lunedì 1 ottobre 2018

Il Mito di Cristo — IL GESÙ CRISTIANO (II): Il Gesù dei Vangeli (“Il Gesù Sinottico”)

IL GESÙ CRISTIANO

II

IL GESÙ DEI VANGELI

Per quanto ampiamente le opinioni possano differire perfino ora nell'ambito della critica evangelica, tutti gli investigatori realmente competenti concordano su un punto con rara unanimità: i vangeli non sono documenti storici nel senso ordinario della parola, ma dottrine, testi religiosi, documenti letterari che rivelano la mente della comunità cristiana. Il loro obiettivo non è di conseguenza dare informazioni riguardo la vita e gli insegnamenti di Gesù che corrisponderebbero alla realtà, ma suscitare la fede in Gesù come il Messia inviato da Dio per la redenzione del suo popolo, rafforzare e difendere quel credo contro attacchi. E in quanto dottrine essi si limitano naturalmente a raccontare talil parole ed eventi poiché possiedono qualche significato per la fede; e loro hanno l'interesse maggiore nel sistemare e rappresentare così i fatti in modo da farli accordare col contenuto di quella fede.

(a) IL GESÙ SINOTTICO.


Dei numerosi vangeli che erano ancora correnti nella prima metà del secondo secolo, come è ben risaputo, solo quattro sono giunti fino a noi. Gli altri non furono incorporati dalla Chiesa nel Canone degli scritti del Nuovo Testamento, e di conseguenza caddero nell'oblio. Di quelli al più ci rimangono un pò di nomi e frammenti isolati e insignificanti. Così sappiamo di un vangelo di Matteo, di Tommaso, di Bartolomeo, di Pietro, dei dodici apostoli, ecc. Dei nostri quattro vangeli, due recano i nomi di apostoli e due i nomi dei compagni e degli allievi di apostoli, vale a dire, Marco e Luca. In questo, naturalmente, non si intende in alcun modo il fatto che essi furono realmente scritti da quelle persone. Secondo Crisostomo quei nomi vennero loro assegnati per prima verso la fine del secondo secolo. E i titoli non recitano: Vangelo di Matteo, di Marco, e così via, ma “secondo” Matteo, “secondo” Marco, Luca, e Giovanni; così da indicare al più solo le persone o le scuole di cui rappresentano la concezione particolare del vangelo.
Di quei vangeli, di nuovo, quello di Giovanni si classifica come l'ultimo. Esso presuppone gli altri, e mostra una tendenza talmente dogmatica, da non poter considerarsi la fonte della storia. Dei vangeli rimanenti, che per via della loro somiglianza quanto alla forma e alla materia sono stati etichettati “sinottici” (ossia, tali da dover essere trattati in relazione l'un con l'altro e soltanto così capaci di dare un'idea reale della personalità del Salvatore), quello di Marco è considerato generalmente il più antico. Matteo e Luca si basano su Marco, e tutti e tre, secondo l'opinione prevalente, sono indebitati ad una fonte aramaica comune, in cui si suppone che i sermoni didattici di Gesù siano stati contenuti. La tradizione indica in Giovanni Marco, il nipote di Barnaba, allievo di Pietro, e compagno di Paolo nel suo primo viaggio missionario e successivamente un compagno di prigionia a Roma, l'autore del vangelo di Marco. È  creduto che questo fosse stato scritto poco dopo la distruzione di Gerusalemme (70 E.C.) — ossia, almeno quarant'anni dopo la morte di Gesù (!). Questa tradizione dipende da un'osservazione dello storico ecclesiastico Eusebio (risalente al 340 E.C. circa), secondo la quale Papia, vescovo di Ierapoli in Asia Minore, apprese dall'“anziano Giovanni” che Marco aveva esposto ciò che aveva ascoltato da Pietro, e che quest'ultimo lo aveva a sua volta udito dal “Signore”. Per via della sua natura indiretta e della famigerata inaffidabilità di Eusebio quest'osservazione non è un'osservazione degna di fiducia, [1] e la fede in essa dovrebbe scomparire in vista del fatto che l'autore del vangelo di Marco non aveva alcuna idea del luogo dove si suppone che Gesù fosse vissuto. E tuttavia si suppone che Marco sia nato a Gerusalemme e sia stato un missionario! Come mostra Wernle nel suo lavoro, “Die Quellen des Lebens Jesu”, Marco figura abbastanza lontano dalla vita di Gesù sia nel tempo che nello spazio (!); in effetti, egli non ha nessun'idea chiara degli atti e del corso della vita di Gesù. [2] E Wrede conferma questo nella sua opera, “Das Messias—geheimnis” (1901), probabilmente l'inchiesta più chiara e più profonda nel problema fondamentale del vangelo di Marco in nostro possesso. Gesù è per Marco nel contempo il Messia e il Figlio di Dio. “La fede in questo dogma dev'essere sorta, dev'essere stabilita e difesa. L'intero vangelo è una difesa. Marco desidera condurre tutti i suoi lettori, tra cui egli conta i cristiani pagani e gentili, al riconoscimento di ciò che disse il centurione pagano, ‘Davvero quest'uomo era il Figlio di Dio!’ [3] L'intero racconto è diretto a questo fine”. [4
