domenica 7 ottobre 2018

GESÙ CRISTO è esistito? — Il Problema



Il Dio di Coincidenza

Può qualcuno negare che

Una cosa dopo l'altra

In sequenza e logica

Mai vista prima

Non può essere che la

Interferenza di un Dio

Determinata a provare che

Ognuno che pretende

Di conoscere ora

Una cospirazione è

Demente?

(Kent Murphy)

È la losca pretaglia inglese, che si oppone sfacciatamente e con incredula svergognatezza ad ogni conoscenza scientifica ed è quindi fonte di grande scandalo per il nostro continente, giacché coltiva e promuove tutti i pregiudizi favorevoli a quella “fredda superstizione che chiama la sua religione” [da Fürst Pückler, Briefe eines verstorbenen] e attacca tutte le verità che ad essa si contrappongono, la principale colpevole delle ingiustizie che il magnetismo animale ha dovuto subire in Inghilterra, dove infatti, mentre in Germania e in Francia era stato riconosciuto da quarant'anni, nella teoria e nella pratica, era ancora deriso e condannato come un volgare imbroglio, senza che fosse sottoposto ad esame alcuno, con la sicumera dell'ignoranza: “Chi crede nel magnetismo animale, non può credere in Dio”, mi disse ancora nel 1850 un pretino inglese: hinc illae lacrimae [donde queste lacrime, Orazio, Epist., I, 19]! Alla fine però il magnetismo animale ha issato la sua bandiera anche sull'isola dei pregiudizi e degli imbrogli preteschi, a ulteriore e gloriosa conferma del fatto che magna est vis veritas, et praevalebit [grande è la forza della verità, ed essa prevarrà, LXX, Esra 4, 41], splendido versetto biblico davanti al quale ogni prete anglicano trema per le sue prebende. È giunta comunque l'ora di inviare in Inghilterra missioni di ragione, illuminismo e anticlericalismo, con la critica biblica di von Bohlen e di Strauss in una mano e la Critica della ragion pura nell'altra, per impedire le malefatte di coloro che si firmano reverend, i più altezzosi e sfacciati di tutti i parroci del mondo, e por fine allo scandalo. Nel frattempo possiamo, a questo riguardo, sperare il meglio dai vapori e dalle ferrovie, indispensabili allo scambio delle idee come a quello delle merci e quindi assai più pericolosi per quella bigotteria plebea che in Inghilterra è curata con tanta maliziosa sollecitudine e che domina persino i ceti più alti. Pochi infatti leggono, ma tutti chiacchierano; e quelle figure danno loro l'occasione e l'agio di poterlo fare. Ma non si può più tollerare che con la loro volgarissima bigotteria quei parroci degradino quella che è la più intelligente e, quasi sotto ogni rispetto, la prima nazione d'Europa facendone l'ultima e la espongano così al pubblico ludibrio; quanto meno se si pensa al mezzo col quale hanno raggiunto questo scopo, ovvero quello di strutturare l'istruzione del popolo, a loro affidata, in modo tale che due terzi della nazione inglese non sappiano leggere. E così la loro insolenza giunge ad attaccare i risultati ormai comunemente attestati della geologia sui pubblici giornali, con ira, sarcasmo e insulsa ironia, perché vorrebbero che la fiaba mosaica della creazione fosse creduta alla lettera, senza accorgersi che coi loro attacchi colpiscono il vaso di ferro con quello di terracotta. [Gli inglesi sono un tale matter-of-fact nation che se le più recenti scoperte storiche e geologiche (ad esempio il fatto che la piramide di Cheope sia di 1000 anni precedente al diluvio universale) dovessero sottrarre loro gli elementi di fatto e storici dell'Antico Testamento, tutta la loro religione precipiterebbe con essi nell'abisso.] Del resto la vera fonte dello scandaloso e ingannevole oscurantismo inglese è la legge della primogenitura [successione ereditaria del primogenito], che impone all'aristocrazia (intesa nel suo senso più ampio) di provvedere ai figli cadetti: l'istituto di previdenza per coloro che non sono adatti né alla marina né all'esercito è il church-establishment (nome caratteristico), con un reddito che ammonta a cinque milioni