venerdì 28 febbraio 2020

Il Cristo e Gesù


Il Dio di Coincidenza

Può qualcuno negare che

Una cosa dopo l'altra

In sequenza e logica

Mai vista prima

Non può essere che la

Interferenza di un Dio

Determinata a provare che

Ognuno che pretende

Di conoscere ora

Una cospirazione è

Demente?

(Kent Murphy)

Mai fidarsi di un libro che ti indica come una pecora, perché probabilmente è stato scritto dai lupi.
(Anonimo)

Relativamente a Gesù, l'umanità si divide in tre categorie:

1) Quelli che non ne hanno mai inteso parlare.

2) Quelli che ne hanno inteso parlare, ma non si pronunciano.

3) Quelli che si pronunciano, o a favore della sua storicità, oppure della sua non-storicità.

Solo il terzo gruppo ci interessa. Esso si divide in due sottogruppi: gli storicisti e i miticisti.

Il sottogruppo degli storicisti si divide a sua volta in due categorie: quello del fideismo e quello dell'evemerismo.

I fideisti hanno la fede. Credono nella realtà di Gesù Cristo, dio e uomo nello stesso tempo. Nel novero dei fideisti, troviamo i credenti che appartengono alle chiese cristiane, e i credenti che si dicono cristiani, ma non appartengono ad alcuna chiesa. Questi ultimi sono di solito così presuntuosi che, per distinguersi dagli altri, chiamano «sapienza» la loro fede. Ma nella realtà non c'è alcuna differenza. Anche se resteranno per sempre all'oscuro della verità su Gesù, la vista del Cristo freddo ed impalpabile dell'uomo chiamato Paolo, totalmente impercettibile dietro il suo muro fatto d'eternità, susciterà sempre in loro una certa inspiegabile inquietudine.  

Almeno in questo blog, i fideisti sono etichettati tutti quanti, senza distinzione di sorta, «folli apologeti cristiani». In quest'espressione, ciò che è più irrisorio e volutamente offensivo non è l'attributo di follia (dopotutto la follia, intesa come espressione di libertà — docet Erasmo — potrebbe presentarsi in una luce positiva, quantomeno per far ridere), bensì l'accusa di apologia. Gli apologeti cristiani sono letteralmente «bugiardi per Cristo», perché nei castelli di carte che costruiscono, c'è sempre almeno una carta goffamente fuori posto suscettibile di far collassare nel ridicolo i loro patetici tentativi di possedere la «verità».

E quel che è peggio, questo gli apologeti lo sanno. Pertanto mentono deliberatamente e spudoratamente.

Gli evemeristi si classificano in due gruppi:

A) per il primo gruppo, Gesù è un uomo del I° secolo che è stato idealizzato, divinizzato dalle generazioni successive.

B) per il secondo gruppo, Gesù è il nome dato ad un uomo del I° secolo che non si chiamava necessariamente Gesù, e che non era un pacifista, ma un sedizioso. Il ricordo glorioso che ha lasciato nella memoria dei suoi contemporanei è stato recuperato dagli inventori di un culto successivo.

Tra gli evemeristi che trattengono l'ipotesi di un uomo del I° secolo di nome Gesù, il più rappresentativo è l'agnostico Bart Ehrman (Errorman per i nemici). Quelli che vedono in Gesù un rivoluzionario ebreo sono rappresentati da Frans Vermeiren, Eric Laupot, Daniel Unterbrink, Lena Einhorn.

Il sottogruppo della non-storicità è formato da una sola categoria, quella del miticismo. I miticisti pensano che Gesù Cristo sia un personaggio fittizio, collocato arbitrariamente nel quadro storico del I° secolo Era Comune da coloro che l'hanno inventato in un tempo più recente, successivo a quello dei suoi originari adoratori. I miticisti si dividono tra:

1) coloro che vedono nel Gesù dei vangeli la rappresentazione umana del Sole, e che si attengono a questa sola spiegazione: Gesù sarebbe il Sole storicizzato. Il rappresentante più ridicolo di questa schiera di goffi dilettanti è un tizio che scrive sotto il buffo nomignolo di Pier Tulip. Essi sono esecrati in questo blog.

2) quelli che vedono nel Gesù Cristo dei vangeli l'adattamento di un giudaismo ellenizzato al nuovo ordine mondiale scaturito dalla distruzione di Gerusalemme nel 70 E.C. Gesù sarebbe un arcangelo rivelatore ebraico storicizzato. I principali rappresentanti di questa corrente sono il dottor Richard Carrier e R.G. Price.