La dimostrazione principale di Marco per questo scopo è quella dei miracoli. Le dottrine di Gesù sono con Marco di tanto meno importanza dei suoi miracoli, che non apprendiamo mai esattamente cosa predicò Gesù. “Di conseguenza il ritratto storico è molto oscuro: la persona di Gesù è distorta nel grottesco e nel fantastico” (!) [5] Non solo Marco introduce spesso il suo pensiero nella tradizione circa Gesù, e così prova perfettamente sbagliata, e in effetti assurda, la tesi sostenuta, per esempio, da Wernle, secondo cui Gesù intenzionalmente aveva fatto uso di un modo oscuro di parlare e si era pronunciato in parabole ed enigmi per non essere compreso dalla gente; [6] ma anche il legame che ha stabilito tra i racconti, che erano andati prima di bocca in bocca per lungo tempo in isolamento, è un legame perfettamente disconnesso ed esterno. All'inizio le storie riportate da Marco erano totalmente disconnesse l'un con l'altra. Non ci sono prove del loro essersi succedute l'un l'altra nell'ordine attuale (!). [7] Cosicché solo il materiale, non ciò che ne fece Marco, è di valore storico. [8] Le storie singole, i discorsi e le frasi sono legati in un tutto da Marco; e abbastanza spesso si può osservare che qui abbiamo una tradizione che fu  edificata la prima volta nel cristianesimo più antico molto tempo dopo la morte di Gesù. Inizialmente le esperienze erano gradualmente modellate in una storia — e si potrebbero considerare in questo modo specialmente le storie dei miracoli. Nonostante tutte quelle rifiniture e alterazioni, e nonostante il fatto che nè nelle parole di Gesù e neppure nelle storie non sia più possibile per la maggior parte separare la forma reale dalla forma tradizionale, che per quaranta anni non fu messa per iscritto — nonostante tutto questo, il valore storico delle tradizioni date da Marco sono  stimate “altissimamente”. Infatti non solo è “preziosa” “l'impressione generale di potere, originalità, e creazione”, che è data in questo racconto di Marco, ma ci sono anche tante frasi individuali “corrispondenti alla realtà”. Numerosi racconti, immagini e osservazioni momentanei, “parlano da soli”. La modestia e l'ingenuità (!), La freschezza e la gioia (!) con cui Marco racconta tutto questo, mostra distintamente che egli è qui il riportatore di una tradizione valida, e che non scrive nient'altro che ciò che i testimoni oculari gli hanno riferito (!). “E così alla fine, nonostante tutto, questo vangelo rimane un lavoro straordinariamente prezioso, una raccolta di materiale antico e genuino, che è liberamente disposto e collocato sotto alcune concezioni principali; prodotto forse da quel Marco che il Nuovo Testamento conosce, e di cui Papia sentì dalla bocca dell'anziano Giovanni”. [9]
Non si crede ai propri occhi per questa maniera di tentare di presentare Marco come addirittura una “fonte storica” credibile per metà. Questo tentativo ci ricorderà solo con fin troppa forza le osservazioni ironiche di Wrede quando egli si sta prendendo gioco delle “decisioni di tuo gradimento” che prosperano nello studio della vita di Gesù. “Questo studio”, afferma Wrede, “soffre di suggestione psicologica, e questo è un unico stile di soluzione storica”. [10] Uno crede di poter confermare questo, un altro quello, come il nucleo storico del vangelo; ma nessuno dei due possiede dimostrazioni oggettive per le sue affermazioni. [11] Se desideriamo operare con un nucleo storico, dobbiamo davvero accertarci di un nucleo. L'intero punto è, qualcosa che in un aneddoto o in una frase è provato, rende improbabile, o almeno dubbiosa, qualsiasi altra spiegazione della materia in esame. [12] Sembra molto discutibile, dopo la sua critica radicale alla credibilità storica del vangelo di Marco, che