di sterline. Si fornisce cioè al cadetto un living (altro nome molto caratteristico: mezzo di sostentamento), ovvero una parrocchia, per favore o per denaro: frequentemente esse sono offerte in vendita sui giornali, o addirittura al pubblico incanto, [Il Galignani del 12 maggio 1855 pubblica un trafiletto del Globe, secondo il quale the Rectory of Pewsey, Wiltshire sarà venduta all'asta il 13 giugno 1855; e il Galignani del 23 maggio 1855 riporta dal Leader — e da allora sempre più spesso — tutto un elenco di parrocchie offerte all'asta: di ciascuna è indicata la rendita, le comodità locali e l'età del parroco attuale. Infatti le parrocchie della chiesa sono alienabili proprio come il posto di ufficiale dell'esercito: che cosa questo significhi per gli ufficiali, lo ha dimostrato la campagna di Crimea; quel che significa per i parroci, lo insegna l'esperienza quotidiana.] per quanto, per amor di decenza, non sia venduta proprio la parrocchia, ma il diritto a trasmetterla (the patronage), ma poiché questo commercio deve essere concluso prima che la stessa si renda effettivamente vacante, si aggiunge, tanto per attirare un po' l'attenzione, che l'attuale parroco avrebbe ad esempio già 77 anni, senza mancare di sottolineare le meravigliose possibilità di caccia e di pesca nei dintorni della parrocchia e l'elegante abitazione del parroco. È la simonia [commercio di cariche ecclesiastiche] più sfacciata del mondo. Si capisce quindi perché nella buona, voglio dire distinta, società inglese ogni sarcasmo sulla chiesa e sulla sua fredda superstizione sia considerato di cattivo gusto o sconveniente, secondo la massima quand le bon ton arrive, le bon sens se retire [quando arriva il buon gusto si ritira il buon senso]. Proprio per questo l'influenza dei preti in Inghilterra è tanto grande che, a duratura vergogna della nazione inglese, la statua di Byron, il suo maggior poeta dopo l'irraggiungibile Shakespeare, realizzata da Thorwaldsen, non poté essere collocata accanto a quelle degli altri grandi d'Inghilterra nel pantheon nazionale dell'abbazia di Westminster: e questo perché Byron ebbe abbastanza senso dell'onore da non fare concessione alcuna alla pretaglia anglicana e andarsene tranquillamente per la sua strada, mentre la statua del mediocre Wordsworth, frequente bersaglio del suo sarcasmo, ha trovato subito posto nell'abbazia di Westminster, nel 1854. La nazione inglese si segnala, per questa bassezza, as a stultified and prestridden nation [nazione stoltificata e pretificata]. L'Europa la schernisce a ragione. Una generazione ventura e più saggia trasporterà in pompa magna la statua di Byron nell'abbazia di Westminster. Voltaire invece, che ha scritto contro la chiesa cento volte più di Byron, riposa gloriosamente nel pantheon francese, la chiesa di santa Genoveffa, felice di appartenere a una nazione che non si fa menare per il  naso e comandare dai preti. Naturalmente gli imbrogli preteschi e la bigotteria non possono non avere effetti demoralizzanti. È demoralizzante che la pretaglia menta al popolo, che la metà di tutte le virtù consista di pigrizie domenicali e piagnistei preteschi, e che uno dei vizi più grandi, che spianerebbe la strada a tutti gli altri, sia il sabbathbreaking, ovvero il non impigrirsi la domenica: e spesso nei giornali accanto ai nomi dei poveri peccatori che saranno impiccati compare la spiegazione che tutta la loro vita peccaminosa sarebbe stata la conseguenza del sabbathbreaking. Proprio a causa del suddetto istituto di previdenza la povera Irlanda, i cui abitanti muoiono di fame a milioni, oltre al suo clero cattolico, che paga volontariamente e di tasca sua, deve ritrovarsi anche un  clero protestante nullafacente, con tanto di arcivescovo, dodici vescovi e un esercito di deans [decani] e rectors [parroci], per quanto essi vivano del patrimonio ecclesiastico senza gravare sulle spalle del popolo.
(Arthur Schopenhauer, Saggio sulla visione degli spiriti)