3) quelli che vedono nel Gesù dei vangeli il frutto di una contro-esegesi giudaizzante che fa uso dell'esegesi gnostica nata tra ex noachidi già prima dell'Era Comune. Il Gesù dei vangeli sarebbe il Serpente della Genesi storicizzato.
Il grande miticista rappresentante di quella corrente, nella sua solitaria grandezza, è Jean Magne.

Nel dominio scientifico, l'onere della prova pesa su coloro che rivendicano un fatto. Sia gli storicisti che i miticisti rivendicano ciascuno il proprio fatto. Nel caso degli storicisti, la loro ipotesi implica una conseguenza logica: ricercare una prova inconfutabile del passaggio di Gesù (che fu chiamato Cristo) nella storia degli uomini. Nel passato reale.

L'ipotesi miticista dipende dall'assenza di suddetta prova. Il fatto che Gesù è totalmente privo di una tale prova decisiva, a differenza di altre figure del passato per le quali esiste eccome una prova del genere, non è una ragione sufficiente per negare Gesù come figura storica.  Nell'assenza di quella prova decisiva, toccherà allora ai miticisti spiegare come e in quali circostanze storiche il mito di Gesù è stato elaborato.  Più precisamente, il miglior miticista sarà colui — non poteva non essere che lui — che, o scopre in maniera inconfutabile la precisa ragione del perché qualcuno si mise a tavolino a scrivere una storiella...

...oppure, non potendo trovare quella ragione, scopre nella suddetta storiella la prova inconfutabile:

A) di una polemica, condotta da questo anonimo scrittore, contro altri cristiani che negavano, proprio al tempo in cui lui scriveva, che il suo stesso Gesù fosse stato crocifisso sulla Terra;

B) oppure, di una modifica del mito «che permise la trasformazione del dio Gesù in uomo e di un racconto sacro in racconto reso storico» (G.Ory, Le Christ et Jésus, pag. 235).   

A pensarci bene, c'è da interrogarsi sulle ragioni di una modifica del genere, nel suo complesso. Perché mai qualcuno avrebbe dovuto prendere per un rivelatore terreno un essere che sa trasformarsi nelle sembianze di qualsiasi cosa che abita nei cieli inferiori, e che conosce da ultimo i segreti dei morti, nonché della morte stessa, per la crocifissione celeste da lui subìta ad opera dei perfidi «Arconti di questo eone» (1 Corinzi 2:6-8) ? Chi mai sarebbe stato così tanto audacemente blasfemo da far scendere sulla Terra un dio che operava unicamente in Cielo ?

Non avrebbero avuto in origine del Cristo, del Figlio di Dio, quella dolorosa, perpetua consapevolezza che fosse stato condannato a dimenarsi sulla croce cosmica, celeste, su cui quelli sciocchi Arconti lo avevano infilzato, senza conoscere la sua vera identità ? E ora invece, si sentono voci, voci triviali, gli stupidi hoi polloi, rozze dicerie e mero sentito dire, sulla crocifissione dello stesso divino essere... ...in Giudea. «Quaggiù», grida uno, «credo di aver trovato qualcosa che possiamo dare a quelli stupidi cani. Qualcosa di buono. Sono stufo dei loro interminabili guaiti».

Ecco, in breve, la Dimostrazione della inesistenza storica di Gesù.

1) Il Più Antico Vangelo è quello utilizzato dall'eresiarca Marcione, l'Evangelion.

2) L'Evangelion esordiva così:
L'anno 15 del principato di Tiberio, Cristo, disceso dal Cielo, apparve a Cafarnao, città della Galilea.
3) Le parole «città della Galilea» costituiscono un'aggiunta postuma, dal momento che, come spiega Eracleone (Frammento 11):
...«discese» non è detto per nulla. Cafarnao, significa le parti più remote del mondo, il regno materiale in cui egli discese.
...Cafarnao non è in realtà una città della Galilea, ma le parti più inferiori del mondo, il luogo della desolazione, gli inferi, l'Ade o Sheol.

4) Perciò, per il punto 2 e il punto 3, l'incipit originario dell'Evangelion suonava così:
L'anno 15 del principato di Tiberio, il figlio del dio Chrestos apparve nel luogo della desolazione.
5) Secondo la mitologia antica, sia greca che ebraica, solo le anime dei morti potevano accedere agli inferi.

