venerdì 18 gennaio 2019

«Il Dio Gesù» (di Paul-Louis Couchoud) — Gesù puramente uomo (VII): FALLIMENTO E APOTEOSI DI GESÙ

(segue da qui)

PARTE SECONDA

GESÙ PURAMENTE UOMO

FALLIMENTO E APOTEOSI DI GESÙ

Alla fine di “un lavoro ingrato, condotto nell'inquietudine e di cui il risultato resta sempre soggetto a cautela”, [1] dopo aver subodorato e condannato nei vangeli tutto ciò che, a un naso fine, si accorda con le profezie, si accorda con il rituale, il disordine volontario, la speculazione gnostica, l'amplificazione, l'intercalazione, il doppione, il puro mito, la finzione interessata, il pio riempimento, la glossa tendenziosa, il tardivo, il convenzionale, l'incoerente, l'opportuno, il simbolico, l'allegorico, il sistematico, il drammatico, vale a dire dopo aver scartato più di nove decimi, quale pizzico di Storia Loisy e Guignebert strappano dalla zavorra? Come liberano finalmente l'uomo Gesù, per far derivare da lui in seguito il dio Gesù?
LOISY: [2] — Gesù era un uomo di Galilea, non sappiamo di quale villaggio, di origine molto modesta. Lo si chiamava il Nazareno, che significa probabilmente l'Osservante. Era un predicatore esorcista itinerante, profeta di un solo oracolo. Aveva dei poteri (dunameis). Ha percorso alcuni villaggi intorno a Cafarnao operando dei miracoli. Potrebbe aver fatto alcune deviazioni per sfuggire alla polizia del suo sovrano, il tetrarca Antipa. Il suo insegnamento, se ne avesse avuto uno, non fu raccolto. Era stato associato per qualche tempo, si potrebbe credere, a Giovanni il Battista o alla setta che si rifaceva a Giovanni il Battista. Il suo messaggio era probabilmente lo stesso di quello del Battista: “Convertitevi perché il regno di Dio è vicino”. Vale a dire: il regno di Dio verrà immediatamente, in un solo colpo, con il regno dei giusti, la resurrezione dei morti, il grande Giudizio. In previsione dei quali, si deve cambiare vita. Non voleva affatto fondare una religione. È possibile che l'adesione al suo messaggio sia stata contrassegnata dallo stesso rito che segnava la conversione al messaggio di Giovanni: il battesimo. Un pasto poteva prefigurare la festa degli eletti.
Doveva radunare attorno a sé una sorta di confraternita, come quella che supponiamo si sia formata attorno a Giovanni il Battista. Si presentò lui stesso come un inviato di Dio, forse come un Grande Inviato, ma non come il Messia: non ci può essere alcun Messia prima del regno di Dio. La sua predicazione in Galilea non poteva durare più di qualche mese. Ha preoccupato il tetrarca. Per un atto di illuminismo religioso si decise di portare a Gerusalemme la parola del Regno. Aspettava la manifestazione della potenza divina, il Regno annunciato, il Giorno di Dio. È possibile che abbia espresso l'intenzione di distruggere il Tempio. La sua presenza a Gerusalemme provocò un tumulto, immediatamente represso. Fu arrestato, giudicato sommariamente dall'autorità romana, sommariamente giustiziato in condizioni che non conosciamo. Il fatto immutato è che è stato crocifisso, punizione romana inflitta ai ribelli, in uno dei giorni precedenti la Pasqua (ammettiamo che fosse in uno degli anni dal 26 al 29). “Se Pilato, per ipotesi, avesse pensato di tenere Gesù in prigione, il cristianesimo non sarebbe nato affatto da Gesù”.
Non è affatto lecito, secondo un colpo secco di penna, affermare che Gesù era stato un genio, un eroe o un saggio. Un profeta sfortunato è tutto ciò che si può dire. Ha molto poco di personalità. Il disegno di Loisy, lo si noti, è piuttosto un ricalco. Per la prima parte, una copia di Giovanni il Battista, al tal punto che Giovanni il Battista e Gesù appaiono interscambiabili. Per la seconda parte, una replica di ciò che Flavio Giuseppe ci racconta a proposito di due ebrei entusiasti. Verso il 44-46, il profeta Teuda trascinò una folla errante dal deserto verso il Giordano. Annunciò che alla sua voce le acque del fiume si sarebbero separate. La cavalleria del procuratore Cuspio Fado disperse il raduno e riportò a Gerusalemme la testa del profeta. Nel 52-58 circa, un altro profeta venuto dall'Egitto condusse a sua volta una banda fino al Monte degli Ulivi, promettendo che le mura di Gerusalemme sarebbero cadute al suo comando. Il procuratore Felice fece fare una sortita alla guarnigione. La maggior parte dei fanatici furono presi o uccisi, l'Egiziano scomparve. È sul modello di Teuda  e dell'Egiziano che Loisy ha ricavato il Gesù rivoltoso.
Scaricati da Loisy, i vangeli sono ridotti a uno scheletro leggero. Il resto di Gesù è ciò che può più o meno conformarsi ai due modelli storici del messaggero di Dio Giovanni il Battista e degli avventurieri messianici. È ancora troppo. Loisy non si dichiara sicuro che di un solo fatto: “Nulla nei racconti evangelici ha una consistenza di fatto, se non la crocifissione di Gesù per ordine di Ponzio Pilato a causa di agitazione messianica”. [3] Veramente? Ma non ci si domanda se questa stessa crocifissione abbia una vera consistenza di fatto? Non è sospettata di essere una deduzione dal Salmo 22, che mostra il Giusto crocifisso? Oppure un'interpretazione, se lo domanda Loisy stesso, [4] del rituale eucaristico che presenta la separazione del corpo e del sangue di Gesù? Loisy dice francamente (pag. 108): “La più antica tradizione per noi percepibile della morte di Gesù è già una leggenda liturgica”. Gesù si tiene per un filo alla Storia. Un filo pronto a rompersi.
GUIGNEBERT: [5] — Questo nabì galileo non si chiamava affatto Gesù. Il nome di Gesù è un Nome sacro, un nome potente che, secondo Paolo, gli fu donato dopo la resurrezione. Questo Nome, nella Chiesa primitiva, era sovrano per gli esorcismi. Fu persino impiegato da degli esorcisti ebrei. Non conosciamo il vero nome del nabì. La sua attività è stata molto breve. “La mia impressione (posso solo dare quella che ho) è che la sua vita pubblica non abbia superato qualche mese e, a parte i giorni in cui è fuggito e si è nascosto, poche settimane... Non c'è un così miserabile nabì che non si faccia qualche seguace... Quest'uomo... un ignorante che disponeva solo di un orizzonte ristretto, che non sapeva come parlare alla gente il linguaggio efficace, questo profeta che tutt'al più, aveva destato tra i manovali di Galilea una curiosità di simpatia” fu “uno dei contendenti più o meno degni di fiducia che Israele vedeva levarsi e presentarsi di tempo in tempo”. Il suo fallimento era deplorevole, totale. “Le cose ultime che attendeva non sono arrivate. Il Regno che annunciò non si manifestò affatto e il profeta morì sulla croce invece di contemplare sulla collina di Sion il grande Miracolo sperato. Si è dunque sbagliato. La verosimiglianza, la logica volevano che il suo nome e la sua opera cadessero nell'oblio, come quelli di tanti altri che in Israele hanno creduto di essere qualcuno”.
Alla buona ora! Riportato, con quella crudezza di tono, a queste proporzioni, il nabì che noi chiamiamo Gesù può trovare un posto, se  si vuole, nella zona oscura della Storia. Può ricevere, se necessario, un leggero passaporto storico. È concepibile che Flavio Giuseppe, che menziona Teuda e l'Egiziano, abbia omesso un altro entusiasta poco appariscente. Il suo silenzio su Gesù, il silenzio di Giusto di Tiberiade sono abbastanza naturali. Gesù, un personaggio molto episodico, è apparso trascurabile agli storici palestinesi.
