(segue da qui)
PARTE TERZA
GESÙ DIO SALVATORE
IL MIO ITINERARIO VERSO GESÙ
Nella brillante kermesse intellettuale che seguì la Grande Guerra, il corso di Loisy manteneva il suo posto e destava interesse. Io l'ho seguito assiduamente, perché da parecchi anni il problema di Gesù mi si era presentato. A volte seguivo Anatole France, per il quale avevo i sentimenti di un figlio. Loisy tenne per due anni un corso sulla leggenda evangelica e sull'insegnamento evangelico. Ad ogni lezione una pagina dei vangeli passava all'analisi. Ne usciva davvero molto male. Mal costruita, mal supportata, inutile o molto infondata nella realtà. Ciò che sapevamo di Gesù si restringeva sotto i nostri occhi sempre di più.
Anatole France era anticristiano e un buonissimo teologo. Nella sua vecchiaia aveva una bella testa da filosofo antico, quella vista nel busto di Bourdelle, che ricorda quella di Epicuro. Gli occhi divertiti e ridenti, la bocca leggermente storta erano sempre pronti per la leggera ironia che, con lui, passava rapidamente a un moto di compassione. La fronte seria e ben fatta, sotto i capelli lisci, i lineamenti piuttosto severi del viso a riposo, rivelavano la serietà un pò triste dell'essere interiore. La sua conversazione era la sua opera perpetua, da cui risaltavano i suoi libri. A volte trovava piacevole, a volte irritante la prodigiosa sproporzione da lui vista tra l'immenso cristianesimo e la figura angusta su cui avrebbe dovuto riposare. Una volta aveva ricamato su due righe di Renan un racconto perfetto: il Procuratore della Giudea. mentre Pilato cura i suoi reumatismi a Baia rammenta le beghe amare per le quali gli ebrei hanno sperimentato il suo zelo nel farli rigare dritto. Il nome di Gesù è pronunciato. “Gesù?”, dice, “Gesù di Nazaret? Io non ricordo”. Che nella memoria di Ponzio Pilato Gesù non abbia lasciato alcuna traccia, l'idea è buona per il narratore. Ma Loisy è arrivato criticamente a dimostrare che Gesù, ai suoi tempi, contava poco. Così poco che nulla.
Anatole France era anticristiano e un buonissimo teologo. Nella sua vecchiaia aveva una bella testa da filosofo antico, quella vista nel busto di Bourdelle, che ricorda quella di Epicuro. Gli occhi divertiti e ridenti, la bocca leggermente storta erano sempre pronti per la leggera ironia che, con lui, passava rapidamente a un moto di compassione. La fronte seria e ben fatta, sotto i capelli lisci, i lineamenti piuttosto severi del viso a riposo, rivelavano la serietà un pò triste dell'essere interiore. La sua conversazione era la sua opera perpetua, da cui risaltavano i suoi libri. A volte trovava piacevole, a volte irritante la prodigiosa sproporzione da lui vista tra l'immenso cristianesimo e la figura angusta su cui avrebbe dovuto riposare. Una volta aveva ricamato su due righe di Renan un racconto perfetto: il Procuratore della Giudea. mentre Pilato cura i suoi reumatismi a Baia rammenta le beghe amare per le quali gli ebrei hanno sperimentato il suo zelo nel farli rigare dritto. Il nome di Gesù è pronunciato. “Gesù?”, dice, “Gesù di Nazaret? Io non ricordo”. Che nella memoria di Ponzio Pilato Gesù non abbia lasciato alcuna traccia, l'idea è buona per il narratore. Ma Loisy è arrivato criticamente a dimostrare che Gesù, ai suoi tempi, contava poco. Così poco che nulla.
Dei bravi ascoltatori immaginavano che alla fine dell'ultima lezione Loisy avrebbe dichiarato: “Vedete, signori, i racconti della Passione non hanno più consistenza o solidità di tutti quelli che abbiamo studiato per due anni. In una critica onesta, dobbiamo ritenere improbabile l'esistenza di Gesù come personaggio di Storia”. Il loro candore era grande. Loisy voleva rendere minuscolo Gesù. Non voleva lasciarlo sfuggire al soprannaturale. Ha arrestato la sua critica ad un punto che aveva fissato in anticipo. Una mattina, uscendo dalla classe, io ebbi, nella piazzetta del College de France, l'idea chiara e nitida che l'esistenza storica di Gesù fosse stata sospesa al libero arbitrio del signor Loisy.
— Da dove la ricava? Il signor France scarabocchiò a margine delle mie note un boscaiolo nell'atto di tagliare il ramo sul quale è accavallato. Dà grandi colpi d'ascia, dicendo con un sorriso: lascerò sempre abbastanza per trattenermi! In un secondo schizzo dava l'ultimo colpo. Loisy stava crollando. Gesù risaliva al cielo.
Cominciai a chiedermi se il cristianesimo non sarebbe stato più esplicabile senza l'esistenza storica di Gesù. Condividevo con Loisy altrettanta poca simpatia per i mitologi che pensano di trovare un dio Gesù ben anteriore al cristianesimo. Non seguivo le loro corse ai fuochi fatui. Ma fin dall'origine della fede cristiana Gesù, Dio rivelato, mi è sembrato sufficiente per tutto. Una predicazione oscura, un incidente giudiziario, una tomba vuota avevano determinato la fede? Non aveva forse meglio la sua origine nella Rivelazione immediata di un Dio salvatore? Il Gesù cosiddetto storico è anteriore alla fede? È al contrario derivato dalla fede? Attraverso tutti i vangeli tutto ciò che esprime il mistero cristiano, vale a dire tutto il soprannaturale, mi è sembrato fisso, solido, coerente, primitivo. Tutto ciò che prende forma nella Storia si mostra fluttuante, incoerente, libero, secondario. In breve, ho preso l'opposto del sistema di Renan.
Il mio buon padre annuiva e mi incoraggiava. Mutava in commedia il sistema di Renan. Si prendeva gioco del signor Renan al College de France, raccontando una storia delle Mille e una Notte: “Al tempo di Haroun al Raschid, un mercante di Baghdad era seduto sotto una palma. Siamo qui, signori, su un buon terreno storico. Haroun al Raschid è un califfo ben conosciuto. I testi ci assicurano che c'erano a Baghdad, sotto il suo regno, molti mercanti e molte palme nei dintorni. Gettò in aria una noce di dattero, che ferì un ifrit. Ah! ecco un fatto soprannaturale. Scartiamolo senza esitare. Proviamo tuttavia a spiegare la cosa... ”.
Gli ho dato la risposta facendo l'esegesi renaniana del rapimento di Persefone: “Eleusi ha conservato il ricordo di una ragazza di cui si era perso il nome; la si chiamava semplicemente la ragazza, Coré. Un giorno che, per raccogliere fiori, si era allontanata nella campagna, lei non riapparve. Era caduta in uno di quei burroni coperti di ciuffi di oleandri? Ferita, era stata accolta da un pastore, forse conosciuto da lei, le cui teneri cure, poi l'amore l'avevano trattenuta? Più probabilmente era stata rapita da uno di quei pirati che infestavano da lungo lempo il Golfo Saronico. Nelle storie che scrissero più tardi, divenne un guerriero gigante, un re terribile in sella a una quadriga, Plutone in persona”.
— Figlio mio, concluse il mio buon padre, prima di criticare una storia, devi sapere che è una favola. Prima di criticare un vangelo, si dovrebbe sapere cos'è un vangelo.
Ho subito risposto: “È la biografia di Dio sulla terra”. Fece una smorfia. Una biografia di Dio gli sembrava poco più di una favola. Il suo spirito era troppo vigile, troppo lontano da ogni metafisica per ammettere che una rivelazione religiosa differisse profondamente da una creazione artistica o letteraria. Gli piaceva che Gesù fosse una bellissima favola. Lui mi trovava troppo cristiano.
In generale, al contrario, ho trovato la mia tesi anticristiana e sovversiva. “Gesù non è mai esistito, Gesù è un mito”, alcuni amici e alcuni avversari la tradussero così. Non ho detto questo. Ha quindi una sola maniera d'esistere: la maniera temporale e materiale? Una rappresentazione spirituale che è fissata in milioni di teste nello stesso tempo e che le governa, non esiste affatto? Non c'è nulla che non sia un tratto perduto nel tempo, uno spruzzo dissipato nello spazio, un essere di un giorno svanito nella morte? Dio è un mito, nulla più? Il cristiano nega l'effimero; egli respira al di sopra del tempo (Maritain). Nel profondo dell'esistenza, il mistico trova il Cristo. Gesù libera l'uomo dal tempo. Egli è, nell'uomo, la parte della vita eterna. Il vangelo di Giovanni l'ha insegnato, Spinoza l'ha compreso. Questo è più che un mito.
L'ho detto volentieri, lo ripeto: Gesù era esistito, nello stesso senso che egli esiste. Constato lo spazio immenso che riempie sulla terra. Se oggi abita in innumerevoli chiese, si può credere che egli abbia abitato alla stessa maniera nei primi cenacoli. Come in natura è oggi, così era sin dall'origine: “Gesù Cristo è lo stesso, ieri, oggi e sempre” (Ebrei 13:8). Gesù ha la realtà storica più importante. È il più grande Abitante della terra, è il più grande Esistente nella storia. Lo storico sociologo constaterà questa realtà, che è il suo compito. Non deve affatto negare la realtà spirituale di Gesù, nè di Dio. Per quanto riguarda l'esistenza di Gesù, come personaggio storico, la menzionerà tra gli articoli del credo cristiano. Non è affatto il primo articolo né l'articolo formulato più anticamente.
