venerdì 1 novembre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «La vita pubblica»

(segue da qui)

La vita pubblica

Saremo meglio informati sugli atti essenziali della vita pubblica di Gesù? 

E prima di tutto, quanto tempo è durata? Appena qualche mese, secondo i tre sinottici che menzionano una sola Pasqua, oppure tre anni secondo lo pseudo-Giovanni? La Chiesa dà ragione a Giovanni, ma la disposizione del suo racconto non depone a favore di una cronologia esatta, e ci si guarda bene dal dirci perché gli altri tre racconti parlano solo di un anno.

Gesù avrebbe fatto dei miracoli, ma nessuno sembra essersene accorto ai suoi tempi. Come disse Diderot: «Dovunque si sono visti popoli trascinati da un unico falso miracolo, e Gesù Cristo non è riuscito a ottenere nulla dal popolo ebraico con una infinità di miracoli autentici. È questo miracolo dell'incredulità degli ebrei che bisogna spiegare!». La resurrezione di Lazzaro, per esempio, avrebbe dovuto fare qualche scalpore: tre evangelisti la ignorano, ed è solo il più tardivo, scritto intorno al 170, che ce ne parla. Per giunta, tutte le religioni invocano dei miracoli (e gli stessi miracoli), ma è ancora più facile prestarli ad un eroe mitico.

I testi non si accordano sui nomi dei primi discepoli. Erano dodici? I dodici derivano direttamente dall'Apocalisse, dove li vediamo nel cielo: essi sono le porte della Gerusalemme celeste (21:14-15), sono chiamati a giudicare le dodici tribù. Sono dunque pure loro dei personaggi celesti. L'influenza zodiacale non è esclusa quanto al numero. Quando si tratta di ridiscendere sulla terra, la Chiesa ha un sacco di difficoltà a trovarne dodici: lo pseudo-Giovanni li ignora, Paolo dà dei nomi che non compaiono nei sinottici. Per cavarsela, bisogna procedere a delle assimilazioni arbitrarie. In ogni caso, quando Paolo va a Gerusalemme, non ne trova dodici, ma solamente tre.

Gesù, si crede, è morto a Gerusalemme. Lo si assicura, ma non in virtù della testimonianza, bensì per soddisfare una profezia, e la pseudo-Matteo lo sa bene: «Ora, questo avvenne affinché si adempisse la parola del profeta» (21:4). È il motivo per cui Gesù fa il suo ingresso a Gerusalemme su un asino, poiché Zaccaria aveva predetto: «Ecco, il tuo re viene a te... umile, in groppa a un asino» (9:9).

Si trovano persino nei vangeli dei racconti che i loro autori non capiscono più. Per esempio la storia, piuttosto sorprendente, di quei demoni che Gesù inviò in una mandria di porci, i quali subito si precipitarono nel mare (Marco 5:13; Matteo 8:28-33). Sarebbe inutile domandarsi perché un ebreo allevava dei porci, carne proibita, se sia stato ricompensato, o ancora come mai ci si trova improvvisamente sulle rive del mare (Luca, più prudente, trasforma il mare in lago, 8:33).

Lo pseudo-Matteo, che tuttavia è ebreo, non ha compreso affatto questa storia allegorica. Durante l'occupazione tedesca anche noi usavamo delle espressioni di questo genere, e i testi che parlano di «doryphores» [coleotteri, N.d.T.] potrebbero porre degli enigmi ai commentatori futuri. Eppure Marco conosce la parola chiave nella storia dei porci: in lui, i demoni rivelano il loro nome, si chiamano «Legione». È, dice, perché sono molti, e lo pseudo-Luca riprodurrà questa spiegazione semplicistica (8:30). Ma la parola «legione» evoca ovviamente i Romani, e tutta questa storia non è che un'allusione, molto trasparente, alla legione romana, di stanza in Palestina, il cui emblema era una testa di cinghiale. E per gli ebrei occupati, i Romani non potevano essere che dei porci, animali impuri. Precisazione significativa, la scena si svolge a Gerasa: non cercare questo nome sulla mappa, significa soltanto «espulsione»!

Lo pseudo-Marco ha preso alla lettera un vecchio resoconto della Palestina occupata, oppure si è preso gioco dei suoi lettori romani? In ogni caso, i nostri esegeti moderni si stancano a trovare un senso a questa storia: perfino Loisy non ha compreso!

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