INDICE
Prefazione alla Prima e alla Seconda Edizione
Prefazione alla Terza Edizione
IL GESÙ PRECRISTIANO
I. L'Influenza del Parsismo sul Credo in un Messia
II. L'Idea Ellenistica di un Mediatore (Filone)
III. Gesù come Dio del Culto nel Credo di Sette Ebraiche
IV. Le Sofferenze del Messia
V. La Nascita del Messia. Il Battesimo
VI. L'Offerta di Sé del Messia. La Cena.
VII. Simboli del Messia. L'Agnello e la Croce.
IL GESÙ CRISTIANO
I. Il Gesù Paolino
II. Il Gesù dei Vangeli
a. Il Gesù Sinottico
Gesù nella Letteratura Secolare
b. Le Obiezioni contro una Negazione della Storicità del Gesù Sinottico
c. La Vera Natura del Gesù Sinottico
d. Gnosticismo e il Gesù Giovanneo
IL PROBLEMA RELIGIOSO DEL PRESENTE
IL PROBLEMA RELIGIOSO DEL PRESENTE
A parere dei teologi liberali, non il Dio ma piuttosto l'uomo Gesù forma la preziosa essenza religiosa del cristianesimo. [1] Nel dire questo si dice nientemeno che l'intera cristianità fino al giorno presente — cioè fino alla comparsa di un Harnack, di un Bousset, di un Wernle e di altri dal pensiero simile — era in errore circa sé stessa, e non ha riconosciuto la propria essenza. Infatti il cristianesimo, come mostra il racconto attuale, proprio dall'inizio concepiva il Dio Gesù, o meglio il Dio-uomo, l'Incarnato, il Dio redentore, sofferente con l'uomo e sacrificatosi per l'umanità, come il punto centrale della sua dottrina. La dichiarazione dell'umanità reale di Gesù non appare, d'altra parte, se non come una concessione posteriore di questa religione a circostanze esterne, estorta da essa solo più tardi dai suoi avversari, e difesa così espressamente da essa solo per la sua formazione della condizione inevitabile della sua permanenza nella Storia e del suo successo pratico. Solo il Dio, perciò, non l'uomo Gesù, può essere definito il “fondatore” della religione cristiana.
È in effetti l'errore fondamentale della teologia liberale pensare che lo sviluppo della chiesa cristiana traesse la sua origine da un individuo storico, dall'uomo Gesù. Sta diventando più comune la tesi che il movimento cristiano originale sotto il nome di Gesù sarebbe rimasto un fenomeno insignificante ed effimero all'interno del giudaismo se non fosse per Paolo, che per prima gli diede una visione religiosa del mondo con la sua metafisica di redenzione, e che per la sua rottura con la legge ebraica fondò realmente la nuova religione. Non richiederà molto tempo prima che si trovi necessaria l'ulteriore concessione, che un Gesù storico, come i vangeli lo ritraggono, e come egli vive nella mente dei teologi liberali di oggi, non è mai esistito; così che non egli non fondò mai la comunità insignificante e minuscola del Messia a Gerusalemme. Sarà necessario ammettere che la fede di Cristo sorse in modo del tutto indipendente da ogni personalità storica a noi nota; che in effetti Gesù era in questo senso un prodotto dell'“anima sociale” religiosa e fu reso da Paolo, con la quantità richiesta di reinterpretazione e di ricostruzione, il principale interesse di quelle comunità da lui fondate. Il Gesù “storico” non è prima ma dopo Paolo; e come tale egli è sempre esistito semplicemente come un'idea, come una pia finzione nella mente dei membri della comunità. Il Nuovo Testamento con i suoi quattro vangeli non è precedente alla Chiesa, ma quest'ultima è antecedente a loro; e i vangeli sono i derivati, formando di conseguenza un sostegno per la propaganda della Chiesa, ed essendo sprovvisti di ogni pretesa ad un significato storico.
Nulla di tutto ciò, come mostra Kalthoff, è da guadagnare per la comprensione del cristianesimo dalla visione completamente moderna che la religione sia una vita ed un'esperienza interamente personale. La religione è una vita personale del genere solo in un'età che è differenziata in personalità; è tale solo nella misura in cui questa differenziazione è stata realizzata. Fin dall'inizio la religione fa la sua apparizione come un fenomeno della vita sociale; è una religione di gruppo, una religione popolare, una religione di Stato; e questa natura sociale viene naturalmente trasferita alle associazioni libere che si formano nei limiti della tribù e dello Stato. Il discorso sulla personalità come il centro di tutta la vita religiosa è assurdo e non-storico per quanto riguarda l'origine del cristianesimo, per la ragione che il cristianesimo crebbe nelle associazioni religiose, nelle comunità. Da questa religione sociale la nostra religione personale è solamente stata sviluppata in una storia che è durata secoli. Solo dopo grandi lotte la religione personale è stata in grado di avere successo contro una forma essenzialmente più antica. Ciò che la gente devota di oggi chiama il cristianesimo, una religione dell'individuo, un principio di salvezza personale, sarebbe stata un'offesa e un'assurdità a tutto il cristianesimo antico. Sarebbe equivalso al peccato contro lo Spirito Santo che non fu mai perdonato; infatti lo Spirito Santo era lo spirito dell'unità della Chiesa, il legame della comunità religiosa, lo spirito della subordinazione del gregge al pastore. Per questo motivo la religione individuale esistette nella cristianità antica solo attraverso il mezzo dell'associazione della comunità della Chiesa. Un'impostazione privata della la propria religione era eresia, una separazione dal corpo di Cristo. [2]
Non possiamo rifiutarci di concedere alla Chiesa “cattolica”, sia romana che greca, che a questo riguardo essa ha conservato più fedelmente lo spirito della più antica cristianità. Questa da sola è oggi ciò che il cristianesimo in sostanza era una volta: la religione di un'associazione nel senso a cui ci siamo riferiti. Così il cattolicesimo si riferisce giustamente ad una “tradizione” per la verità della sua visione religiosa del mondo e per la correttezza delle sue affermazioni gerarchiche. Ma il cattolicesimo stesso senza dubbio stabilì per prima questa “tradizione” nei suoi propri interessi. Insegna anche un Gesù “storico”, ma chiaramente un Gesù che è storico solamente per tradizione, e della cui reale esistenza storica non è stato ancora stabilito il minimo indizio. Il protestantesimo, d'altra parte, è completamente non-storico nel passare i vangeli per delle fonti, come la base “rivelata” della fede in Cristo, come se fossero sorti in modo indipendente dalla Chiesa e rappresentassero i veri inizi del cristianesimo. Di conseguenza non si può basare la propria fede religiosa sul vangelo e desiderare tuttavia di stare fuori da quella comunità, dal momento che gli scritti del Nuovo Testamento possono passare solo per l'espressione della vita della comunità. Non si può quindi essere cristiani nel senso della comunità originaria senza cancellare la propria personalità e unirsi da membro con il “Corpo di Cristo” — cioè, con la Chiesa. Lo spirito di obbedienza e di umiltà, che Cristo domandò ai suoi seguaci, non è altro che lo spirito di subordinazione al sistema di regole di condotta osservate dalla società di culto che passa sotto il suo nome. Il cristianesimo nel senso originario non è altro che: cristianesimo “cattolico”; e questa è la fede della Chiesa nell'opera di redenzione realizzata dal Dio-uomo Cristo nella sua Chiesa e per mezzo dell'organizzazione infusa con il suo “spirito”.
