anime svuotate e consumate dall'ozio e dall'indifferenza un contenuto prezioso, un senso più profondo della vita, uno scopo nuovo, risvegliò tra gli uomini le forze assopite e che ardevano di agire, facendoli collaborare al perfezionamento dell'esistenza, indicò loro un compito, mise ciascuno al posto che gli conveniva, e fece cessare il disagio risultante da un'esistenza privata di ogni orientamento morale. Da allora, ciascuno si sentiva, nell'organismo della comunità cristiana, un membro utile. La comunità si interessava a lui, lo assisteva nel bisogno, lo avvolgeva in un'azione sociale pratica e caritatevole perfezionando le associazioni di mutuo soccorso come l'assistenza ai poveri, ai malati, agli anziani, e i servizi funebri. Anche le donne, bambini e schiavi trovavano là un campo di feconda attività, si sentivano inclusi nell'umanità, e i deboli, miserabili e impotenti si vedevano trasportati in un'atmosfera di carità che sembrava alleggerire la loro sorte e riscaldava con un raggio di sole le loro anime tese. 

Inoltre, l'unione delle comunità tra loro, la vasta ramificazione delle associazioni cristiane che si prestavano un mutuo soccorso permetteva ai membri chiamati a spostarsi di sentirsi presto al sicuro presso i nuovi «fratelli» e «sorelle» che formavano come una sola grande famiglia. Una raccolta comune di vangeli e di epistole circolava di mano in mano e si leggeva nelle assemblee, mantenendo l'unità della fede, del pensiero e delle opinioni religiose.  La maniera in cui, almeno nei primi secoli, si seppe adattarsi alle fasi successive della vita politica e sociale ed evitare gli scontri con il mondo pagano, accresceva il sentimento di sicurezza e aumentava l'importanza dei gruppi cristiani. Anche se a volte sopravvenivano atti di opposizione, oppure che la popolazione pagana, esasperata dall'isolamento in cui si tenevano i cristiani, commetteva oltraggi nei loro confronti, non ci fu minimamente questione, nei primi secoli, di persecuzioni propriamente dette; non è che molto più tardi che esse sono state inventate o fortemente esagerate dai cristiani, per la maggiore gloria del loro proprio eroismo, e anche per eccitare lo zelo dei fedeli, conquistare l'ammirazione dei pagani e guadagnare così nuovi adepti. Insomma: il cristianesimo agisce concentrando metodicamente tutte le sue forze verso gli stessi fini, per mezzo dell'abile propaganda dei suoi missionari e per la diplomazia e la capacità organizzativa dei suoi vescovi e dei loro ausiliari, mezzi che nessuna delle religioni pagane aveva ancora messo in opera. «I culti pagani», dice Birt, «rassomigliano alle piante selvagge che crescono con una lussureggiante spensieratezza in una natura incolta, fioriscono e appassiscono. Il cristianesimo al contrario fu seminato metodicamente, come fa l'agricoltore quando si sforza di moltiplicare i frutti; i vescovi furono gli zappatori, e il suolo coltivato invadeva sempre più la terra vergine, passo dopo passo, ma con una infallibile regolarità». [5]

Non resta dunque, come ultima obiezione contro il «mito di Gesù», che l'appello alla «possente personalità» e all'«impressione indelebile» che Gesù avrebbe fatto sul suo entourage, perché si afferma che una corrente di idee così potente come il cristianesimo non può spiegarsi che per l'azione di un tale personaggio. Ma dove sono le tracce di quella profonda impressione? Gli scritti del cristianesimo primitivo (occorre ripeterlo?) non ne fanno apparire nulla. Perfino le epistole paoline, che si dice siano state scritte sotto l'influenza immediata della «possente personalità» di Gesù, sono assolutamente mute su di lui in quanto individuo storico e conoscono solo un Cristo dogmatico. Se si esamina nel dettaglio il più antico vangelo, come l'ho fatto nel mio Markusevangelium, si constata che nulla, assolutamente nulla, non una riga, nemmeno una parola vi può pretendere la storicità, che tutto è ispirato alle profezie dell'Antico Testamento e dalle costellazioni. Ora, è da Marco, si dice, che hanno attinto tutti gli altri evangelisti. Cosa diviene allora la storicità della loro esposizione? «Quando la porpora cade, il duca non tarda a seguire!» Se tutti i dettagli del racconto evangelico, sotto le mani della critica, si risolvono così in nebbia mitica e si rivelano pure finzioni, non sussiste più alcun diritto «metodico», dopo la scomparsa di tutti i tratti peculiari, di mantenere il semplice fatto astratto di un Gesù storico. Che si citi quindi un solo episodio dei vangeli che si possa a buon diritto e in tutta coscienza considerare storico! Non ne esiste, lo ripetiamo. Fintanto che non si sarà scoperto almeno uno, il fatto di volere nondimeno attenersi alla storicità di Gesù non può essere considerato che una presa di posizione teologica. 