6) Per il punto 4 e il punto 5, Gesù doveva già essere morto, quindi morto in croce, prima della discesa nello Sheol.

7) Siccome la discesa di Gesù sulla Terra è descritta nel resto dell'Evangelion e non al suo esordio (per il punto 4), allora, prima di discendere nello Sheol, Gesù non era ancora sulla Terra.

8) Prima della discesa nello Sheol, Gesù non poteva essere crocifisso nello stesso Sheol, per il punto 5.

9) Il solo luogo dove Gesù poteva essere crocifisso, per poi avere libero accesso nello Sheol (per il punto 5), non è lo Sheol (per il punto 8), non è la Terra (per il punto 7), ma può soltanto essere il Cielo.

10) Perciò, per il punto 9, essendo la crocifissione di Gesù accaduta in Cielo per il Più Antico Vangelo, Gesù non è mai esistito storicamente. 

Il corollario di questa Dimostrazione è che l'autore anonimo del Più Antico Vangelo aveva sviluppato la concezione che era di Paolo e dei primi cristiani, descritta in figura:


...aggiungendovi unicamente la descrizione della predicazione di Gesù nello Sheol, precisamente dopo la sua morte nei cieli inferiori:



 Come effetto di quella predicazione, Gesù ascese dallo Sheol assieme alle anime dei morti destinati a risorgere con lui per avere accolto il suo nuovo insegnamento. Traccia di quella ascesa collettiva dagli inferi, è stata preservata dallo stesso Marcione, per bocca del folle apologeta cristiano Ireneo:

Marcion dixit, Cain et eos qui similes sunt ei, et Sodomites, et Aeqyptios, et similes eis, et omnes omnino gentes, quae in omni permixtione malignitatis ambulaverunt, salvatas esse a Domino, cum descendisset ad inferos, et accurrissent ei, et in suum assumpsisse regnum; Abel autem et Enoch, et Noe, et reliquos justos, et eos qui sunt erga Abraham Patriarchas, cum omnibus Prophetis, et his qui placuerunt Deo, non participasse salutem, qui in Marcione fuit serpens praeconavit. Quoniam enim sciebant, inquit, Deum suum semper tentantem eos, et tunc tentare eum suspicati, non accurrerunt Jesu, neque crediderunt annuntiation ejus: et propterea remansisse animas ipsorum apud inferos dixit.
(Adv. Haereses 1:27). 

Per capirci, in sintesi:



Vi è per contro, da qualche parte, una prova inconfutabile della storicità di Gesù che, in un modo o nell'altro, avrebbe servito da modello al Gesù Cristo dei vangeli ? In altri termini, gli storicisti hanno ragione ?

Come scoprirà il lettore leggendo questa traduzione italiana, suddivisa in capitoli e sotto-capitoli, di un libro importante del miticista francese Georges Ory, la risposta a quella domanda è negativa. 

Georges Ory

Il Cristo 
Gesù

PREFAZIONE

Ci è voluta per approcciare il soggetto della storicità di Gesù molta saggezza perché, cosa curiosa per una storia così antica, è quasi impossibile parlarne senza passione — molta scienza, poiché la critica dei testi dei nostri giorni si è trasformata allo stesso ritmo dell'elettronica — infine, qualità che a torto è accusata di essere banale, un sacco di buon senso o, se si vuole chiamarlo con una parola più nobile,  di giudizio. Georges Ory non ha mancato ad una sola di queste leggi e questo quasi a sua insaputa. Ha vissuto per così tanti anni a contatto con gli scritti dei primi tempi del cristianesimo che ne è come impregnato, questa è la sua caratteristica. Si trova a suo agio con Marcione o con Ireneo come noi potremmo esserlo con Stendhal o con Jean-Paul Sartre. Si direbbe leggendo il suo libro che venti secoli siano passati e che appaiano attuali l'ignoranza di Tacito o gli errori di Svetonio: se ne possono trarre molte conseguenze sulla maniera con cui nascono e fioriscono le religioni.