Su basi puramente religiose il cosiddetto a torto “Cattolicesimo” avrebbe potuto probabilmente rinunciare alla finzione di un Gesù storico e tornare al punto di vista di Paolo prima dell'origine dei vangeli, se potesse avere fede oggi nella sua concezione mitologica, del Dio si sacrifica per l'umanità, facendo a meno di quella finzione.
Nella sua forma attuale, tuttavia, esso sta o cade come Chiesa con la fede nella verità storica del Dio-redentore; perché tutte le pretese gerarchiche e l'autorità della Chiesa si basano su questa autorità che è stata affidata a lei da un Gesù storico tramite gli apostoli. Il cattolicesimo riposa su questo, come è stato detto, sulla “tradizione”. Ma lo stesso cattolicesimo richiamò alla vita questa tradizione, proprio come i sacerdoti a Gerusalemme elaborarono la tradizione di un Mosè storico per far risalire a lui la loro pretesa di autorità. È l'“ironia della Storia Mondiale” che quella stessa tradizione subito dopo avrebbe costretto la Chiesa, per quanto riguarda il Cristo storico, a nascondere la sua vera natura dalla folla, e a proibire ai laici di leggere i vangeli, per via della contraddizione tra il potere della Chiesa e il Cristo tradizionale che aveva prodotto. Ma la posizione del protestantesimo è ancora più contraddittoria e più disperata di quella della Chiesa cattolica, in vista della nostra visione della natura fittizia dei vangeli. Infatti il protestantesimo non ha nessun senso se non la Storia reale per il fondamento della sua metafisica religiosa; e la Storia reale, osservata in modo imparziale, allontana da quelle radici del cristianesimo a cui agogna il protestantesimo, invece di condurre verso di loro.
Se questo è vero per l'ortodossia protestante, lo è ancora di più per quella forma di protestantesimo che pensa di poter mantenere il cristianesimo separato dalla sua dottrina metafisica di redenzione perché questa dottrina “non è più adatta per l'epoca”. Il protestantesimo liberale è e non vuole essere altro che una semplice fede nella personalità storica di un uomo che si suppone nato 1900 anni fa in Palestina e attraverso la sua vita esemplare era diventato il fondatore di una nuova religione; che fu crocifisso e morì in conflitto con le autorità di Gerusalemme, che fu resuscitato allora come un Dio nella mente dei suoi discepoli entusiasti. È una fede nell'“amorevole Dio Padre”, perché si suppone che Gesù avesse creduto in lui; nell'immortalità personale dell'uomo, perché si suppone che sia stato il presupposto dell'apparizione e delle dottrine di Gesù; nell'“incomparabile” valore delle istruzioni morali, perché figurano in un libro che si suppone sia stato prodotto sotto l'influenza immediata del profeta di Nazaret. Il protestantesimo liberale basa la moralità su questo, che Gesù era un uomo così buono, e che per questa ragione è necessario che ogni singolo uomo segua la chiamata di Gesù. Ma basta la fede in Gesù una volta e per tutte sul significato storico dei vangeli; anche se non può nascondere da sé, dopo un'attenta considerazione, il fatto che la fede nel loro valore storico poggia su motivi estremamente deboli, e che non sappiamo nulla di quel Gesù, nemmeno che lui sia mai vissuto. In ogni caso non sappiamo niente che avrebbe potuto essere di un influente significato religioso, e che non potesse essere messo assieme proprio altrettanto bene o meglio a partire da altre fonti meno dubbie. [3] È trafitto al cuore dalla negazione della personalità storica di Gesù, non, come il cattolicesimo, semplicemente come una Chiesa, ma nella sua stessa essenza, come Religione. E quanto al suo reale nucleo religioso esso consiste in qualche frase dal suono piacevole e in qualche riferimento sparso ad una metafisica che era un tempo vivente, ma che è ora degradata ad un semplice ornamento per menti modeste. E dopo aver eliminato il suo potenziale valore storico vi è lasciata solo una scintilla fiocamente fumante di “sentimenti senza dimora”, che si adatterebbero a qualsiasi stile di fede religiosa. Il protestantesimo liberale si proclama come il cristianesimo realmente “moderno”. Di fronte allo spirito filosofico dei nostri giorni, pone l'accento sul non avere alcuna filosofia. Mette da parte tutte le speculazioni religiose in quanto “Mito”, se possibile con riferimento a Kant, in quanto questo è “moderno”, senza notare che è esso stesso più profondamente immerso nella mitologia con il suo Gesù “storico”. Esso ritiene, nella sua esclusiva riverenza per l'uomo Gesù, di aver portato il cristianesimo all'“apice della cultura attuale”. Quanto a questo, Stendel dice giustamente: “Dell'intera arte apologetica con cui la teologia moderna di Gesù si accinge a salvare il cristianesimo per il nostro tempo, si può dire che non esiste una religione storica che non avrebbe potuto portarsi proprio altrettanto bene in accordo con lo spirito moderno al pari di quella del Nuovo Testamento”. [4]
È in effetti l'errore fondamentale della teologia liberale pensare che lo sviluppo della chiesa cristiana traesse la sua origine da un individuo storico, dall'uomo Gesù. Sta diventando più comune la tesi che il movimento cristiano originale sotto il nome di Gesù sarebbe rimasto un fenomeno insignificante ed effimero all'interno del giudaismo se non fosse per Paolo, che per prima gli diede una visione religiosa del mondo con la sua metafisica di redenzione, e che per la sua rottura con la legge ebraica fondò realmente la nuova religione. Non richiederà molto tempo prima che si trovi necessaria l'ulteriore concessione, che un Gesù storico, come i vangeli lo ritraggono, e come egli vive nella mente dei teologi liberali di oggi, non è mai esistito; così che non egli non fondò mai la comunità insignificante e minuscola del Messia a Gerusalemme. Sarà necessario ammettere che la fede di Cristo sorse in modo del tutto indipendente da ogni personalità storica a noi nota; che in effetti Gesù era in questo senso un prodotto dell'“anima sociale” religiosa e fu reso da Paolo, con la quantità richiesta di reinterpretazione e di ricostruzione, il principale interesse di quelle comunità da lui fondate. Il Gesù “storico” non è prima ma dopo Paolo; e come tale egli è sempre esistito semplicemente come un'idea, come una pia finzione nella mente dei membri della comunità. Il Nuovo Testamento con i suoi quattro vangeli non è precedente alla Chiesa, ma quest'ultima è antecedente a loro; e i vangeli sono i derivati, formando di conseguenza un sostegno per la propaganda della Chiesa, ed essendo sprovvisti di ogni pretesa ad un significato storico.