Avevano perso la loro guida — Paolo l'apostolo era morto — e ora vagavano solitari per vie sconosciute. Le grandi città dei pagani — Alessandria, Antiochia, Pergamo, Roma — apparivano lievemente minacciose ai margini profetici della loro vista.
Ora riempiva i loro occhi una scena infinitamente più terrificante, e davvero straniera.

Era quasi sopraggiunta la fine di Israele e tutti gli edifici più alti — il Tempio di Gerusalemme in primis — erano trasformati in forme anonime e affilate dopo l'arrivo dei Romani. E quel che rimaneva di loro ricoprivano le strade di uno spesso strato di ombre, così che sebbene in alto il cielo azzurro radioso continuasse ad ardere, quaggiù era già sera.

Dispersi negli angoli più remoti di un Impero pagano, la torpida confusione di un Nuovo Ordine Mondiale, il vociare grezzo e musicale di lingue aliene, divennero molto più ostili senza i fasti di un tempo e ancor più senza la loro guida. Era come se al riparo della segretezza del loro culto misterico il variopinto mercato religioso dell'epoca avesse assorbito pure loro e si fosse espanso, come se vi celebrasse cose incredibili, allestisse attrazioni e suggestioni religiose di ogni genere.

Così, poteva capitare di non accorgersi, mentre un'intera civiltà sembrava avvicinarsi al crepuscolo, che un arcangelo celeste era adorato ancora in quella religione misterica, un arcangelo rimasto celato lontano dalla vista e in attesa di alzarsi in forma di rivelazione, di alzarsi come un grido nella gola di qualcuno. Ancora per un po' gli Adepti di questo culto, nelle sue varie espressioni, si accontentavano di risiedere in quell'ansia apocalittica e di scavare nelle sue sfumature. A lungo esasperati da domande senza risposta, da risposte senza conseguenze, da una Fine che non arrivava, continuavano a farsi intossicare dall'atmosfera incipiente e inebriante dell'apocalisse. Erano ancora ipnotizzati dai riflessi tremuli dell'inimmaginabile.

Ma alla fine, come fossero posseduti da un qualche istinto fatidico, soccombettero allo spirito dell'intrigo e dell'apologia e cercarono di mettere stancamente a fuoco le glorie amorfe dell'arcangelo che avevano adorato.

La loro attenzione fu catturata da una nuova storia, una che non avevano mai sentito prima di allora.

L'atmosfera della storia era indefinita, se non fosse che si facevano i nomi di Pilato e di Erode, e si menzionava quello del “Battezzatore”.

Sulle prime questa storia si comprendeva a stento, perché il colore e la trama sembravano confonderli.

L'autore stesso di quella storia era nel più profondo anonimato. Non c'era nessun altro a sapere di quella storia, a poterla confermare né smentirla.

E cosa raccontava! Le avventure in terra di Giudea e Galilea di Gesù detto Cristo, il “Re dei Giudei” battezzato da Giovanni, predicatore e taumaturgo, profeta e maestro, rivelatore e rivelato, tradito, condannato, flagellato, crocifisso, sepolto, risorto. Varie curiosità di mille forme contorte reclamavano l'attenzione del lettore, incrociavano lo sguardo all'altezza dell'occhio, richiamavano le più sottili allusioni midrashiche perfino a chi fosse tra loro meno familiare di midrash. Alcune di quelle curiosità, in particolare quei dettagli piccolissimi ancorché marginali, non si potevano assimilare a nulla che avessero mai visto, non meno delle storie di miracoli e prodigi compiuti, sempre a detta di quella storia, dall'uomo chiamato Gesù.

La loro fede, manco a dirlo, si rafforzò. Adesso erano quasi sopraffatti dalla sensazione che nella loro esperienza di fede potesse davvero entrare qualcosa di inaudito, qualcosa che altrimenti non sarebbe riuscito a farli sopravvivere in un mondo a loro divenuto improvvisamente ostile, con la caduta di Gerusalemme e del Tempio stesso. Provavano ancora paura, ma una paura mista ora a speranza. Speranza che il loro entusiasmo mistico-allucinatorio d'un tempo, oramai prossimo a spegnersi, potesse in qualche modo cristallizzarsi nella speranza che quella storia infondeva loro. Al momento quella storia era il meglio che la vita sapesse offrirgli: una finzione di realtà che non ha vita e non inganna nessuno...

...se non coloro che volevano essere ingannati.

E per il momento erano al sicuro nel loro sogno, questo sogno inaugurato da questa storia.

Soltanto dopo — quando ad un occhio più attento si realizzano delle strane contraddizioni tra ciò che insegnava il Gesù di quella storia e ciò che rivelava il Gesù esperito tramite i loro sogni e le loro visioni e le loro estasi — la vera minaccia si rende nota. E comincia quando ben noti dettagli di quella storia ispirarono, a volte, tra una lettura e l'altra, momenti di dubbio. Allora i luoghi  si devono verificare, agli attori di quella storia è chiesto di dimostrare la propria esistenza reale, una mano cercatrice pone quesiti intorno alla loro consistenza ontologica.