Wrede abbia visto in esso un “nucleo storico” — anche se questo è supposto da Wernle “parlare per sé stesso”. Inoltre, l'opinione di Wrede a proposito del Marco “storico” non è essenzialmente diversa da quella di Wernle. Nella sua opinione, per esempio, i discepoli di Gesù, come li descrive il vangelo, con la loro mancanza di intelligenza al limite dell'idiozia, la loro follia, e la loro condotta ambigua per quanto riguarda il loro Maestro, “non sono figure reali”. Ammette anche, come abbiamo affermato, che Marco non aveva nessun'idea reale dell'esistenza storica di Gesù, [13] perfino se “frammenti pallidi” (!) di una tale idea erano penetrati nella sua concezione di fede sovra-storica. “Il vangelo di Marco”, dice, “trova in questo senso un posto tra le storie del dogma”. [14] La fede che in esso lo sviluppo della vita pubblica di Gesù sia ancora percepibile sembra essere in declino. [15] “Sarebbe davvero desiderabile nel più alto grado che tale vangelo non fosse il più antico”. [16]
Così, allora, Marco figura come una fonte storica. Dopo questo, difficilmente avremmo potuto sperare di essere più rafforzati nella nostra fede nella realtà storica di Gesù grazie agli altri due sinottici. Di questi, il vangelo di Luca deve essere stato scritto, nella prima parte del secondo secolo, da uno sconosciuto cristiano gentile; e il vangelo di Matteo non è l'opera di un singolo autore, ma fu prodotto — e inequivocabilmente nell'interesse della Chiesa — da varie mani nella prima metà del secondo secolo. [17] Ma ora entrambi, come abbiamo detto, sono basati su Marco. E anche se nelle loro rappresentazioni hanno raggiunto un certo “valore peculiare” che è carente in Marco — ad esempio, un maggiore numero di parabole e parole di Gesù — anche se hanno abbellito la storia della sua vita con l'aggiunta di passi leggendari (ad esempio, della storia del tempo che precedeva il Salvatore, di molte aggiunte al racconto della Passione e della Resurrezione, ecc.), questo non può stabilire l'esistenza di un Gesù storico. È vero che Wernle ritiene che in questo senso le “tradizioni antiche” siano state preservate “con fedeltà meravigliosa” da entrambi gli evangelisti; ma, d'altra parte, egli concede riguardo a certi resoconti di Luca che se anche avesse usato tradizioni antiche esse non hanno bisogno di essere state ancora scritte, e certamente non hanno bisogno di essere state “storicamente affidabili”.
Sembra piuttosto strano quando, lasciando completamente da parte il valore storico della tradizione, lui dichiara enfaticamente che anche un interesse così forte, come quello che a suo parere gli evangelisti avevano nella modellazione e nella formazione del loro racconto, non avrebbero potuto in alcun modo mettere da parte “il valore del suo ricco tesoro di parabole e storie, attraverso il quale Gesù stesso (!) ci parla con freschezza e originalità” (!). Conclude altrettanto stranamente alla fine, “che il valore peculiare di entrambi i vangeli,  nonostante la loro natura molto mista, ha meritato abbastanza  la nostra gratitudine” (!). [18] Sicuramente questo equivale a fare uso del valore letterario o di altro dei vangeli nell'interesse della fede nella loro credibilità storica.
Ma c'è ancora la raccolta di detti, quella “grande autorità in materia”, da cui si suppone che tutti i sinottici, e specialmente Luca e Matteo, abbiano derivato il materiale per le loro dichiarazioni su Gesù. Sfortunatamente questo costituisce per noi una quantità completamente sconosciuta, poiché non sappiamo né di cosa tratta questa “grande” autorità, né la sistemazione del suo materiale, e neppure il suo testo. Possiamo solo dire che questa collezione era scritta nella lingua aramaica, e che la disposizione del suo materiale non era apparentemente cronologico, ma secondo la somiglianza dei suoi contenuti. Ancora una volta è dubbio se la collezione fosse una singola opera, prodotta da un unico individuo; oppure se avesse avuto una storia prima che arrivasse a Luca e Matteo. Ugualmente, “la raccolta contiene un numero così prezioso delle parole del Signore, che con ogni probabilità un testimone oculare era il suo autore” (!). [19] Per quanto riguarda i discorsi di Gesù costruiti a partire da essa, non sono furono mai fatti veramente come discorsi di Gesù, ma devono la sovrapposizione del loro contenuto interamente alla mano del compilatore. Così il molto ammirato Sermone della Montagna è costruito col mettere assieme singole frasi di Gesù, che appartengono a tutti i periodi della sua vita, forse fatte nel corso di un anno. Le idee che lo attraversano e collegano le parti non sono quelle di Gesù, ma piuttosto quelle della comunità originaria; “tuttavia, il valore storico di quei discorsi è, nel complesso, davvero molto grande. Assieme alle ‘parole del Signore’ di Marco ci danno l'avvistamento più vero nello spirito del Vangelo” (!). [20]