Alla fine, l'esistenza di Dio, l'esistenza di Gesù sono uno stesso problema. Tranne che tra ebrei e musulmani, l'esistenza di Dio non viene più confessata indipendentemente da quella di Gesù. Nel grande Occidente il Padre eterno non è più adorato solo. Se vive ancora, è per Gesù: l'unitariano è poco diverso dall'agnostico, essere deista equivale praticamente ad essere ateo. D'altra parte, se Dio è negato, l'esistenza dell'Uomo-Dio perde ogni supporto. Scomparendo l'elemento Dio, può sussistere l'elemento uomo? I buoni teologi sentono bene che la fede è necessaria per intendere veramente la storicità di Gesù. Loisy, dopo Renan, ha immaginato di ridurre Gesù al residuo umano di un Dio evaporato. Ma il divino e l'umano, nel vangelo, sono dello stesso tessuto. Insetto ostinato, non ha visto affatto che nello strappare il divino ha strappato l'umano allo stesso tempo.
Nel 1933 si celebrò il centenario della nascita di Renan. Ho colto l'occasione per inserire in un articolo: l'Énigme de Jésus, le idee che frullavano in me. Nonostante la sua lunghezza, l'articolo è stato pubblicato dal Mercure de France. Lo dovevo soprattutto a Renan e a Loisy. Davanti a loro ho presentato, se si vuole, una contro-eresia. Ho abiurato risolutamente il tono falso dell'uno, il tono derisorio dell'altro per sostenere senza tremare la pura divinità di Gesù. Una certa emozione si è manifestata tra i lettori, è stato padre de Grandmaison a rispondermi. Il titolo del suo articolo, Jésus dans l'histoire, è diventato, nella pubblicazione in opuscolo, Jésus dans l'histoire et dans le mystère. Solo il credente può assemblare questi due termini. Per il non credente Gesù è nella storia oppure nel mistero. Per me, Gesù era nel mistero e trascendeva la Storia. Il mio articolo, espanso, divenne nel 1925 il Mystère de Jésus. Pascal, che mi ha dato questo titolo, avrebbe potuto darmi anche un'epigrafe per definire il rapporto di Gesù con il tempo: “Gesù sarà in agonia fino alla fine del mondo”.
Il ricordo essenziale che mi rimane di quest'epoca è quello dell'entusiasmo. Un soffio, un fuoco mi attraversava. Solamente più tardi sono arrivato al giudizio calmo, chiaro e freddo. “La vita deve fermentare prima di chiarirsi”. Sentivo in me l'audacia del celta allobrogo più della circospezione del latino. Una certa esaltazione aggressiva è alla base di ogni ricerca. Ho visto spalancarsi davanti allo storico laico delle strade nuove per studiare l'origine e lo sviluppo del cristianesimo, il fatto più grande nella storia d'Occidente. Ho percepito “uno studio inebriante e infinito”, parole che avevano il dono di irritare Guignebert. Mi sono sentito liberato dalle spiegazioni sprezzanti e futili dell'Ecole de Paris. Se fosse stato dimostrato allo storico non credente che il cristianesimo ha per sua origine la più misera e la più grossolana delle illusioni: la deificazione di un uomo (diciamo quasi di un povero diavolo), ci sarebbe di che ridere, o di che rattristarsi, si dovrebbe accettare il fatto come si accettano le cose vilmente vere. Ma il fatto è diverso. Un presentimento lasciato forse in me dalla mia prima educazione cristiana, lo aveva fatto supporre. Un'esplorazione generale della questione mi aveva convinto. Mi restava di proseguire la verifica nel dettaglio. Inoltre, una volta scartata l'ipotesi iniziale della deificazione di un individuo, molte delle analisi di Loisy mi sembravano valide. Qui come altrove, la verità, secondo la parola di Bachelard, è un errore rettificato. L'idea chiara alla quale ero arrivato era un'idea schiarita. L'avevo raggiunta contro Loisy, ma non senza Loisy.
Da allora ritengo questo secolo del Nuovo Testamento percorso da due successivi impulsi spirituali: quello dei profeti cristiani, quello degli evangelisti, i tratti del Dio Gesù si sono elaborati e composti nelle prime confraternite. Ho visitato alcuni dei luoghi dove queste minuscole assemblee vivevano e brulicavano: Gerusalemme, Efeso e Smirne, Salonicco, Corinto e Cencrea, Alessandria, Roma. Hanno lasciato poche tracce. Un'atmosfera ancora si ritrova. Il cristianesimo non era nato, come lo jahvismo, tra i nomadi, in un deserto pietroso e luminoso, nei pressi di un ruscello d'acqua viva che bagnava un piccolo prato verde. È una religione di periferie popolose. Per il culto, il ricco (Equizio per esempio a Roma) prestava una stanza vuota della sua casa ai tessitori, ai lavandai, ai calzolai che, nelle soffitte e nelle carceri conoscevano la strada e l'umiliazione e che attendevano, come lui, la venuta di Gesù.
Gerusalemme è a parte. Si deve aver vissuto qualche settimana in questa città paradossale, posta su un ciglio della terra, al di sopra della grande faglia del Mar Morto. Nessun sito è più carico del divino. Dio ha preso qui, si dice, la polvere per formare il primo uomo. Adamo è sepolto qui. Qui i salmi immortali, olocausti dell'anima, si sono elevati sulle arpe. Isaia, Geremia, altri profeti, hanno avuto qui la visione di Dio e hanno ricevuto i suoi ordini. Qui Pietro, Giacomo, gli apostoli, i cinquecento fratelli hanno visto Gesù, nuovo aspetto di Jahvé. Qui Gesù è morto misticamente per salvare Adamo e l'umanità. Così tanti ebrei vogliono morire qui, nella valle di Giosafat, per essere sicuri della resurrezione, come gli indù nei pressi del Gange, a Benares, per essere sicuri di sfuggire alla reincarnazione. Maometto è venuto qui dalla Mecca, una notte, su un cavallo da sogno, per lanciarsi fino alla soglia della città inaccessibile di Dio. I cristiani nemici condividono da fratelli il santo sepolcro di Gesù. Tutto ciò che è ritenuto impossibile altrove, a Gerusalemme è evidente.
Ho tradotto per me, per mia lezione e mia gioia, i bellissimi testi del cristianesimo originale. L'Apocalisse, fiammata giunta dai profeti, san Paolo, cuore sublime, il vangelo di Giovanni, possiede il sapore dell'eternità. Ho osservato lo stile particolare di questi scritti ispirati. Non è né prosa né poesia soggetta alla prosodia greca, per quanto piccola. È uno stile ritmato ed elevato, lo stile dell'ispirazione e quello della liturgia. Si conforma coscientemente ai ritmi della poesia ebraica, amica della memoria, come sono cantati e sensibili ancora nella traduzione greca della Septuaginta. Si distingue completamente dalla semplice prosa, quella, per esempio, del Pastore di Erma o dell'Apologia di Giustino. Tradurre questi testi sacri, gli stessi Atti degli Apostoli, senza far sentire il ritmo, il battito della loro vita profonda, il timbro e il tono dello Spirito, equivale a lasciare sfuggire una grande parte del loro significato e della loro bellezza. Loisy prese a sua volta questa strada, ma era mal equipaggiato con la lira, era chiuso, riluttante, scontroso. Ho fatto la mia parte, negli articoli della Revue de l'histoire des religions, del Hibbert Journal, dal Journal of theological studies, dei Premiers écrits du christianisme (con Eysinga e Stahl) [1] al lavoro erudito che tende a delucidare a poco a poco i problemi innumerevoli che pone il mondo cristiano primitivo. Una regione segreta, immensa e ricca che generazioni di ricercatori non finiscono mai di esplorare.
Quanto al problema centrale: Gesù uomo o Dio? non ha mai lasciato il mio spirito. Più di una volta sono tornato al bivio dove si esita tra le due vie: Gesù puramente uomo, Gesù puramente Dio (la via di mezzo è riservata alla fede). Mi sarei ritratto, Salomon Reinach mostrandomi l'esempio, se avessi creduto con lui che il testo in russo antico di Flavio Giuseppe che Robert Eisler venne a mettere in luce recasse sul Gesù storico dei documenti nuovi e innegabili. Questi erano, all'esame, evidenti e cattivi emendamenti cristiani. A certi pezzi dei vangeli, a volte ero attraversato da un dubbio improvviso. Un tratto radioso di verosimiglianza mi raggiungeva e mi assillava. È bene ripeterlo, Gesù, in qualunque maniera lo si prenda, è un essere senza eguali. Se lo prendo per un uomo, nessun uomo è stato come lui assolutamente deificato. Ma se lo prendo per un Dio, nessun dio è stato umanizzato in maniera così tenera. La rassomiglianza umana è a momenti meravigliosa. Sir James Frazer, un grande erudito sensibile e scrupoloso, me lo indicò, lui che era piuttosto incline alla tesi del Gesù divino. Paul Desjardins mi obiettò il tono inimitabile del Discorso della montagna.
Ho scritto: “Dell'uomo celeste di Paolo, i vangeli fanno una persona che possiede dei tratti individuali, un aspetto, un ritmo, un accento e, poco ci manca, una personalità”. Romain Rolland, che ho amato per la sua purezza e il suo fuoco vulcanico sotto il ghiaccio, mi ha rimproverato il poco ci manca. Lui ha scoperto nei vangeli una personalità eroica e grande, segno di una possente umanità. Io ho discolpato me stesso. La personalità di Gesù mi è sembrata rimanere vaga. La sua condotta, le sue attitudini, il tono e la profondità dei suoi discorsi sono molto diversi a seconda che si legga Marco, Luca o Giovanni. L'intelligente Renan non è riuscito a fondere il tutto. E poi, quei personaggi divini hanno un carattere sorprendente! Demetra, nell'Inno omerico, è rapita via ed è bella. Tutti i grandi dèi greci sono delle personalità. Achille, piccola divinità dei marinai della Propontide, è nell'Iliade un eroe rancoroso e magnanimo, che vive con potenza. Fedra la Brillante, divinità cretese, non ha smesso di commuoverci come donna, grazie a Euripide e a Racine. Guglielmo Tell, un personaggio del folclore che non è affatto esistito, ha per gli svizzeri il carattere maschile di un eroe nazionale. Nella Bibbia, il Dio Unico, non possiede una personalità? Jahvè è un Dio geloso, giusto, vendicativo. L'Uomo-Dio, che è l'altra sua faccia, doveva prendere, sotto la specie dell'uomo, un carattere buono, dolce, misericordioso, obbediente fino alla morte. I quattro evangelisti, ciascuno secondo il suo talento, hanno eseguito da maestri il programma. La narrazione sacra, per quanto diversa possa essere dalla finzione letteraria, lascia uno spazio all'arte.
Scrissi a Félix Sartiaux (3 febbraio 1933): “La soluzione della questione storicità o non-storicità di un racconto non dipende affatto dal carattere sublime o comune dell'eroe, ma dalla natura stessa del racconto. I tedeschi hanno ragione a dare la primaria importanza alla forma dei racconti evangelici, ciò che preferirei chiamare piuttosto la loro natura intima. Vi mostrerò che la resurrezione di Lazzaro, la passeggiata di Gesù sulle onde, la maledizione del fico, la moltiplicazione dei pani, la pesca miracolosa non possono affatto essere considerati fatti mascherati ma sono elementi ben costitutivi di una storia divina. La storia leggendaria e la storia divina sono due generi che, di fatto, non hanno nulla in comune. È su questa distinzione scientifica che dobbiamo concentrarci. L'errore di Renan è stato di confondere i due generi. Una storia leggendaria distorce dei fatti reali. Una storia divina esprime delle verità che prendono l'apparenza di fatti ma sono delle parabole”.
Nei miei giorni di esame di coscienza, mi interrogavo. Sono sceso in me stesso fino al pozzo oscuro da cui emergono le idee chiare. Non ero stato portato all'errore da qualche abuso del senso adeguato, da un'arroganza di affermazione, da un certo gioco intellettuale? Avevo ragione nel considerare Gesù come un Essere spirituale? L'ho domandato a Paolo, che mi ha risposto senza mezzi termini: “Il Signore (Gesù), è lo Spirito” (2 Corinzi 3:17). A mente fredda, ho verificato che egli lo fosse effettivamente, in Paolo e nell'Apocalisse, un periodo pre-evangelico del mistero cristiano. Sì, Gesù era stato davvero contemplato come un Dio, l'Agnello immolato, l'Uomo celeste crocifisso, prima di essere considerato come un uomo che è passato sulla terra. Fortunatamente per la fede che sia così! Perché se l'esistenza eterna di Gesù, la sua morte redentrice, la sua resurrezione riposassero sulla storicità del racconto evangelico, sarebbero in grande pericolo.
Cominciai a chiedermi se il cristianesimo non sarebbe stato più esplicabile senza l'esistenza storica di Gesù. Condividevo con Loisy altrettanta poca simpatia per i mitologi che pensano di trovare un dio Gesù ben anteriore al cristianesimo. Non seguivo le loro corse ai fuochi fatui. Ma fin dall'origine della fede cristiana Gesù, Dio rivelato, mi è sembrato sufficiente per tutto. Una predicazione oscura, un incidente giudiziario, una tomba vuota avevano determinato la fede? Non aveva forse meglio la sua origine nella Rivelazione immediata di un Dio salvatore? Il Gesù cosiddetto storico è anteriore alla fede? È al contrario derivato dalla fede? Attraverso tutti i vangeli tutto ciò che esprime il mistero cristiano, vale a dire tutto il soprannaturale, mi è sembrato fisso, solido, coerente, primitivo. Tutto ciò che prende forma nella Storia si mostra fluttuante, incoerente, libero, secondario. In breve, ho preso l'opposto del sistema di Renan.
Il mio buon padre annuiva e mi incoraggiava. Mutava in commedia il sistema di Renan. Si prendeva gioco del signor Renan al College de France, raccontando una storia delle Mille e una Notte: “Al tempo di Haroun al Raschid, un mercante di Baghdad era seduto sotto una palma. Siamo qui, signori, su un buon terreno storico. Haroun al Raschid è un califfo ben conosciuto. I testi ci assicurano che c'erano a Baghdad, sotto il suo regno, molti mercanti e molte palme nei dintorni. Gettò in aria una noce di dattero, che ferì un ifrit. Ah! ecco un fatto soprannaturale. Scartiamolo senza esitare. Proviamo tuttavia a spiegare la cosa... ”.
Gli ho dato la risposta facendo l'esegesi renaniana del rapimento di Persefone: “Eleusi ha conservato il ricordo di una ragazza di cui si era perso il nome; la si chiamava semplicemente la ragazza, Coré. Un giorno che, per raccogliere fiori, si era allontanata nella campagna, lei non riapparve. Era caduta in uno di quei burroni coperti di ciuffi di oleandri? Ferita, era stata accolta da un pastore, forse conosciuto da lei, le cui teneri cure, poi l'amore l'avevano trattenuta? Più probabilmente era stata rapita da uno di quei pirati che infestavano da lungo lempo il Golfo Saronico. Nelle storie che scrissero più tardi, divenne un guerriero gigante, un re terribile in sella a una quadriga, Plutone in persona”.
— Figlio mio, concluse il mio buon padre, prima di criticare una storia, devi sapere che è una favola. Prima di criticare un vangelo, si dovrebbe sapere cos'è un vangelo.
Ho subito risposto: “È la biografia di Dio sulla terra”. Fece una smorfia. Una biografia di Dio gli sembrava poco più di una favola. Il suo spirito era troppo vigile, troppo lontano da ogni metafisica per ammettere che una rivelazione religiosa differisse profondamente da una creazione artistica o letteraria. Gli piaceva che Gesù fosse una bellissima favola. Lui mi trovava troppo cristiano.
In generale, al contrario, ho trovato la mia tesi anticristiana e sovversiva. “Gesù non è mai esistito, Gesù è un mito”, alcuni amici e alcuni avversari la tradussero così. Non ho detto questo. Ha quindi una sola maniera d'esistere: la maniera temporale e materiale? Una rappresentazione spirituale che è fissata in milioni di teste nello stesso tempo e che le governa, non esiste affatto? Non c'è nulla che non sia un tratto perduto nel tempo, uno spruzzo dissipato nello spazio, un essere di un giorno svanito nella morte? Dio è un mito, nulla più? Il cristiano nega l'effimero; egli respira al di sopra del tempo (Maritain). Nel profondo dell'esistenza, il mistico trova il Cristo. Gesù libera l'uomo dal tempo. Egli è, nell'uomo, la parte della vita eterna. Il vangelo di Giovanni l'ha insegnato, Spinoza l'ha compreso. Questo è più che un mito.
L'ho detto volentieri, lo ripeto: Gesù era esistito, nello stesso senso che egli esiste. Constato lo spazio immenso che riempie sulla terra. Se oggi abita in innumerevoli chiese, si può credere che egli abbia abitato alla stessa maniera nei primi cenacoli. Come in natura è oggi, così era sin dall'origine: “Gesù Cristo è lo stesso, ieri, oggi e sempre” (Ebrei 13:8). Gesù ha la realtà storica più importante. È il più grande Abitante della terra, è il più grande Esistente nella storia. Lo storico sociologo constaterà questa realtà, che è il suo compito. Non deve affatto negare la realtà spirituale di Gesù, nè di Dio. Per quanto riguarda l'esistenza di Gesù, come personaggio storico, la menzionerà tra gli articoli del credo cristiano. Non è affatto il primo articolo né l'articolo formulato più anticamente.
Alla fine, l'esistenza di Dio, l'esistenza di Gesù sono uno stesso problema. Tranne che tra ebrei e musulmani, l'esistenza di Dio non viene più confessata indipendentemente da quella di Gesù. Nel grande Occidente il Padre eterno non è più adorato solo. Se vive ancora, è per Gesù: l'unitariano è poco diverso dall'agnostico, essere deista equivale praticamente ad essere ateo. D'altra parte, se Dio è negato, l'esistenza dell'Uomo-Dio perde ogni supporto. Scomparendo l'elemento Dio, può sussistere l'elemento uomo? I buoni teologi sentono bene che la fede è necessaria per intendere veramente la storicità di Gesù. Loisy, dopo Renan, ha immaginato di ridurre Gesù al residuo umano di un Dio evaporato. Ma il divino e l'umano, nel vangelo, sono dello stesso tessuto. Insetto ostinato, non ha visto affatto che nello strappare il divino ha strappato l'umano allo stesso tempo.
Nel 1933 si celebrò il centenario della nascita di Renan. Ho colto l'occasione per inserire in un articolo: l'Énigme de Jésus, le idee che frullavano in me. Nonostante la sua lunghezza, l'articolo è stato pubblicato dal Mercure de France. Lo dovevo soprattutto a Renan e a Loisy. Davanti a loro ho presentato, se si vuole, una contro-eresia. Ho abiurato risolutamente il tono falso dell'uno, il tono derisorio dell'altro per sostenere senza tremare la pura divinità di Gesù. Una certa emozione si è manifestata tra i lettori, è stato padre de Grandmaison a rispondermi. Il titolo del suo articolo, Jésus dans l'histoire, è diventato, nella pubblicazione in opuscolo, Jésus dans l'histoire et dans le mystère. Solo il credente può assemblare questi due termini. Per il non credente Gesù è nella storia oppure nel mistero. Per me, Gesù era nel mistero e trascendeva la Storia. Il mio articolo, espanso, divenne nel 1925 il Mystère de Jésus. Pascal, che mi ha dato questo titolo, avrebbe potuto darmi anche un'epigrafe per definire il rapporto di Gesù con il tempo: “Gesù sarà in agonia fino alla fine del mondo”.
Il ricordo essenziale che mi rimane di quest'epoca è quello dell'entusiasmo. Un soffio, un fuoco mi attraversava. Solamente più tardi sono arrivato al giudizio calmo, chiaro e freddo. “La vita deve fermentare prima di chiarirsi”. Sentivo in me l'audacia del celta allobrogo più della circospezione del latino. Una certa esaltazione aggressiva è alla base di ogni ricerca. Ho visto spalancarsi davanti allo storico laico delle strade nuove per studiare l'origine e lo sviluppo del cristianesimo, il fatto più grande nella storia d'Occidente. Ho percepito “uno studio inebriante e infinito”, parole che avevano il dono di irritare Guignebert. Mi sono sentito liberato dalle spiegazioni sprezzanti e futili dell'Ecole de Paris. Se fosse stato dimostrato allo storico non credente che il cristianesimo ha per sua origine la più misera e la più grossolana delle illusioni: la deificazione di un uomo (diciamo quasi di un povero diavolo), ci sarebbe di che ridere, o di che rattristarsi, si dovrebbe accettare il fatto come si accettano le cose vilmente vere. Ma il fatto è diverso. Un presentimento lasciato forse in me dalla mia prima educazione cristiana, lo aveva fatto supporre. Un'esplorazione generale della questione mi aveva convinto. Mi restava di proseguire la verifica nel dettaglio. Inoltre, una volta scartata l'ipotesi iniziale della deificazione di un individuo, molte delle analisi di Loisy mi sembravano valide. Qui come altrove, la verità, secondo la parola di Bachelard, è un errore rettificato. L'idea chiara alla quale ero arrivato era un'idea schiarita. L'avevo raggiunta contro Loisy, ma non senza Loisy.
Da allora ritengo questo secolo del Nuovo Testamento percorso da due successivi impulsi spirituali: quello dei profeti cristiani, quello degli evangelisti, i tratti del Dio Gesù si sono elaborati e composti nelle prime confraternite. Ho visitato alcuni dei luoghi dove queste minuscole assemblee vivevano e brulicavano: Gerusalemme, Efeso e Smirne, Salonicco, Corinto e Cencrea, Alessandria, Roma. Hanno lasciato poche tracce. Un'atmosfera ancora si ritrova. Il cristianesimo non era nato, come lo jahvismo, tra i nomadi, in un deserto pietroso e luminoso, nei pressi di un ruscello d'acqua viva che bagnava un piccolo prato verde. È una religione di periferie popolose. Per il culto, il ricco (Equizio per esempio a Roma) prestava una stanza vuota della sua casa ai tessitori, ai lavandai, ai calzolai che, nelle soffitte e nelle carceri conoscevano la strada e l'umiliazione e che attendevano, come lui, la venuta di Gesù.
Gerusalemme è a parte. Si deve aver vissuto qualche settimana in questa città paradossale, posta su un ciglio della terra, al di sopra della grande faglia del Mar Morto. Nessun sito è più carico del divino. Dio ha preso qui, si dice, la polvere per formare il primo uomo. Adamo è sepolto qui. Qui i salmi immortali, olocausti dell'anima, si sono elevati sulle arpe. Isaia, Geremia, altri profeti, hanno avuto qui la visione di Dio e hanno ricevuto i suoi ordini. Qui Pietro, Giacomo, gli apostoli, i cinquecento fratelli hanno visto Gesù, nuovo aspetto di Jahvé. Qui Gesù è morto misticamente per salvare Adamo e l'umanità. Così tanti ebrei vogliono morire qui, nella valle di Giosafat, per essere sicuri della resurrezione, come gli indù nei pressi del Gange, a Benares, per essere sicuri di sfuggire alla reincarnazione. Maometto è venuto qui dalla Mecca, una notte, su un cavallo da sogno, per lanciarsi fino alla soglia della città inaccessibile di Dio. I cristiani nemici condividono da fratelli il santo sepolcro di Gesù. Tutto ciò che è ritenuto impossibile altrove, a Gerusalemme è evidente.
Ho tradotto per me, per mia lezione e mia gioia, i bellissimi testi del cristianesimo originale. L'Apocalisse, fiammata giunta dai profeti, san Paolo, cuore sublime, il vangelo di Giovanni, possiede il sapore dell'eternità. Ho osservato lo stile particolare di questi scritti ispirati. Non è né prosa né poesia soggetta alla prosodia greca, per quanto piccola. È uno stile ritmato ed elevato, lo stile dell'ispirazione e quello della liturgia. Si conforma coscientemente ai ritmi della poesia ebraica, amica della memoria, come sono cantati e sensibili ancora nella traduzione greca della Septuaginta. Si distingue completamente dalla semplice prosa, quella, per esempio, del Pastore di Erma o dell'Apologia di Giustino. Tradurre questi testi sacri, gli stessi Atti degli Apostoli, senza far sentire il ritmo, il battito della loro vita profonda, il timbro e il tono dello Spirito, equivale a lasciare sfuggire una grande parte del loro significato e della loro bellezza. Loisy prese a sua volta questa strada, ma era mal equipaggiato con la lira, era chiuso, riluttante, scontroso. Ho fatto la mia parte, negli articoli della Revue de l'histoire des religions, del Hibbert Journal, dal Journal of theological studies, dei Premiers écrits du christianisme (con Eysinga e Stahl) [1] al lavoro erudito che tende a delucidare a poco a poco i problemi innumerevoli che pone il mondo cristiano primitivo. Una regione segreta, immensa e ricca che generazioni di ricercatori non finiscono mai di esplorare.
Quanto al problema centrale: Gesù uomo o Dio? non ha mai lasciato il mio spirito. Più di una volta sono tornato al bivio dove si esita tra le due vie: Gesù puramente uomo, Gesù puramente Dio (la via di mezzo è riservata alla fede). Mi sarei ritratto, Salomon Reinach mostrandomi l'esempio, se avessi creduto con lui che il testo in russo antico di Flavio Giuseppe che Robert Eisler venne a mettere in luce recasse sul Gesù storico dei documenti nuovi e innegabili. Questi erano, all'esame, evidenti e cattivi emendamenti cristiani. A certi pezzi dei vangeli, a volte ero attraversato da un dubbio improvviso. Un tratto radioso di verosimiglianza mi raggiungeva e mi assillava. È bene ripeterlo, Gesù, in qualunque maniera lo si prenda, è un essere senza eguali. Se lo prendo per un uomo, nessun uomo è stato come lui assolutamente deificato. Ma se lo prendo per un Dio, nessun dio è stato umanizzato in maniera così tenera. La rassomiglianza umana è a momenti meravigliosa. Sir James Frazer, un grande erudito sensibile e scrupoloso, me lo indicò, lui che era piuttosto incline alla tesi del Gesù divino. Paul Desjardins mi obiettò il tono inimitabile del Discorso della montagna.
Ho scritto: “Dell'uomo celeste di Paolo, i vangeli fanno una persona che possiede dei tratti individuali, un aspetto, un ritmo, un accento e, poco ci manca, una personalità”. Romain Rolland, che ho amato per la sua purezza e il suo fuoco vulcanico sotto il ghiaccio, mi ha rimproverato il poco ci manca. Lui ha scoperto nei vangeli una personalità eroica e grande, segno di una possente umanità. Io ho discolpato me stesso. La personalità di Gesù mi è sembrata rimanere vaga. La sua condotta, le sue attitudini, il tono e la profondità dei suoi discorsi sono molto diversi a seconda che si legga Marco, Luca o Giovanni. L'intelligente Renan non è riuscito a fondere il tutto. E poi, quei personaggi divini hanno un carattere sorprendente! Demetra, nell'Inno omerico, è rapita via ed è bella. Tutti i grandi dèi greci sono delle personalità. Achille, piccola divinità dei marinai della Propontide, è nell'Iliade un eroe rancoroso e magnanimo, che vive con potenza. Fedra la Brillante, divinità cretese, non ha smesso di commuoverci come donna, grazie a Euripide e a Racine. Guglielmo Tell, un personaggio del folclore che non è affatto esistito, ha per gli svizzeri il carattere maschile di un eroe nazionale. Nella Bibbia, il Dio Unico, non possiede una personalità? Jahvè è un Dio geloso, giusto, vendicativo. L'Uomo-Dio, che è l'altra sua faccia, doveva prendere, sotto la specie dell'uomo, un carattere buono, dolce, misericordioso, obbediente fino alla morte. I quattro evangelisti, ciascuno secondo il suo talento, hanno eseguito da maestri il programma. La narrazione sacra, per quanto diversa possa essere dalla finzione letteraria, lascia uno spazio all'arte.
