lunedì 2 luglio 2018

Gli Inizi del Cristianesimo Gnostico : Cristianesimo Paolino e Giovanneo (VII) — Visione di Dio

(segue da qui)
CAPITOLO VII

CRISTIANESIMO PAOLINO E GIOVANNEO

12. VISIONE DI DIO

Bousset presta attenzione ad un aspetto importante del misticismo del Cristo giovanneo, che, a suo dire, tende a passare nel misticismo di Dio — vale a dire, la concezione gnostica della “visione di Dio” ottenibile tramite Gnosi. In questo vangelo è ottenuta da quelli che hanno visto il Cristo. “E chi vede me, vede colui che mi ha mandato”. Lo scrittore di quelle parole non può aver inteso che ognuno che aveva visto Gesù avesse visto Dio.  Egli non stava pensando ad una visione fisica e tanto meno ad un processo intellettuale tramite cui poter dedurre la divinità di Dio dalle qualità ammirevoli di qualche uomo. E dove, nel Prologo, si dice che “la Parola venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre” lo scrittore sta parlando per sé stesso e i suoi compagni di fede che non avevano mai visto veramente la Parola. Egli sta duplicando esattamente il pensiero dell'Odista, il quale scrisse che Dio si era “concesso per essere visto”, e che la Parola “è apparsa nella perfezione di suo Padre”. Troviamo questa concezione della visione di dio nelle religioni misteriche contemporanee. In certi misteri la visione si realizzava mediante la brillante illuminazione di un quadro o di un'immagine del dio in una camera altrimenti oscura. Ma, come osserva Bousset, in seguito questa rozza procedura venne di solito migliorata. Si sa, comunque, che qualcosa del genere si praticò al sacramento di certi gnostici cristiani. Il sacerdote officiante nei misteri pagani induceva negli adoratori tramite mezzi appropriati una condizione estatica nella quale essi immaginavano che il dio fosse apparso loro. Una procedura comune sembra essere stata per l'adoratore fissare una luce luminosa ed emettere una preghiera in cui le parole “vieni, mostrati a me” erano ripetute di frequente. Una tipica preghiera ad Horus è citata da Reitzenstein. Dopo l'invocazione il dio è creduto apparire e l'adoratore grida: “Salve, signore, dio degli dèi, benefattore”. [42]   
Il significato associato dallo scrittore del quarto vangelo alla visione di Dio può essere compreso meglio grazie a Filone, che scrisse di “uomini capaci di visione”, che egli definisce uomini terapeutici (eccellenti), e dice che “dovrebbero essere incoraggiati a guardare continuamente a ciò che hanno appreso dell'essenza divina, finché non vedono ciò che bramano”. Filone di certo non stava pensando ad una visione fisica: egli stava riproducendo un'idea prevalente in una forma purificata; e così senza dubbio stava facendo Giovanni. [43] Nei misteri si credeva che la visione del dio operasse come “deificazione” ed assicurasse immortalità. In una preghiera di un papiro leggiamo: “Infatti tu sei me e io sono te”. Non c'è molta differenza tra questa e la formula giovannea: “Io in loro e tu in me”. Lo scrittore cristiano non si poteva identificare precisamente con Dio, ma poteva credere che Dio stesse dimorando in lui attraverso la Parola interiore. E, in comune col pagano, egli credeva che la visione del dio fosse la garanzia di immortalità. “Questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio”. Come nelle Odi di Salomone, la “visione” mistica è una “conoscenza” mistica.

La “conoscenza” degli scritti giovannei è del tutto una conoscenza mistica che risiede, ed è associata, nella visione di Dio. “Vedere” e “conoscere”  sono usati quasi come sinonimi e sono intercambiabili a vicenda. I credenti “conoscono” perché Dio e Gesù li hanno conosciuti. Da qui la “verità” che i credenti ricevono dalla “pienezza” del Logos appare correlata alla “grazia”. E questa “verità” è un potere vivente, divino. [44]


Proprio come la Verità e la Grazia delle Odi dove “Verità” e “Grazia” sono titoli della Parola. È impossibile non riconoscere un'affinità di idee tra la teosofia giovannea e la teosofia egiziana. E quelle idee erano già in esistenza prima dell'era cristiana. Nella teosofia egiziana il Logos, che si assimilò ad Ermes mentre Ermes fu di nuovo assimilato al dio Tot, fu visto non solo come l'agente della creazione, ma anche come il portatore di una rivelazione divina e lo strumento di rigenerazione, che assicurava immortalità. Una dichiarazione negli ermetici Genikoi Logoi  — “nessuno può essere salvato prima di rinascere” — corrisponde da vicino al detto di Gesù in Giovanni: “Se uno non è nato di nuovo, non può vedere il Regno di Dio” (3:3). C'è anche una stretta rassomiglianza tra la domanda di Nicodemo nel verso successivo del vangelo e la risposta di Tat al suo maestro nel Corp. Herm.: “Io non so, o Trismegisto, da che quale grembo sei rinato e da quale seme”. “L'antichità dei Genikoi Logoi”, dice Reitzenstein, “deve garantirla contro ogni sospetto di influenza cristiana”.
La parola greca pleroma (pienezza), che capita nel Prologo al quarto vangelo e anche in Colossesi 1:19, fu utilizzata parecchio dagli gnostici. La moda antica del termine appare dal suo uso da parte di Filone in un senso simile a quello in cui fu utilizzata nella teosofia pagana. Nel Corp. Herm., 12:15, è scritto: “Questo mondo nella sua totalità, questo grande dio, che è immagine del Dio più grande ... è la totalità della vita”. E in 6:4, “Il mondo è infatti la totalità del male, come Dio è la totalità del bene o il bene la totalità di Dio”. Un'opinione che è deprecata in 9:4, nelle parole: “Come ho già detto infatti, il male si trova necessariamente quaggiù, dove ha il suo dominio (il suo dominio infatti è la terra e  non il mondo, come taluni, bestemmiando, affermano)”. Osserva Reitzenstein:
Io confesso prontamente di poter altrettanto poco separare la frase “Dio è la totalità del bene” dal passo evangelico “Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia”, quanto di poter separare la frase “il Dio è la totalità della vita” da quell'altra, “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini”. [45]


Esistono anche rassomiglianze tra il Pastore di Ermas e Pimander  che non possono essere coincidenze. In particolare è dimostrabile che il Pastore stesso fu copiato dal divino Pimander (pastore di uomini) che è anche Ermes e Nous. È probabile che lo scrittore delle Odi di Salomone fosse familiare, non con Pimander stesso, ma con una letteratura di una natura simile. Reitzenstein ha fornito ragioni per pensare che le fonti della letteratura ermetica siano pre-cristiane e che Pimander nella sua forma più antica si deve datare prima dell'inizio del secondo secolo cristiano. [46]

NOTE

[42Pimander, pag. 27 seq. In quelle preghiere, come nei documenti cristiani, troviamo una grandissima importanza associata al “nome” del dio. Horus aveva parecchi nomi, di cui uno fu Jaoai.

[43Gli gnostici egiziani si erano elevati a questo punto. Nel Corpus Hermeticum, Tat, il discepolo di Ermes, dice: “Io vedo la grandezza con la sua forma visibile”. Ermes gli comunica che questo non è ancora una visione di dio, dal momento che “il vero” è privo di corpo. Anche il Logos delle Odi e di Giovanni è “il vero”, ed è a sua volta privo di corpo. Oppure di nuovo dobbiamo dire che uno scrittore cristiano era incapace del pensiero elevato di un pagano?

[44Bousset, Kyr. Chr., pag. 207.

[45Pimander, pag. 26 n.

[46Alcune delle espressioni utilizzate dagli antichi scrittori cristiani sono state rivestite gradualmente nel pensiero moderno di un significato diverso corrispondente al cambiamento nella prospettiva religiosa. Questa osservazione si applica in particolare a parecchie delle citazioni fatte nel capitolo precedente. I lettori dovrebbero stare in guardia contro la lettura  in queste espressioni di idee moderne che non erano di certo nella mente dello scrittore.

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