Nulla di tutto ciò, come mostra Kalthoff, è da guadagnare per la comprensione del cristianesimo dalla visione completamente moderna che la religione sia una vita ed un'esperienza interamente personale. La religione è una vita personale del genere solo in un'età che è differenziata in personalità; è tale solo nella misura in cui questa differenziazione è stata realizzata. Fin dall'inizio la religione fa la sua apparizione come un fenomeno della vita sociale; è una religione di gruppo, una religione popolare, una religione di Stato; e questa natura sociale viene naturalmente trasferita alle associazioni libere che si formano nei limiti della tribù e dello Stato. Il discorso sulla personalità come il centro di tutta la vita religiosa è assurdo e non-storico per quanto riguarda l'origine del cristianesimo, per la ragione che il cristianesimo crebbe nelle associazioni religiose, nelle comunità. Da questa religione sociale la nostra religione personale è solamente stata sviluppata in una storia che è durata secoli. Solo dopo grandi lotte la religione personale è stata in grado di avere successo contro una forma essenzialmente più antica. Ciò che la gente devota di oggi chiama il cristianesimo, una religione dell'individuo, un principio di salvezza personale, sarebbe stata un'offesa e un'assurdità a tutto il cristianesimo antico. Sarebbe equivalso al peccato contro lo Spirito Santo che non fu mai perdonato; infatti lo Spirito Santo era lo spirito dell'unità della Chiesa, il legame della comunità religiosa, lo spirito della subordinazione del gregge al pastore. Per questo motivo la religione individuale esistette nella cristianità antica solo attraverso il mezzo dell'associazione della comunità della Chiesa. Un'impostazione privata della la propria religione era eresia, una separazione dal corpo di Cristo. [2]
Non possiamo rifiutarci di concedere alla Chiesa “cattolica”, sia romana che greca, che a questo riguardo essa ha conservato più fedelmente lo spirito della più antica cristianità. Questa da sola è oggi ciò che il cristianesimo in sostanza era una volta: la religione di un'associazione nel senso a cui ci siamo riferiti. Così il cattolicesimo si riferisce giustamente ad una “tradizione” per la verità della sua visione religiosa del mondo e per la correttezza delle sue affermazioni gerarchiche. Ma il cattolicesimo stesso senza dubbio stabilì per prima questa “tradizione” nei suoi propri interessi. Insegna anche un Gesù “storico”, ma chiaramente un Gesù che è storico solamente per tradizione, e della cui reale esistenza storica non è stato ancora stabilito il minimo indizio. Il protestantesimo, d'altra parte, è completamente non-storico nel passare i vangeli per delle fonti, come la base “rivelata” della fede in Cristo, come se fossero sorti in modo indipendente dalla Chiesa e rappresentassero i veri inizi del cristianesimo. Di conseguenza non si può basare la propria fede religiosa sul vangelo e desiderare tuttavia di stare fuori da quella comunità, dal momento che gli scritti del Nuovo Testamento possono passare solo per l'espressione della vita della comunità. Non si può quindi essere cristiani nel senso della comunità originaria senza cancellare la propria personalità e unirsi da membro con il “Corpo di Cristo” — cioè, con la Chiesa. Lo spirito di obbedienza e di umiltà, che Cristo domandò ai suoi seguaci, non è altro che lo spirito di subordinazione al sistema di regole di condotta osservate dalla società di culto che passa sotto il suo nome. Il cristianesimo nel senso originario non è altro che: cristianesimo “cattolico”; e questa è la fede della Chiesa nell'opera di redenzione realizzata dal Dio-uomo Cristo nella sua Chiesa e per mezzo dell'organizzazione infusa con il suo “spirito”.
Su basi puramente religiose il cosiddetto a torto “Cattolicesimo” avrebbe potuto probabilmente rinunciare alla finzione di un Gesù storico e tornare al punto di vista di Paolo prima dell'origine dei vangeli, se potesse avere fede oggi nella sua concezione mitologica, del Dio si sacrifica per l'umanità, facendo a meno di quella finzione.
Nella sua forma attuale, tuttavia, esso sta o cade come Chiesa con la fede nella verità storica del Dio-redentore; perché tutte le pretese gerarchiche e l'autorità della Chiesa si basano su questa autorità che è stata affidata a lei da un Gesù storico tramite gli apostoli. Il cattolicesimo riposa su questo, come è stato detto, sulla “tradizione”. Ma lo stesso cattolicesimo richiamò alla vita questa tradizione, proprio come i sacerdoti a Gerusalemme elaborarono la tradizione di un Mosè storico per far risalire a lui la loro pretesa di autorità. È l'“ironia della Storia Mondiale” che quella stessa tradizione subito dopo avrebbe costretto la Chiesa, per quanto riguarda il Cristo storico, a nascondere la sua vera natura dalla folla, e a proibire ai laici di leggere i vangeli, per via della contraddizione tra il potere della Chiesa e il Cristo tradizionale che aveva prodotto. Ma la posizione del protestantesimo è ancora più contraddittoria e più disperata di quella della Chiesa cattolica, in vista della nostra visione della natura fittizia dei vangeli. Infatti il protestantesimo non ha nessun senso se non la Storia reale per il fondamento della sua metafisica religiosa; e la Storia reale, osservata in modo imparziale, allontana da quelle radici del cristianesimo a cui agogna il protestantesimo, invece di condurre verso di loro.
Se questo è vero per l'ortodossia protestante, lo è ancora di più per quella forma di protestantesimo che pensa di poter mantenere il cristianesimo separato dalla sua dottrina metafisica di redenzione perché questa dottrina “non è più adatta per l'epoca”. Il protestantesimo liberale è e non vuole essere altro che una semplice fede nella personalità storica di un uomo che si suppone nato 1900 anni fa in Palestina e attraverso la sua vita esemplare era diventato il fondatore di una nuova religione; che fu crocifisso e morì in conflitto con le autorità di Gerusalemme, che fu resuscitato allora come un Dio nella mente dei suoi discepoli entusiasti. È una fede nell'“amorevole Dio Padre”, perché si suppone che Gesù avesse creduto in lui; nell'immortalità personale dell'uomo, perché si suppone che sia stato il presupposto dell'apparizione e delle dottrine di Gesù; nell'“incomparabile” valore delle istruzioni morali, perché figurano in un libro che si suppone sia stato prodotto sotto l'influenza immediata del profeta di Nazaret. Il protestantesimo liberale basa la moralità su questo, che Gesù era un uomo così buono, e che per questa ragione è necessario che ogni singolo uomo segua la chiamata di Gesù. Ma basta la fede in Gesù una volta e per tutte sul significato storico dei vangeli; anche se non può nascondere da sé, dopo un'attenta considerazione, il fatto che la fede nel loro valore storico poggia su motivi estremamente deboli, e che non sappiamo nulla di quel Gesù, nemmeno che lui sia mai vissuto. In ogni caso non sappiamo niente che avrebbe potuto essere di un influente significato religioso, e che non potesse essere messo assieme proprio altrettanto bene o meglio a partire da altre fonti meno dubbie. [3] È trafitto al cuore dalla negazione della personalità storica di Gesù, non, come il cattolicesimo, semplicemente come una Chiesa, ma nella sua stessa essenza, come Religione. E quanto al suo reale nucleo religioso esso consiste in qualche frase dal suono piacevole e in qualche riferimento sparso ad una metafisica che era un tempo vivente, ma che è ora degradata ad un semplice ornamento per menti modeste. E dopo aver eliminato il suo potenziale valore storico vi è lasciata solo una scintilla fiocamente fumante di “sentimenti senza dimora”, che si adatterebbero a qualsiasi stile di fede religiosa. Il protestantesimo liberale si proclama come il cristianesimo realmente “moderno”. Di fronte allo spirito filosofico dei nostri giorni, pone l'accento sul non avere alcuna filosofia. Mette da parte tutte le speculazioni religiose in quanto “Mito”, se possibile con riferimento a Kant, in quanto questo è “moderno”, senza notare che è esso stesso più profondamente immerso nella mitologia con il suo Gesù “storico”. Esso ritiene, nella sua esclusiva riverenza per l'uomo Gesù, di aver portato il cristianesimo all'“apice della cultura attuale”. Quanto a questo, Stendel dice giustamente: “Dell'intera arte apologetica con cui la teologia moderna di Gesù si accinge a salvare il cristianesimo per il nostro tempo, si può dire che non esiste una religione storica che non avrebbe potuto portarsi proprio altrettanto bene in accordo con lo spirito moderno al pari di quella del Nuovo Testamento”. [4]
Non abbiamo nessun motivo di rimpiangere il completo abbandono di una simile “religione”. È già stato provato da Hartmann che questa forma di cristianesimo è priva di valore dal punto di vista religioso; [5] ed è solo una dimostrazione del potere affascinante delle frasi, del lassismo nei nostri credi e della spensieratezza della folla in questioni religiose, il fatto che sia ancora viva. Per queste ragioni gli è persino permesso, sotto la guida della cosiddetta teologia critica, proclamarsi come il puro cristianesimo, ora noto per la prima volta. Così trova simpatia. Questa raccolta non sistematica di pensieri, selezionati arbitrariamente dalla visione del mondo e della vita offerta dai vangeli, che perfino così richiede di essere retoricamente gonfiata e artisticamente modificata prima che sia resa accettabile per l'epoca attuale — questa dottrina non astratta di redenzione, che alla base è incerta di sé —, questo culto sentimentale, estetico di Gesù, di un Harnack, di un Bousset e del resto per cui W. v. Schnehen così impietosamente spezzò la sua lancia; [6] questo intero cosiddetto cristianesimo di pastori colti e di laici bisognosi di redenzione, sarebbe da tempo venuto a soffrire per la sua povertà di idee, la sua dolcezza nauseante, se non si considerasse necessario mantenere il cristianesimo a tutti i costi, fosse anche a costo della privazione completa del suo contenuto spirituale. Il riconoscimento del fatto che il Gesù “storico” non ha alcun interesse religioso, ma al massimo riguarda gli storici e i filologi, sta cominciando davvero al presente a farsi strada in cerchie più ampie. [7] Se solo si conoscesse una via d'uscita dalla difficoltà! Se solo non si avesse paura di seguire una direzione chiara solo perché allora si potrebbe forse essere spinti al di là della religione esistente nel corso delle proprie idee — come ha mostrato l'esempio di Kalthoff ! Se solo non si avesse un tale timoroso rispetto per il passato e una così delicata “incoscienza storica” e un tale immenso rispetto per la “base storica” della religione esistente! Il riferimento alla Storia e la cosiddetta “continuità storica dello sviluppo religioso” è davvero sulla sua superficie semplicemente una via di uscita da una difficoltà, e un altro modo di porre il fatto che non si desidera derivare le conseguenze dalle proprie presupposizioni. Come se si possa ancora parlare di una “base storica” dove non c'è Storia reale, ma puro mito! Come se la “preservazione della continuità storica” potesse consistere nel mantenere come Storia reale ciò che sono finzioni mitiche, solo perché finora sono passate per verità storica, anche se abbiamo visto attraverso di loro un personaggio puramente fittizio e irreale! Come se la difficoltà della redenzione della civiltà attuale dal caos della superstizione, dell'inganno sociale, della vigliaccheria e della servitù intellettuale che sono legati al nome del cristianesimo, risieda in una sfera puramente spirituale e non piuttosto nel sentimento, nella pietà sciatta, nel forte peso della tradizione antica, soprattutto nelle relazioni economiche, sociali e pratiche che uniscono le nostre chiese al passato! La fede nel futuro del cristianesimo è ancora costruita non tanto sulla persuasiva verità interiore della sua dottrina, ma molto di più sul sentimento religioso innato dei membri della comunità, sull'educazione religiosa a scuola e a casa, e il conseguente repertorio crescente di idee metafisiche ed etiche, sulla protezione dallo Stato e — sulla legge di inerzia nella vita spirituale della folla. Per il resto, dal pulpito, nei documenti parrocchiali, e nella vita pubblica, viene usato un metodo di espressione che non è essenzialmente diverso da quello dell'ortodossia, ma è adattato così da permettere a ogni uomo di pensare a ciò che ritiene meglio per sé stesso. Ci viene detto con entusiasmo che così siamo in grado di mantenere la nave senza timone del protestantesimo ancora un po' sopra le acque, e che abbiamo “riconciliato” la fede con la cultura moderna nello “sviluppo ulteriore del cristianesimo”.
Così millenovecento anni di sviluppo religioso erano completamente in errore. Nessun altro corso è aperto a noi, se non una rottura completa con la dottrina cristiana della redenzione ? Questa dottrina, tuttavia — questo era il risultato del nostro esame precedente — è indipendente dal credo in un Gesù storico. Il suo centro di gravità risiede nella concezione dell'“incarnazione” di Dio, che soffre nel mondo ma è finalmente vittorioso su questa sofferenza; e attraverso l'unione con cui anche l'Umanità “prevale sul mondo” e guadagna una nuova vita in una sfera superiore dell'esistenza. Che la forma di questo Redentore divino del mondo si fuse, nelle menti della comunità cristiana, con quella di un uomo Gesù; che, successivamente a questo, l'atto di redenzione venne fissato quanto a tempo e luogo, è solo la conseguenza delle condizioni sotto cui apparve la nuova religione.
Per questo motivo si può solo reclamare, in e per sé, un significato pratico effimero, e non un valore religioso speciale; mentre d'altra parte è diventato il destino del cristianesimo che proprio questo farsi nella Storia del principio di redenzione renda impossibile per noi ancora riconoscere questa religione. Ma allora la preservazione della continuità storica o dello “sviluppo ulteriore” del cristianesimo nel suo vero significato probabilmente non consiste nel separare questo casuale lato storico della dottrina cristiana della redenzione dal suo legame con l'intera visione cristiana del mondo e nell'impostarlo da solo, ma solo nel tornare all'idea essenziale e fondamentale della religione cristiana, e affermando la sua dottrina metafisica della redenzione in un maniera rispondente più da vicino alle idee del giorno.
Dalla concezione di un Dio-redentore personale sorse la possibilità di sacrificare un uomo al posto di Dio, e di vedere l'uomo divino e ideale, cioè l'idea dell'Uomo, in un uomo reale. Dal crescente desiderio di autorità da parte della Chiesa per via della sua opposizione alla fantasia gnostica con la sua volatilità intellettuale del nucleo morale-religioso della dottrina paolina della redenzione, e dal desiderio di non rinunciare al legame storico con l'ebraismo su basi opportuniste, nacque la necessità di raffigurare il sacrificio espiatorio divino-umano come il sacrificio di un personaggio storico che era sorto nell'ebraismo. Tutte quelle diverse ragioni, che portarono alla formazione della fede in un Gesù “storico”, non hanno forza con noi, in particolare dopo che è stato dimostrato che la personalità del principio di redenzione, questo presupposto fondamentale della “Storia” evangelica, è alla fine da incolpare per tutte le contraddizioni e gli esiti di quella religione. Per ritornare alla sua essenza reale la dottrina cristiana della redenzione non può di conseguenza significare nient'altro se non la collocazione dell'idea del Dio-uomo, come figura alla base di quella dottrina, nel punto centrale della visione religiosa del mondo, attraverso la spoliazione della personalità mitica del Logos.
Dio deve diventare uomo, affinché l'Uomo possa diventare Dio ed essere redento dai limiti del finito. L'idea dell'Uomo che si realizza nel mondo deve essere essa stessa un'idea divina, un'idea della Divinità, e quindi Dio deve essere la radice e l'essenza comune di tutti i singoli uomini e cose; solo allora l'Uomo può raggiungere la sua esistenza in Dio e la libertà dal mondo, attraverso questa coscienza della sua essenza divina soprannaturale. La coscienza dell'Uomo di sé e della sua vera essenza deve essere essa stessa una coscienza divina. L'uomo, e in effetti ogni uomo, deve essere un fenomeno puramente limitato, una limitazione individuale, il rivestimento della Divinità con una forma umana. In potenza egli è un Dio-uomo, per rinascere un vero Dio-uomo attraverso la sua attività morale, e di conseguenza diventare veramente uno con Dio. In questa concezione tutte le contraddizioni del dogmatismo cristiano sono risolte, e il nucleo della sua dottrina di redenzione è preservato senza esser spogliato del suo vero significato con l'introduzione di una fantasia mitica o di coincidenze storiche, come è il caso nel cristianesimo.
Se dobbiamo ancora usare la lingua del passato, e chiamare l'essenza divina dell'umanità l'immanente testa di Dio, “Cristo”, allora qualsiasi progresso della religione può solo consistere nello sviluppo e nell'elaborazione di questo “Cristo interiore”, cioè, delle tendenze spirituali-morali che dimorano nell'umanità, nel riportarlo alla sua base assoluta e divina, ma non nella personificazione storica di questa natura umana interiore. Qualsiasi realtà del Dio-uomo di conseguenza consiste nell'attività di “Cristo” nell'Uomo, nella dimostrazione del suo “vero sé”, della sua personale essenza spirituale, nell'elevazione del proprio sé alla personalità sulla base della natura divina dell'Uomo, ma non nell'efficacia magica di una personalità divina esterna. Questo, infatti, non è altro che l'ideale religioso dell'umanità, che gli uomini hanno proiettato su una figura storica, al fine di assicurarsi la “realtà” dell'ideale. Non è vero che sia “essenziale” per la coscienza religiosa considerare il suo ideale in una forma umana, e che per questa ragione il Gesù storico è indispensabile per la vita religiosa. Se questo fosse vero, la religione non sarebbe, in principio, in grado di elevarsi al di sopra della fase mitica e primitiva della esternalità di Dio e della sua apparenza ai sensi, e di conquistare quei Dèi, lavorandoli sempre più nelle forme di una natura interiore. Questa, tuttavia, è l'essenza dello sviluppo religioso. La religione sarebbe altrimenti confinata in una provincia inferiore nell'esistenza umana dello spirito; e sarebbe rovesciata ogni volta che si veda attraverso la finzione di quella proiezione e la separazione di Dio dal proprio sé. È solo al cristianesimo ortodosso che è necessario rappresentare il Dio nell'Uomo come un Dio al di fuori dell'Uomo, come la personalità “unica” di un Dio-uomo storico; e ciò perché esso rimane ancora con un piede nel naturalismo religioso e nella mitologia, e le circostanze storiche di un'altra epoca hanno provocato la scelta di quella rappresentazione e la falsificazione dell'idea del Dio-uomo.
Pensare all'attività del mondo come attività di Dio; allo sviluppo dell'umanità, pieno di lotte e sofferenze, come la storia di una lotta e Passione divina; al processo del mondo come processo di un Dio, che in ciascuna singola creatura combatte, soffre, conquista e muore, così che possa superare i limiti del finito nella coscienza religiosa dell'uomo e anticipare il suo trionfo futuro su tutte le sofferenze del mondo — questa è la vera dottrina cristiana della redenzione. Rivivere in questo senso la concezione fondamentale da cui fiorì il cristianesimo — e che è indipendente da qualsiasi riferimento storico — equivale, infatti, a tornare a questo punto di partenza religioso. Il protestantesimo, al contrario, che ripudia la religione di Paolo e imposta i vangeli come il fondamento del suo credo, tuttavia, non va oltre lo sviluppo del cristianesimo nella Chiesa, indietro all'origine del cristianesimo, ma rimane sempre all'interno di questo sviluppo, e inganna sè stesso se pensa che possa prevalere sulla Chiesa dal punto di vista del vangelo. [8]
In tale interpretazione e sviluppo della concezione cristiana della redenzione una “continuità storica” è preservata proprio altettanto decisamente come lo è nella realizzazione unilaterale nella Storia di quel pensiero sul lato del protestantesimo liberale. Ciò che gli è di opposizione è, da un lato, la fede completamente antistorica in un Gesù storico; dall'altro lato, il pregiudizio contro il “Dio immanente”, o contro il Panteismo. Ma questo pregiudizio si basa interamente su quella finzione di un “mediatore” storico e sull'ipotesi ivi contenuta di una separazione dualistica del mondo e di Dio.
I rappresentanti della concezione monistica — che hanno cominciato a organizzarsi da poco tempo — dovrebbero essere più chiari sul significato di quella concezione di quanto lo siano per la maggior parte ancora al giorno d'oggi. Devono percepire che la vera dottrina dell'unità può solo essere la dottrina del tutto in uno. Ci deve essere un monismo idealistico in opposizione al monismo naturalistico di Haeckel, che è prevalente ancora oggi. Questo monismo non deve escludere ma includere l'esistenza di Dio; e la sua attuale e infruttuosa negazione di ogni religione deve approfondire una visione positiva e religiosamente preziosa del mondo. Allora, e non fino ad allora, sarà in grado di effettuare un'autentica separazione dalla Chiesa, e il movimento monistico, ancora nella sua infanzia, potrebbe portare ad un miglioramento interiore e ad un rinnovamento della nostra vita spirituale in generale. Richiede molta miopia da parte degli esponenti di un cristianesimo puramente storico supporre che la fede senz'anima e povera nel Dio personale, oppure come lo si considera meglio espresso oggi, nel Dio “vivente”, nella libertà e nell'immortalità, sostenuta dall'autorità della personalità “unica” di un uomo Gesù che morì duemila anni fa, sarà in grado per sempre di soddisfare i bisogni religiosi, anche quando la metafisica della redenzione, ancora legata ad essa in tutti i punti, e l'atteggiamento pio basato su questa siano completamente rimossi da essa. priam giungono ad una riconciliazione reciproca i cristiani ortodossi, rinunciando alla loro superstizione di un Gesù storico e i Monisti, sacrificando la loro altrettanto fatale superstizione nella sola realtà della materia e nelle verità redentrici della scienza fisica che da sola può dare felicità, meglio sarà per entrambi. Più sicuramente eviteremo l'eclisse totale della coscienza religiosa; e le nazioni civilizzate d'Europa si salveranno dalla perdita della loro spinta spirituale — verso la quale perdita vi sembra esserci al giorno d'oggi un continuo movimento su tutti i lati. Al momento ci sono solo due possibilità — o assistere tranquillamente mentre l'onda d'urto del naturalismo, diventando sempre più potente di giorno in giorno, spazza via l'ultima traccia del pensiero religioso, oppure trasferire il fuoco che affonda della religione al terreno del panteismo, in una religione indipendente da qualsiasi tutela ecclesiastica. Il tempo del Teismo dualistico è passato. Al presente tutti gli spiriti progrediti, in sfere molto diverse tra loro, concorrono a tendere verso il Monismo. Questo sforzo è così profondamente radicato e così ben giustificato, che la Chiesa non sarà in grado di sopprimerlo per sempre. [9] Il principale ostacolo per una religione e un'attitudine monistica è la fede, inconciliabile con la ragione o la Storia, nella realtà storica di un “unico”, ideale, e insuperabile Redentore.
Così millenovecento anni di sviluppo religioso erano completamente in errore. Nessun altro corso è aperto a noi, se non una rottura completa con la dottrina cristiana della redenzione ? Questa dottrina, tuttavia — questo era il risultato del nostro esame precedente — è indipendente dal credo in un Gesù storico. Il suo centro di gravità risiede nella concezione dell'“incarnazione” di Dio, che soffre nel mondo ma è finalmente vittorioso su questa sofferenza; e attraverso l'unione con cui anche l'Umanità “prevale sul mondo” e guadagna una nuova vita in una sfera superiore dell'esistenza. Che la forma di questo Redentore divino del mondo si fuse, nelle menti della comunità cristiana, con quella di un uomo Gesù; che, successivamente a questo, l'atto di redenzione venne fissato quanto a tempo e luogo, è solo la conseguenza delle condizioni sotto cui apparve la nuova religione.
Per questo motivo si può solo reclamare, in e per sé, un significato pratico effimero, e non un valore religioso speciale; mentre d'altra parte è diventato il destino del cristianesimo che proprio questo farsi nella Storia del principio di redenzione renda impossibile per noi ancora riconoscere questa religione. Ma allora la preservazione della continuità storica o dello “sviluppo ulteriore” del cristianesimo nel suo vero significato probabilmente non consiste nel separare questo casuale lato storico della dottrina cristiana della redenzione dal suo legame con l'intera visione cristiana del mondo e nell'impostarlo da solo, ma solo nel tornare all'idea essenziale e fondamentale della religione cristiana, e affermando la sua dottrina metafisica della redenzione in un maniera rispondente più da vicino alle idee del giorno.
Dalla concezione di un Dio-redentore personale sorse la possibilità di sacrificare un uomo al posto di Dio, e di vedere l'uomo divino e ideale, cioè l'idea dell'Uomo, in un uomo reale. Dal crescente desiderio di autorità da parte della Chiesa per via della sua opposizione alla fantasia gnostica con la sua volatilità intellettuale del nucleo morale-religioso della dottrina paolina della redenzione, e dal desiderio di non rinunciare al legame storico con l'ebraismo su basi opportuniste, nacque la necessità di raffigurare il sacrificio espiatorio divino-umano come il sacrificio di un personaggio storico che era sorto nell'ebraismo. Tutte quelle diverse ragioni, che portarono alla formazione della fede in un Gesù “storico”, non hanno forza con noi, in particolare dopo che è stato dimostrato che la personalità del principio di redenzione, questo presupposto fondamentale della “Storia” evangelica, è alla fine da incolpare per tutte le contraddizioni e gli esiti di quella religione. Per ritornare alla sua essenza reale la dottrina cristiana della redenzione non può di conseguenza significare nient'altro se non la collocazione dell'idea del Dio-uomo, come figura alla base di quella dottrina, nel punto centrale della visione religiosa del mondo, attraverso la spoliazione della personalità mitica del Logos.
Dio deve diventare uomo, affinché l'Uomo possa diventare Dio ed essere redento dai limiti del finito. L'idea dell'Uomo che si realizza nel mondo deve essere essa stessa un'idea divina, un'idea della Divinità, e quindi Dio deve essere la radice e l'essenza comune di tutti i singoli uomini e cose; solo allora l'Uomo può raggiungere la sua esistenza in Dio e la libertà dal mondo, attraverso questa coscienza della sua essenza divina soprannaturale. La coscienza dell'Uomo di sé e della sua vera essenza deve essere essa stessa una coscienza divina. L'uomo, e in effetti ogni uomo, deve essere un fenomeno puramente limitato, una limitazione individuale, il rivestimento della Divinità con una forma umana. In potenza egli è un Dio-uomo, per rinascere un vero Dio-uomo attraverso la sua attività morale, e di conseguenza diventare veramente uno con Dio. In questa concezione tutte le contraddizioni del dogmatismo cristiano sono risolte, e il nucleo della sua dottrina di redenzione è preservato senza esser spogliato del suo vero significato con l'introduzione di una fantasia mitica o di coincidenze storiche, come è il caso nel cristianesimo.
Se dobbiamo ancora usare la lingua del passato, e chiamare l'essenza divina dell'umanità l'immanente testa di Dio, “Cristo”, allora qualsiasi progresso della religione può solo consistere nello sviluppo e nell'elaborazione di questo “Cristo interiore”, cioè, delle tendenze spirituali-morali che dimorano nell'umanità, nel riportarlo alla sua base assoluta e divina, ma non nella personificazione storica di questa natura umana interiore. Qualsiasi realtà del Dio-uomo di conseguenza consiste nell'attività di “Cristo” nell'Uomo, nella dimostrazione del suo “vero sé”, della sua personale essenza spirituale, nell'elevazione del proprio sé alla personalità sulla base della natura divina dell'Uomo, ma non nell'efficacia magica di una personalità divina esterna. Questo, infatti, non è altro che l'ideale religioso dell'umanità, che gli uomini hanno proiettato su una figura storica, al fine di assicurarsi la “realtà” dell'ideale. Non è vero che sia “essenziale” per la coscienza religiosa considerare il suo ideale in una forma umana, e che per questa ragione il Gesù storico è indispensabile per la vita religiosa. Se questo fosse vero, la religione non sarebbe, in principio, in grado di elevarsi al di sopra della fase mitica e primitiva della esternalità di Dio e della sua apparenza ai sensi, e di conquistare quei Dèi, lavorandoli sempre più nelle forme di una natura interiore. Questa, tuttavia, è l'essenza dello sviluppo religioso. La religione sarebbe altrimenti confinata in una provincia inferiore nell'esistenza umana dello spirito; e sarebbe rovesciata ogni volta che si veda attraverso la finzione di quella proiezione e la separazione di Dio dal proprio sé. È solo al cristianesimo ortodosso che è necessario rappresentare il Dio nell'Uomo come un Dio al di fuori dell'Uomo, come la personalità “unica” di un Dio-uomo storico; e ciò perché esso rimane ancora con un piede nel naturalismo religioso e nella mitologia, e le circostanze storiche di un'altra epoca hanno provocato la scelta di quella rappresentazione e la falsificazione dell'idea del Dio-uomo.
Pensare all'attività del mondo come attività di Dio; allo sviluppo dell'umanità, pieno di lotte e sofferenze, come la storia di una lotta e Passione divina; al processo del mondo come processo di un Dio, che in ciascuna singola creatura combatte, soffre, conquista e muore, così che possa superare i limiti del finito nella coscienza religiosa dell'uomo e anticipare il suo trionfo futuro su tutte le sofferenze del mondo — questa è la vera dottrina cristiana della redenzione. Rivivere in questo senso la concezione fondamentale da cui fiorì il cristianesimo — e che è indipendente da qualsiasi riferimento storico — equivale, infatti, a tornare a questo punto di partenza religioso. Il protestantesimo, al contrario, che ripudia la religione di Paolo e imposta i vangeli come il fondamento del suo credo, tuttavia, non va oltre lo sviluppo del cristianesimo nella Chiesa, indietro all'origine del cristianesimo, ma rimane sempre all'interno di questo sviluppo, e inganna sè stesso se pensa che possa prevalere sulla Chiesa dal punto di vista del vangelo. [8]
In tale interpretazione e sviluppo della concezione cristiana della redenzione una “continuità storica” è preservata proprio altettanto decisamente come lo è nella realizzazione unilaterale nella Storia di quel pensiero sul lato del protestantesimo liberale. Ciò che gli è di opposizione è, da un lato, la fede completamente antistorica in un Gesù storico; dall'altro lato, il pregiudizio contro il “Dio immanente”, o contro il Panteismo. Ma questo pregiudizio si basa interamente su quella finzione di un “mediatore” storico e sull'ipotesi ivi contenuta di una separazione dualistica del mondo e di Dio.
I rappresentanti della concezione monistica — che hanno cominciato a organizzarsi da poco tempo — dovrebbero essere più chiari sul significato di quella concezione di quanto lo siano per la maggior parte ancora al giorno d'oggi. Devono percepire che la vera dottrina dell'unità può solo essere la dottrina del tutto in uno. Ci deve essere un monismo idealistico in opposizione al monismo naturalistico di Haeckel, che è prevalente ancora oggi. Questo monismo non deve escludere ma includere l'esistenza di Dio; e la sua attuale e infruttuosa negazione di ogni religione deve approfondire una visione positiva e religiosamente preziosa del mondo. Allora, e non fino ad allora, sarà in grado di effettuare un'autentica separazione dalla Chiesa, e il movimento monistico, ancora nella sua infanzia, potrebbe portare ad un miglioramento interiore e ad un rinnovamento della nostra vita spirituale in generale. Richiede molta miopia da parte degli esponenti di un cristianesimo puramente storico supporre che la fede senz'anima e povera nel Dio personale, oppure come lo si considera meglio espresso oggi, nel Dio “vivente”, nella libertà e nell'immortalità, sostenuta dall'autorità della personalità “unica” di un uomo Gesù che morì duemila anni fa, sarà in grado per sempre di soddisfare i bisogni religiosi, anche quando la metafisica della redenzione, ancora legata ad essa in tutti i punti, e l'atteggiamento pio basato su questa siano completamente rimossi da essa. priam giungono ad una riconciliazione reciproca i cristiani ortodossi, rinunciando alla loro superstizione di un Gesù storico e i Monisti, sacrificando la loro altrettanto fatale superstizione nella sola realtà della materia e nelle verità redentrici della scienza fisica che da sola può dare felicità, meglio sarà per entrambi. Più sicuramente eviteremo l'eclisse totale della coscienza religiosa; e le nazioni civilizzate d'Europa si salveranno dalla perdita della loro spinta spirituale — verso la quale perdita vi sembra esserci al giorno d'oggi un continuo movimento su tutti i lati. Al momento ci sono solo due possibilità — o assistere tranquillamente mentre l'onda d'urto del naturalismo, diventando sempre più potente di giorno in giorno, spazza via l'ultima traccia del pensiero religioso, oppure trasferire il fuoco che affonda della religione al terreno del panteismo, in una religione indipendente da qualsiasi tutela ecclesiastica. Il tempo del Teismo dualistico è passato. Al presente tutti gli spiriti progrediti, in sfere molto diverse tra loro, concorrono a tendere verso il Monismo. Questo sforzo è così profondamente radicato e così ben giustificato, che la Chiesa non sarà in grado di sopprimerlo per sempre. [9] Il principale ostacolo per una religione e un'attitudine monistica è la fede, inconciliabile con la ragione o la Storia, nella realtà storica di un “unico”, ideale, e insuperabile Redentore.