Tali sono le autorità per la fede in un Gesù storico! Se esaminiamo tutto ciò che rimane dei vangeli, questo sembra davvero abbastanza “scarso” o, parlando chiaramente, pietoso. Wernle si consola con “Se solo sia certo e affidabile”. Sì, se! “E se soltanto fosse in grado di darci una risposta alla domanda principale: Chi era Gesù?” Questo è certo: una “Vita di Gesù” non può essere scritta sulla base della testimonianza dinanzi a noi. Probabilmente tutti i teologi odierni sono concordi su questo punto; che, tuttavia, non impedisce loro dal produrre nuovi saggi al riguardo, in ogni caso per la “gente”, supplendo così alla mancanza di affidabilità storica con la costruzione di effusioni e frasi retoriche. “Non vi è alcuna perdita di un prezioso materiale storico, di pietre per la costruzione della vita di Gesù; risiedono dinanzi a noi in abbondanza. Ma il piano per la costruzione è perso e completamente irrecuperabile, perché i discepoli più antichi non ebbero alcuna occasione per un simile legame storico, ma piuttosto pretesero obbedienza alle parole e alle azioni isolate, nella misura in cui suscitavano la fede”. Ma esse sarebbero state meno ispiratrici di fede se fossero state organizzate in maniera connessa, la credibilità dei racconti di Gesù sarebbe stata diminuita e non invece più aumentata, se gli evangelisti si fossero presi la briga di darci qualche altra informazione in più sulla vita reale di Gesù? Come le cose stanno al momento, a malapena due eventi vengono raccontati nella stessa maniera nei vangeli, o perfino nello stesso ordine. Anzi, le differenze e le contraddizioni — e questo non solo per cose non importanti, come nomi, tempi e luoghi, ecc. — sono così grandi che difficilmente quei documenti letterari del cristianesimo si possono superare per confusione. [21] Ma anche questo, secondo Wernle, “non è un gran peccato, se solo possiamo scoprire con sufficiente chiarezza, quali erano le azioni e i desideri di Gesù su punti importanti”. [22] Sfortunatamente non siamo in grado di fare neanche questo. Infatti la fonte ultima delle nostre informazioni, a cui arriviamo nel nostro esame delle autorità è completamente sconosciuta a noi — la raccolta aramaica dei detti, e quelle stesse tradizioni antiche da cui si suppone che Marco avesse derivato la sua produzione, tracce di cui sono state preservate per noi da Luca e Matteo. Ma perfino se conoscessimo anche quelle, quasi certamente non saremmo “giunti a Gesù stesso”. “Contengono la possibilità di polemica e di travisamento. Raccontano in primo luogo la fede dei cristiani più antichi, una fede che sorse nel corso di quattrocento anni, e inoltre cambiò parecchio in quel tempo”. [23] Sicché al massimo sappiamo solo la fede della comunità più antica. Vediamo come questa comunità ha cercato di chiarire per mezzo di Gesù la sua fede nella Resurrezione, come ha cercato di “provare” a sé stessa e ad altri la natura divina di Gesù tramite la recitazione di racconti di miracoli e simili. Cosa pensava Gesù stesso, cosa fece, cosa insegnò, quale era la sua vita, e — potremmo dirlo? — se sia mai vissuto — ciò non deve essere appreso dai vangeli e, secondo tutta la discussione precedente, non può essere stabilito da loro con certezza duratura.
Certamente il teologo liberale, per il quale tutto è compatibile con un Gesù storico, ha molte risorse. Spiega che tutta la discussione precedente non ha toccato il punto principale, e che questo punto è — Cos'era l'atteggiamento di Gesù verso Dio, verso il mondo e verso l'umanità ? Quale risposta offrì alle domande: Cosa importa agli occhi di Dio? e Cos'è la religione? Questo dovrebbe indicare che la soluzione del problema è contenuta in ciò che ha preceduto, e che questa soluzione è sconosciuta a noi. Ma questo non è il caso. Wernle lo sa, e lo esamina “alla chiara luce del giorno”. “Dalle sue numerose parabole e sermoni e da innumerevoli ricordi momentanei ci giunge tanto chiaramente quanto distintamente la sensazione che Gesù fosse  nostro contemporaneo [!]. Nessun uomo sulla terra può dire che sia o incerto oppure oscuro come la pensava Gesù su questo punto, che è per noi [vale a dire, per i teologi liberali] anche ai giorni nostri il punto principale”. “E se il cristianesimo ha dimenticato per un migliaio di anni che cosa desiderò il suo Maestro prima e di fronte a tutto, oggi (cioè, dopo le chiare soluzioni della teologia critica) esso brilla ancora una volta su di noi dai vangeli altrettanto chiaramente e meravigliosamente, come se il sole si fosse appena levato, cacciando davanti ai suoi raggi conquistatori i fantasmi e le ombre della notte”. [24]  E così Wernle stesso, a cui dobbiamo questa rassicurante sicurezza, ha scritto un libro, “Die Aufänge unserer Religion”, (1901), che è molto apprezzato nei circoli teologici, e in cui ha fornito un resoconto dettagliato, in un tono di travolgente sicurezza, dei pensieri più intimi, punti di vista, parole e insegnamenti di Gesù e dei suoi seguaci, proprio come se egli fosse stato effettivamente presente.
Dobbiamo stare attenti al nostro linguaggio. Quelle sono in effetti le opinioni di un uomo che deve essere prese sul serio, con le quali abbiamo avuto a che fare sopra, una “luce splendente” della sua scienza! Il libro spesso citato su “Die Quellen des Lebens Jesu” appartiene alla serie di “Libri Popolari sulla Storia di Religione”, che contiene la quintessenza dello studio teologico attuale, e che è destinato ai circoli più ampi interessati e istruiti nella religione. Possiamo supporre, probabilmente con giustizia, che quel lavoro esprime ciò che la teologia liberale dei nostri giorni desidera che sappiano e credano i membri della comunità a lei soggetta. Oppure è solo che i libri popolari sulla storia della religione collocano così in basso il livello intellettuale dei propri lettori da pensare di poter rafforzare la gente istruita nella loro fede in un Gesù storico tramite produzioni come quelle di Wernle? Consideriamo le opere elaborate più “scientificamente” di altri importanti teologi sullo stesso soggetto. Pensiamo a Beyschlag, Harnack, Bernard Weiss, a Pfleiderer, Jülicher e Holtzmann. Consultiamo Bousset, che ha difeso contro Kalthoff, con tanta determinazione e calore, l'esistenza di un Gesù storico. Ovunque c'è lo stesso dramma per metà comico, per metà patetico: da un lato le autorità evangeliche sono disprezzate e le informazioni sono criticare a tal punto che quasi nulla ne rimane di positivo; dall'altro lato c'è un entusiasmo patetico per il cosiddetto “nucleo storico”.
Poi viene la lode per la cosiddetta teologia critica e la sua “coraggiosa sincerità”, che, comunque, alla fine consiste solo nel dichiarare come tali miti e leggende evidenti. Questo era noto da molto tempo tra le persone prive di pregiudizi. Di solito vi segue un inno a Gesù con estatica finta meraviglia, come se tutte le dichiarazioni che lo riguardano nei vangeli avessero ancora validità. Che cosa dice allora Hausrath? — “Nascondere le parti miracolose dei racconti [evangelici] e quindi presentare ial resto come storico, finora non è accettato dalla critica”. [25] Possiamo obiettare alla teologia cattolica perché guarda con aperta pietà alla totalità della “critica” protestante, e la rimprovera di incoerenza, incompletezza e mancanza di risultati, che è il marchio di tutti i suoi sforzi per scoprire gli inizi del cristianesimo. [26] Non è giusto felicitarsi del colpo che il protestantesimo ha ricevuto e da cui deve necessariamente soffrire attraverso tutti questi tentativi per accettare i vangeli come base per un credo in un Gesù storico? Certamente ciò che i teologi cattolici portano avanti a favore del Gesù storico è privo così completamente di qualsiasi critica o addirittura di qualsiasi desiderio genuino di un chiarimento dei fatti, che realizzare un esame più dettagliato dei loro lavori su questo punto equivarebbe a far loro fin troppo onore. Per loro tutto il problema ha una soluzione molto semplice in questo: l'esistenza del Gesù storico costituisce il presupposto inevitabile della Chiesa, perfino se ogni fatto storico dovesse riportare il suo veto contro di essa; e come uno dei suoi scrittori ha espresso la sua opinione, che è in fondo l'opinione consolidata e unanime di tutte le nostre inchieste sull'argomento in discussione: “La testimonianza storica per l'autenticità dei vangeli è tanto antica, tanto ampia e tanto ben consolidata quanto lo è per pochissimi altri libri della letteratura antica (!). Se non vogliamo essere incoerenti non possiamo mettere in discussione la loro autenticità. La loro credibilità è fuori discussione; perché i loro autori erano testimoni oculari degli eventi (!) riportati, oppure ricavarono le loro informazioni da questi; erano giudici competenti (!) come possono esserlo uomini amanti della verità; potevano, e in effetti dovevano, dire la verità”. [27]
Quanto sembra diverso, rispetto a questo tipo di teologo, Kalthoff! È vero che siamo obbligati a tollerare l'unilateralità e l'insufficienza della sua ricostruzione positiva sull'origine del cristianesimo, del suo tentativo di spiegarlo, sulla base della manipolazione della storia da parte di Marco, puramente lungo le linee dei motivi sociali, e di rappresentare Cristo come il semplice riflesso della comunità cristiana e delle sue esperienze. Molto certamente egli ha torto nell'individuare il biblico Pilato con Plinio, il governatore della Bitinia sotto Traiano, e nella dimostrazione basata su questo; e questo perché in tutta probabilità la lettera di Plinio all'imperatore è una successiva invenzione cristiana. [28] Ma Kalthoff ha perfettamente ragione in ciò che dice sulla teologia critica moderna e sul suo Gesù storico. I teologi critici possono ritenersi giustificati nel trattare questo imbarazzante avversario da “incompetente” oppure ignorandolo a causa della base errata di argomentazione; ma tutti gli sforzi fatti con una tale perseveranza e penetrazione da parte dei teologi storici per derivare dalle autorità di fronte a noi una dimostrazione dell'esistenza di un uomo Gesù nel senso tradizionale hanno portato, come dice molto giustamente Kalthoff, ad una conclusione puramente negativa. “I numerosi passi nei vangeli che questa teologia, nel mantenere il suo Gesù storico, è obbligata a mettere da parte e a passare oltre, figurano da un punto di vista letterario esattamente sullo stesso piano di quei passi da cui si costruisce il suo Gesù storico; e di conseguenza rivendicano un valore storico pari a questi ultimi. Il Cristo sinottico, in cui la teologia moderna pensa di ravvisare le caratteristiche del Gesù storico, non è di un pelo più vicino ad una interpretazione umana del cristianesimo di quanto lo sia il Cristo del quarto vangelo. Ciò che gli epigoni della teologia liberale pensano di poter distillare come essenza storica da questo Cristo sinottico ha un valore storico solo come un monumento di magistrale sofisma, che ha prodotto i suoi esempi più raffinati nel nome della scienza teologica”. [29] La ricerca storica non dovrebbe distanziare così tanto da ogni altra Storia quella del cristianesimo primitivo come il dominio speciale della teologia e consegnarla agli ecclesiastici, come se per la decisione delle questioni su questo punto fosse necessario un talento abbastanza speciale — un talento ben oltre la sfera ordinaria della scienza e un talento che è posseduto solamente dal teologo della Chiesa. Il mondo avrebbe finito allora da un pezzo con l'intera letteratura della “Vita di Gesù”.
Le fonti che danno informazioni sull'origine del cristianesimo sono tali che, considerando il livello presente della ricerca storica, nessuno storico si preoccuperebbe di intraprendere un tentativo di produrre la biografia di un Cristo storico! [30] Esse sono, possiamo aggiungere, di una tale natura che un vero storico, che le incontra senza una convinzione o aspettativa precedente di trovarvi un Gesù storico, non può dubitare per un momento di avere a che fare qui con una finzione religiosa, [31] con un mito in una forma storica, che non differisce sostanzialmente da altri miti e leggende — come per esempio forse la leggenda di Guglielmo Tell.

NOTE

[1] Quanto al piccolo valore della dichiarazione di Papia, si veda Gfrörer, “Die heilige Sage”, 1838, 1, pag. 3-23; anche Lützelberger, “Die kirchl. Tradition über den Apostel Johannes”, pag. 76-93. L'intera storia, secondo la quale Marco ricevette da Pietro il contenuto essenziale del vangelo da lui chiamato, è basata su 1 Pietro 5:13, e serve semplicemente allo scopo di aumentare il valore storico del vangelo di Marco. “Siccome il primo vangelo fu creduto l'opera dell'apostolo Matteo, e il secondo (Luca) l'opera di un'assistente di Paolo, fu davvero facile attribuire al terzo (Marco) almeno un'origine simile al secondo, ossia, farlo risalire in una maniera analoga a Pietro; poiché sarebbe sembrato naturale per il principale degli apostoli, defunto da parecchio tempo, aver avuto il suo proprio vangelo, un vangelo dedicato a lui, come pure a Paolo. Il passo di 1 Pietro 5:13, “Marco, mio figlio, vi saluta”, dava un'opportunità conveniente per conferire un nome al libro”, (Gfrörer, op. cit., pag. 15; si veda anche Brandt, “Die evangelische Geschichte u. d. Ursprung des Christentums”, 1893, pag. 535 seq.).

[2] Op. cit., pag. 58.

[3] 15:39.

[4] pag. 60.

[5] Id.

[6] La spiegazione appropriata di questo dovrebbe risiedere nel fatto che la fede di Gesù fu impostata come un fatto della setta e non per “profani”.

[7] pag. 63 seq.

[8] pag. 68.

[9] pag. 70.

[10] pag. 3.

[11] Colpisce il lettore, che si tiene in disparte dalla controversia, la comicità nel trovare la materia sul soggetto descritta nelle opere teologiche come “indubbiamente storica”, “un distinto fatto storico”, “un vero resoconto di Storia reale”, e così via; e considerare che ciò che vale per uno come “storicamente certo” sia posto a lato da un altro come “molto certamente non-storico”. Dov'è il famoso “metodo” di cui i teologi “critici” sono così orgogliosi in opposizione al “pubblico laico”, che permette loro di formare giudizi quanto a ciò che è degno oppure indegno di essere storico dei vangeli?

[12] Wrede, op. cit., pag. 91.

[13] pag. 104.

[14] pag. 131.

[15] pag. 148.

[16] pag. 148.

[17] Si veda Pfleiderer, “Entstehung des Christentums”, pag. 207, 213. Ogni stima circa il tempo in cui furono prodotti i vangeli riposa interamente su supposizioni, in cui predominano generalmente punti di vista abbastanza differenti da quelli di interesse puramente storico. Così è stata l'abitudine da parte cattolica dichiarare, non Marco o Luca, ma Matteo, la fonte più antica. Anche “dimostrazioni” di questo sono offerte  — naturalmente, poiché si tratta in effetti del vangelo della “Chiesa”: esso contiene il famoso passo (16:18-19) circa il possesso di Pietro delle chiavi; come, allora, non dovrebbe essere questo il più antico? E di recente Harnack (“Beiträge zur Einl. in das N.T.”, 3., “Die Apostelgeschichte”, 1908) ha tentato di provare che gli Atti, col vangelo di Luca, erano stati già prodotti nella prima parte dell'anno 60 E.C. Ma egli non si preoccupa di arrivare ad una decisione reale; e le sue ragioni sono opposte da ragioni proprio altrettanto pesanti che vanno contro quella “possibilità” da lui suggerita (op. cit., pag. 219 seq.). Il fatto è questo, innanzitutto, che tutti gli altri scritti cristiani che appartengono al primo secolo, come l'epistola di Barnaba e il Pastore di Ermas, evidentemente non sanno niente di loro. Nell'epistola di Barnaba, scritta dopo il 96 E.C., leggiamo che Gesù scelse come suoi propri apostoli, come uomini che dovevano proclamare il suo vangelo, “quelli che erano più gravati di ogni peccato per dimostrare che non era venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori” (4). Quanto a questo Lützelberger osserva davvero giustamente, “Ciò è perfino più di quanto dicono i nostri vangeli. Infatti quelli si accontentano di provare che Gesù non venne per i giusti dicendo di aver mangiato con pubblicani e di essere stato unto da donne dall'esistenza corrotta; mentre in quest'epistola perfino gli apostoli devono essere i peccatori più malvagi, così che la grazia possa risplendere su di loro. Questo passo molto certamente non fu scritto né da un Apostolo e neppure da un allievo di un Apostolo: e non fu scritto neanche dopo i nostri vangeli, ma ad un tempo in cui gli eruditi Maestri della Chiesa avevano ancora mano libera nel mostrare il loro spirito e inventiva nel dar forma alla storia evangelica” (“Die hist. Tradition”, pag. 236 seq.). Ma anche la cosiddetta epistola di Clemente, che deve essere stata scritta all'incirca nello stesso tempo, è completamente silente circa i vangeli, mentre la “Dottrina dei Dodici Apostoli”, che forse appartiene a sua volta alla fine del primo secolo, cita le parole di Cristo, come figurano nei vangeli, ma non come detti di Gesù. Inoltre, secondo Harnack, la “Dottrina dei Dodici Apostoli” è l'elaborazione cristiana di un antico documento ebraico; da qui potremo concludere che le sue Parole di Cristo hanno nel pensiero ebraico un'origine simile a quella da cui i vangeli ricavarono le loro. (Si veda Lützelberger, op. cit., pag. 259-271).

[18] pag. 81.

[19] pag. 71.

[20] pag. 81 seq.

[21] Il pubblico laico, come è ben risaputo, non possiede che un leggero sospetto di questo. Così “Vergleichende Übersicht der vier Evangelien” di S. E. Verus (1897), col commentario, dev'essere raccomandato.

[22] pag. 83.

[23] pag. 83.

[24] pag. 85 seq.

[25] “Jesus u. d. neutestamentl. Schriftsteller”, 2. pag. 43. Si prenda il paragrafo finale di “Die wunderbare Geburt des Heilandes” di E. Petersen, che raggiunge il culmine nel provare la natura mitica del racconto evangelico della nascita del Salvatore: “Non perché lo desideriamo, ma perché siamo costretti a fare così per la necessità della Storia reale, se rimuovessimo la frase, ‘Concepito dallo Spirito Santo, nato dalla Vergine Maria’ — Gesù nondimeno rimane il ‘Figlio di Dio’. Egli rimane tale perché egli percepì Dio come suo padre, e perché egli sta al fianco di Dio per noi. Anche, a dispetto del nostro mettere da parte la nascita miracolosa in quanto non-storica, siamo abbastanza giustificati nel dichiarare ‘Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivente’”. Il signor Brückner parla in maniera simile al termine del suo libro altrimenti eccellente, “Der sterbende und auferstehende Gottheiland”. Per la persona a cui questa fraseologia non sia futile, non c'è nessun aiuto.

[26] Si veda “Jesus Christus”, un corso di conferenze effettuate presso l'Università di Friburgo, 1. B., 1908.

[27] Schäfer, “Die Evangelien und die Evangelienkritik”, 1908, pag. 123. La storia dello sviluppo della Chiesa nel primo secolo è una storia di vergognose falsificazioni letterarie, di rozza violenza in materie di fede, di messa a dura prova senza limiti della credulità delle masse. Così che per coloro che conoscono la Storia il leit motif della “credibilità” degli scrittori cristiani del tempo non solleva al massimo che un sorriso ironico. Si veda Robertson, “History of Christianity”, 1910.

[28] Si veda Hochart, “Études au sujet de la persécution des Chrétiens sous Néron”, 1885, capitolo 4.

[29] A. Kalthoff, “Das Christusproblem, Grundzüge zu einer Sozialtheologie”, 1902, pag. 14 seq.

[30] Kalthoff, “Die Entstehung des Christentums: Neue Beiträge zum Christusproblem”, 1904, pag. 8.

[31] Se v. Soden (“Hat Jesus gelebt?”, 7, pag. 45) ha provato errato il paragone con la leggenda di Guglielmo Tell, e pensa che io abbia dimenticato “probabilmente ancora una volta” che Schiller per prima trasformò una leggenda davvero povera, che era legata in un singolo episodio, dalla remota antichità in un quadro vivente, egli può non sapere né di Tschudi e neppure di J. v. Müller. Si veda Hertslet, “Der Treppenwitz der Weltgeschichte”, 6 Aufl., 1905, pag. 216 seq.

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