Fin dall'inizio, fin dalla copertina, il titolo ci sorprende. Che vuol dire questo «e» posto tra il Cristo e Gesù? Vi sarebbero dunque due personaggi? L'argomentazione di Georges Ory per dimostrarcelo è rigorosa, si basa sulla linguistica (confusione tra Chrestos (buono) e Christus (unto), sul fatto che il nome di Gesù ci è arrivato per mezzo del greco (Iesous), sulla persistenza di san Paolo a non conoscere che il Cristo. «In seguito ad una lenta evoluzione del personaggio centrale della religione cristiana», dice George Ory, «Chrestos diventa Christus poi Gesù Cristo, in seguito è confuso con il Messia».

Avendo esplorato a fondo i testi pagani ed i testi ebraici, Georges Ory conclude che essi non contengono alcuna prova dell'esistenza terrena di Gesù. Non conosciamo la realtà della sua vita che per mezzo del Nuovo Testamento, ed è là che si rivelano curiosamente contradditorie le affermazioni dei testi evangelici.

Contraddittorie. È tutto là. La tesi di Georges Ory è costruita sui fatti precisi, su versi citati immediatamente seguiti dal loro opposto, su impossibilità di date. Fanno pensare alle difficoltà che ci ha raccontato Renan nei Souvenirs d'enfance quando si è dibattuto con l'autenticità del Libro di Daniele e con le date del Pentateuco. Qui, gli esempi abbondano, sia che si tratti della data della nascita del Cristo, fissata soltanto nel IV° secolo e per ragioni liturgiche — sia che si tratti delle ultime parole che avrebbe pronunciato Gesù sulla croce, riportate diversamente da Matteo: «Mio Dio, perché mi hai abbandonato?», e da Luca: «Perdona loro, perché non sanno quello che fanno», o del tutto diverse ancora dai cosiddetti testimoni.

Si è almeno certi della lingua che parlava Gesù? L'aramaico, si è più volte sostenuto. George Ory propenderebbe piuttosto per il greco, le sinagoghe greche di Gerusalemme erano numerose, gli ebrei non parlavano più l'ebraico dal III° secolo prima della nostra era e la Galilea era circondata da grandi città greche. La nascita del cristianesimo in ambiente ellenico sarebbe quindi pressappoco certo, e ciò cambia molti punti di vista.

Ci sono questioni più serie e là, è di fede che si tratta. Tutto nella religione cristiana si basa sull'eucarestia. «Questo è il mio corpo. Questo è il mio sangue», affermazione che durante i secoli non è stata messa in discussione; noi apprendiamo che non si basa né su parole veramente pronunciate o simili, nemmeno sulla materialità di un pasto che Gesù avrebbe considerato il simbolo della sua filiazione divina. I quattro evangelisti non sono d'accordo. Giovanni assicura che l'ultimo pasto consumato dal Cristo è quello in cui egli ha lavato i piedi dei suoi discepoli — altri testi parlano di agnello (pasquale) e non di pane — san Paolo, più tardi, sarà il primo a introdurre la formula: «Pane + Vino = Corpo e Sangue del Signore», ma molto tempo prima il realista Cicerone non comprendeva come «le menti irragionevoli» potessero immaginarsi che il cibo che mangiano possa essere un dio. 

I Latini, d'altronde, non hanno manifestato di fronte alla nuova religione lo spirito comprensivo che ci si sarebbe potuto aspettare da parte loro. Era di certo naturale che una storia così complicata, così imprecisa — volontariamente o meno — suscitasse molta controversia tra gli storici latini, poiché, per principio, essi erano tutti ostili a quella che Tacito chiama «un'abominevole superstizione», ma non compresero nulla dal lato morale, diciamo umano, del caso, allorché, politicamente, erano ben obbligati ad occuparsene. Prima stranezza, un sacco di scrittori pagani del I° e del II° secolo, e non dei meno importanti (Seneca, Plutarco, Giovenale...) mantengono un silenzio assoluto sul Cristo e sulla setta che avrebbe fondato. Il primo testo conosciuto sarebbe la lettera di Plinio il Giovane a Traiano. Il governatore di Bitinia non sapeva quale condotta tenere verso questi esaltati che consideravano Cristo come un dio e, saggiamente, chiedeva ordini al suo padrone. Ma il caso è così ingarbugliato,  vi sono così tanti testi perduti, così tanti altri apocrifi, che si è giunti a domandarsi se questa famosa lettera sia proprio stata scritta da Plinio il Giovane.

Ma Tacito? Ma Svetonio? Uno scrive 87 anni dopo la crocifissione di Gesù, l'altro non conosce che le persecuzioni dell'anno 54. Nessuno dei due nomina Gesù, nessuno dà dettagli e date che possano concordare. Gli scrittori latini non possono esserci di alcun soccorso nella ricerca della verità storica.

