giovedì 20 settembre 2018

Il Mito di Cristo — IL GESÙ PRECRISTIANO (III): Gesù come Dio del Culto nel Credo di Sette Ebraiche

IL GESÙ PRECRISTIANO

III

GESÙ COME DIO DEL CULTO NEL CREDO DI SETTE EBRAICHE

Tutti gli spiriti religiosi del tempo desideravano assicurarsi questa felice visione e comunione con Dio, e ottenere anche qui sulla terra una pregustazione della vita celeste. Gli ebrei cercarono di ottenere questo mediante un'osservanza penosamente esatta delle ordinanze della loro legge, ma nel fare così divennero invischiati in una rete di regolamenti così minuziosi e noiosi che più si dedicavano al servizio della legge più appariva difficile. Sembrò non essere più possibile riconciliare le esigenze della vita quotidiana con i propri doveri religiosi. Alcuni perciò si trattennero dalla vita del mondo e nel ritiro e nella quiete tentarono di dedicarsi esclusivamente alla “vita interiore”. In Egitto i Terapeuti o Medici, un'associazione religiosa composta di ebrei e dei loro proseliti, con i loro quartier generali nei dintorni di Alessandria, cercarono in questa maniera, come ci informa Filone nella sua opera “Sulla Vita Contemplativa”, di concretizzare le affermazioni della religione come espresse dallo stesso Filone. [1] Le loro osservanze religiose rassomigliavano a quelle delle sette orfiche-pitagoriche, quanto ad astinenza da carne e da vino, ammirazione della verginità, povertà volontaria, banchetti religiosi e canto comunitario, e l'utilizzo di abbigliamenti bianchi.
Conducevano uno studio profondo dei testi mistici della rivelazione che erano stati preservati, e quelli li utilizzavano come una guida nella spiegazione allegorica della legge mosaica. Unirono una devozione contemplativa ad una comune osservanza religiosa, e così cercavano di rafforzarsi reciprocamente nella certezza della salvezza religiosa. Al di là del Giordano la setta ebraica degli esseni (dalla parola siriana chase, plurale chasen o chasaja) aveva il loro insediamento principale. Quelli si chiamavano, come è espresso dal loro nome, i “Pii” o “timorati di Dio”. Nella loro valutazione di moderazione, celibato, e povertà, la loro riprovazione della schiavitù, della proprietà privata, del fare giuramenti, e del sacrificio di sangue, nell'onore che tributavano al sole come una manifestazione visibile della luce divina, essi concordavano con i Terapeuti. Differivano da loro, comunque, nella loro organizzazione monastica e nella maniera regolare in cui la vita della comunità si divideva tra classi diverse, la loro stretta subordinazione a superiori, il loro mantenimento di un noviziato di parecchi anni, la segretezza delle tradizioni della setta, e la loro coltivazione di taumaturgia e di magia. I Terapeuti passavano le loro vite in una comoda contemplazione ed in esercizi spirituali; gli esseni, d'altra parte, si impegnavano nell'allevamento di bestiame, nell'agricoltura e nella coltivazione delle api, oppure praticavano un artigianato, e nei luoghi della religione oppure nei villaggi della Giudea, dove spesso dimoravano assieme nelle case del loro ordine, conducevano, come abitanti in un deserto, la vita di purezza e di santità. Entrambe le sette, di nuovo, erano simili nell'attesa di una fine imminente del mondo e nella volontà di prepararsi a ricevere le promesse di Dio tramite la pratica di disposizioni fraterne tra di loro, tramite giustizia, opere buone, e benevolenza verso i loro prossimi, trovando in ciò l'occupazione speciale delle loro esistenze. [2]
