domenica 20 giugno 2021

IL MITO DI GESÙ (XIX)

(Questo è l'epilogo della traduzione italiana di un libro di Arthur Drews, «Mito di Gesù». Per leggere il testo precedente, segui questo link)

INDICE

Prefazione del traduttore

Prefazione dell'autore

Il GESÙ PRECRISTIANO

1. La fede messianica sotto l'influenza del parsismo

2. L'idea ellenistica del mediatore (Filone)

3. Gesù dio cultuale delle sette ebraiche

4. Gesù di Nazaret e l'idea delle sofferenze del Messia

5. La buona novella

IL GESÙ CRISTIANO

1. Il Gesù paolino

2. Le testimonianze profane

3. Gesù nei Sinottici

4. La genesi di Gesù dei Vangeli

5. Parole e carattere di Gesù

6. Il Gesù giovanneo

7. Ultime obiezioni

CONCLUSIONE


CONCLUSIONE

Il cristianesimo è la religione dell'amore divino rivelato nel Cristo in quanto è ritenuta essere stata fondata da Gesù e realizzata dalla sua presunta storicità. È in quella unione intima, in questo amalgama indissolubile dell'idea metafisica o dogmatica di redenzione con la concezione di un personaggio storico che risiede quell'essenza del cristianesimo che i teologi del genere di Harnack si sono sistematicamente sforzati di velare interpretandola da un punto di vista moderno e superficiale. È proprio là che il cristianesimo si distingue essenzialmente dalle altre religioni di salvezza.

Il cristianesimo è la religione metafisica della salvezza, storicamente motivata dall'amore di Dio rivelato nella persona del Cristo. Non si può  quindi rimuovere uno di questi due elementi senza sacrificare l'altro allo stesso tempo e cessare con questo di essere cristiani. I cosiddetti teologi liberali che scartano dall'idea cristiana l'elemento metafisico per trattenere solo l'elemento storico, non hanno più diritto a questo titolo. Coloro che, avendo concepito dei dubbi sull'esistenza storica di Gesù, si attengono solo al Cristo dogmatico, considerandolo come un simbolo di esperienze e di convinzioni religiose, non hanno più il diritto di rivendicare questo nome, benché conservano ancora l'illusione di essere cristiani. Chiunque neghi la storicità di Gesù ha cessato per questo fatto, se è leale, di essere cristiano, e in qualunque modo accolga il personaggio del Cristo, ha abbandonato una volta per tutte il terreno del cristianesimo. Se si domanda: possiamo ancora essere cristiani? Colui che ha ben compreso i dati del problema e che si è liberato dalla superstizione del Gesù storico può rispondere solo con un no categorico. Il cristiano autentico non può esimersi dal credere che Dio sia realmente disceso sulla terra diciannove secoli fa, sotto la forma di suo Figlio, che si sia fatto crocifiggere per riscattare i peccati del mondo, che sia morto e risorto, che sia salito al cielo per portarvi gli uomini dopo la loro morte, o per condannarli alle pene eterne. Colui che non crede a tutto ciò per quanto possa essere il migliore degli uomini, lo spirito più eminente, la più brillante luce della Chiesa, non cesserà nondimeno di essere cristiano nel senso primitivo del termine, e né la pietà più ardente, né confessore, né angelo dal cielo, né Dio stesso potrebbero assolverlo dall'accusa di essersi arbitrariamente fabbricato un cristianesimo moderno.

Per noi, con la migliore volontà del mondo, non possiamo più aggiungere fede al Cristo storico, e ci vediamo posti di fronte a questo dilemma: o rinunciare definitivamente ad ogni religione, oppure se abbiamo ancora aspirazioni religiose, di soddisfarle in modo diverso rispetto al cristianesimo. Il ritorno all'antica religione e all'antica Chiesa ci è sbarrato per sempre. Ci sembrano troppo discutibili già nelle loro premesse, troppo poco chiare nelle loro origini ed esigono dalla nostra credulità troppe mostruose compiacenze perché potessimo restare in comunione con loro. La loro mistica della croce, la loro dottrina di Gesù Dio Salvatore, della sua resurrezione, del giudizio finale, del cielo e dell'inferno ci provocano lo stesso effetto dei racconti degli spiritisti che parlano di un mondo di spiriti sovrasensibili e dell'azione che questi eserciterebbero, alla maniera dei fantasmi, sugli eventi terreni. La loro morale, che i teologi vantano in quanto proveniente da Gesù e che motiva egoisticamente i suoi postulati per mezzo della sola prospettiva di ricompensa e di castigo, quella morale che mette tutte le sue massime all'unisono con l'attesa della fine del mondo presunta prossima, quella morale esclusivamente individualista, ha per noi solo un interesse retrospettivo relativo all'evoluzione delle idee. Lo storicismo della fede in Gesù ci sembra puerile e, invecchiando, quella fede ha perduto il suo sapore.

