mercoledì 29 gennaio 2020

La Favola di Gesù Cristo — «La Siria, culla del cristianesimo»

(segue da qui)

CAPITOLO VII

LA SIRIA, CULLA DEL CRISTIANESIMO

Dopo aver individuato, nel mito di Gesù, elementi di diversa origine, non si può non porsi la domanda: dove e come questi diversi elementi si sono amalgamati? Le nostre precedenti ricerche ci hanno condotto verso una comunità essena di Siria, che abbiamo supposto influenzata dall'ambiente pagano nel quale viveva: questa ipotesi molto plausibile, sostenuta da argomentazioni testuali, non risolve del tutto il problema, ed è utile affrontarlo in modo diverso. 

La fusione di elementi ebraici ed esseni non soffre di alcuna difficoltà, poiché l'essenismo deriva dall'ebraismo di cui non è che un'interpretazione divergente. Per contro, sembra più difficile a priori ammettere la penetrazione di elementi pagani nei circoli ebraici o esseni: la difficoltà, come vedremo, non è che apparente, almeno per quanto riguarda le comunità ebraiche della «diaspora», soprattutto quella di Antiochia. 

1°) GIUDAISMO ED ELLENISMO

Saremmo tentati di credere che gli ebrei, con il loro monoteismo intransigente, non accettassero di mescolarsi con i pagani politeisti. La storia ci rivela un tutt'altro aspetto delle cose: gli ebrei erano ben lungi dall'essere impermeabili alle influenze pagane.

«Non va ripetuto, al seguito di parecchi storici eminenti, che gli ebrei erano impermeabili alle influenze straniere, che la loro religione li rendeva immuni da tutte le ideologie pagane... Questo è falso, e tutta la storia ebraica è là a testimoniare la facilità con la quale gli ebrei assorbivano dall'ambiente dove vivevano le idee, i credi e i modi di vita: basta ricordare l'Egitto, la terra di Canaan, la Babilonia e la Persia per misurare l'entità delle influenze successive, e non è sorprendente che l'ellenismo, a sua volta, si sia impadronito delle anime ebraiche e le abbia impegnate in nuove avventure intellettuali e religiose». [1]

Ciò che è vero dell'ambiente ebraico lo è, a maggior ragione, dell'ambiente della diaspora. Ad Alessandria, l'ebreo Filone si sforza di conciliare la Bibbia con la filosofia platonica: «Filone platonizza» era diventato un proverbio. Per quanto possa sembrarci sorprendente oggi (dal momento che accade molto di rado), i pagani erano ampiamente accettati nelle comunità ebraiche, e Giuseppe ci dice che la comunità di Antiochia contava più pagani che ebrei. È inevitabile che in questo confronto, delle influenze reciproche si siano esercitate .

Se, in ambiente pagano, l'idea di un dio che si incarna è comune, una tale idea avrebbe offeso certamente un ebreo ortodosso di Gerusalemme. Ma, divenuti la maggioranza, i pagani, non hanno forse fatto prevalere questa concezione contro la minoranza ebraica? Questo è ciò che ci lasciano intuire le lotte che ne seguirono, e che portarono alla separazione.

L'Incarnazione

L'idea di un dio incarnato, l'abbiamo detto, si può spiegare in due modi: o si parte da un fatto storico e si trasforma a poco a poco il ricordo, sempre più incoerente, di un uomo, — oppure, al contrario, si parte dall'idea di un essere divino che deve incarnarsi, e si immagina a poco a poco la sua esistenza terrena.

La prima soluzione fu ammessa, a proposito di Gesù, da Renan, Loisy, Guignebert e da altri. Ma nessuno di loro sembra essersi posto quella domanda così semplice: come mai degli ebrei, perfino fortemente ellenizzati, avrebbero accettato l'idea scandalosa ai loro occhi, di divinizzare un uomo?  A maggior ragione un uomo di cui non si sapeva che una cosa, ossia che sarebbe stato condannato al supplizio più infamante? Il ragionamento di questi autori sembra essere il seguente: alla base, sappiamo solo una cosa, il fatto della crocifissione; in seguito, troviamo un Cristo divino associato a questo fatto, e la cui leggenda fu ricolmata con l'aiuto di profezie: il passaggio ci sfugge, ma, tenendo le due estremità della catena, possiamo immaginare il legame.

Questo ragionamento mi sembra viziato. Da una parte, il fatto della crocifissione non è così ben stabilito come si vorrebbe dirlo. Ma soprattutto, la difficoltà principale del problema si trova così elusa: che il mito di Attis, per esempio, abbia influenzato il mito di Gesù non sarebbe sufficiente a spiegare come mai gli ebrei avrebbero accettato di fare, di un uomo e di un condannato, un essere divino analogo ad Attis. [2]

La probabilità, al contrario, è molto più forte se si è partiti da un essere divino: il Messia, di cui i testi profetici raccontavano in anticipo la passione. Qui, non c'è nessun problema per gli ebrei: la venuta del Messia sulla terra era attesa, sperata, annunciata; egli era già, in anticipo, un essere divino, e la sua esistenza terrena poteva essere considerata predetta. È soltanto sulle condizioni di questa esistenza che esistevano delle divergenze; ma abbiamo detto come la disfatta del 70 portò gli ebrei a rivedere la loro concezione del Messia, come essi dovettero, per conciliare le profezie con i fatti, fare un passo indietro e concludere per l'esistenza, al tempo predetto, di un Messia che era venuto, ma che non si aveva notato.  

Perché aggiungere a questa evoluzione logica del pensiero l'ipotesi, inutile e terribilmente imbarazzante, di un condannato reale, di cui nessuno sapeva più nulla? Questo equivale a complicare il problema a piacere.

Quanto all'identificazione parziale del Messia con gli dèi Salvatori del paganesimo, ciò doveva avvenire in modo del tutto naturale, prima di tutto con l'introduzione dei riti (battesimo, comunione), e soprattutto con il riconoscimento, a beneficio del Messia ebraico, del titolo di «Salvatore» (Giosuè-Gesù). È per questo titolo che gli ellenisti sono stati condotti a riconoscere una delle loro divinità familiari. Ed è perché fosse un dio «Salvatore» che lo si chiamò col nome ebraico che significa «Salvatore». Gesù non è un nome di persona: come quello di Cristo, è un titolo. Gesù Cristo significa «Salvatore-Messia», e questo appellativo concretizza proprio la fusione operata tra il Salvatore del paganesimo e il Messia delle Scritture ebraiche. 

Beninteso, una tale fusione non è concepibile se non al di fuori dell'ambiente ebraico ortodosso. Ma non sappiamo forse che i primi missionari del cristianesimo sono partiti, non da Gerusalemme, ma proprio da Antiochia?

NOTE

[1] S. LASSALLE: «Le messianisme au temps des Macchabées», Cahier du Cercle E. Renan, 2° trim. 1961.

[2] L'argomento non è sfuggito agli autori cristiani: «Come mai un fariseo israelita, dal monoteismo intransigente avrebbe potuto adorare un uomo trasformato in dio?» (BONSIRVED: L'évangile de Paul, pag. 25). Si può rispondere che i farisei si sono proprio rifiutati di «convertirsi». Ma l'obiezione vale per tutti gli ebrei, e anche per gli Esseni.

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