Di quale natura erano le tradizioni segrete su cui si basavano quelle sette? Sappiamo dallo storico ebreo Flavio Giuseppe che gli esseni si attenevano ad un estremo dualismo tra anima e corpo, in cui, in effetti, essi concordavano con le altre associazioni religiose dell'antichità. Al pari di tutte le sette mistiche, essi consideravano il corpo la tomba e la dimora-prigione dell'anima immortale, in cui era stato bandita da una vita precedente nella luce e nella beatitudine. Anch'essi basavano sul pessimismo riguardo l'esistenza umana la loro brama di liberazione dal mondo dei sensi e le loro aspirazioni alla gloria di una vita migliore dell'anima al di là della tomba. Anch'essi consideravano l'esecuzione di riti segreti una condizione necessaria di redenzione. Ma nell'opinione degli esseni era essenziale soprattutto sapere i nomi degli angeli e dei demoni che aprivano il passaggio ai diversi cieli disposti uno sopra l'altro. Questa conoscenza doveva essere rivelata agli uomini da uno degli dèi più alti, un redentore divino. Una concezione alleata a quella risiede alla radice del Libro della Sapienza, come pure alla radice dell'opera di Filone — la fede nel potere magico della parola redentiva di Dio, fusa dagli esseni con molti strani ingredienti egiziani, persiani e babilonesi e rimossi dalla sfera del pensiero filosofico al livello di una superstizione molto fantasiosa. Così la strettamente associata Apocalittica ebraica aveva espressamente supportato la rivelazione di una sapienza divina segreta. [3] In effetti, ora noi sappiamo che tutto questo mondo di pensiero apparteneva ad un sistema religioso sincretico eccessivamente molteplice, composto di ingredienti babilonesi, persiani, ebraici e greci, che governava tutta l'Asia occidentale negli ultimi secoli prima di Cristo. I suoi seguaci si chiamavano Adonei, dal nome del suo presunto fondatore, Ado (Adone?). Comunque, è descritta generalmente come la religione mandea, secondo un altro nome per i suoi seguaci, i cosiddetti Mandei (gnostici). [4]
Delle innumerevoli sette in cui questa religione si divise solamente un po' di nomi sono giunti fino a noi, dei quali alcuni recitarono una parte nella storia delle eresie del cristianesimo antico; per esempio, gli Ofiti o Naasseni, gli Ebioniti, i Perati, i Setiani, gli Eliognostici, i Sampsei, ecc. [5] Così noi siamo molto più familiari con le loro idee fondamentali, che erano davvero fantastiche e complicate. Tutti loro sottoscrivevano al credo nella redenzione dell'anima dell'uomo dalla sua tomba di oscurità tramite un essere mediatore, nascosto originariamente in Dio e poi risvegliato o costituito espressamente da lui per questo obiettivo. Nel mandeismo originario egli recava il nome di Mandâ de hajjê — cioè, Gnosi, o “parola” di vita. Nella forma di Hibil-ziwâ, il Marduk babilonese o Nabu, egli doveva discendere dal cielo con le sue chiavi, e per mezzo della sua magia doveva ottenere il dominio del mondo. Egli doveva conquistare quei demoni che erano decaduti da Dio, introdurre la fine del mondo, e riportare indietro le anime di luce alla più alta Divinità.
Come mostra l'Apocalittica, questa visione aveva numerosi adepti anche tra gli ebrei di Palestina. Tutti coloro che non trovavano alcuna soddisfazione nel letteralismo dei credi farisaici e nella superficialità affaristica della religione ebraica ufficiale, trovarono un'edificazione in idee di questo tipo, che stimolavano l'immaginazione. Essi le trattarono come “misteri”, e cercarono, come potrebbe ben essere per timore di conflitti con la religione tradizionale, di tenerle segrete al pubblico. [6] A questo si deve il fatto che abbiamo una così incompleta conoscenza di questo aspetto della vita religiosa degli ebrei. Ad ogni caso essi rivestirono il loro atteso Messia degli attributi del Dio mandeo di Mediazione, e sembra, come è chiaro dall'Apocalisse di Daniele e da quella di Giovanni, che avessero tratto un piacere particolare nella descrizione della scena dove Dio chiama (“risveglia”) il Redentore al suo ruolo di mediazione e lo insedia come Liberatore, Dominatore del Mondo, e Giudice dei vivi e dei morti.
Siamo abituati a guardare alla religione ebraica come strettamente monoteista. In verità, essa non lo fu mai, neppure in tempi mosaici, fino a dopo il ritorno dall'Esilio. E questo è chiaro, a dispetto del disturbo che i compositori dei cosiddetti libri storici dell'Antico Testamento hanno intrapreso per elaborare le tradizioni in un senso monoteistico e per nascondere le tracce dell'antico politeismo ebraico, trasformando gli antichi dèi in patriarchi, eroi, angeli, e servi di Jahvè. Non furono opinioni interamente babilonesi, persiane, e greche che influenzarono l'ebraismo in una direzione politeista; dal principio, inoltre alla teoria di un unico Dio, enfatizzata dal sacerdozio e dalla classe regnante, vi esisteva un credo in altri dèi. Questo ricevette costantemente fresca linfa da influenze straniere, e sembra che sia stato coltivato principalmente nelle società segrete. Alla discesa degli israeliti in Canaan ciascuna tribù recava con sè il suo Dio speciale, sotto la cui guida specifica credeva che fossero realizzati i suoi atti. Mediante le riforme dei Profeti quei dèi furono soppressi; ma più in alto crebbe il riguardo per Jahvè (apparentemente il Dio della tribù di Giuda), e più egli fu separato di conseguenza dal mondo ad una distanza irraggiungibile, più fortemente il ricordo degli antichi dèi spuntò di nuovo e assunse la forma del riconoscimento di esseri intermediari divini, i cosiddetti “Figli di Dio”. In quelli cercò espressione il desiderio della presenza diretta e della rappresentazione visibile di Dio. Tale sembra essere stata la “Presenza”, o “Angelo di Dio”, con cui Giacobbe combattè nel deserto, [7] che condusse gli israeliti fuori dall'Egitto e procedette di fronte a loro come una colonna infuocata, [8] che combattè contro i loro nemici, scacciò i cananei dalle loro case, [9] aveva relazione coi profeti Elia ed Ezechiele, [10], e rimase presso il popolo di Jahvè in ogni difficoltà. [11] Egli è chiamato anche il “Re” (melech), o “Figlio” di Jahvè, [12] e ricorda così precisamente il babilonese Marduk, il persiano Mitra, il fenicio Ercole o Moloc, “il primogenito” di Dio (Protogonos), che apparve anche tra gli Orfici sotto il nome di Fanes (ossia, Manifestazione), che combatte con Zeus ad Olimpia come Giacobbe combatte con Jahvè, e come lui, si ferisce il fianco nella lotta con Ippoconte. Nella teologia rabbinica egli è paragonato al mistico Metatrone, un essere associato al Logos, “Il Principe della Presenza”, “Capo degli Angeli”, “Signore dei Signori”, “Re dei Re”, “Principio della Via di Dio”. Egli fu chiamato anche il “Protettore”, “Guardia” e “Avvocato” di Israele, che espone petizioni di fronte a Dio, e “in cui è il nome del Signore”. [13] Così egli è identico a quell'Angelo promesso nel secondo Libro di Mosè in cui a sua volta c'è il nome di Jahvè, che doveva condurre Israele alla vittoria sugli Amorriti, gli Ittiti, i Perizziti, i Caananiti, gli  Ivvei, e i Gesubei. [14] Ma egli, di nuovo, è nient'altro che Giosuè, di cui si disse che aveva travolto quelle nazioni con l'aiuto di Jahvè. [15] Ma lo stesso Giosuè è apparentemente un antico Dio efraimita del Sole e della Fecondità, che figurava in stretta relazione con la Festa della Pasqua e con la pratica della circoncisione. [16]
Ora, molti segni parlano in favore del fatto che Giosuè o Gesù fosse il nome sotto il quale l'atteso Messia era onorato in certe sette ebraiche. In Zaccaria 3 Giosuè, il quale, secondo Esdra 3:2 riportò gli ebrei nelle loro antiche dimore dopo la cattività babilonese, proprio come il più antico Giosuè riportò gli israeliti in Canaan, la terra promessa dei loro padri, fu costituito Sommo Sacerdote dall'“Angelo del Signore”, e gli fu promessa la continuazione del suo sacerdozio fintantochè avesse camminato nelle vie del Signore. In Zaccaria 6:9-15 il Sommo Sacerdote Giosuè è incoronato Messia e portato in associazione col “ramo” sotto cui sarebbe venuta a passare la gloria del regno di Dio. È vero che in questo passo originariamente si intese, sotto il titolo di Messia, Zorobabele, il capo degli ebrei della stirpe di Davide. In lui il profeta pensava di poter discernere quel “ramo” tramite cui, in linea con Isaia 11:1, la Casa di Davide doveva ottenere di nuovo il potere. Dal momento, comunque, che le grandi speranze riposte su Zorobabele come Messia non si realizzarono, si fece una correzione (e questo prima che la Bibbia venisse tradotta in greco) nel testo dei profeti, come segue: Il nome di Zorobabele fu cancellato, il plurale cambiato al singolare, così da venir rappresentato solo Giosuè come colui che è stato incoronato, coerentemente trasferendovi su di lui anche le promesse riguardanti il Messia (Stade, “Gesch. des Volkes Israel”, 1888, 2. 126, nota. Huhn, “Die messianischen Weissagungen des israel. Volkes”, 1889, 62 et seq.).
Gesù fu un nome attribuito, come si mostrerà ancor più chiaramente, non solo al Sommo Sacerdote di Zaccaria e al successore di Mosè, di entrambi i quali si disse che avevano ricondotto Israele nella sua antica dimora, entrambi in possesso di una natura decisamente messianica. Il nome nei tempi antichi apparteneva anche al Benefattore e Patrono dei Medici — precisamente, Iasios o Giasone, il pupillo di Chirone esperto nella guarigione [17] — che in generale mostra una rassomiglianza considerevole col Redentore cristiano. Considera anche il fatto significativo che tre volte in decisivi punti di svolta nella storia degli israeliti appare un Giosuè a condurre il suo popolo nella sua dimora promessa, in Canaan e a Gerusalemme, nel Regno di Dio — la “Nuova Gerusalemme”. Ora, come sottolinea Epifanio nella sua “Storia degli Eretici”, Gesù reca nella lingua ebraica lo stesso significato di curatore, therapeutes — cioè, dottore e curatore. Ma i Terapeuti e gli esseni si consideravano dottori, e, soprattutto, dottori dell'anima. Di conseguenza non è in alcun modo improbabile che pure essi onorassero il Dio della loro setta sotto questo nome [18] Per giunta, leggiamo in un papiro magico parigino ritrovato di recente e pubblicato da Wessely (riga 3119 et seq.): “Io ti esorto per Gesù il Dio degli Ebrei”. Le parole si trovano in un apparentemente “Logos Ebraico” di quel papiro, il cui tono è molto antico, per di più non mostra nessuna traccia di un'influenza cristiana, ed è attribuito dal trascrittore a “il Puro”, sotto il cui nome, secondo Dieterich, si devono intendere gli esseni o i Terapeuti. [19] Gli Iessei o Iesseni (Jessaioi) si nominarono secondo Gesù, oppure secondo “il ramo della radice di Iesse”. [20] Essi erano in stretto contatto da un lato con gli esseni e dall'altro con la setta ebraica dei Nazareni o Nazorei (Nazoraioi), se non erano assolutamente identici. Quelli erano in esistenza, come mostra Epifanio, molto tempo prima di Cristo, e non avevano alcuna conoscenza di lui. [21] Essi erano, comunque, chiamati Nazorei (Nazareni, Nazarenos, è soltanto una sua variazione linguistica, si veda Esses ed esseni) perchè onoravano il Dio Mediatore, il “figlio” divino, come protettore e guardiano (siriano, Nasaryá; ebraico, Ha-nôsrî) (si veda “il Protettore di Israele”, anche il fatto che Mitra fu onorato come “Protettore del Mondo”). Secondo Atti 24:5 i primi seguaci di Gesù si chiamavano anche Nazorei o Nazareni. Le espressioni “Gesù” e “Nazoreo” erano perciò originariamente dal significato quasi simile, e per l'aggiunta di “il Nazoreo” o “Nazareno” Gesù non è caratterizzato come l'uomo di Nazaret, come lo rappresentano gli evangelisti, ma come il Guaritore e Liberatore.
La presenza di un posto di nome Nazaret nei giorni pre-cristiani si deve considerare come minimo davvero dubbio. Un posto del genere non è menzionato nè nell'Antico Testamento e neppure nel Talmud, il quale, comunque, menziona più di sessanta villaggi galilei; e neppure, di nuovo, dallo storico ebreo Flavio Giuseppe, e neppure negli Apocrifi. Cheyne si crede giustificato da questo alla conclusione che Nazaret nel Nuovo Testamento è una pura finzione geografica. [22]
   È solo nelle fasi successive della tradizione che il nome appare nel Nuovo Testamento come un nome di luogo. Nelle fasi più antiche il Nazoreo (Nazareno) significa soltanto il seguace di una setta particolare, oppure è un soprannome di Gesù che specifica il significato a lui associato nei pensieri dei suoi seguaci. “Il Nazoreo” appare qui solo come una parte integrale del nome intero di Gesù, come Zeus Xenios, Ermes Psicopompo, Apollo Pizio, ecc. ecc. È applicato a Gesù solo come Guardiano del mondo, Protettore e Liberatore degli Uomini dal potere del peccato e dei demoni, ma senza alcun riferimento ad un villaggio piuttosto oscuro e del tutto sconosciuto di nome Nazaret, che è menzionato in documenti al di là di ogni disputa, solamente a partire dal quarto secolo in poi (si veda Eusebio, Girolamo, ed Epifanio). Oppure dove altrimenti una setta si nomina secondo il luogo di nascita del suo fondatore? [23] Per giunta, perfino nei vangeli non è Nazaret ma Cafarnao che è descritta come la sua città; mentre Nazaret non gioca per niente alcuna parte nella vita di Gesù. Infatti i passi di Matteo 13:53-58 e di Marco 6:1-6, secondo cui egli non ebbe alcun successo coi suoi miracoli nella sua “patris” a causa dell'incredulità della gente, lasciano aperta la questione se sotto il nome di “patris” si debba comprendere il suo villaggio patrio Nazaret oppure qualche altro luogo. Il passo corrispondente, Luca 4:16-31, menziona Nazaret, è vero, in connessione a questo episodio; ma è in contraddizione con le versioni più antiche di Matteo e di Marco, ed appare altrimenti riconoscibile come una redazione successiva dei passi negli altri vangeli. [24
Ora l'epressione nazar o netzer nel senso di ramoscello (germoglio) si trova non solo nel passo ben noto di Isaia 11:1, dove il Messia è descritto come il “germoglio dal tronco di Iesse” o “il virgulto dalla sua radice”. Bene, non si guardava al ramoscello come ad un simbolo del Redentore nella sua natura di un Dio di vegetazione e di vita, com'era il caso nell'adorazione di Mitra, di Men, un dio dell'Asia Minore, di Attis, di Apollo, [25] ecc., e non si fece sentire quest'idea nel nome dei Nazarei? “Egli sarà chiamato un Nazareno”, [26] di conseguenza, non significa che egli doveva nascere nel minuscolo villaggio di Nazaret, che probabilmente non esisteva al tempo di Gesù, ma che egli è il promesso netzer o Zemah, che rende tutto nuovo, e restaura il tempo in cui “ogni uomo inviterà il suo vicino sotto la sua vite e sotto il suo fico” [27] e apparirà una meravigliosa crescita. [28] Di nuovo, non si esclude la possibilità che il nome dei Nazarei sia stato confuso con quello dei Nasirei (Naziriti), quelli “santi” o “sacri”, i quali erano una sopravvivenza in Giudea dai tempi in cui le tribù israelite erano nomadi. Quelli cercavano di esprimere la loro opposizione alla più alta civiltà della terra conquistata mediante una semplicità patriarcale e una purezza di vita, un'astinenza dall'uso di olio, vino e cesoie, ecc. [29]
Secondo questo, Gesù (Giosuè) fu originariamente una divinità, un mediatore, e un Dio di guarigione di quei settari ebrei pre-cristiani, con riferimento ai quali noi siamo obbligati a descrivere l'ebraismo del tempo — per quanto riguarda alcune delle sue tendenze, cioè — come una religione sincretica. [30] Anche “L'Apocalisse di Giovanni” sembra essere una redazione cristiana di un'opera originale ebraica che in tutta probabilità apparteneva ad un culto pre-cristiano di Gesù. Il Dio Gesù che vi appare non ha niente a che fare con il Gesù cristiano. Per giunta, la sua intera gamma di idee è così estranea perfino all'antico ebraismo che si può spiegare solo mediante l'influenza delle religioni pagane sulla religione ebraica. [31] Lo stesso avviene esattamente con la cosiddetta “Dottrina dei Dodici Apostoli”. Anche questa manifesta un fondamento ebraico, e parla di un Gesù nel contesto delle parole della cena, che non è in alcun modo lo stesso Redentore cristiano. [32] È comprensibile che i cristiani successivi fecero tutto ciò che potevano al fine di trascinare il velo dell'oblio su quelle cose. Nondimeno Smith ha avuto successo nel suo libro, “Il Gesù Pre-Cristiano”, nel mostrare prove chiare perfino nel Nuovo Testamento di un culto di un antico Dio Gesù. Tra altre cose la frase “Τὰ περὶ τοῦ Ἰησοῦ” (“Tutto ciò che riguarda Gesù”) [33] la quale secondo ogni apparenza non ha alcun riferimento alla storia di Gesù, ma significa soltanto le dottrine che lo riguardano,  e ad ogni caso avrebbe potuto avere originariamente soltanto questo significato, comporta una forma pre-cristiana di un credo in un Gesù. Ma questo punto è supportato soprattutto dalla circostanza che anche al più antico principio della propaganda cristiana incontriamo il nome di Gesù utilizzato in una maniera del genere come a indicare una lunga storia di quel nome. Infatti è impiegato dal principio nella cacciata di spiriti maligni, un fatto che sarebbe abbastanza incomprensibile se il suo portatore fosse stato semplicemente un uomo. Ora sappiamo dai vangeli e dagli Atti degli Apostoli che non erano solo i discepoli del Gesù dei vangeli, ma anche altri perfino nel suo tempo (ossia, perfino nel primo principio della propaganda cristiana), a guarire malattie, ed espellere spiriti maligni nel nome di Gesù. Da questo si deve concludere che la magia dei nomi era associata da tempo ancestrale alla concezione di un guaritore e protettore divino, e che Gesù, al pari di Marduk, era un nome per questo Dio di Guarigione. [34] A giudicare da questo la religione persiana, ma soprattutto la religione babilonese, deve aver influenzato le visioni delle sette sopra citate. Infatti la superstizione riguardante i nomi, la fede nel potere magico attribuito al nome di un essere divino, come pure la fede in dèi stellari e nella mitologia astrale, che è una caratteristica del mandeismo, hanno tutte Babilonia come loro casa. Anche gli esseni sembrano aver esercitato la magia e la taumaturgia di cui si vantavano facendo mostra di operare miracoli e cacciando spiriti maligni mediante una solenne invocazione del nome del loro Dio di Guarigione. [35]   