Scrissi a Félix Sartiaux (3 febbraio 1933): “La soluzione della questione storicità o non-storicità di un racconto non dipende affatto dal carattere sublime o comune dell'eroe, ma dalla natura stessa del racconto. I tedeschi hanno ragione a dare la primaria importanza alla forma dei racconti evangelici, ciò che preferirei chiamare piuttosto la loro natura intima. Vi mostrerò che la resurrezione di Lazzaro, la passeggiata di Gesù sulle onde, la maledizione del fico, la moltiplicazione dei pani, la pesca miracolosa non possono affatto essere considerati fatti mascherati ma sono elementi ben costitutivi di una storia divina. La storia leggendaria e la storia divina sono due generi che, di fatto, non hanno nulla in comune. È su questa distinzione scientifica che dobbiamo concentrarci. L'errore di Renan è stato di confondere i due generi. Una storia leggendaria distorce dei fatti reali. Una storia divina esprime delle verità che prendono l'apparenza di fatti ma sono delle parabole”.
Nei miei giorni di esame di coscienza, mi interrogavo. Sono sceso in me stesso fino al pozzo oscuro da cui emergono le idee chiare. Non ero stato portato all'errore da qualche abuso del senso adeguato, da un'arroganza di affermazione, da un certo gioco intellettuale? Avevo ragione nel considerare Gesù come un Essere spirituale? L'ho domandato a Paolo, che mi ha risposto senza mezzi termini: “Il Signore (Gesù), è lo Spirito” (2 Corinzi 3:17). A mente fredda, ho verificato che egli lo fosse effettivamente, in Paolo e nell'Apocalisse, un periodo pre-evangelico del mistero cristiano. Sì, Gesù era stato davvero contemplato come un Dio, l'Agnello immolato, l'Uomo celeste crocifisso, prima di essere considerato come un uomo che è passato sulla terra. Fortunatamente per la fede che sia così! Perché se l'esistenza eterna di Gesù, la sua morte redentrice, la sua resurrezione riposassero sulla storicità del racconto evangelico, sarebbero in grande pericolo.
La non-storicità di Gesù sarà accettata un giorno dai non credenti che si prenderanno cura di spiegare l'origine del cristianesimo? Non l'ho immaginato affatto. Questa tesi è stata già tranquillamente insegnato alla Tulane University di New Orleans da Benjamin Smith, l'esegeta penetrante di Ecce Deus, presso l'Università di Strasburgo da Prosper Alfaric, solido antagonista di Loisy, soprattutto in Olanda all'Università di Utrecht dal saggio ed erudito G.-A. van den Bergh van Eysinga. Gli ultimi due mi hanno onorato della loro amicizia e della loro collaborazione. Sono stato colpito nel vedere che Eysinga professava la non-storicità di Gesù rimanendo cristiano e senza dover lasciare la funzione di pastore. Magnifica libertà del protestantesimo! André Siegfried mi ha raccontato che uno studente di teologia di Parigi aveva detto per scherzo, ma senza presa in giro, di preferire il mio Gesù a quello di Goguel. Si addice ai giovani di essere audaci. Sono rimasto confuso e confortato.
Anche tra i cattolici, per mancanza di approvazione, ho riscontrato della comprensione. Un filosofo nato, un giovane santo, l'abate Joseph Monchanin, apostolo dell'India, mi ha detto con dolcezza: “Si tratta di un'ipotesi-limite”. Mi ha insegnato che in India, paradiso del pensiero speculativo, Gesù fintanto come Dio è rapidamente comprensibile, assai facilmente accettato. Gesù fintanto come un uomo storico fa la difficoltà. (Gli indù dell'abate Monchanin mi hanno fatto comprendere i cristiani prima dei vangeli). Il filosofo cattolico Jean Guitton, che ripensa il cristianesimo nella prospettiva dell'eternità e del tempo, dedica al problema di Gesù nell'agosto del 1943, nel campo di prigionia dove si trovava in Germania, una settimana di meditazione. Ce ne dà il toccante resoconto. [2] Tenta di comprendere “ciò che la posizione mitica ha di corretto, di elevato, di plausibile”. Scrive: “Il miticismo può avere delle difficoltà. Ha almeno il merito della coerenza; e, come il sistema di Spinoza, è supportato dalla logica interna più che dalle sue prove. Le negazioni sembrano sciocche e brutali a coloro che non hanno accettato lo sforzo paradossale del pensiero che li sostiene. Il valore di questi sistemi sta nella critica che fanno dei razionalisti del loro tempo e nel rigore delle loro proprie inferenze”. Ad esempio, egli accoglie l'interpretazione mitica della moltiplicazione dei pani. Gesù è lui stesso il Pane che dà la vita e che si moltiplica sotto la specie del sacramento per mezzo di un miracolo rinnovato a ciascuna cena: “Nel dire che l'Idea ha suscitato il Fatto e non viceversa, io sono nel cammino della fede, nella sua traccia e nel suo influsso quotidiano... So bene che la mente dei credenti è scandalizzata dal miticismo, dal momento che la loro fede sembra riposare su dei fatti ben stabiliti; ma lo sarà meno, a quanto sembra, che da un'ipotesi del razionalismo critico”. Una tale interpretazione della moltiplicazione dei pani mi sembra valida per l'intero vangelo. L'Idea (il mistero cristiano) ha suscitato la Fede (il racconto sacro) che ne è l'espressione.
Ho lavorato per cinque o sei anni a un libro in cui volevo abbozzare, da una nuova prospettiva, la formazione del cristianesimo. Le prime due parti (le Apocalissi ebraiche, i Profeti cristiani) furono il tema delle conferenze organizzate a Tunisi nella primavera del 1932 dal mio amico e collega d'Ecole Normale, Etienne Burnet, un bravo insegnante e un delicato studioso. Passai l'inverno del 1933-1934 in compagnia dei vangeli in una solitudine protetta che mi ha dato ad Antibes un altro caro amico. Su quali dei versi di Marco o di Giovanni mi sono rovellato in mente sotto i fragranti pini della Garoupe! A volte andavo a visitare, in una proprietà vicina, un piccolo dio greco. È un lungo ciottolo serpentino verde-scuro. I marinai di Antipoli, nel VI° secolo prima della nostra era, lo scoprirono sulla spiaggia e lo dedicarono ad Afrodite, sotto il nome di un genio del suo corteo, Terpone, colui che dà il fascino. Porta due esametri incisi in caratteri greci dell'epoca di Pisistrato: “Io sono Terpone, servo della dea, la venerabile Afrodite. A coloro che hanno istituito, la Cipride possa rendere la grazia”. Di Gesù, Terpone non aveva nulla da dirmi: la grazia di Gesù non è quella di Cipride. Mi comunicava le umili origini di Cibele, che era, come Terpone, un sassolino sulle rive del Sangarios prima di essere la Grande Madre degli dei, la protettrice dell'Impero. Il mio libro è apparso nel 1937 sotto il titolo Jésus le Dieu fait homme.
Conosco i difetti di questo libro. Il titolo innanzitutto. Ho dato a un'espressione ortodossa: il Dio fatto uomo (di sua propria volontà) un senso differente: il Dio fatto uomo (dalla fede dei suoi fedeli). Un buon titolo non comporta affatto ambiguità. Ho avuto il torto di considerare, nella via che conduce a Gesù le sole Apocalissi ebraiche, non i misteri pagani, come minimo altrettanto importanti. Il mondo spirituale nel quale Gesù aveva fatto irruzione alle anime è ebraico ed ellenistico. Ho avuto il torto di tracciare una linea dritta e continua tra il Figlio dell'uomo di Daniele, quello di Enoc e l'Uomo celeste di Paolo, come se una evoluzione a piccoli gradi fosse stata sufficiente a determinare l'apparizione del Dio Gesù. No, la mutazione religiosa ha avuto un carattere eruttivo, nuovo, decisivo che non ho rimarcato abbastanza. Prima, c'erano solo dei lineamenti sfocati. Improvvisamente l'Essere spirituale appare. Alla sua luce tutto si semplifica, si ordina e si illumina. Era stato così per lo Jahvè di Mosè, per Allah, per il Gesù di Lutero. Il Gesù di Pietro, di Giovanni e di Paolo irruppe allo stesso modo, d'un balzo, tutto formato, improvviso, perfetto. Rileggo senza disgusto il mio capitolo su san Paolo. Ma ho avuto il grande torto di mischiare alla questione generale dei vangeli una questione particolare. Ero preoccupato della relazione del Vangelo di Marcione con gli altri vangeli. Avevo buoni indizi della sua anteriorità rispetto a quello di Luca. Era anteriore anche agli altri tre? Il problema doveva essere trattato separatamente. Avevo pensato di mettere in chiaro tutto nel presentare una veduta d'insieme dei vangeli. La mia presentazione si è ritrovata deviata e indebolita. Il movimento del libro ne è stato viziato. Quando si tratta di una questione fondamentale, bisogna districarla da dettagli secondari e discutibili. È necessario elevarsi ai principi, non lasciare più che l'occhio lasci i grandi orizzonti e i grandi movimenti. Ho acquisito l'arte di ignorare, è il privilegio dell'età.
Guignebert non si è preso affatto la briga di criticare il mio libro. Divenuto molto perentorio in seguito, borbottò per la sua breve interruzione: non funzionante. — Non funzionante, era questo che io pensavo dal mio canto del peso eccessivo che lui aveva assegnato a Jésus (1933). Non restava che lasciar passare il tempo. Esso mostrerà quale delle due tesi funzionerà meglio, o meno male.
Loisy, tutt'al contrario, ha fatto un rapporto grande quanto il libro: Histoire et mythe à propos de Jésus-Christ (Nourry, 1938). Questo è, sfortunatamente, un opera di vecchiaia, poco utile, viziato dall'amarezza, dal disprezzo, dall'esagerazione, dal sarcasmo. Alcuni giusti commenti sono annegati in una diatriba. La controversia che il titolo annuncia non è affatto affrontata. Io non sono per nulla un autore da recensire, ma un eretico da confondere. Nei movimenti à la Tertulliano il mio accusatore mi apostrofa, mi fa tacere, drammatizza, ironizza, mi sbeffeggia, mi consegna al ludibrio. Quello che avanzo è “infantilismo, elusione, gloriosa inettitudine, sofisma distinto, fantasia burlesca, sfida alla ragione...” Dolcemente, mio caro maestro, vi dimenticate che siete un eretico voi stesso? La vostra ortodossia è personale ed è difforme abbastanza. Se avessi ceduto a mia volta al demone della diatriba, vi mostrerò il progresso costante nell'arbitrarietà, il gusto del cavillo che abolisce il senso della realtà, una miopia della mente che astrae i dettagli nello sfocare l'insieme, l'insensibilità, l'orgoglio che impedisce di entrare nel pensiero degli altri. Nel trattarmi così indegnamente, voi mi fate troppo onore. Comunque io non sono affatto un autore del Nuovo Testamento.
In risposta, mi sono limitato a offrire una rassegna della questione nella Nouvelle Revue Française, sotto il titolo di Jésus Dieu ou Homme? L'articolo apparve il 1° settembre 1939. Lo stesso giorno, la furia di Hitler e l'incapacità dei suoi avversari ribaltarono il mondo. Siamo stati spazzati via da una tempesta di crudeltà e di devastazione, precipitati nell'enorme abisso della perversione dell'uomo, dal quale è difficile risalire. L'uomo aveva solo l'oscura missione di distruggere l'uomo. Con così tante altre cose, il dibattito su Gesù fu inghiottito.
Riapparirà, inevitabilmente, nelle remissioni della follia suicida l'umanità. Le stesse posizioni fondamentali saranno sempre ripetute. Gli stessi tipi di argomentazione si ritroveranno incessantemente. I campi si riformeranno. Il dibattito non è affatto uno di quelli che possono portare a un accordo generale. Ci tocca nelle regioni profonde della fede e del sentimento nei quali si elabora la condotta della vita. Gesù sarà senza fine, secondo la parola del vangelo, “un segno di contraddizione”. Si deve rinunciare a formare un'idea di Gesù che possa essere comune al credente e al non credente.
Anche tra i cattolici, per mancanza di approvazione, ho riscontrato della comprensione. Un filosofo nato, un giovane santo, l'abate Joseph Monchanin, apostolo dell'India, mi ha detto con dolcezza: “Si tratta di un'ipotesi-limite”. Mi ha insegnato che in India, paradiso del pensiero speculativo, Gesù fintanto come Dio è rapidamente comprensibile, assai facilmente accettato. Gesù fintanto come un uomo storico fa la difficoltà. (Gli indù dell'abate Monchanin mi hanno fatto comprendere i cristiani prima dei vangeli). Il filosofo cattolico Jean Guitton, che ripensa il cristianesimo nella prospettiva dell'eternità e del tempo, dedica al problema di Gesù nell'agosto del 1943, nel campo di prigionia dove si trovava in Germania, una settimana di meditazione. Ce ne dà il toccante resoconto. [2] Tenta di comprendere “ciò che la posizione mitica ha di corretto, di elevato, di plausibile”. Scrive: “Il miticismo può avere delle difficoltà. Ha almeno il merito della coerenza; e, come il sistema di Spinoza, è supportato dalla logica interna più che dalle sue prove. Le negazioni sembrano sciocche e brutali a coloro che non hanno accettato lo sforzo paradossale del pensiero che li sostiene. Il valore di questi sistemi sta nella critica che fanno dei razionalisti del loro tempo e nel rigore delle loro proprie inferenze”. Ad esempio, egli accoglie l'interpretazione mitica della moltiplicazione dei pani. Gesù è lui stesso il Pane che dà la vita e che si moltiplica sotto la specie del sacramento per mezzo di un miracolo rinnovato a ciascuna cena: “Nel dire che l'Idea ha suscitato il Fatto e non viceversa, io sono nel cammino della fede, nella sua traccia e nel suo influsso quotidiano... So bene che la mente dei credenti è scandalizzata dal miticismo, dal momento che la loro fede sembra riposare su dei fatti ben stabiliti; ma lo sarà meno, a quanto sembra, che da un'ipotesi del razionalismo critico”. Una tale interpretazione della moltiplicazione dei pani mi sembra valida per l'intero vangelo. L'Idea (il mistero cristiano) ha suscitato la Fede (il racconto sacro) che ne è l'espressione.
Ho lavorato per cinque o sei anni a un libro in cui volevo abbozzare, da una nuova prospettiva, la formazione del cristianesimo. Le prime due parti (le Apocalissi ebraiche, i Profeti cristiani) furono il tema delle conferenze organizzate a Tunisi nella primavera del 1932 dal mio amico e collega d'Ecole Normale, Etienne Burnet, un bravo insegnante e un delicato studioso. Passai l'inverno del 1933-1934 in compagnia dei vangeli in una solitudine protetta che mi ha dato ad Antibes un altro caro amico. Su quali dei versi di Marco o di Giovanni mi sono rovellato in mente sotto i fragranti pini della Garoupe! A volte andavo a visitare, in una proprietà vicina, un piccolo dio greco. È un lungo ciottolo serpentino verde-scuro. I marinai di Antipoli, nel VI° secolo prima della nostra era, lo scoprirono sulla spiaggia e lo dedicarono ad Afrodite, sotto il nome di un genio del suo corteo, Terpone, colui che dà il fascino. Porta due esametri incisi in caratteri greci dell'epoca di Pisistrato: “Io sono Terpone, servo della dea, la venerabile Afrodite. A coloro che hanno istituito, la Cipride possa rendere la grazia”. Di Gesù, Terpone non aveva nulla da dirmi: la grazia di Gesù non è quella di Cipride. Mi comunicava le umili origini di Cibele, che era, come Terpone, un sassolino sulle rive del Sangarios prima di essere la Grande Madre degli dei, la protettrice dell'Impero. Il mio libro è apparso nel 1937 sotto il titolo Jésus le Dieu fait homme.
Conosco i difetti di questo libro. Il titolo innanzitutto. Ho dato a un'espressione ortodossa: il Dio fatto uomo (di sua propria volontà) un senso differente: il Dio fatto uomo (dalla fede dei suoi fedeli). Un buon titolo non comporta affatto ambiguità. Ho avuto il torto di considerare, nella via che conduce a Gesù le sole Apocalissi ebraiche, non i misteri pagani, come minimo altrettanto importanti. Il mondo spirituale nel quale Gesù aveva fatto irruzione alle anime è ebraico ed ellenistico. Ho avuto il torto di tracciare una linea dritta e continua tra il Figlio dell'uomo di Daniele, quello di Enoc e l'Uomo celeste di Paolo, come se una evoluzione a piccoli gradi fosse stata sufficiente a determinare l'apparizione del Dio Gesù. No, la mutazione religiosa ha avuto un carattere eruttivo, nuovo, decisivo che non ho rimarcato abbastanza. Prima, c'erano solo dei lineamenti sfocati. Improvvisamente l'Essere spirituale appare. Alla sua luce tutto si semplifica, si ordina e si illumina. Era stato così per lo Jahvè di Mosè, per Allah, per il Gesù di Lutero. Il Gesù di Pietro, di Giovanni e di Paolo irruppe allo stesso modo, d'un balzo, tutto formato, improvviso, perfetto. Rileggo senza disgusto il mio capitolo su san Paolo. Ma ho avuto il grande torto di mischiare alla questione generale dei vangeli una questione particolare. Ero preoccupato della relazione del Vangelo di Marcione con gli altri vangeli. Avevo buoni indizi della sua anteriorità rispetto a quello di Luca. Era anteriore anche agli altri tre? Il problema doveva essere trattato separatamente. Avevo pensato di mettere in chiaro tutto nel presentare una veduta d'insieme dei vangeli. La mia presentazione si è ritrovata deviata e indebolita. Il movimento del libro ne è stato viziato. Quando si tratta di una questione fondamentale, bisogna districarla da dettagli secondari e discutibili. È necessario elevarsi ai principi, non lasciare più che l'occhio lasci i grandi orizzonti e i grandi movimenti. Ho acquisito l'arte di ignorare, è il privilegio dell'età.
Guignebert non si è preso affatto la briga di criticare il mio libro. Divenuto molto perentorio in seguito, borbottò per la sua breve interruzione: non funzionante. — Non funzionante, era questo che io pensavo dal mio canto del peso eccessivo che lui aveva assegnato a Jésus (1933). Non restava che lasciar passare il tempo. Esso mostrerà quale delle due tesi funzionerà meglio, o meno male.
Loisy, tutt'al contrario, ha fatto un rapporto grande quanto il libro: Histoire et mythe à propos de Jésus-Christ (Nourry, 1938). Questo è, sfortunatamente, un opera di vecchiaia, poco utile, viziato dall'amarezza, dal disprezzo, dall'esagerazione, dal sarcasmo. Alcuni giusti commenti sono annegati in una diatriba. La controversia che il titolo annuncia non è affatto affrontata. Io non sono per nulla un autore da recensire, ma un eretico da confondere. Nei movimenti à la Tertulliano il mio accusatore mi apostrofa, mi fa tacere, drammatizza, ironizza, mi sbeffeggia, mi consegna al ludibrio. Quello che avanzo è “infantilismo, elusione, gloriosa inettitudine, sofisma distinto, fantasia burlesca, sfida alla ragione...” Dolcemente, mio caro maestro, vi dimenticate che siete un eretico voi stesso? La vostra ortodossia è personale ed è difforme abbastanza. Se avessi ceduto a mia volta al demone della diatriba, vi mostrerò il progresso costante nell'arbitrarietà, il gusto del cavillo che abolisce il senso della realtà, una miopia della mente che astrae i dettagli nello sfocare l'insieme, l'insensibilità, l'orgoglio che impedisce di entrare nel pensiero degli altri. Nel trattarmi così indegnamente, voi mi fate troppo onore. Comunque io non sono affatto un autore del Nuovo Testamento.
In risposta, mi sono limitato a offrire una rassegna della questione nella Nouvelle Revue Française, sotto il titolo di Jésus Dieu ou Homme? L'articolo apparve il 1° settembre 1939. Lo stesso giorno, la furia di Hitler e l'incapacità dei suoi avversari ribaltarono il mondo. Siamo stati spazzati via da una tempesta di crudeltà e di devastazione, precipitati nell'enorme abisso della perversione dell'uomo, dal quale è difficile risalire. L'uomo aveva solo l'oscura missione di distruggere l'uomo. Con così tante altre cose, il dibattito su Gesù fu inghiottito.
Riapparirà, inevitabilmente, nelle remissioni della follia suicida l'umanità. Le stesse posizioni fondamentali saranno sempre ripetute. Gli stessi tipi di argomentazione si ritroveranno incessantemente. I campi si riformeranno. Il dibattito non è affatto uno di quelli che possono portare a un accordo generale. Ci tocca nelle regioni profonde della fede e del sentimento nei quali si elabora la condotta della vita. Gesù sarà senza fine, secondo la parola del vangelo, “un segno di contraddizione”. Si deve rinunciare a formare un'idea di Gesù che possa essere comune al credente e al non credente.
Chi è Gesù? Tre risposte essenziali sono solo possibili. Ciascuna va a segno, secondo la tendenza, naturale o artificiale, del suo spirito. Riassumiamo. Tre opzioni si presentano: una fideista, le altre due razionaliste ma di senso contrario.
Prima opzione. Postulato enorme: Gesù è l'Uomo-Dio. È eterno sebbene sia morto un certo giorno. È Dio, tale e quale a Dio, è uomo tale e quale a un uomo, integralmente, allo stesso tempo. È un uomo che ha vissuto ed è un'energia divina che agita la storia. È un Essere unico, pur essendo una persona particolare. In quanto Dio non può cessare di vivere e d'agire: “Noi respiriamo un Cristo ininterrotto” (Claudel). In quanto uomo ha sofferto, è spirato e resuscitato sotto Ponzio Pilato. Questa è la fede dei credenti, deposito trasmesso attraverso i secoli. Sorprende la ragione che ragiona. Malgrado ciò, piuttosto a causa di ciò, soddisfa un grande bisogno del cuore. “Il Figlio di Dio è stato crocifisso: non mi vergogno, poiché me ne dovrei vergognare. Il Figlio di Dio è anche morto: ciò è appunto credibile perchè è insensato. E dopo essere stato sepolto è risorto: è certo, perchè è impossibile” (Tertulliano, De carne Christi). Se Dio ha veramente assunto l'intera condizione dell'uomo, la salvezza è tangibile.
Prima opzione. Postulato enorme: Gesù è l'Uomo-Dio. È eterno sebbene sia morto un certo giorno. È Dio, tale e quale a Dio, è uomo tale e quale a un uomo, integralmente, allo stesso tempo. È un uomo che ha vissuto ed è un'energia divina che agita la storia. È un Essere unico, pur essendo una persona particolare. In quanto Dio non può cessare di vivere e d'agire: “Noi respiriamo un Cristo ininterrotto” (Claudel). In quanto uomo ha sofferto, è spirato e resuscitato sotto Ponzio Pilato. Questa è la fede dei credenti, deposito trasmesso attraverso i secoli. Sorprende la ragione che ragiona. Malgrado ciò, piuttosto a causa di ciò, soddisfa un grande bisogno del cuore. “Il Figlio di Dio è stato crocifisso: non mi vergogno, poiché me ne dovrei vergognare. Il Figlio di Dio è anche morto: ciò è appunto credibile perchè è insensato. E dopo essere stato sepolto è risorto: è certo, perchè è impossibile” (Tertulliano, De carne Christi). Se Dio ha veramente assunto l'intera condizione dell'uomo, la salvezza è tangibile.
La fede ha un bell'aspetto. È supportata da tutti i documenti, perché è da lei, in lei e per lei che essi sono stati scritti. Ripeto oggi quello che ho dichiarato venticinque anni fa: “Nell'esegesi la posizione dei credenti è invidiabile. Essi ricevono direttamente e accettano nel loro senso completo dei documenti che i critici prendono con pregiudizio e dove tentano un'armonizzazione rischiosa”. I credenti hanno la qualità dei possessori. Sono su una terra ferma che appartiene a loro. Da un promontorio sicuro, guardano in un soave riposo i loro avversari sballottati che si attaccano e si confutano gli uni gli altri.
La fede riempie l'essere. La sua sola debolezza è di non potersi comunicare per via dimostrativa. Al buon ragionamento, alcun fatto storico può servire da prova per un'epifania di Dio; Se si accetta la definizione che il credente dà di Gesù, la domanda non è più: Chi è Gesù? ma: È Gesù? (Io sono, dice semplicemente Gesù in Giovanni). Incomprensibile che Gesù sia. Incomprensibile che sia Dio se egli è un uomo. Che sia un uomo se egli è Dio. Dono di Dio, la fede supera questo dubbio da entrambi i lati. La fede profonda è una chiamata accordata, il trampolino di una speranza, una immediata prova dell'invisibile, un'invasione improvvisa di certezza per il coinvolgimento del cuore. Meno un'illuminazione che un sentimento di fiducia. Non la trovi al termine di un ragionamento. Si innesca al di sopra e al di là della ragione, in un punto segreto del cuore (Guitton). Blaise Pascal, l'uomo che ha più approfondito le maniere e i mezzi dell'apologetica, ha riconosciuto che quella è sempre a un passo dalla meta. Puoi rendere la fede cristiana probabile, amabile, non puoi renderla certa. Fa andare avanti, piuttosto che far sapere bene. Alla fine resta sempre un atto di volontà da fare, un ultimo passo, un salto, una scommessa. E sempre ci saranno persone irrequiete che si terranno immobili, non salteranno, non saranno in grado di scommettersi come una moneta d'oro, testa o croce. “La mia ragione si rifiuta di credere”, disse il generoso Romain Rolland; “la parola rifiuto è inesatta, non può”. André Gide ha riportato lucidamente la stessa esperienza. “Il mio organismo morale nasconde il dubbio”, dice un personaggio di André Billy, “come quello degli altri nasconde la fede”. Coloro che si inebriano di pienezza e felicità, come Paul Claudel, nella fede cristiana devono ammettere che tale grazia non è affatto data a tutti. Ambiguità della preghiera: è per gli uni una chiamata senza eco, per gli altri un radar misterioso.
Seconda opzione. Postulato modestissimo: Gesù è un uomo tra tanti altri, un ebreo molto poco conosciuto, un profeta passato inosservato dagli storici palestinesi. È divenuto Dio a poco a poco, per evoluzione. Sul suo nome (sola cosa, e non è affatto sicuro, che resta di lui) il cristianesimo è stato fondato. Questa è l'opinione che professano i non credenti istruiti, la maggior parte dei razionalisti, gli oppositori del cristianesimo e anche (se si dà corpo a un così piccolo Gesù) molti semi-cristiani o cristiani grossolani, che hanno preso l'aria del secolo. È stata messa in dottrina dalla Ecole di Parigi. Ha l'aspetto di una verità acquisita.
La deificazione dell'uomo Gesù è, come abbiamo visto, l'ostacolo fatale contro cui si scontra questa opinione che sembra avere per lei i favori del buon senso. Un ebreo riconosciuto per Dio, adorato come Dio dagli ebrei, è un'anomalia troppo forte perché lo storico possa avallarla senza la cautela borghese. Si deve troncare, forzare, drogare i testi per far dire loro che Gesù è semplicemente un uomo, mentre gridano da un capo all'altro che si tratta di un Uomo-Dio. E questo caro sforzo di imbavagliamento è vano, perché lo storico delle religioni non sa che farsi di un uomo deificato, di un uomo che sembra dio, in una descrizione sincera e autentica del cristianesimo. Nella prospettiva della Ecole di Parigi tutta la teologia cristiana diventa una orribile assurdità. Che siano prudenti i direttori delle collezioni storiche prima di esigere la biografia di Gesù. Una formidabile domanda preliminare si impone. L'ossequiosità affettata di Renan, il sorriso glaciale di Loisy, la pedanteria gioviale di Guignebert non sono sufficienti a rappresentare l'esistenza del nabì scuro, chiamato o meno Gesù. La via che pretendono di aprirci è un vicolo cieco.
Ultima opzione possibile. Postulato ragionevole: Gesù non è nient'altro che il Dio dei cristiani. Si lasci ai teologi l'esistenza metafisica e mistica dell'Uomo-Dio, oggetto della credenza cristiana. Si ritiri agli storici l'esistenza cosiddetta storica di Gesù, corollario pragmatico di questa credenza. Cosa resta? Il cristianesimo stesso. Se Gesù è un oggetto di fede, la nascita del cristianesimo è un fatto storico.