In seguito vi sono intensi attacchi di sospetto, che non si calmano. Tutto di quella storia sembra sul punto di svelare la propria irrealtà e di svanire nell'ombra. E le ombre del dubbio e dell'incipiente eresia sembrano scivolare giù tra le righe di quella medesima storia, insinuare il lancinante e freddo quesito che non si tratti altro che di una qualche impostura del nemico, di bastardi cristiani rivali (perché di differenti cristianesimi se ne contavano un sacco all'epoca).

I loro occhi fissavano assenti la storia. Ora si sentivano vittime di una grande cospirazione che coinvolgeva i più remoti angoli del loro pur minuscolo universo, un'infinità di complotti che convergevano su di loro, su quei cristiani da parte di altri cristiani.

In seguito si optò per la decisione forse più ripugnante alla verità, ma di certo parecchio pragmatica: si decise di commercializzare quella storia, magari con qualche opportuno ritocco qua e là, nel vasto mercato religioso dell'Impero.
Come primo effetto si ritiravano i soldi dei nuovi ascoltatori della storia, e convertiti al Cristo a causa di quell'ascolto, i quali prima di poter anche solo ascoltare con le proprie orecchie questa meraviglia dovevano sottoscrivere un accordo di segretezza per garantire l'inviolabilità di quella storia. Per magico effetto, sbucarono come dal nulla pretesi testimoni degli stessi eventi misteriosi descritti in quella storia, col risultato che furono tutti quanti assai sollevati di saperlo. La fede nella nuova concezione terrena e “storica” del loro arcangelo celeste era stata trionfalmente stabilita: a essere pazzi erano chiunque osasse pensarla diversamente.

Ma perfino se quel dramma sacro si potesse ricondurre a origini definite, a altri vi avessero assistito, non si poteva dimostrare che tutte le testimonianze riguardo a quella storia non fossero viziate dal fanatismo o dalla falsificazione fin dal principio. Anzi, se ne deduceva una contraddizione più grande, una cospirazione dell'irrazionalità che implicava una pluralità di pazzi fanatici, un delirio che investiva tutti quei cristiani che cominciavano ad abbracciare per oro colato tutto quello che raccontava quella storia.

Ma quanto erano più fortunati loro, che aspettavano la morte pieni dell'esotica meraviglia che tanto avevano bramato di recepire in quella storia, rispetto a quei cristiani ancora all'oscuro di quella storia, oppure ostinatamente riluttanti a estinguere le ultime vestigia del loro entusiasmo e misticismo originario, dopo la morte di Paolo l'apostolo, nell'angusta incarcerazione senza nome — il dover prendere irrimediabilmente alla lettera quella storia — dove dovevano prima o poi riporre, loro malgrado, le loto ultime, flebili speranze.

E sebbene cercassero un senso in quella storia, modificandola qualora necessario, tutto quello che avrebbero trovato, forse, è una voce che sussurrava da un arcangelo celeste che era al di là di qualsiasi ragione terrena, e che non apparteneva a nessuno di loro.

Così, si deve parlare di quella storia: e dei rischi di accettarla falsamente come “Storia Ricordata” al tramonto di ogni altro ricordo. 




GEORGES LAS VERGNAS

GESÙ CRISTO
è esistito?

Tradotto da Giuseppe Ferri
Pubblicato nell'originale francese come  Jésus-Christ a-t-il existé?
presso CHEZ L'AUTEUR, Paris (1958).



IL PROBLEMA

Per molti studiosi, l'esistenza di Gesù è indiscutibile: “Può essere considerato un fatto ben stabilito”, dice uno di loro, “che Gesù, un personaggio della Storia, è morto a Gerusalemme intorno all'anno 30, sotto il regno di Tiberio, mentre Ponzio Pilato era procuratore della Giudea” [1]


Ma altri concludono il contrario con la stessa certezza. “Mi è diventato chiaro”, dice Alfaric, “che la personalità di Cristo è puramente mitica”. [2]


Questo conflitto di certezze ci obbliga a esaminare noi stessi la questione.


Che la necessità dell'impresa ne giustifichi la temerarietà!


NOTE


[1] Marcel Simon, Les premiers chrétiens, pag. 28 (Presses universitaires de France).


[2] Prosper Alfaric, Le problème de Jésus, pag. 22 (Cahier du Cercle Ernest Renan).

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