NOTE
[1] Si veda Arnold Meyer, “Was uns Jesus heute ist. Rel. Volksb.”, 1907 - una presentazione davvero impressionante del punto di vista protestante liberale; anche Weinel, “Jesus im 19ten Jahrhundert”.
[2] “Entstehung d. Chr.”, pag. 98 seq.
[3] Weinel, in effetti, nega decisamente che questa sia una caratteristica reale del protestantesimo liberale e afferma di averla cercata invano in ogni libro di un teologo liberale. Ma deve solo guardare nel lavoro di A. Meyer, che è citato da me, per trovare confermata la mia idea. Vi è detto di Gesù inter alia: “Non solo dovremmo muoverci e vivere nel suo amore, ma noi siamo com'era lui, della fede che questo amore vincerà il mondo, che è il significato, il fine e il vero contenuto del mondo; che il potere che uniformemente e onnipotentemente ricolma e guida il mondo, non è altro che il Dio in cui egli credeva [era Gesù allora un panteista?], e che egli chiama il suo padre celeste. Come egli credeva, così crediamo anche noi, che chiunque si fida di questo Dio e viva il suo amore ha trovato il senso della vita e il potere che lo preserva nel tempo e nell'eternità. Gesù era il fondatore della nostra religione, della nostra fede e della nostra vita interiore” (pag. 31). Secondo Meyer, Gesù ci attrae per i suoi modi, il suo Essere, il suo amore e la sua fede, ci sentiamo noi stessi legati a lui, diventiamo affini a lui e così viviamo per la sua forza; è chiamato “la voce di Dio per noi”, “nostro redentore”, e così via. Quelle sono semplicemente espressioni che applicate a Dio hanno almeno un significato valido, ma applicate all'uomo storico Gesù sono nient'altro che frasi, e devono essere spiegate puramente psicologicamente dal fatto che il liberalismo onorando l'uomo “unico” Gesù nondimeno consente con riluttanza di credere che la sua divinità venga in gioco. In quest'atmosfera, oscurata da frasi, si muove la cosiddetta “teologia” del protestantesimo liberale. Inoltre, Weinel stesso cita con approvazione una frase di Herrmann, che a sua volta dà espressione all'idea che Gesù è per il liberalismo protestante una sorta di “dimostrazione di Dio” (pag. 80), e aggiunge lui stesso: “Può davvero essere che la nostra concezione del significato di Gesù è stata spesso espressa goffamente. Può essere che nei discorsi, nelle conferenze, o in altri modi popolari di parlare a volte si dica qualcosa che potrebbe essere avanzato così goffamente da dare occasione perché siano dette certe cose”. In effetti, egli stesso sostiene riguardo a Gesù: “Chiunque pone l'ideale della sua vita in lui, sperimenta Dio dentro di lui” (pag. 84). Trova anche che il desiderio di Dio degli ebrei, dei greci, dei semiti e dei Tedeschi “potevano essere acquietati in lui”. Prendendo in considerazione quelle espressioni e l'intero tono che il signor Weinel preferisce adottare nei confronti degli avversari del suo punto di vista, sembra il momento di ricordargli ancora una volta “Die Selbstzersetzung des Christentums” di E. v. Hartmann (è ovvio che egli ha solo una conoscenza di terza mano con l'autore il cui punto di vista lo definisce Neo-Buddhismo, annoverandolo tra i sostenitori della moralità della pietà!) e in particolare il capitolo “Die Irreligiosität des liberalen Protestantesmus”. Qui, in relazione alla mancanza di metafisica mostrata dal protestantesimo liberale (un punto ammesso anche da Weinel) e al principio di amore di quest'ultimo, dice: “Se trasformiamo l'intera religione nell'Etica e ammorbidiamo tutta l'Etica nell'amore, rinunziamo a tutto ciò che è nella religione oltre all'amore, e tutto ciò che rende l'amore religioso. Con la presente confessiamo che l'impulso dell'amore si eleva nella religione poiché la religione propriamente detta è andata perduta. È vero che la religione non è uno squalo, come pensavano gli inquisitori, ma allo stesso tempo non è una medusa. Uno squalo può essere almeno terrificante, una medusa è sempre fragile”. Il protestantesimo liberale, come riassume Hartmann, consiste “di una metafisica informe, povera, superficiale, che è nascosta il più lontano possibile dagli occhi critici; di una devozione liberata con successo da ogni mistero, ma una devozione che è diventata così del tutto incapace di essere obiettata; di un'etica forzatamente separata dalla metafisica e per questo motivo irreligiosa. Riposa su una visione del mondo che per la sua mondanità e ottimistica contentezza con il mondo non è in alcun modo in grado di dare nascita ad una religione, e che prima o poi permetterà ai resti del sentimento religioso che ha portato con sé di soffocarsi nella facilità mondana”.
[4] Op. cit., pag. 39.
[5] Si veda E. V. Hartmann, “Die Selbstzersetzung des Christentums und die Religion der Zukunft”, seconda edizione, 1874, specialmente i capitoli 6 e 7.
[6] Si veda W. V. Schnehen, “Der moderne Jesuskultus”, seconda edizione, 1906; anche “Naumann vor dem Bankerott des Christentums”, 1907.
[7] Si veda il mio lavoro, “Die Religion als Selbstbewusstsein Gottes”, 1906, pag. 199 seq.
[8] Si veda il mio lavoro, “Die Religion als Selbstbewusstsein Gottes”, in cui è stato fatto il tentativo di formare una visione religiosa generale del mondo nel senso menzionato.
[9] Si veda “Der Monismus, dargestellt in Beiträgen seiner Vertreter”, 2 volumi, 1908.
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