Ben ritagliato. Si tratta ora di ricucire. Ora le meraviglie cominceranno. La storia sottile e disastrosa di Gesù è solo un prologo e del più inutile. Gesù è nella storia un punto cieco, quasi Zero. Diventerà l'Infinito nella credenza. “Della sua opera”, dice Guignebert (p. 665), "nulla o quasi nulla rimarrà: come potrebbe essere sopravvissuta alla prodigiosa trasformazione della sua persona?” Se la vita e l'azione dell'uomo Gesù si riducono ad un fatto banale, trascurabile, d'altra parte la deificazione di questo uomo cancellato, la sua trasmutazione nel Dio Gesù è un fatto straordinario, senza analoghi nella Storia. Questo fatto enorme, formidabile, domanda una spiegazione chiara e plausibile.
Eccoci al punto debole della Ecole di Parigi. Che differenza vertiginosa tra il destino postumo dei Teuda e quello di Gesù! All'inizio è necessario che dei discepoli alla prova di ogni disillusione abbiano creduto, tenacemente creduto che il profeta galileo fosse resuscitato. Ascolta Loisy e Guignebert.
LOISY (pag. 112-132): Gesù morto fu abbandonato al suo destino. I suoi discepoli in disordine ritornarono a casa sgomenti. Ma “la loro fede era stata all'inizio profonda” (Da dove lo sa Loisy? I vangeli ne farebbero dubitare). Essa doveva reagire contro la violenza dello shock. Se tutti i giusti dovevano risorgere per il Regno, perché Gesù profeta e instauratore predestinato del Regno non sarebbe stato resuscitato prima di loro? “La fede lo dichiarò sempre vivo perché lei stessa non voleva morire” (Argomento della retorica). Essa suggerì le visioni che placarono la sua angoscia. Uno dei primi adepti di Gesù, Simone detto Pietro, pescatore di Cafarnao, credette di vedere Gesù nella sua immortalità. “È possibile che non abbia mai raccontato la sua visione... e che ci sembrerebbe insignificante se potessimo conoscerla. La sua fede mise tutto quello che lui aspirava a credere e gli donò la certezza che questa visione fosse una realtà”. Questa visione segna la vera partenza del cristianesimo.
La fede di Pietro diventò contagiosa. Rinsaldò i suoi fratelli, vale a dire fece loro condividere la sua fiducia. Era a Gerusalemme, luogo del Grande Avvento, in cui conveniva recarsi ad aspettare Gesù. Si disposero a credere con fervore che Gesù vivesse presso il Padre. “Uno lo sentiva presso di sé, visioni leggere, simili a sogni, forse i sogni erano sufficienti in origine a nutrire e a consolidare questa fede”. Il gruppo devoto rimase a Gerusalemme finché poté. “Gli apostoli galilei e i fratelli di Gesù recatisi a Gerusalemme dovevano vivervi in gruppo e a spese dei loro convertiti... Vivendo di poco, frequentavano il Tempio alle ore di preghiera e trovavano le opportunità di far conoscere la loro speranza a qualcuno dei pii ebrei che incontravano nel cortile”. Questo è l'inizio della Chiesa cristiana. “Gesù segna in un certo senso la bancarotta della speranza israelita, ma ha contribuito a un'opera più ampia e meno immaginaria di quella che aveva sognato... È con i frammenti delle sue speranze spezzate, è sulla morte di Gesù che sembrava aver dovuto ucciderla che la fede degli apostoli ha fondato la religione di Cristo”. [6]
Esordio molto turbato, base molto strana di una immensa e vivente religione. Così, secondo Loisy, il cristianesimo che conosciamo ha avuto gli apostoli, gli apostoli soli, per fondatori. Dal momento che non ammette che Gesù si sia dichiarato Dio, la religione professata da Gesù è, dal punto di vista cristiano, un'eresia. [7] Gesù è escluso, personalmente, dal cristianesimo. Lui è un presta-nome. Difficilmente un precursore, tantomeno un giudeo-cristiano. Il suo insegnamento è nato morto. Tutto si è costruito su Gesù, senza Gesù.
GUIGNEBERT: “Gesù non ha affatto fondato il cristianesimo. Non lo ha nemmeno sospettato” (pag. 499). Disse giustamente Wellhausen, “È l'entusiasmo che ha generato il cristianesimo. Ma è l'entusiasmo dei discepoli: non è affatto quello di Gesù” (pag. 665).
Entusiasmo impressionante! Dopo tutto, i discepoli hanno assistito solo a due fallimenti. Dopo “l'errore fondamentale e il fallimento deplorevole” del loro maestro, hanno aspettato a Gerusalemme il suo ritorno nella gloria. “Il ritorno non si produsse affatto. La fede dei discepoli sopravvisse ancora a questa seconda delusione, ma poteva essere prolungata solo a patto di aumentare e recepirsi di nuovo”. [8]
Prodigiosi discepoli! Il problema di Gesù si ritrovò sostituito dal problema dei discepoli, e dei loro convertiti. Quale perseveranza fece  prestare loro! Quale potenza d'illusione! “Non dimenticate che questi uomini sono ebrei, che sono abituati a pensare che dal male più grande uscirà il più grande bene e a ricavare da ogni delusione, dopo aver alquanto riflettuto, il principio di una speranza nuova e di un'altra illusione confortante” (Jésus, pag. 640).
Perfetto. Possa la credenza nella resurrezione di Gesù essere messa, lo ammetto, in conto all'ebreo e alla sua leggendaria capacità di credere nell'impossibile! Ma per esempio vi è una cosa che un ebreo di quel tempo e di tutti i tempi rifiuterà al prezzo della morte di accettare. È  ché un uomo sia messo allo stesso rango dell'Eterno, una creatura adorata alla pari di Dio. Leggiamo in Filone la commovente Ambasciata a Gaio. Quando il folle Caligola ordinò che una statua di lui fosse fusa in Fenicia per essere eretta nel Tempio di Gerusalemme, i villaggi palestinesi si svuotarono e riempirono la Fenicia. “I giudei erano distribuiti in sei schiere di vecchi, di giovani, di ragazzi e di nuovo di vecchie, di giovani donne e di vergini. Quando fu visto il legato su un luogo piuttosto elevato, tutti i ranghi, come erano stati nominati, si prostrarono, supplicando, proferendo pianti lamentosi. Si alzarono coperti di polvere, pieni di lacrime, si avvicinarono come criminali condannati, mani dietro la schiena”. Gli Anziani chiedevano che fossero uccisi, loro, le loro mogli, i loro figli. Filone ne dà la ragione: “Non si trattava affatto di una scelta priva di conseguenze, ma della più grave di tutte: fare di un uomo, di un essere generato e mortale l'equivalente dell'Essere increato ed eterno! I giudei giudicarono che fosse l'apice dell'empietà e della profanazione”. Si sarebbero offerti alla morte piuttosto che dire che l'imperatore fosse dio. Loro vi si sarebbero offerti, se fossero stati costretti a dirlo di Mosè, di Elia. Avrebbero fatto un'eccezione per il nabì galileo? Certo che no! La deificazione di un uomo è perfettamente inconcepibile in un tale contesto.
Guignebert concorda: “Non è sul suolo ebraico che il Cristo Gesù è diventato il Signore davanti a cui la Creazione intera piega il ginocchio; è sul suolo greco... Coloro che dicevano che Gesù era il Figlio di Dio hanno potuto crederlo solo in un'atmosfera greca... Un ebreo poteva vedervi solo un'assurdità inconcepibile e una pesante bestemmia” (Jésus, 74, 319, 314).
Coloro che lo dissero, erano tuttavia degli ebrei. Il terreno? L'atmosfera? Un ebreo cambiava così radicalmente quando, invece che a Gerusalemme, abitava ad Antiochia o a Corinto? Cessava di essere monoteista? L'ebreo Paolo ricorda ai cristiani di Filippi che è “della stirpe d'Israele, della tribù di Beniamino, ebreo da Ebrei, fariseo quanto alla legge”. Poche righe dopo insegna loro che al Nome di Gesù “ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra” in un atto di adorazione. Non crede affatto, questo puro ebreo, di proferire una pesante bestemmia. Ha avuto con gli apostoli di Gerusalemme delle controversie che espone ai cristiani galati. Vertevano sulle osservanze legali, alimentari, per nulla sul culto divino da rendere a Gesù come a Dio. Il profeta dell'Apocalisse, l'ebreo Giovanni, è depositario, più di Paolo, della tradizione dei primi visionari palestinesi. È altrettanto intransigente di Paolo nel riconoscere a Gesù gli attributi di Dio. L'uno al pari dell'altro ha delle frasi dove Dio e Gesù non compongono un plurale grammaticale. Ciò che Guignebert definisce assurdità e blasfemia, è il dato originale della fede. Le espansioni diffuse, immaginate da lui non hanno alcun sostegno nei testi più antichi. Esse sono vane, del resto. Per fare di un uomo un Dio, nella religione del monoteismo, tutte le scale sono troppo corte.
LOISY (adottando Bousset): Signore! e il Signore (Marana e Maran, in aramaico) fu il titolo già dato a Gesù dai cristiani di Palestina. Sussiste, nel grido liturgico di Paolo: Marana tha (“Signore, vieni!”). Ora “Signore (Kyrios) nel cristianesimo di lingua greca è, a dire il vero, un nome divino, o meglio un nome deificante perché, da un lato, associava in qualche modo Gesù alle divinità dei misteri... e perché, dall'altro, i cristiani ellenisti che leggevano la Bibbia in greco applicavano al Signore Gesù una quantità di testi dell'Antico Testamento dove la parola Signore rappresentava Jahvè, il nome ineffabile di Dio stesso” (Naissance..., 278).
Ecco giustamente l'incredibile! È proprio di un manovale come lui, suo contemporaneo, suo correligionario, che Paolo si proclama lo schiavo e dice, senza battere ciglio, ciò che dice la Scrittura a proposito dell'Eterno: “Chi invocherà il suo Nome sarà salvato” o “Ogni ginocchio si piegherà davanti a lui, ogni lingua lo confesserà”, oppure “Verrà con i suoi santi (i suoi Angeli)”. Ha dato ascolto a dei giudei nell'annunciare che un nabì del villaggio ha creato l'Universo dal niente, condividendo con Dio la potenza creatrice? Mentre la Gloria è il caratteristico attributo divino, è per una sommossa infelice, che egli dà il nome più abbagliante di Jahvè, il nome di Signore della Gloria, senza che gli ebrei che lo sentano si straccino le loro vesti, senza che sia lapidato all'istante? Vi si deve vedere là l'effetto puro e semplice di un nome deificante? Dei fatti così stupefacenti sono validamente delucidati da un malinteso verbale, un colossale salto di palo in frasca? A questo proposito, il Signor (Kyrios) Tel oppure Tel rischiò di essere preso per Kyrios, il Dio Unico? Così grande, così “elevato”  l'uomo di Galilea era diventato dopo la sua morte, che la confusione con Dio è inimmaginabile. Un nome deificante? L'escatomage è di bella dimensione. Il signor Loisy sta scherzando. Il nome di Signore nel senso supremo non si poteva dare d'autorità che a un Essere riconosciuto da Dio stesso.
Non si tratta affatto solamente di invocazioni. Un Dio si riconosce dal culto, dai sacrifici, dai sacramenti. Il culto sacrificale, in cui Gesù è la vittima divina, mostra senza errore la sua qualità di Dio. Paolo fa valere ai cristiani di Corinto tutta la potenza del pasto sacrificale dove consumano il corpo e il sangue di Gesù per la loro salvezza eterna. Parlerebbe così del corpo e del sangue di un contemporaneo, di un ebreo come lui? Egli paragona la comunione con Gesù a quella che i sacrifici consumati stabiliscono tra Israele e il suo Dio, a quella che i pagani hanno con gli altari dei loro dèi. Gesù agisce pienamente in Dio. Inesauribile oggetto di culto, ispira i profeti, cancella i peccati, dona la vita eterna. Nella Chiesa i credenti chiamati da lui stanno davanti a lui, come nell'Assemblea di Israele il popolo chiamato da Jahvè sta davanti a Jahvè. Si tratta di un uomo?
Nella Storia, quali uomini vediamo divenire dèi? Nel clima politeistico, le apoteosi sono possibili e non fanno affatto scandalo. Il confine tra l'uomo e gli dèi è sgombro. Eracle, Asclepio sono stati, si diceva, degli uomini prima di essere degli dèi. In molti Stati antichi il Re è l'ultimo degli dèi, il primo degli uomini. I conquistatori assiri venivano deificati perché avevano il segno divino della forza. Altri re perché un dio solo poteva possedere il suolo.
Dopo Alessandro i re seleucidi scolpirono sulle monete il loro titolo di dèi. Ai dèi faraoni succedettero gli dèi Tolomei. Berenice con la sua chioma diventa una dea stellare. Erode Agrippa, nel 44 della nostra era, apparve ad una festa imperiale a Cesarea con indosso una tunica d'argento così splendente che i suoi adulatori siriani lo acclamarono come un dio. Ne morì, secondo Flavio Giuseppe.
A Roma, il trionfo era una divinizzazione temporanea. Giulio Cesare dittatore è proclamato da un'iscrizione municipale di Efeso “il dio manifestato, salvatore universale della vita umana”. Augusto è onorato a Philae come “il grande salvatore Zeus”. Dopo la loro morte gli imperatori romani sono dichiarati divini. “Producete persino qualcuno che giura di aver visto il Cesare cremato, elevarsi dalla pira verso il cielo” (Giustino ad Antonino). Caligola in vita credeva di essere il Nuovo Giove Visibile: non era a dire il vero sano di mente. Al tempo in cui san Paolo era ad Efeso, “il più grande degli dèi” [9] vi sbarcò. Era il balbuziente Claudio, dal capo tremante, dal labbro bavoso, tramutato in un dio dalla volontà del Senato, in una zucca da quella di Seneca. Sotto Nerone, lo stoico Trasea rifiuta di giurare sugli dèi Giulio e Augusto e non riconosce la divinità di Poppea. “Mi sa che sto diventando un dio” ironizza Vespasiano morendo. Il bello schiavo Antinoo annegherà nelle acque sacre del Nilo e sarà reso dio per il decreto di Adriano, suo amante imperiale.
Chi vorrebbe confrontare questi casi con quello del Dio che san Paolo annunciava? Nella religione del monoteismo un uomo non diventa Dio per promozione. Si è Dio dall'inizio oppure si è un uomo per sempre. L'apoteosi è esclusa. Quella di Gesù sfida ogni paragone, sorpassa ogni immaginazione. Cosa! Questo esile personaggio sarebbe diventato fin dall'inizio una Persona in Dio, associata alla Creazione, nella religione dove l'uomo è senza paragone possibile con Dio? Da solo, questo esorcista itinerante avrebbe forzato la solitudine di santità dove l'Eterno dimora in una luce inaccessibile? Avrebbe fatto irruzione nella sostanza stessa del Dio Unico. Un ebreo deificato (prodigio della Storia!) avrebbe indossato la Divinità piena? Suvvia! “Siete lontanissimi dal vero”, disse Ottavio ai pagani, “se ritenete che una creatura terrestre potesse essere un Dio”. [10] “Come”, domanda il padre Bonsirven (quasi rabbino per la scienza), “un fariseo dal monoteismo intransigente avrebbe potuto adorare un uomo trasformato in Dio?” [11] Impossibile! Un uomo scambiato per un dio non sarebbe andato davvero lontano. L'orientamento religioso dell'umanità non è stato affatto modificato da questo macchinario antiquato, rovinoso: la divinizzazione di qualcuno. Il giovane cristianesimo non è affatto scaturito dalla reliquia di un'apoteosi, che ha reso ripugnanti per noi e impossibili tutte le apoteosi.
L'errore fondamentale degli storicisti parigini è un utilizzo vizioso del principio di evoluzione. Hanno sviluppato il cristianesimo a partire da ciò che gli è incompatibile. Non più di quanto il grano possa uscire da un granello di avena selvatica, il cristianesimo non può essere germogliato a partire da un'apoteosi. Tale è nella spiga, tale era nel germe. Il suo progresso così vasto, così prodigioso, è dovuto al fatto che ha sempre avuto in lui un principio specifico. Senza il Dio Gesù non c'è alcun cristianesimo. Se lo rimuovete all'inizio non lo ricongiungerete più alle vostre belle ipotesi. Dall'esistenza di un uomo Gesù non ricaverete affatto la fede nel Dio Gesù. L'espediente duro, decaduto, pagano dell'apoteosi è qui privo di impiego. Il Dio Gesù, che state tentando di riportare a un uomo, fa esplodere le sei tavole tra le quali volete mantenerlo.
La resurrezione di Gesù spiegata da un gioco di illusioni e di allucinazioni è la parte più debole del sistema. Gesù non è affatto un resuscitato per accidente, egli lo è, per natura e necessariamente. Lui è la Resurrezione e la Vita, dove non lo è affatto. È il Risorto perché è il Salvatore.
L'errore è stato di scrutare al microscopio la letteratura evangelica prima di aver riconosciuto la sostanza stessa del cristianesimo. Ciò che è primitivo, lo si è tenuto per secondario. Avete rimosso dal vangelo il mistero cristiano e non vi resta più nulla tra le dita. Avete creduto di aver a che fare con dei testi leggendari, su cui la critica storica banale avrebbe dovuto adoperarsi.  Voi sbucciate i miracoli dai vangeli e ammirate a bocca aperta il miracolo più grottesco: un israelita adorato come Dio! Filtrate il moscerino, inghiottite il cammello. Mettete i testi sotto torchio per ricavare un preteso residuo storico. Dopodiché accumulate le ipotesi: l'illusione di Gesù, l'illusione degli apostoli, la trasposizione della prima speranza, il cambiamento di fronte, la deificazione per malinteso. Ipotesi così forzate, contorte, fragili, futili, difficili da credere al punto che certi spiriti trovano meno oneroso dopotutto, meno deludente, ritornare alla risposta dei credenti: Gesù è al tempo stesso uomo e Dio. La sua stranezza misteriosa non è affatto quella di un uomo, è quella di un Dio tra gli uomini.
Chi, dunque, lo avrebbe riconosciuto Dio, se non lo avesse già conosciuto come tale? Non appena ci si distoglie da questa evidenza, ci si impantana. Gesù è troppo Dio per essere stato un uomo come un altro.  È uomo, sì, a condizione d'essere Dio nello stesso tempo. Non si guadagna nulla dal secolarizzarlo, dal momento che sul piano storico su cui lo si mette è ancora un individuo unico, dal destino inspiegabile, solo. Allora? Enigma per enigma? L'incredulità esige qui troppa credulità.
Un giorno Péguy, stanco di vane glosse, ha detto a René Johanet in questo tono netto, tagliente, deciso, perentorio che era spesso il suo: “Gesù è il Figlio di Dio, e non c'è una spiegazione, è così!”

NOTE

[1] Guignebert, ibid., pag. 57.

[2] La Naissance du christianisme, Parigi, Nourry, 1933, pag. 72-111.

[3] La Passione di Marduc, Revue d'hist. et de litt. relig. 1922, pag. 298.

[4] Les Mystères païens et le mystère chrétien, 2° edizione, Parigi, Nourry, pag. 337.

[5] Jésus, Parigi, La Renaissance du Livre, 1933, pag. 78-80, 207, 246,  264. Un libro spesso quattro dita di cui la sostanza storica non riempirebbe più di due pagine.

[6] Les Mystères païens..., 2° edizione, 208, 210, 217.

[7] Ibid., pag. 325.

[8] Le Christ, Parigi, Albin Michel, 1943 (opera postuma), pag. 3-4.

[9]  Iscrizione di Magnesia al Meandro, n° 157.

[10] Minucio Felice, 29, 2.

[11] L'Evangile de Paul, Parigi, Aubier, 1945, pag. 25.

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