Non un solo libro del Nuovo Testamento, tranne forse l'Apocalisse di Giovanni, è stato scritto prima del secondo secolo. Tutto il Nuovo Testamento, fintanto che si dà per un documento storico, si ritrova dunque ad essere l'opera di falsari di alto profilo, [1] e, con le sue idee e i suoi postulati divenuti inammissibili, ci appare come un libro che, più di ogni altro al mondo è stato sopravvalutato, grazie ai pregiudizi della nostra educazione e all'inerzia delle nostre facoltà intellettuali.

Per noi, le Scritture hanno perso quindi ogni interesse religioso, e ciò malgrado gli sforzi meglio intenzionati della cosiddetta teologia storica per adattare la sua dottrina alla coscienza moderna e, in qualche modo, per ridarle un sapore religioso. Quella teologia ci sembra fin troppo in disaccordo con sé stessa per poterci ricondurre, con i suoi propri mezzi, all'unità del credo religioso. «In che cosa», si domanda perfino uno dei suoi più eminenti rappresentanti, «se non nelle sue negazioni, c'è dunque unità di vedute nella teologia storica? Anche se i suoi rappresentanti fossero volte d'accordo sul risultato, non lo sono mai nella loro valutazione: ciò che pare decisivo ad uno, l'altro lo trova insignificante o male interpretato! Non esiste un'epistola di cui non si discuta la data, la dedica, l'occasione, la disposizione, l'integrità, insomma tutto. E chi ci ascolta soltanto un po' da lontano può intendere tutte le note possibili, abbondanza che non ha, purtroppo!, nulla di imponente. Ciò che rimane è l'impressione che nella nostra scienza si può provare tutto ciò che si vuole, vale a dire che essa è costruita tra le nuvole! (Jülicher).

Nella sua Geschichte der Leben-Jesu-Forschung (Storia degli studi relativi alla vita di Gesù, 2° ed. 1913), Albert Schweizer ha constatato il fallimento definitivo di tutti gli sforzi spesi per provare la storicità di Gesù. Werner Ebert ha dato la stessa prova per il Cristo dogmatico nella sua opera Der Kampf um das Christentum (La lotta per e contro il cristianesimo, 1921). 

Secondo Troeltsch noi dobbiamo restare ancora cristiani unicamente perché noi non disponiamo per il momento di una religione migliore. Ma una tale religione «in mancanza di meglio», una religione le cui premesse sono compromesse e la dottrina decrepita, una religione che è in contraddizione con tutta la nostra vita sociale, politica e intellettuale, è ai nostri occhi superata e non può più essere presa in considerazione per la soddisfazione delle nostre aspirazioni religiose.


NOTE  

[1] Non esamineremo se gli autori del Nuovo Testamento avessero coscienza della falsità che commettevano. Hausrauth dice benissimo: «Gli orientali non hanno la minima idea di un obbligo verso la verità». Ciò che non contribuiva alla maggior gloria della Chiesa, ciò che contraddiceva il dogma, ciò che disturbava gli spiriti era, senza il minimo scrupolo, passato sotto silenzio, negato o diversamente interpretato; infatti l'obiettivo pratico di far trionfare la propria comunità o di eliminare gli ostacoli che poteva incontrare soffocava nel germe ogni aspirazione teorica alla verità storica o alla correzione esegetica. Si vedevano le cose come si voleva che fossero, si era creduloni verso la propria storia e ingiusti verso quella degli altri. Si prendevano con la verità storica libertà tali che poteva accadere alla comunità che il suo proprio passato assumesse un carattere assolutamente mitico, e che anche gli eventi vissuti potessero trasformarsi nelle mani dei narratori (Kl. Schriften, 127). Ciò che importava a questi autori di far credere e di aver vissuto, essi non mancavano mai di averlo vissuto. Persone così immaginative a cui la loro stessa esistenza diventa un mito meritano evidentemente poco credito, diciamo addirittura che non meritano, in mancanza di altre garanzie, il minimo credito nelle loro affermazioni sul passato della loro chiesa. Queste scuole religiose e i loro maestri si tengono esclusivamente nel dominio della pia frode, cosicché pensieri, aspirazioni, parole, scritti, tutto diventa apocrifo. È quindi un errore risultante dall'ignoranza nella materia quello di rimproverare alla teologia storica di spazzare via troppo energicamente. Nello stato dei documenti, il solo metodo da seguire è quello del principio di Cartesio: «de omnibus dubitandum» (l.c. 135 s.). Ecco l'avviso di un teologo; non è difficile farne l'applicazione al problema di Gesù in generale. Confronta anche ciò che dice RASCHKE sulla nozione di realtà tra gli antichi, che era diversissima dalla nostra. 

2 commenti:

Angelou91 ha detto...

Seguo da un paio di anni il tuo blog e grazie alla lettura dei tuoi articoli ho iniziato a mettere in dubbio l’esistenza di Gesù Cristo.
Voglio farti questa domanda: Perché ad un certo punto una delle comunità dei seguaci del Gesù ebbero l’esigenza di confezionare una storia che lo facesse apparire come un uomo veramente esistito?

Giuseppe Ferri ha detto...

Per sapere il motivo, devi riuscire ad afferrare il senso del midrash cristiano del libro di Giosuè, midrash cruciale perché aveva fornito la risposta cristiana alla classica domanda sul nome del messia. Giosuè aveva effettivamente dato il suo nome al messia cristiano ed è per questo che il messia cristiano si chiama Giosuè. Ma perché questo sia chiaro, dobbiamo prima identificare l'essenza del libro di Giosuè.

Quale è dunque l'essenza del libro di Giosuè?

Questo: Giosuè è un agente dell'escatologia (altro nome per la "fine dei tempi"). Un agente della battaglia finale contro il male. Giosuè combatte il male assoluto (personificato da Amalek, una sorta di Anticristo della tradizione ebraica) ed è quindi potenzialmente un messia. Questa potenzialità, la lettura midrashica cercherà di trasformarla in certezza attraverso la ricerca. E quando cerchiamo, troviamo. Per esempio, quando leggiamo in Deuteronomio 34:9 che Giosuè è "pieno di spirito di sapienza", possiamo leggere che Giosuè è il messia. Come avviene questo? Per gematria, male ruaH hokhma è effettivamente 358 che è una valenza del messia.

Giosuè è il testimone della conversione di Raab e del tradimento di Acan. Ecco perché i Vangeli sono soprattutto il racconto della conversione dei pagani e del tradimento di Giuda. Queste conversioni (che, narrativamente, sono presentate come scene di guarigione) costituiscono il 95% del testo evangelico. Abbiamo anche visto che per i Padri della Chiesa, Raab è la figura della Chiesa e Giosuè è la prefigurazione di Gesù. Narrativamente, i vangeli seguono alla lettera il modello del libro di Giosuè. Gesù inizia il suo ministero come Giosuè attraversando il Giordano. Giosuè porta la terra promessa, Gesù porta il 7° giorno di riposo. Giosuè ricapitola le benedizioni e le maledizioni sul monte Ebal e sul monte Gerizim, Gesù pronuncerà quindi le beatitudini e le maledizioni contro i farisei. Il miracolo di Giosuè che ferma il sole a Gibeon non appare nei Vangeli, ma la pericope riguardante la guarigione della suocera di Pietro ne era l'equivalente midrashico. Altri dettagli, più difficili da localizzare, mostrano che il libro di Giosuè serviva come materiale per le elaborazioni evangeliche: Giosuè è così il testimone della morte di Eleazaro, Gesù vedrà così morire un Lazzaro. Giosuè e Gesù sono gli agenti di una seconda circoncisione. E così via.

I primi cristiani vedevano nel libro di Giosuè un elemento essenziale: questo libro racconta l'entrata nella terra promessa, ma questo evento è importante solo perché è un segno di un altro evento molto più essenziale: Dio compie le promesse fatte ai patriarchi (dare loro la terra). Questa promessa della terra è identica, in realtà, alla promessa dell'invio del messia, perché è lui che alla fine dei tempi doveva riportare Israele nella sua terra. È questa promessa che si adempie narrativamente nei Vangeli: Giosuè-Gesù viene a distruggere il male, a convertire i gentili, a punire gli ebrei che li hanno traditi e a riportare il popolo nella sua terra.

Nell'apocalittica ebraica, il messia deve arrivare al culmine del male. Il "male" arrivò (nel 70 E.C.) ma non il messia. Così lo si inventò a tavolino.