NOTE

[1] L'asserzione avanzata da Grätz e Lucius che l'opera menzionata è una fabbricazione di un cristiano del quarto secolo fintosi Filone con lo scopo di raccomandare l'“Ascesi” cristiana, e che una setta di Terapeuti non è mai esistita, si può considerare ora respinta, vista la sua confutazione da parte di Massebiau e Conybeare. Si veda Pfleiderer, “Urchristentum”, 2, 5 seq.

[2] Si veda in riguardo agli esseni, Shrürer, “Geschichte des jüdischen Volkes im Zeitalter Jesu Christi”, 1898, 2. 573-584.

[3] Riguardo il legame tra gli esseni e l'Apocalittica, si veda Hilgenfeld, “Die jüdische Apokalyptik”, 1857, pag. 253 seq.

[4] Su questo punto, si veda Brandt, “Die mandäische Religion”, 1899; “Realenzyklop, f.d. protest. Theologie u. Kirche”, 12. 160 seq.; Gunkel, op. cit., 18 seq.

[5] Si veda Hilgenfeld, “Ketzergeschichte des Urchristentums”, 1884.

[6] Gunkel, op. cit., 29.

[7] Genesi 32:24.

[8] Numeri 20:16; Esodo 13:21.

[9] Esodo 33:14; 2 Samuele 5:23.

[10] 1 Re 1:3; Ezechiele 43:5.

[11] Isaia 63:9 seq.

[12] Salmo 2.

[13] Si veda Ghillany, “Die Menschenopfer der alten Hebräer”, 1842, 326-334 ; Eisenmenger, “Entdecktes Judentum”, 1711, 1. 311, 395 seq. Anche Movers, “Die Phönizier”, 1841 ; 1. 398 seq.

[14] Esodo 23:20 seq.

[15] Giosuè 24:11.

[16] Giosuè 5:2-10. La natura non-storica di Giosuè è ammessa anche da Stade. Stade lo considera un mito efraimita, rammentando nel far così che i samaritani possedevano un libro apocrifo dello stesso nome al posto del nostro Libro di Giosuè (“Gesch. d. Volkes Israel”, 1887, 1. 64 seq., 135). Il Libro di Giosuè samaritano (Chronicum Samaritanum, pubblicato nel 1848) fu scritto in arabo durante il tredicesimo secolo in Egitto, ed è basato su un'opera antica composta nel terzo secolo A.E.C. contenente storie che in parte non appaiono nel nostro Libro di Giosuè.

[17] Che l'ipotesi di Smith qui menzionata è molto ammissibile dal punto di vista linguistico è stato mantenuto di recente da Schmiedel in opposizione a Weinel (Protestantenbl., 1910, Numero 17, 438).

[18] Epifanio, “Haeresiol.” 29.

[19] Smith, op. cit., 37 seq., 54.

[20] Isaia 2:1. Si veda Epifanio, op. cit.

[21] Id. 29:6.

[22] “Enc. Bibl.”, articolo “Nazaret”.

[23] “Dal momento che ha-nosrîm era un termine davvero abituale per guardiani o protettori, segue che quando il termine oppure il suo equivalente greco hoi Nazoraioi veniva utilizzato l'adozione del suo ben noto significato era inevitabile. Perfino se il nome fosse realmente derivato dal villaggio di Nazaret, nessuno vi avrebbe pensato. Ognuno si sarebbe inevitabilmente attenuto di colpo al significato corrente. Se una classe di persone erano chiamate protettori, ognuno avrebbe compreso ciò a significare che essi proteggevano qualcosa. Nessuno vi si sarebbe basato per derivare il loro nome da un altrimenti ignoto villaggio di nome Protezione” (Smith, op. cit. 47).

[24] Si veda a questo proposito Smith, op. cit., 36 seq., 42 seq.

[25] Si veda Cumont, op. cit., 195 seq.

[26] Matteo 2:25.

[27] Zaccaria 3:10.

[28] Jeremias, op.cit., 56; si veda anche 33 e 46, note.

[29] Robertson, “A Short History of Christianity”, 1902, 9 seq.

[30] Gunkel, op. cit., 34.

[31] Id., op. cit., 39-63; si veda anche Robertson,“Pagan Christs”, 1903, 155 seq.

[32] Si veda Robertson, op. cit., 156.

[33] Marco 5:27; Luca 24:19; Atti 18:25, 27:31.

[34] Luca 9:49, 10:17 ; Atti 3:16 ; Giacomo 5:14 seq. Per maggiori dettagli riguardanti il Nome magico, si veda W. Heitmüller, “Im Namen Jesu”, 1903.

[35] Si veda sull'intero soggetto Robertson, op. cit., 153-160.
 

Nessun commento: