martedì 24 dicembre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «La teofagia»

(segue da qui)

La teofagia

L'idea di mangiare il dio, per incorporarsi la sua forza, è totalmente estranea all'ambiente ebraico. Noi sappiamo, al contrario, che la legge di Noè vieta di consumare del sangue. Per contro, troviamo delle numerose analogie con l'idea di teofagia (l'atto di mangiare il dio) in numerosi culti pagani.

A) Alle origini, si doveva mangiare la carne stessa degli animali sacrificati. Questo è ciò che vediamo nel culto del Dioniso Trace: i partecipanti strappano coi loro denti la carne del toro che rappresenta il dio, al fine di appropriarsi della sua forza. L'idea è comune, nelle religioni primitive, che mangiando la carne di un animale sacro (o quella di un nemico, tra i primitivi), si partecipa alla sua sostanza, alle sue virtù; allorché l'animale simboleggia il dio, si passa del tutto naturalmente all'idea di mangiare il dio stesso.

B) Ma con la civilizzazione il gusto si raffina, e il sangue doveva ripugnare, poiché non tarderà ad essere sostituito simbolicamente dal vino: questo vino, per una cerimonia magica, diventa il sangue del dio, che il fedele assorbe. Questa seconda fase è chiaramente stabilita nel culto di Iside, dove si dicevano queste parole di consacrazione sulla coppa: «Tu sei vino e non sei vino, ma le viscere di Osiride». [10] Si vede l'esatta analogia con il rito cristiano, dove il vino consacrato diventa il sangue di Gesù.

C) Faremo un passo ulteriore con i misteri di Cibele e di Attis: questo culto comportava una autentica «cena» che Firmico Materno paragonava già a quella dei cristiani. Tertulliano arriva persino a dire che a causa di questa analogia alcuni confondevano i due culti! Il rito è mal conosciuto, ma sappiamo che dopo aver mangiato ciò che conteneva il tympanon (attributo di Cibele) e bevuto ciò che conteneva il cimbalo (attributo di Attis), l'iniziato diceva: «Io sono divenuto il miste di Attis». E una formula gli rispondeva: «O te felice, beato, che invece d'un mortale ora sarai un dio». [11]

Cosa mangiava e cosa beveva? Se pensiamo che Attis era comunemente assimilato al chicco di grano, abbiamo tutte le ragioni per credere che l'alimento fosse un pane qualunque, ma che questo alimento rappresentava il dio stesso, e che così l'iniziato mangiava il suo dio. È più difficile sapere se la coppa sacra contenesse vino o un'altra bevanda.

D) L'esistenza di queste nozioni di teofagia ci è peraltro garantita da Cicerone, che le deride: «Quando chiamiamo Cerere le messi e Libero il vino usiamo un modo di dire: pensi davvero che ci possa essere qualcuno tanto pazzo da ritenere che sia un dio ciò che egli mangia?» [12] Ciò sembrò irragionevole a quest'uomo di buon senso, ma non avrebbe scritto queste righe se non avesse sentito parlare di questa follia. Per gli iniziati delle sette misteriche, la ragione non era la virtù dominante, e il principio di identità poteva essere violato per magia: per quanto irragionevole possa sembrare, l'idea di mangiare il dio non sconvolgerà di più i cristiani.

E) Più precisa e più inquietante infine è questa corrispondenza con il culto di Mitra: sappiamo che nel corso di una cerimonia si presentava all'iniziato del pane e una coppa, pronunciando, ci dice Giustino, «certe formule che voi sapete o che voi potete sapere». [13] Non ci dà sfortunatamente la formula, ma è evidente che si tratta di una formula di consacrazione, e siamo in presenza di un rito identico a quello del cristianesimo.

NOTE

[10] Citato da GUIGNEBERT: «Le Christ», pag. 373, secondo Wesely, e da ALFARIC: «Origines sociales du christianisme», pag. 210.

[11] Ippolito. Citato da BRIEM, op. cit., pag. 308.

[12] Della natura degli dèi 3:16.

[13] Apologia 1:46:4.

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