«Equivarrebbe a rovesciare tutti i fondamenti della storia», si dice, «non credere all'esistenza del Cristo e alla verità dei racconti dei suoi apostoli e degli scrittori sacri. Anche il fratello di Cicerone diceva: Equivarrebbe a rovesciare tutti i fondamenti della storia negare la verità degli oracoli di Delfi. Domanderei ai cristiani se credono di rovesciare le fondamenta della storia quando attaccano questi presunti oracoli e se l'oratore romano avrebbe creduto di rovesciare così le fondamenta della storia negando la verità delle loro profezie, supponendo che le avesse conosciute. Ciascuno difende la sua chimera e non la storia». [6]

Se Gesù fu realmente una così «possente personalità», perché abbiamo di lui solo finzioni? E se la tradizione ci ha lasciato di lui solo finzioni, quale diritto abbiamo di vedere in lui più di quanto vediamo nei personaggi mitici di un Giosuè, Attis, Adone, Osiride o Balder? Perché solo la sua storicità ci farebbe comprendere l'origine e lo sviluppo del cristianesimo? Ma li si comprende meglio se si ammette un Gesù crocifisso e risorto, oppure almeno un Gesù alla resurrezione del quale i suoi seguaci sono ritenuti di aver creduto, ma senza averlo riconosciuto come Messia durante la sua vita, e senza che abbia manifestato loro la sua messianicità, tanto più che quest'ultima, secondo le concezioni ebraiche, non poteva essere legittimata né dalla sua vita, né dai suoi miracoli, né dalla sua resurrezione? Che un predicatore itinerante della Galilea, morto da poco, possa essere apparso a Paolo come il Figlio di Dio in senso metafisico, questo fanatico del monoteismo ebraico più rigoroso, come un altro Dio, come l'eone creatore del mondo e come il secondo Adamo, è una cosa così improbabile, così impossibile perfino, che nessuno ha ancora dato una spiegazione sufficiente dello sconvolgimento che si sarebbe verificato nell'anima dell'apostolo. I teologi rimproverano ai sostenitori del mito di Gesù di «avvelenare tutto ciò che è individualmente grande e unico nella storia dell'umanità» (Jülicher). Noi domandiamo argomentazioni, anche solo un'argomentazione plausibile, non repulsioni sdegnate e della fraseologia. Comunque anche uno storico della Chiesa, Hausrath, riconosce: «Mai un fenomeno collettivo si è limitato ad un individuo. Ogni epoca è la risultante delle epoche che l'hanno preceduta, e non dell'attività di un uomo». «La diffusione di grandi principi si fa in una maniera piuttosto impersonale. Le più grandi scoperte e invenzioni sono anonime. A chi dobbiamo il primo telaio o il primo camino? Quale fu il nome dell'inventore dell'alfabeto? Nessuno lo sa. La Chiesa del resto celebra una festa detta Ognissanti, dedicata alle anime anonime di coloro a cui essa deve tutto, ma la cui storia è per sempre dimenticata». [7

Se si pretende che la genesi della religione cristiana sia l'opera di un uomo unico nel suo genere, ossia del Cristo, e che è proprio in quell'opera che si manifesta la sua grandezza, che ci si dica dunque chi ha fondato la religione babilonese, egiziana o il mitraismo, che hanno pure esercitato alla loro epoca la più grande influenza sulla civiltà e sulla vita religiosa dell'umanità. W. Koelher fa sottolineare che lo gnosticismo non ebbe alcun fondatore. È perlomeno dubbio che il Buddha e Zoroastro siano state personalità storiche; eminenti studiosi come Kern, Sénart, Louis de la Vallée, Poussin, Speyer, van den Bergh van Eysinga l'hanno contestato. [8] Si può ritenere certo che Mosè non sia del resto più storico. Wernle, uno dei più risoluti tra i teologi del genere «Vita di Gesù», parlando della filosofia dei Lumi (Aufklärung), dice: «Essa non è l'opera di un genio religioso di prim'ordine, e non si spiega con le esperienze intime di un individuo, anche se si ammette che sia stato favorita dalle circostanze politiche e da altre circostanze dell'epoca. È a giusto titolo che essa non porta il nome di alcun capo, essendo l'opera di generazioni intere che, ispirandosi allo spirito collettivo, orientano i loro pensieri e i loro sentimenti nella stessa direzione, quanto meno per quanto riguarda la negazione». [9

Nel suo Diario di viaggio di un filosofo, libro che è attualmente in mano a tutti, Keyserling nega che l'importanza di un'idea permetta di concludere per la grandezza del suo autore: «Si sa che l'influenza immediata che esercita un uomo coincide raramente con il suo valore reale: un infermo, anche un individuo molto equivoco può generare idee che sovvertono il mondo. Questo contrasto esiste anche fino ad una certa misura tra i fondatori della maggior parte delle religioni. Qualunque cosa la leggenda possa riportare della loro possente personalità, è certo che in generale hanno potuto agire durante la loro vita solo su un pubblico poco interessante; il che è una prova sufficiente del fatto che non furono, nel senso ordinario del termine, forti personalità; infatti quest'ultime si impongono. Esiste così poca relazione necessaria tra la forza espansiva di un'idea e la vastità di intelletto che l'a generò che, per certi fondatori di religioni, la loro esistenza stessa è incerta. Senza dubbio, dappertutto il mito si è più tardi condensato attorno ad una personalità storica, ma resta dubbio che quest'ultima sia stata effettivamente l'ispiratrice delle idee che hanno agitato il mondo. Al cristianesimo, che doveva conquistare il mondo, la vita primitiva di Gesù non ha fornito che un solo elemento: il suo nome. E questo nome è diventato il simbolo e il fulcro delle molteplici tendenze che, nelle profondità insondate, hanno determinato la storia dell'Occidente; da qui la sua immensa importanza storica, che non ha nulla a che vedere con lo scarsissimo grado di realizzazione che le idee del Cristo hanno trovato fino a questo giorno. Vale lo stesso dappertutto. Un uomo può classificarsi tra i più grandi della storia senza essere mai esistito, senza aver mai insegnato ciò che determina la sua importanza storica, senza aver mai insegnato nulla di nulla, senza aver avuto alcuna importanza, e via di seguito». [10]

Tra le obiezioni tanto numerose quanto miserabili che si sono sollevate contro il mito di Gesù, quella della possente personalità è forse la più pietosa di tutte. Come in tutte le altre religioni dello stesso tipo, la figura del Salvatore è pura finzione. Essa è un prodotto della coscienza religiosa, non un fatto dell'esperienza storica. Se il cristianesimo, per accreditare quella figura, si appella alla realtà storica, questo appello non è di per sé che la manifestazione di un sentimento religioso, e non ha nulla a che vedere con le preoccupazioni dello storico. 

NOTE

[1] Contra Tryph. 121:2.

[2] SEECK, l. c. pag. 317.

[3] Kritik d. org. Geschichte der Synoptiker, 1841, 3:14.

[4] The Jesus Problem 155.

[5] BIRT, Charakterbilder Spätroms u. d. Entstehung d. modernen Europa., 2. Aufl., 1920, 162.

[6] DUPUIS, Abrégé de l'Origine de tous les Cultes, 3° edizione, volume 2, pag. 104.

[7] Jesus, I, 221, 228.

[8] Si veda pure ROBERTSON, Pagan Christs, 2° edizione, 1911, 327 ss.

[9] Lessing u. d. Christentum, 1912, 9 s.

[10] O. c. 1920, I 164 ss.

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