Si prenda dunque Gesù all'interno del cristianesimo. Senza dubbio, la religione cristiana è una religione di salvezza eterna. Gesù era lì sin dall'origine il Salvatore divino, un essere spirituale rappresentato nella mente degli uomini, un essere concepito e costruito, ciò che il linguaggio corrente chiama un Dio. Ciò che ci distoglie è pensare a Gesù come a Mosè, a Zoroastro o a Maometto, mentre i suoi omologhi sono Jahvè, Ahura Mazda o Allah. Gesù non è affatto il predicatore di Dio, egli è il Dio predicato.
Senza pregiudicare la realtà religiosa, senza fare menzione della fabulazione aggiunta, questa concezione di Gesù in quanto Dio permette l'esposizione oggettiva di testi e di fatti. Fa parte del sobrio metodo descrittivo. Al cristianesimo dà il suo rango, il più alto di molti, tra le religioni di salvezza. Illumina la sua originalità autentica; la teologia nuova e travolgente che lo anima e lo porta alle vittorie. Il cristiano non deve essere affatto turbato nella sua fede. Lo storico non deve affatto avventurarsi su un terreno che gli manca da tutti i lati. Non è più imbarazzato di Gesù-Dio di quanto lo sia di Jahvè, di Mitra, di Allah. Può rintracciare la storia primitiva del cristianesimo nella stessa maniera di quella dello Jahvismo in Israele, del mitraismo nell'Impero romano, dell'Islam in Arabia, senza essere impietrito, sconcertato dall'apoteosi di un uomo. A questa nuova chiarezza egli riconsidera le origini cristiane e non le trova più stravaganti. Gesù è un oggetto di fede: da questo punto stabilito, la nascita del cristianesimo diventa un oggetto di Storia.
La fede riempie l'essere. La sua sola debolezza è di non potersi comunicare per via dimostrativa. Al buon ragionamento, alcun fatto storico può servire da prova per un'epifania di Dio; Se si accetta la definizione che il credente dà di Gesù, la domanda non è più: Chi è Gesù? ma: È Gesù? (Io sono, dice semplicemente Gesù in Giovanni). Incomprensibile che Gesù sia. Incomprensibile che sia Dio se egli è un uomo. Che sia un uomo se egli è Dio. Dono di Dio, la fede supera questo dubbio da entrambi i lati. La fede profonda è una chiamata accordata, il trampolino di una speranza, una immediata prova dell'invisibile, un'invasione improvvisa di certezza per il coinvolgimento del cuore. Meno un'illuminazione che un sentimento di fiducia. Non la trovi al termine di un ragionamento. Si innesca al di sopra e al di là della ragione, in un punto segreto del cuore (Guitton). Blaise Pascal, l'uomo che ha più approfondito le maniere e i mezzi dell'apologetica, ha riconosciuto che quella è sempre a un passo dalla meta. Puoi rendere la fede cristiana probabile, amabile, non puoi renderla certa. Fa andare avanti, piuttosto che far sapere bene. Alla fine resta sempre un atto di volontà da fare, un ultimo passo, un salto, una scommessa. E sempre ci saranno persone irrequiete che si terranno immobili, non salteranno, non saranno in grado di scommettersi come una moneta d'oro, testa o croce. “La mia ragione si rifiuta di credere”, disse il generoso Romain Rolland; “la parola rifiuto è inesatta, non può”. André Gide ha riportato lucidamente la stessa esperienza. “Il mio organismo morale nasconde il dubbio”, dice un personaggio di André Billy, “come quello degli altri nasconde la fede”. Coloro che si inebriano di pienezza e felicità, come Paul Claudel, nella fede cristiana devono ammettere che tale grazia non è affatto data a tutti. Ambiguità della preghiera: è per gli uni una chiamata senza eco, per gli altri un radar misterioso.
Seconda opzione. Postulato modestissimo: Gesù è un uomo tra tanti altri, un ebreo molto poco conosciuto, un profeta passato inosservato dagli storici palestinesi. È divenuto Dio a poco a poco, per evoluzione. Sul suo nome (sola cosa, e non è affatto sicuro, che resta di lui) il cristianesimo è stato fondato. Questa è l'opinione che professano i non credenti istruiti, la maggior parte dei razionalisti, gli oppositori del cristianesimo e anche (se si dà corpo a un così piccolo Gesù) molti semi-cristiani o cristiani grossolani, che hanno preso l'aria del secolo. È stata messa in dottrina dalla Ecole di Parigi. Ha l'aspetto di una verità acquisita.
La deificazione dell'uomo Gesù è, come abbiamo visto, l'ostacolo fatale contro cui si scontra questa opinione che sembra avere per lei i favori del buon senso. Un ebreo riconosciuto per Dio, adorato come Dio dagli ebrei, è un'anomalia troppo forte perché lo storico possa avallarla senza la cautela borghese. Si deve troncare, forzare, drogare i testi per far dire loro che Gesù è semplicemente un uomo, mentre gridano da un capo all'altro che si tratta di un Uomo-Dio. E questo caro sforzo di imbavagliamento è vano, perché lo storico delle religioni non sa che farsi di un uomo deificato, di un uomo che sembra dio, in una descrizione sincera e autentica del cristianesimo. Nella prospettiva della Ecole di Parigi tutta la teologia cristiana diventa una orribile assurdità. Che siano prudenti i direttori delle collezioni storiche prima di esigere la biografia di Gesù. Una formidabile domanda preliminare si impone. L'ossequiosità affettata di Renan, il sorriso glaciale di Loisy, la pedanteria gioviale di Guignebert non sono sufficienti a rappresentare l'esistenza del nabì scuro, chiamato o meno Gesù. La via che pretendono di aprirci è un vicolo cieco.
Ultima opzione possibile. Postulato ragionevole: Gesù non è nient'altro che il Dio dei cristiani. Si lasci ai teologi l'esistenza metafisica e mistica dell'Uomo-Dio, oggetto della credenza cristiana. Si ritiri agli storici l'esistenza cosiddetta storica di Gesù, corollario pragmatico di questa credenza. Cosa resta? Il cristianesimo stesso. Se Gesù è un oggetto di fede, la nascita del cristianesimo è un fatto storico.
Si prenda dunque Gesù all'interno del cristianesimo. Senza dubbio, la religione cristiana è una religione di salvezza eterna. Gesù era lì sin dall'origine il Salvatore divino, un essere spirituale rappresentato nella mente degli uomini, un essere concepito e costruito, ciò che il linguaggio corrente chiama un Dio. Ciò che ci distoglie è pensare a Gesù come a Mosè, a Zoroastro o a Maometto, mentre i suoi omologhi sono Jahvè, Ahura Mazda o Allah. Gesù non è affatto il predicatore di Dio, egli è il Dio predicato.
Senza pregiudicare la realtà religiosa, senza fare menzione della fabulazione aggiunta, questa concezione di Gesù in quanto Dio permette l'esposizione oggettiva di testi e di fatti. Fa parte del sobrio metodo descrittivo. Al cristianesimo dà il suo rango, il più alto di molti, tra le religioni di salvezza. Illumina la sua originalità autentica; la teologia nuova e travolgente che lo anima e lo porta alle vittorie. Il cristiano non deve essere affatto turbato nella sua fede. Lo storico non deve affatto avventurarsi su un terreno che gli manca da tutti i lati. Non è più imbarazzato di Gesù-Dio di quanto lo sia di Jahvè, di Mitra, di Allah. Può rintracciare la storia primitiva del cristianesimo nella stessa maniera di quella dello Jahvismo in Israele, del mitraismo nell'Impero romano, dell'Islam in Arabia, senza essere impietrito, sconcertato dall'apoteosi di un uomo. A questa nuova chiarezza egli riconsidera le origini cristiane e non le trova più stravaganti. Gesù è un oggetto di fede: da questo punto stabilito, la nascita del cristianesimo diventa un oggetto di Storia.
Avanziamo senza paura, piccolo gregge, su questo nuovo sentiero. L'obiettivo è vedere chiaramente. Per comprendere distintamente la fede cristiana, dobbiamo definirla innanzitutto nei documenti che sono incontestabilmente del I° secolo della nostra era: le Epistole di Paolo e l'Apocalisse di Giovanni. Trattiamo questi documenti in sé stessi. Chiudiamo per qualche tempo le orecchie e gli occhi a tutto ciò che crediamo di sapere dalla leggenda umana di Gesù che si è formata in seguito. Solo il rigore della cronologia permette di risolvere un'oscurità storica. L'enigma di Gesù ha la sua chiave nella sequenza esatta dei testi. Non è provato in alcuna maniera, è al contrario altamente improbabile, che Paolo e Giovanni non avessero saputo nulla della presunta tradizione evangelica. L'hanno ovviamente preceduta e ignorata. Da loro noi conosciamo Gesù Dio Salvatore allo stato nascente.
Dovremo quindi confrontare Gesù con gli altri dèi di salvezza. Il nostro ultimo studio sarà quello di comprendere la formazione e il significato della leggenda umana di Gesù.
NOTE
[1] Parigi, Rieder, e La Haye, Van Holkema, 1930.
[2] Difficultés de croire, Plon, 1948, pag. 109-194. Le Problème de Jésus et les fondements du témoignage chrétien, Aix-en-Provence, Editioni provenzali, 1948, dove il testo di questa rivista è dato completamente.
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