Tutte queste oscurità, tutti questi abili sotterfugi per sistemare le cose — di cui non diamo qui che un semplice scorcio, ma che Georges Ory disvela in tutta la loro ampiezza — sono il punto di partenza di un grande punto interrogativo per il lettore.

Come mai, da così tanti misteri, da così tanti errori, ha potuto nascere una somma di dottrine che la Chiesa presenta come certezze? Georges Ory ci dimostra che il caso non è unico e che l'umanità ha fatto con entusiasmo errori così evidenti da Omero fino a Guglielmo Tell. Questo è vero ma è meno dannoso immaginare gli aedi che cantano l'aurora dalle dita di rose rispetto a credere che una donna abbia generato un dio. Georges Ory avanza l'idea che la Passione del Cristo — quello che lui chiama «l'enigma della Passione» — dall'arresto fino alla resurrezione e persino all'ascensione è la pietra angolare che spiega la messa in opera dell'immensa impalcatura che ha non soltanto sostenuto ma anche stabilizzato la leggenda.

Quando ci si pensa, in effetti, 

— che nessun testo dà la stessa ora per la crocifissione del Cristo, 

— che, secondo gli Atti degli Apostoli, sono i giudei che fecero scendere Gesù dalla croce e non Giuseppe d'Arimatea,

— che i sinottici parlano di una pietra che chiude la tomba mentre Giovanni non vi fa nemmeno allusione,

— che Marco, il primo in ordine di tempo degli evangelisti, ignora la resurrezione...

Ci si chiede come si sia potuto vivere per così tanto tempo in una tale ambiguità.

Ancora più sorprendente è la storia di Giuda di cui non vi è menzione nel testo primitivo dei vangeli. Si leggerà nel libro di Georges Ory una pagina impressionante sul modo in cui è stato creato questo episodio, tenuto oggi per certo da credenti e non credenti. Il ruolo di Giuda sarebbe il risultato di interpolazioni successive, di arrangiamenti combinati, di parole mal spiegate, compresi il celebre bacio e i trenta denari. Una sorta di spiegazione folcloristica in breve.

Certo, possiamo rappresentarci senza difficoltà quale fosse la culla del cristianesimo duemila anni fa: paese senza strade, senza comunicazioni, senza scuole, e povero; un paese dove la dominazione romana, per giunta, tagliava la striscia di terra palestinese dal resto del mondo e il cui popolo, di conseguenza, era pronto ad adottare non importa quale mito per essere più felice. 

Vi era inoltre spinto dall'influenza preponderante della tradizione orale alla quale Georges Ory attribuisce un valore epocale, giustamente perché non si aveva alcuna altra possibilità sociale. «Il cristianesimo volgare», scrive Georges Ory, «era destinato alle masse e il cristianesimo spirituale agli iniziati». Da allora si profila la doppia via adottata dalla Chiesa e che nessun concilio è ancora riuscito a raddrizzare.

A partire dalla seconda metà del II° secolo, i Padri della Chiesa cominciarono a dedicare volumi e volumi per stabilire con essi il loro cristianesimo, lontanissimo da quella dei tempi evangelici, ma che, abilmente costruito, ha dovuto trionfare. Questo non era facile. I quattromila manoscritti greci del Nuovo Testamento, aggiunti ai diecimila manoscritti delle versioni nelle altre lingue dell'antichità non concordano. Innumerevoli varianti, interpolazioni, aggiunte, soppressioni rimuovono dal pensiero dello storico imparziale ogni velleità di affermare, ma questo storico, al contrario dello storico della Chiesa, non è incaricato di stabilire un dogma.

***
Senza dubbio mi si accuserà di intossicazione familiare, ma io non posso nascondere che per tutta la lettura molto appassionante del libro di Georges Ory, mi sono chiesta: che cosa Renan avrebbe pensato di un tale lavoro? Proviamo a rispondere. Innanzitutto, Renan non ha difeso la sua tesi di «Gesù l'uomo incomparabile» ignorando gli altri storici. Il suo articolo su Les historiens critiques de Jésus risale al 1849; non è soltanto incentrato su David Strauss, ma su tutti gli altri esegeti. Renan non ignorava né Kuhn, né Ewald, né Reuss, né ignorava, quando ha scritto il suo studio sul Cantico dei Cantici, i diversi significati che sono stati attribuiti al poema ebraico, né ha trascurato la teoria di Senart sull'esistenza o meno di Śākyamuni. I Vangeli? Si sa con quale mano critica vi ha toccato. Il IV° da solo da lui è già stato oggetto di una lunga Appendice alla Vie de Jésus. Non ha forse dichiarato nella Prefazione della 13° edizione: «I Vangeli per queste questioni, sono testimoni poco sicuri... la figura di Gesù vi è modificata secondo le opinioni dogmatiche dei redattori». E aggiunge, non senza una certa ironia: «Se i Vangeli sono libri ispirati (...) io ho avuto grande torto a non mettere in fila i frammenti ritagliati dei quattro testi (...) se non per costruire l'insieme più ridondante e più contraddittorio».

Per Renan, d'altronde, la questione primordiale è quella del miracolo al quale conviene, dice, applicare «le regole ordinarie della critica» e la cui importanza scaturisce da quasi ciascun volume delle Origines. Georges Ory pensa che i miracoli siano stati legati alla storia del Cristo col progredire della sua leggenda: nascita, eucarestia, resurrezione. Arriva persino ad aggiungere che certi racconti di miracoli sarebbero in parte opera degli scribi, molto spesso sconfessati da Gesù. Renan vede piuttosto nei miracoli l'elemento indispensabile per guadagnare proseliti. 

Se ci riportiamo ora al libro di Jean Pommier: La pensée religieuse de Renan, noi vi troviamo chiaramente esposto lo stato d'animo di Renan che, sempre nella Prefazione della 13° edizione, accusa i Vangeli di essere «leggende». Quando, qualche anno dopo la Vie de Jésus, sottolinea ancora Jean Pommier, Renan studia san Paolo, egli dichiara: «Se questa scuola (di Paolo) ci avesse trasmesso i suoi scritti, non avremmo toccato la persona di Gesù e noi avremmo potuto dubitare della sua esistenza». Questi sono, pensa Jean Pommier,  giochi della mente critica. Renan non può staccarsi dall'uomo col quale, fin dal seminario, ha dei legami affettivi. Ho già avuto l'occasione di andare più oltre e di indicare come Renan si identifichi a volte con Gesù, immaginando una concordanza forse illusoria tra le loro due nature.

Ecco peraltro un passo dell'opera di Renan che mostra bene che si possono difendere due opinioni opposte partendo dagli stessi principi: «Raramente», scrive Renan nella Prefazione degli Evangiles, per quei periodi remoti, si arriva a poter dire con precisione come le cose si siano svolte, ma si perviene a volte a figurarsi i diversi modi in cui hanno potuto svolgersi». Ecco cosa può mettere d'accordo due scrittori che cento anni separano.
Ci si permetterà tuttavia una riflessione che scaturisce da sé a proposito di questa controversia storica. La ricerca della prova dell'esistenza fisica di Gesù, instaurata dopo Strauss e ampliata dai Loisy, Couchoud, Guignebert e Alfaric, per citare solo gli scomparsi, non ha forse assunto un'importanza esagerata? Si è a lungo discusso sul vero e sul falso Shakespeare, ma era necessario? Quel che sia dell'uno o dell'altro, Amleto è sempre là. L'importante è la cosa creata. Se il personaggio di Gesù è stato creato dalla tradizione popolare, se anche fosse un sostituto del «maestro di giustizia» recentemente scoperto, resta nondimeno il fatto che una nuova religione è nata, che una nuova morale è stata sfruttata da venti secoli in un modo che è l'opposto della sua essenza primitiva. È alle origini di questo sfruttamento che Georges Ory si è dedicato ed è per questo che dobbiamo ammirare il suo lavoro; è anche indispensabile rendersi conto con chiarezza e fin nei minimi dettagli della rete incredibilmente aberrante dei testi sacri.

Quando avremo voltato l'ultima pagina di Christ et Jésus, avremo il sentimento che la discussione è chiusa? L'autore stesso non lo vorrebbe. Georges Ory è uno scienziato e sa che la scienza non si arresta mai: spinge le sue indagini come la piccola pala del Surveyor scava il suolo della Luna. Così speriamo, ora che abbiamo una base solida, che, con lo stesso metodo e con la stessa erudizione, ci racconti il seguito dell'avventura. Non ce ne vorrà se glielo domandiamo. 

Henriette PSICHARI 

Nessun commento: