venerdì 29 giugno 2018

Gli Inizi del Cristianesimo Gnostico : Cristianesimo Paolino e Giovanneo (VII) — La Natura del Quarto Vangelo

(segue da qui)

CAPITOLO VII

CRISTIANESIMO PAOLINO E GIOVANNEO

9. LA NATURA DEL QUARTO VANGELO

Il quarto vangelo, al pari delle epistole paoline, è stato cattolicizzato. Vi troviamo, sebbene meno varia, una simile opposizione dottrinale. La base del vangelo è un documento gnostico in cui sono riconoscibili estesi passi interpolati, lo scopo di alcuni dei quali, ma non di tutti, è di neutralizzare il primitivo gnosticismo. Schmiedel ha osservato l'incoerenza ed è confuso da essa. “Ci piacerebbe sapere”, dice, “se la commistione sia dovuta interamente a una perdita di chiarezza oppure se ammetta una spiegazione più soddisfacente”. La ha. La soluzione ipotetica di Schmiedel è che lo scrittore era nel processo di passare dallo gnosticismo all'insegnamento della Chiesa — la stessa vecchia ipotesi mediante la quale i critici hanno tentato di spiegare l'eterogeneità della dottrina paolina. La spiegazione è altrettanto impossibile in questo caso come nell'altro. Ciò che troviamo non è uno gnosticismo parzialmente cattolicizzato, ma a volte la piena espressione di un'idea gnostica seguita da vicino da una dottrina cattolica rafforzata da un'enfasi che prova che essa venne introdotta per contrastare lo gnosticismo precedente. Lo scrittore originale fu così completamente uno gnostico da dichiarare che il dio degli ebrei era malvagio e non il Padre di Gesù. [17] Schmiedel definisce il caso in maniera onestamente accurata quando dice che “le idee gnostiche appaiono, in generale, in maniera sporadica, e sono ridimensionate oppure rese innocue da altri detti”. [18] Il fatto non è che lo scrittore oscilla tra due opinioni; egli esprime chiaramente e fortemente le sue proprie opinioni. La supposizione che dopo aver fatto così egli immediatamente le avrebbe ridimensionate loro oppure le avrebbe rese innocue grazie ad altri detti è piuttosto ingiustificabile e parecchio improbabile; ma è esattamente ciò che ci si potrebbe aspettare che faccia un editore cattolicizzante.
In quanto uno gnostico lo scrittore era un completo simbolista. [19] Non è sorprendente che un critico dell'intelligenza di Schmiedel ha realizzato questo fatto, ma il suo pregiudizio come teologo cristiano gli ha impedito di applicare la sua conoscenza in modo coerente Un esempio del simbolismo dello scrittore è l'acqua viva che Gesù dice che avrebbe dato alla donna samaritana. Sappiamo cos'era quest'acqua. Ne abbiamo letto nelle Odi di Salomone. E proprio come quest'acqua di vita era una bevanda spirituale così anche il pane del Dio del cielo (6:33) è cibo spirituale. Ma apprendiamo dal verso 35 che lo stesso Gesù, perciò il Cristo spirituale, è questo pane della vita, che di conseguenza non si può mangiare letteralmente. Abbiamo già saputo che nell'Eucarestia cristiana gnostica il pane non era il corpo di Gesù, ma era un simbolo dell'unione reciproca dei membri, e della loro unione spirituale col Cristo. Era impossibile per uno gnostico immaginare di star consumando la carne di Gesù nel suo sacramento. E, dal momento che per lo scrittore del quarto vangelo Gesù era il Logos, anche per lui il pensiero di poter partecipare della sua carne e del suo sangue dev'essere stato non solo privo di significato ma perfino ripugnante. [20] C'è una prova di questo nello stesso vangelo. La Moltiplicazione dei Pani per Cinquemila (6:5-14), come percepì Schmiedel, è intesa a rappresentare il sacro pasto, il quale, comunque, non è il sacramento cattolico. Ciò si chiarisce nei versi immediatamente successivi in cui Gesù con un riferimento diretto alla Moltiplicazione comunica alle persone di essere il pane della vita che discese dal Cielo — vale a dire, un cibo spirituale. Una prova ulteriore del fatto che Giovanni non seguiva la visione cattolica del sacramento si trova nel suo resoconto dell'Ultima Cena, dove egli si trattiene — dobbiamo supporre, si trattiene intenzionalmente — dal fare in modo che Gesù dia ai suoi discepoli il pane e vino chiamandoli sua carne e suo sangue.
Numerosi critici eminenti — ad esempio, Wellhausen e Loisy — hanno riconosciuto il fatto che il quarto vangelo è composito. Al pari del vangelo di Marco, esso possedeva una Storia. Schwarz [21] notò tre fasi nella formazione del libro: un documento fondamentale da lui descritto come “una sorta di poema drammatico di grande originalità”, e due edizioni successive, di cui lo scopo della seconda era rendere il vangelo più accettabile alla Chiesa. Di conseguenza l'opera primitiva era probabilmente corrente in qualche comunità gnostica prima che vi fosse stato qualche suo riferimento conosciuto. Loisy [22] ha osservato che:
Alla base il documento primario, le libertà che ha preso un editore rispetto alla tradizione sinottica, e perfino proprio quella stessa tradizione, provano che, se Gesù occupò un posto definito nella Storia dell'umanità, Gesù Cristo fu innanzitutto un tema teologico e liturgico, un oggetto di adorazione religiosa, sotto un'apparizione storica estremamente fluida. 

Il Cristo gnostico era del tutto un tema teologico. Nelle Odi di Salomone il Cristo è personificato; nel quarto vangelo, come richiedeva la forma narrativa, egli è individualizzato; ma egli non è il Gesù dei sinottici. Nessun criterio se non un criterio soggettivo si può applicare allo scopo di decidere quale delle due figure, se una delle due, sia il Gesù storico. I teologi non possono estrarre neppure dai sinottici una figura di Gesù sulla quale essi siano tutti d'accordo. [23] Bousset concorda con Loisy nell'opinione che l'intenzione di Giovanni [24] non era di complementare ma di correggere i sinottici. Potremo anche dire che il suo vangelo è una protesta contro la loro presentazione del Cristo — non, comunque, sulla base di una verità storica, ma di quel che riteneva fosse una verità religiosa. Non è una coincidenza il fatto che il suo Gesù non sia un promulgatore di una dottrina etica — la qual cosa non era una funzione del Logos — e che egli esegua relativamente pochi miracoli. Il compositore gnostico del quarto vangelo non stava scrivendo consciamente la biografia di un uomo. Il suo scopo era illustrare allegoricamente il potere della Parola; e i pochi miracoli da lui ricordati, che, senza dubbio intenzionalmente, egli definisce “segni” [simboli?], sono rappresentazioni simboliche del progresso della religione cristiana e della vita spirituale che scaturì dalla comunità ispirata dalla Parola. È il grande merito di Schmiedel aver osservato questo, anche se egli non ha realizzato pienamente il suo significato. “Il vino”, egli dice, “nel quale Gesù mutò l'acqua a Cana, è, naturalmente, la nuova, splendente e ispirante religione che Gesù pose al posto di un debole ebraismo”. [25] Ma non fu nessun Gesù storico a fare questo; fu la dottrina spirituale della Parola incarnata, il cui sviluppo abbiamo rintracciato dalla Sapienza di Salomone. [26] Gli evangelisti attribuiscono a Gesù le loro proprie opinioni contradditorie. Le epistole non ricordano nessuna abrogazione della Legge da parte dell'uomo Gesù; gli scrittori dicono: “Cristo è la fine della Legge” una cosa davvero diversa. Potremo pure star sicuri che lo scrittore del quarto vangelo intese qualcosa di importante associando questo “segno” ad un matrimonio. Il “matrimonio” potrebbe aver significato un'unione tra le chiese cristiane ebraiche ed ellenistiche.
Il Cristo di Matteo è un ebreo, ma il Cristo di Giovanni è così privo di nazionalità come o è la Parola delle Odi di Salomone. Quando si rivolge agli ebrei gli si fa puntualmente dire “la vostra legge”.

NOTE

[17] Giovanni 8:19, 38, 44. La traduzione corretta del verso 44 è “Voi siete del padre del diavolo” ossia, il Demiurgo.

[18] The Johannine Writings, pag. 165.

[19] Numerosi prominenti critici compresi Loisy, Kreyenbühl, e il dottor E. A. Abbott hanno riconosciuto la natura simbolica del quarto vangelo.

[20] Si confronti 6:63: “È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla”. Quella è un'opinione gnostica contro la quale protesta Tertulliano.

[21] Nachrichten von der kön. Gesellschaft der Wissenschaften zu Göttingen. Phil. Hist.

[22] Le Quat. Evan., pag. 59.

[23] Il giudizio di Schweitzer sulla ricerca degli aspetti di un Gesù storico è espresso nelle parole: “Non c'è nulla di più negativo del risultato dello studio critico della vita di Gesù”. E il commento del dottor Burkitt sull'asserzione di Weinel che “noi lo conosciamo molto bene”, è “Che pretesa!”.

[24] Io utilizzo il nome Giovanni per indicare lo scrittore gnostico del quarto vangelo.

[25] Non è menzionato nessun luogo di nome Cana in alcun documento tranne nel quarto vangelo. Il nome potrebbe essere stato suggerito dalla parola greca kaina (nuove cose).

[26] Fu quella dottrina il Gesù che pronunciò Matteo 5:17-18? Se no, perché no?

giovedì 28 giugno 2018

Gli Inizi del Cristianesimo Gnostico : Cristianesimo Paolino e Giovanneo (VII) — Priorità delle Odi di Salomone

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CAPITOLO VII



CRISTIANESIMO PAOLINO E GIOVANNEO

8. PRIORITÀ DELLE ODI DI SALOMONE

Non c'è nessuna discesa di Gesù nell'Inferno nella dottrina paolina. L'ipotesi che essa fece parte della dottrina dell'Odista è, come si sottolineò in precedenza, dovuta probabilmente ad un fraintendimento della sua raffigurazione. Un confronto del paolinismo con la dottrina delle Odi dovrebbe aver chiarito che quest'ultima è la più primitiva. Nella prima noi troviamo elementi nuovi che si assorbirono da idee religiose contemporanee. È più facile spiegare il paolinismo come uno sviluppo a partire dalla dottrina delle Odi piuttosto che il contrario. Si può offrire una prova ulteriore che sembra per sé stessa conclusiva. Nelle Odi l'Altissimo è chiamato Dio molto raramente. Lo scrittore segue l'uso dei Salmi nell'impiego del termine “il Signore”. E questo termine, che nelle epistole appare come una designazione di Cristo, non è quasi mai usato così nelle Odi. Lo scrittore paolino è diventato familiare con la terminologia religiosa greca, ed è molto meno dipendente sull'Antico Testamento. L'applicazione del titolo “il Signore” a Gesù nelle comunità paoline prova che egli era diventato a tutti gli effetti il loro “dio del culto”. Nella comunità O “Il Cristo” tratteneva ancora il suo significato ebraico di “l'unto”. Esso non era ancora diventato un nome proprio; e l'“unzione” fu altrettanto figurata come lo fu probabilmente l'unzione di Adamo con l'olio dell'albero della vita nei Ritrovamenti clementini. Nell'epistola Cristo in congiunzione con Gesù è diventato un nome proprio. L'intervallo di tempo tra le date di composizione rispettivamente delle Odi e delle epistole dev'essere stato considerevole in realtà. Le prime stanno più vicine alla Sapienza di Salomone di quanto lo siano alle seconde. La designazione di Dio come “l'Altissimo” sia nei testi sapienziali che nelle Odi è di per sé un'indicazione di questo.

Gli Inizi del Cristianesimo Gnostico : Cristianesimo Paolino e Giovanneo (VII) — La Cristologia Paolina è Indipendente da un Gesù Storico

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CAPITOLO VII



CRISTIANESIMO PAOLINO E GIOVANNEO

7. LA CRISTOLOGIA PAOLINA È INDIPENDENTE DA UN GESÙ STORICO

Parecchi dei teologi che hanno scritto sulle epistole hanno sottolineato che il paolinismo non è derivabile in alcuna maniera particolare dall'insegnamento di Gesù. Noi non abbiamo, in realtà, nessun diritto di interpretare espressioni paoline sull'ipotesi di uno sfondo per il quale c'è una prova solo in documenti di una data successiva. E se l'indipendenza del paolinismo è visibile a uomini che hanno accettato come genuino il nucleo delle epistole, con quanta più decisione si può affermare ciò una volta che i documenti paolini siano stati separati dai discorsi cattolicizzanti e da altri discorsi dogmatici in cui essi sono stati inseriti, oppure che sono stati inseriti in loro! Lo scrittore delle epistole paoline non sa assolutamente nulla riguardo la storia della vita di un Gesù umano, e né hanno saputo qualcosa le comunità per le quali egli scrisse, se hanno ragione Bousset e Reitzenstein — e sicuramente la hanno — nel dire che il paolinismo fu uno sviluppo, non un sistema modellato dentro la mente di un singolo uomo. E lo sviluppo dev'essere continuato su un periodo considerevole di tempo. Lo abbiamo rintracciato dalla Sapienza di Salomone attraverso le Odi fino alle epistole paoline, mentre evolve gradualmente sotto l'influenza del pensiero contemporaneo; ma di qualsiasi influenza dovuta all'insegnamento di Gesù non c'è la più pallida traccia. “La concezione di Gesù come Signore della comunità”, scrisse Bousset, [15] “non fu l'opera dell'Apostolo, ma la convinzione fondamentale della comunità cristiana”. Che equivale a dire, Gesù per la comunità paolina fu “il Signore” proprio come Adone oppure Osiride fu “il Signore” per le comunità che li adorarono. Da comunità religiose il titolo fu usato assolutamente solo a proposito di esseri considerati divini. Gesù, in realtà, fu l'eroe del culto delle comunità paoline;  dio del culto sarebbe un termine inappropriato, poiché, sebbene Paolo non poteva applicare il termine “dio” a Gesù, tuttavia, come osserva Bousset, il credo generale delle comunità avrebbe trasceso facilmente la distinzione e, come mostra l'esempio di Clemente di Alessandria e di altri scrittori cristiani ellenistici, avrebbe parlato consapevolmente da molto tempo del grande mistero della divinità di Cristo. Poiché nel culto e nel rituale aveva già fatto così inconsciamente. Ma se Gesù era stato per certe comunità “il Signore”, se come dio oppure come Figlio di Dio, prima di Paolo - e quanto tempo prima chi lo dirà? — il periodo di “deificazione” assunto dai teologi è ridotto così tanto da rendere il fatto presunto perfino meno credibile di quanto già lo fosse. Bousset non distingue chiaramente tra le comunità paoline e le altre comunità cristiane, ed è possibile che Paolo introdusse il nome Gesù in certe comunità che avevano adorato in precedenza un Cristo senza nome; ma il nome dev'essere stato un nome divino prima di poter essere applicato così.
Nel fatto che Bousset ha visto ed esaminato onestamente e coraggiosamente così tanto della verità come egli ha fatto noi potremo percepire il primo raggio dell'alba di un trattamento più scientifico dell'antica storia del dogma cristiano. La critica teologica non può essere soddisfatta permanentemente nel riposare al punto a cui lui l'ha portata. Egli sintetizza come segue le sue conclusioni:
Il ritratto che Paolo deriva veramente del Signore Gesù non è preso dalla carriera terrena di Gesù di Nazaret. Il Gesù che Paolo conosce è il preesistente Cristo supremo, che fu ricco e divenne povero per amor nostro, che fu nella forma di Dio e prese la forma di un servo. È in questa personificazione di Gesù che sono aderenti tutte le caratteristiche che Paolo porta qua e là in prominenza: la sua umiltà, la sua ubbidienza, il suo amore, la sua veracità, la sua fedeltà perfino fino alla morte sulla croce. Il soggetto di tutti quei predicati non è il Gesù “storico”. Per un profilo di un ritratto personale di Gesù, strettamente parlando anche per una sua fondazione, specialmente per quanto riguarda la sua pietà e la sua fede in Dio, Paolo nella proclamazione del suo vangelo non ha più posto del tutto. Egli predica, non la fede di Gesù, ma una fede in Gesù. Come qualcuno potrà mai ancora parlare di un ritratto personale di Gesù da parte di Paolo nel nostro significato del termine? [16]
NOTE

[15] Kyr. Chr., pag. 107.

[16Kyr. Chr., pag. 144.


mercoledì 27 giugno 2018

Gli Inizi del Cristianesimo Gnostico : Cristianesimo Paolino e Giovanneo (VII) — Gli Arconti

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CAPITOLO VII



CRISTIANESIMO PAOLINO E GIOVANNEO

6. GLI ARCONTI

Associato al credo popolare nei demoni era il credo, derivato dall'Oriente, nell'esistenza di sette “Arconti” — esseri spirituali che corrispondono ai sette corpi planetari, essendo compresi il Sole e la Luna. Gli gnostici li definivano “Arconti di questo eone”. Nel primo secolo erano creduti — come lo sono ancora i pianeti da alcuni — in possesso del destino degli uomini (heimarmenē) e quindi la causa di tutte le loro disgrazie. Si credeva anche che ostacolassero l'anima nel suo viaggio al Cielo. Per quanto gli gnostici avessero una dottrina di predestinazione essa era quella della predestinazione astrologica di heimarmenē. Da questa tirannia, comunque, gli uomini potevano essere liberati dal Nous, oppure dal Logos, oppure dal Cristo, ed era creduto dagli gnostici cristiani che la liberazione venisse effettuata in qualche maniera, non definita esplicitamente, mediante la morte del Cristo. Una spiegazione possibile è che il Cristo morì volontariamente come riscatto, per cui egli ottenne dagli Arconti la liberazione di tutti coloro che lo confessavano e divenivano uniti con lui. La spiegazione comporta la supposizione che gli Arconti si aspettavano che il Cristo, di cui temevano il potere, rimanesse morto. E uccidendolo essi condannarono sé stessi, poiché erano andati al di là di ciò che era lecito per loro come dominatori del cosmo. Un'altra spiegazione possibile è che il Cristo, quando egli discese attraverso le sfere celesti, assunse la forma di un uomo, così che gli Arconti non lo riconobbero e così incorsero nella colpa dell'uccisione del Figlio di Dio. Questo tipo di inganno del malvagio è un tema favorito nella mitologia. Bousset accetta la spiegazione nella misura in cui egli scrive in riferimento a 1 Corinzi 2:8, e Colossesi 2:15: 
Attraverso la sua morte sulla croce Cristo spogliò i principati e le potenze [gli Arconti] delle loro armi e trionfò su di loro apertamente. [13]
Ma evidentemente un trionfo attraverso la morte richiede qualche spiegazione ulteriore; il trionfo non sarebbe stato completo senza una resurrezione; e questo sembra comportare l'inganno degli Arconti. La spiegazione chiarisce in maniera soddisfacente l'oscurità di 1 Corinzi 2:7-8:  
Noi esponiamo la sapienza di Dio misteriosa ed occulta che Dio aveva prima degli eoni predestinata a nostra gloria, e che nessuno degli Arconti di questo eone ha conosciuta; perché, se l'avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria.


Gli Arconti sono riferiti di nuovo in Romani 8:38, Efesini 4:12, e altrove. In quest'ultimo verso la parola greca tradotta “dominatori del mondo” è kosmokratoras, un regolare termine gnostico per gli Arconti. Più probabilmente anche il riferimento in Galati 4:8 — “quelli che per natura non sono dèi” — è a quelli Arconti. La “schiavitù” da cui Cristo liberò il cristiano era duplice — la schiavitù della Legge mosaica e l'heimarmenē. La parola “principi elementari” (elementi) — in greco stoicheia — è un altro nome per loro e per i pianeti con cui essi sono connessi. Nel Testamento di Salomone c'è menzione di “sette spiriti di bell'aspetto .... coloro che sono chiamati stoicheia, i kosmokratores di questo cosmo”. A ciascuno di quelli è dato il nome di un peccato. Evidentemente questa identificazione degli Arconti coi peccati sarebbe stata in grado di dare origine all'idea che il Cristo spirituale che è messo a morte nell'anima di un uomo malvagio fosse stato ucciso dagli Arconti. Ma naturalmente l'idea di un conflitto nell'universo tra le forze del bene e le forze del male e il successo temporaneo del male è un'idea molto antica. È probabile che in Galati 4:10 ci sia un riferimento a osservanze ebraiche; ma i giorni della settimana erano associati ai pianeti, e i mesi alle costellazioni zodiacali — a loro volta esseri spirituali. Molti ebrei, anche farisei, credevano che in ogni pianeta risiedesse un angelo ed un demone che esercitava un'influenza sulle esistenze degli uomini; e la Predicazione di Pietro rimprovera agli ebrei di “servire” [=adorare] il Sole e la Luna, che, naturalmente, erano stoicheia. Nel primo secolo gli ebrei non erano esenti in alcun modo da superstizioni — per non menzionare i cristiani che erano stati pagani — ed era facile associare l'osservanza cerimoniale ebraica delle stagioni alla riverenza pagana per i poteri demoniaci che erano creduti governare quelle stagioni. [14] E quando apprendiamo da un antico testo ebraico che le lettere dell'alfabeto ebraico erano personificate come dominatori di pianeti, costellazioni, e stagioni, noi realizziamo che nell'ebraismo ci furono speculazioni religiose, ed eventualmente perfino culti, di cui non udiamo nulla nel Talmud.
Dato che la varietà della dottrina cristiana alla fine del primo secolo era incoerente con l'ipotesi che si fosse sviluppata uniformemente lungo una singola linea, il dogma della morte del Cristo fu elaborato senza dubbio differentemente in diversi circoli. Paolo non fu l'originatore dell'idea che il Cristo era stato ucciso dagli Arconti. I versi citati sopra da 1 Corinzi chiariscono che il credo espresso era il credo stabilito della comunità per la quale egli scrisse.
Come sono di origine astrale gli Arconti, così potrebbe essere stata tale anche la “crocifissione”; infatti in una carta astronomica il Sole è crocifisso apparentemente nel punto di intersezione dell'equatore e dell'eclittica al momento della sua discesa nell'emisfero inferiore, l'emisfero di oscurità e morte; e lo è di nuovo così al momento della sua resurrezione nell'emisfero di luce e vita; mentre il periodo di transito è di tre giorni. Il Sole, naturalmente, era adorato molto tempo prima di diventare uno dei sette Arconti. Al tempo in cui si originò il mito della morte del dio-Sole, il Sole, essendo nella costellazione dell'Ariete all'equinozio di Primavera, fu identificato con l'Ariete. Quello è l'Agnello che era stato “ucciso fin dalla fondazione del mondo”. La pratica di rivestire l'agnello pasquale nella forma di una croce è riconducibile allo stesso mito.
Ovviamente la scena dell'uccisione di un Cristo spirituale ad opera di malevoli Arconti spirituali non era da nessuna parte sulla Terra; e non c'è nulla nelle epistole paoline gnostiche che ha bisogno di intendersi nel senso di implicare un'incarnazione individuale. Dal momento che lo Spirito di Dio, secondo Paolo, è incarnato in tutte le persone pneumatiche, la dichiarazione (Romani 8:3) che Dio inviò suo Figlio nella somiglianza di carne peccaminosa potrebbe avere lo stesso significato della dichiarazione nelle Odi di Salomone che “simile a me fu creduto, perché lo potessi rivestire”. Comunque non si può escludere il docetismo, perché la parola greca per “somiglianza” è homoiotes, che significa similitudine e così esclude per implicazione un'identità. In nessun caso si suppone che il Cristo diventò veramente carne. In Filippesi 2:6-8, di nuovo, dove è detto che Cristo, “essendo nella forma di Dio ... spogliò se stesso, assumendo la forma di servo e divenendo nella somiglianza di uomini”, e fu trovato “nell'apparenza come un uomo”, l'implicazione della parola esclude l'idea che il Cristo sia diventato letteralmente uomo. La frase “assumendo la forma di servo” è reminiscente del Logos setiano. Il docetismo è suggerito più fortemente da questo passo che dal precedente; poiché la parola greca tradotta “fashion” [forma] nelle versioni inglesi è schema, che, secondo il lessico greco, significa forma, apparenza esteriore opposta alla realtà, un semplice spettacolo, apparizione, aspetto, eccetera. I due passi potrebbero non essere stati scritti dallo stesso uomo. Qualunque interpretazione del secondo passo si adotti, non abbiamo nessun diritto di attribuire ad uno scrittore che descrive così la discesa di un essere divino nella forma di un uomo il credo che egli fosse nato da una donna.
La dichiarazione paolina che colui che riceve lo Spirito di Dio diventa “una nuova creatura” illustra alcune frasi nelle Odi che, come si è sostenuto in precedenza, sono state equivocate. Quando l'Odista scrisse: “Mi sono liberato dalle vanità … Viso e somiglianza di nuova persona ho ricevuto”“quanti mi scorgono rimarranno stupiti, perché ad altra stirpe appartengo e frasi simili, egli non stava citando il Cristo, come hanno immaginato alcuni critici; egli stava affermando in un linguaggio poetico e alquanto iperbolico la sua convinzione che in quanto un figlio spirituale di Dio egli era diventato “una nuova creatura”

NOTE

[13] Kyr. Chr., pag. 142.

[14Preghiere ebraiche agli angeli planetari sono stati preservati nel Codex di Parigi, 2419. 

lunedì 25 giugno 2018

Gli Inizi del Cristianesimo Gnostico : Cristianesimo Paolino e Giovanneo (VII) — Importanza della Letteratura Ermetica

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CAPITOLO VII



CRISTIANESIMO PAOLINO E GIOVANNEO

5. IMPORTANZA DELLA LETTERATURA ERMETICA

L'importanza della letteratura ermetica consiste nella dimostrazione che permette della prevalenza di un certo tipo di teosofia gnostica nel primo secolo. Questa teosofica venne ad esprimersi in forme diverse secondo la mentalità religiosa o filosofica di coloro che ne furono influenzati, collegando assieme così sistemi così diversi come il neopitagorismo e il cristianesimo paolino. Nella posizione prominente occupata da Nous e Logos, e nella natura attribuita loro, possiamo rintracciare un'affinità tra un sistema gnostico come quello dei Naasseni, la letteratura ermetica, e il paolinismo. Il termine Cristo, essendo specificamente ebraico, si trova naturalmente solo nelle sette ebraiche gnostiche; ma il Nous-Logos della letteratura ermetica corrisponde al Logos gnostico, che è anche il Cristo degli gnostici ebrei. Il Nous Naasseno era un prodotto dell'azione del pensiero contemporaneo sulla Sapienza della letteratura sapienziale ed è distinto dal Logos. [11] In Pimander è detto che il Logos, il Figlio di Dio, è derivato dal Nous. La dottrina naassena, in cui la distinzione tra Nous e Anthropos è davvero indefinita, si avvicina a questo. Nell'Inno Naasseno, che è antico sebbene non primitivo, è percettibile chiaramente l'influenza ermetica. Infatti l'Inno comincia: “General legge del Tutto fu Nous primeva; secondo fu dal Primevo il Caos diffuso.” [12] E in Pimander leggiamo: “Il dio Nous generò il secondo demiurgico Nous. Allora, è detto, il secondo Nous, essendosi unito col Logos, produsse la hylē, la materia primeva. In seguito la Natura (Physis) introdusse esseri viventi irrazionali dagli elementi.
Nel paolinismo la Sapienza e il Logos sono stati fusi assieme per formare il Cristo; come leggiamo in 1 Corinzi 1:24, “Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio”. Nell'Ode 32 la Parola è eguagliata al “sacro potere dell'Altissimo”, e nel Vangelo di Pietro il “potere” è sinonimo del Cristo incarnato in Gesù. Tra il paolinismo e la letteratura ermetica troviamo un'affinità di idee piuttosto che una dipendenza diretta. Il Nous dei testi ermetici, al pari della Parola delle Odi di Salomone e del Cristo-Logos dei Naasseni, sebbene descritto come una persona, è un potere soprannaturale spirituale, la cui dimora è il pio e puro, a cui egli reca la Gnosi e il controllo sugli impulsi della natura carnale, come fa precisamente il Cristo interiore di Paolo. E ci rammentiamo di un passo nella Sapienza di Salomone e di alcuni delle Odi quando leggiamo degli uomini pneumatici — coloro che possiedono il Nous — che sono avversati dal mondo, mal giudicati, oppressi, e perseguitati. La terminologia paolina e gnostica pneuma, psyche, e sarx è cospicua; ma l'aspetto sacramentale della religione è meno prominente che con Paolo. C'è, comunque, un riferimento ad un sacramento, ed in un punto (Corp. Herm., 4:4) si menziona un battesimo col Nous. Si crede che gli uomini carnali diventano la preda di un demone mendace e vendicatore, che corrisponde al “Corruttore”, “il Distruttore, “il Dragone”, delle Odi di Salomone, e al “dio di questo mondo” delle epistole paoline. Il “dio di questo mondo” non è, comunque, un demone nel significato ordinario del termine, e neppure è Satana, poiché Satana è un angelo demoniaco un demone se vuoi che non è mai stato ritenuto un dio. Il paolino dio di questo mondo è apparentemente il suo creatore, a cui vanno attribuite le sue imperfezioni, dal momento che ci viene detto (Romani 8:20) che “la creazione è stata sottomessa alla caducità — non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa”. La dichiarazione comporta il credo gnostico e paolino nell'intrinseca imperfezione della materia, di cui non si poteva rendere Satana responsabile, sebbene poteva esserlo il suo creatore. Il dualismo paolino si trova così ad una fase al di là di quella dei più antichi gnostici ebrei.

NOTE


[11Con questa affermazione non si intende che i Naasseni fondarono il loro sistema direttamente sulla Sapienza di Salomone. Nello sviluppo della teosofia gnostica ebraica il Nous ellenico diventò assimilato alla “Sapienza” considerata la “mente” di Dio.

[12Il testo della seconda clausola è probabilmente corrotto.

Gli Inizi del Cristianesimo Gnostico : Cristianesimo Paolino e Giovanneo (VII) — Il Battesimo Paolino

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CAPITOLO VII


CRISTIANESIMO PAOLINO E GIOVANNEO

4. IL BATTESIMO PAOLINO

Schweitzer osserva che i cristiani erano battezzati nel nome di Gesù, laddove non c'è nessuna prova di un battesimo nel nome di Osiride, Attis, oppure Mitra. Quella è nuovamente una distinzione superficiale. Il battesimo senza dubbio fu piuttosto marcatamente una caratteristica di sette cristiane, derivata dalla pratica di precedenti mistici ebrei. Ma il battesimo nel nome di Gesù non è l'esito di una differenza fondamentale di idee religiose. Esso è comprensibile dall'attitudine cristiana, ereditata dall'ebraismo, verso il paganesimo. Non c'è nessuna prova che nelle sette ebraiche pre-cristiane il battesimo fosse praticato nel nome di una persona divina; ma i cristiani nel legarvi il nome di Gesù non stavano facendo qualcosa per cui non si possa trovare nessun'analogia nel paganesimo. C'è una prova sufficiente dell'emissione di un nome divino, e dell'effetto magico ritenuto prodotto da esso, nei culti pagani e nelle formule gnostiche di incantesimi. Il pronunciamento del nome divino era creduto una protezione contro gli attacchi delle forze soprannaturali del male. Il credo nell'esistenza di demoni malevoli era universale tra i primi cristiani ed essi utilizzarono il nome Gesù per la repressione di quei demoni proprio come i pagani utilizzavano nomi divini per un obiettivo simile. Ma i cristiani asserivano che le stesse divinità pagane fossero demoni e che essi penetrassero nei corpi di coloro che consumavano carne che era stata offerta ad un idolo. Ogni pagano, in realtà, era creduto posseduto da un demone che doveva essere espulso prima che un proselita si potesse ammettere nella Chiesa. E dal momento che si riteneva che l'espulsione si potesse effettuare pronunciando il nome Gesù, oppure, in seguito, con la recitazione della formula trinitaria, il battesimo fu praticato in questo nome, oppure in quei nomi. In Ritrovamenti 2:71 si riporta che Pietro avesse detto: 

 Voglio che ti si pianti in testa questa certezza, che chiunque ha avuto a che fare qualche volta col culto degli idoli e ha adorato quelli che i pagani chiamano dèi o ha mangiato carni ad essi immolate non è esente dallo spirito del male, poiché è diventato commensale dei demoni ed è diventato compartecipe di quel demonio la cui immagine, o per timore o per amore, si è formato in mente. Per questo non è privo di spirito immondo, e di conseguenza ha bisogno di venirne purificato col battesimo, così che fuoriesca da lui lo spirito del male.
Questa citazione si potrebbe sostituire da una di Giustino (Dial. 85):
Ogni demonio è esorcizzato, vinto e sottomesso nel nome di colui che è il Figlio di Dio e primogenito di ogni creatura.
La trattazione di Schweitzer del testo è abbastanza acritica; egli non tiene conto neppure di interpolazioni che altri commentatori teologici hanno riconosciuto; ed egli trova parecchio del suo argomento contro Reitzenstein in paragrafi che Paolo di certo non scrisse mai. I sacramenti nelle religioni misteriche sono sempre più che simboli; il simbolo è operativo, e produce misticamente l'effetto consacrante che imita. Così agiscono pure i sacramenti paolini. Schweitzer, comunque, indica 1 Corinzi 6:11, e sostiene che la doppia interpretazione del battesimo come da una parte una “pulizia” e una “santificazione” e dall'altra come un'unione mistica col Cristo sia un'assurdità che non trova nessun parallelo nei culti misterici, dato che la prima interpretazione è anche relativamente superficiale. Ma noi non siamo obbligati ad accusare Paolo di irrazionalità e superficialità; esiste un'alternativa — cioè, un riconoscimento del fatto che due concezioni così fondamentalmente diverse non possono esser esistite assieme nella stessa mente. Schweitzer ha abbastanza ragione nel dire che un'unione delle due visioni sarebbe irrazionale. L'immersione nel battesimo simula una sepoltura e l'emersione simula una resurrezione; e ciò è un “mistero”, poiché il simbolo opera. “Pulizia” è un'idea incoerente, dal momento che si credeva che il vecchio uomo fosse morto con tutti i suoi peccati e fosse risorta una “nuova creatura”, pneumatica invece di carnale. Il diventare penumatico era una condizione necessaria di immortalità, poiché, come nella Sapienza e nelle Odi di Salomone, non c'è nessuna resurrezione del corpo. La vera dottrina paolina dell'immortalità si dichiara in 2 Corinzi 5:1-4; è immediatamente alla dissoluzione del corpo che lo spirito dell'uomo pneumatico si riveste di un celeste “tabernacolo” psichico. Questo passo è conclusivo sul punto; ma esso è supportato da altri — ad esempio, Romani 8:13, “se vivete secondo la carne voi morrete” —, che implicano che non c'è nessuna morte per i “figli di Dio”, e nessuna vita futura per la “carne”. Proprio come in Sapienza 3:2, così Paolo poteva aver detto dei giusti: “Agli occhi degli stolti parve che morissero”; ma la loro morte apparente è una liberazione dall'involucro effimero dello spirito, mentre la vita dello spirito è eterna e ininterrotta. Schweitzer come risultato della sua analisi errata delle epistole è in grado nella sua critica di Reitzenstein di scegliere, come hanno fatto altri, i passi che si adattano al suo argomento. E naturalmente egli può trovare una prova del credo in una resurrezione futura. Ma la dottrina di Paolo è la dottrina gnostica che l'uomo pneumatico è già “risorto dai morti”. [9]
La dottrina dei culti misterici era simile. Paolo non la derivò da loro, sebbene lo schema potrebbe essere stato suggerito dalle idee religiose prevalenti al tempo. Schweitzer solleva l'obiezione che nei culti misterici la rigenerazione pneumatica si considerava una “rinascita”, laddove nel paolinismo essa è una resurrezione. Si potrebbe ritenere legittimamente che la differenza di visione prova che non ci fu una copiatura diretta da parte di Paolo; ma ovviamente l'idea essenziale è la stessa, sebbene espressa in termini diversi. Un altro punto di differenza a cui Schweitzer presta attenzione è che nella teoria dei culti misterici la “trasfigurazione” spirituale dell'uomo vivente è ottenuta dopo il suo aver ricevuto un'essenza divina in sé stesso tramite la Gnosi e la visione del dio, laddove nel paolinismo viene prima l'unione spirituale con Cristo nel battesimo e la Gnosi segue con tutto quello che è ivi implicato. Se l'intenzione di Schweitzer è stata di dimostrare l'originalità del paolinismo egli non ha avuto successo, poiché nelle Odi di Salomone un'unione spirituale con la Parola è la condizione primaria di salvezza; e la dottrina paolina è anche molto più antica delle Odi. Secondo il credo orfico l'uomo deve espiare per la sua vita terrena attraverso una sofferenza e un morire col dio. Nella cerimonia di iniziazione una morte e una rinascita simboliche venivano rappresentate; dopodiché apparentemente vi seguiva un rito in cui l'iniziato diventava un figlio della dèa Persefone tramite ricezione del latte con cui era stato nutrito suo figlio Dioniso. [10] Certamente il paolinismo non costituì una copia di alcuna pratica di un culto contemporaneo; ma si trovano suoi aspetti caratteristici nella maggior parte di loro. 

NOTE

[9Si confronti anche Efesini 2:5: “Dio, ... da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo e ci ha resuscitati con lui”. La dottrina di 1 Corinzi 15 sembra essere un compromesso tra la dottrina cattolica ortodossa e la primitiva dottrina paolina.

[10Van den Bergh van Eysinga, opera citata, pag. 125.

domenica 24 giugno 2018

Gli Inizi del Cristianesimo Gnostico : Cristianesimo Paolino e Giovanneo (VII) — Unione con il Salvatore

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CAPITOLO VII



CRISTIANESIMO PAOLINO E GIOVANNEO
  
3. UNIONE CON IL SALVATORE

Schweitzer osserva che il termine “dio-Salvatore” significa un dio che venne nel mondo per amore degli uomini, morì, e risorse dai morti, e sostiene che, dal momento che il Gesù di Paolo non è un dio, la presunta analogia tra il paolinismo e i culti misterici è falsa. Gli ebrei monoteisti non potevano pensare, naturalmente, del Cristo come un secondo dio, ma non si distrugge l'analogia perché in un caso l'essere divino che venne sulla terra e morì per gli uomini fu un dio e nell'altro il Figlio di Dio; la concezione essenziale e veramente vitale era la stessa. Sia nei culti misterici che nel cristianesimo paolino la vita eterna era creduta assicurata tramite un'unione mistica col Salvatore divino. In nessuno di essi la morte del Salvatore veniva considerata un sacrificio espiatorio. Questa concezione è estranea all'antico misticismo. L'idea centrale della dottrina paolina — cioè, immortalità mediante unione con Cristo — è rintracciabile nelle Odi di Salomone, in cui leggiamo che: “Chi è unito all’immortale, anche lui sarà immortale. ... È questo lo spirito del Signore”; e lo Spirito del Signore è la Parola: “Per il suo Cristo vita riceviamo”; e nell'Ode 41: “La sua Parola è con noi per tutto il cammino. Il salvatore che dà la vita”. Appare perfino che nella dottrina paolina anche il Cristo sia “lo Spirito del Signore”. Infatti in 1 Corinzi 1:5 ai credenti vien detto che “in lui [Cristo Gesù] siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della scienza”. Ma in seguito apprendiamo che è dallo Spirito di Dio che viene l'arricchimento. “A noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio” (1 Corinzi 2:10). Un confronto di questo verso con quello nell'Ode 16 — La Parola del Signore scruta ciò che è invisibile e scopre il suo pensiero — mostra che lo “Spirito” dell'epistola è la “Parola” dell'Ode. Nel verso successivo la dichiarazione si fa in maniera ancor più categorica: “Così nessuno conosce le cose di Dio se non lo Spirito di Dio”. Da qui il Cristo che arricchisce in termini di conoscenza divina (Gnosi) e rivela le cose nascoste di Dio dev'essere anche “lo Spirito di Dio”. Di nuovo, in Romani 8:9, leggiamo: “Voi però non siete nella carne ma nello Spirito, se lo Spirito di Dio abita veramente in voi”; e lo Spirito interiore è il Cristo con cui è misticamente unito il credente. In 2 Corinzi 3:17, l'identificazione si fa in modo abbastanza non ambiguo: “Il Signore è lo Spirito”. Il verso non è parte dell'epistola gnostica, ma la dottrina della sezione è nel complesso paolina. E nella stessa epistola gnostica l'identità sembra essere implicata proprio nei versi 5 e 17: “È Dio che ci ha dato la caparra dello Spirito. Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova”. [8]
L'unione tra il mistico e il Cristo interiore qui si esprime come l'essere “in Cristo”. La stessa duplice vista dell'unione si trova nelle Odi, dove non solo la Parola dimora “nell'uomo”, ma anche “simile a me fu creduto, perché lo potessi rivestire”. E sia nelle Odi che nelle epistole gnostiche coloro che ricevono lo Spirito, che è il Figlio, diventano gli stessi figli di Dio. “Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, sono figli di Dio.” (Romani 8:14); e “Lo Spirito stesso attesta insieme con il nostro spirito che siamo figli di Dio”; il cui significato è che attraverso un'unione con lo Spirito divino che è il Figlio di Dio l'uomo pneumatico acquista la convinzione che anche lui è un figlio.
Un'altra obiezione sollevata da Schweitzer è che nei culti pagani l'unione mistica era considerata una “deificazione”. Naturalmente quella era una sua concezione che gli gnostici ebrei non potevano assumere; ma nella misura in cui un uomo era pneumatico egli partecipava dello Spirito divino e così diventava divino in un certo senso. Il confronto rivela analogie di idee religiose. Non serve a nulla negare un'identità. Naturalmente ci furono differenze di sviluppo strutturale che corrispondevano alle differenze del contesto. Preferire la concezione cristiana è abbastanza ragionevole. Lo scrittore gnostico distingue tra l'uomo carnale e l'uomo pneumatico, come fecero in generale gli gnostici; ma la distinzione non comporta la dottrina della Predestinazione più di quanto lo comporti l'opinione filosofica che la condotta sia determinata dal carattere. Il carattere si può modificare e il peccatore diventa virtuoso. Perfino il più completo Determinismo non è la stessa cosa della dottrina teologica della Predestinazione. Senza dubbio gli gnostici credettero che la natura carnale di alcuni uomini fosse tale da non poter farli diventare spirituali, ma essi avrebbero ripudiato l'idea che Dio l'avesse predisposta così. Il loro Dio era incapace di volere alcunché di male. 

NOTE

[8Nella cristologia di Giustino, che non era stata completamente cattolicizzata, è dichiarato con enfasi che lo Spirito Santo è nient'altro che il Logos (Apol., 1:33).

sabato 23 giugno 2018

Gli Inizi del Cristianesimo Gnostico : Cristianesimo Paolino e Giovanneo (VII) — “Misteri” Ebraici

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CAPITOLO VII


CRISTIANESIMO PAOLINO E GIOVANNEO

2. “MISTERI” EBRAICI

Si tratta di una cosa facile per Schweitzer ed altri che non apprezzano le conclusioni di Reitzenstein criticarle in dettaglio e mostrare che è improbabile una dipendenza diretta del paolinismo sui culti misterici. Ma è dimostrabile una comunanza di idee religiose. L'analisi di Reitzenstein, inoltre, è in difetto per il suo non aver tenuto conto dello gnosticismo ebraico pre-cristiano. Ci furono misteri ebraici come pure misteri pagani; i sistemi degli Esseni, dei Terapeuti, e senza dubbio di altre sette ebraiche si potrebbero così caratterizzare. È certo che gli Esseni riverivano il Sole. Questa riverenza potrebbe avere avuto la sua origine nell'adorazione del Sole, ma per gli Esseni senza dubbio il Sole era un simbolo, e l'interpretazione del simbolo costituiva una parte del loro mistero. Un'affinità tra gli Esseni e alcune antiche comunità cristiane è provata dalla lettera di Plinio a Traiano in cui è detto che i cristiani di Bitinia cantavano inni a Cristo all'alba. Il sacro pasto di quelle sette dev'essere stato anche della natura di un mistero. In varie sette veniva attribuito un significato mistico ad un certo tipo di cibo. C'è una prova, per esempio, nell'antica letteratura cristiana del fatto che il pesce veniva consumato in quanto un simbolo sacro. Pratiche simili sono caratteristiche di una religione misterica. Dopo la lettura della descrizione di Filone del sacro pasto dei Terapeuti difficilmente è possibile dubitare che si trattava di un mistero. Esso fu solennizzato solo una volta all'anno, al cinquantesimo giorno, con un cerimoniale assai impressionante ed il canto di inni. Dal momento che il cibo, sebbene in sé stesso di un tipo comune, viene descritto come “molto santo”, esso deve aver avuto un significato simbolico di efficacia santificante. Il pasto era seguito da una cerimonia rituale che a sua volta dev'essere stata simbolica. Il suo aspetto principale era la formazione di due cori, uno maschile, l'altro femminile, che cantavano alternativamente, e infine assieme come un solo coro. Filone descrive il coro unito come una rappresentazione del coro di israeliti che era guidato da Mosè e Miriam dopo il passaggio del Mar Rosso. Non è abbastanza chiaro se il confronto sia stato fatto da Filone stesso oppure se lui stia ricordando l'intenzione dei Terapeuti. È probabile quest'ultimo caso perché è probabile che egli aveva avuto qualche motivo per la sua dichiarazione e perché i mistici ebrei descrivevano simbolicamente la trasformazione dal carnale allo spirituale come una liberazione dall'Egitto. Lo stesso Filone impiegò quell'immagine. E i Perati derivarono il loro nome da un verbo greco che significa passare attraverso, perché essi affermavano di esser passati per mezzo della loro Gnosi dalla schiavitù degli impulsi carnali alla vita spirituale proprio come gli israeliti erano passati dall'Egitto attraverso il Mar Rosso. Ora i mistici, come per esempio lo erano i Teraupeuti in base alla descrizione di Filone, credevano che una trasformazione spirituale venisse operata oppure aiutata tramite l'esecuzione di qualche atto simbolico. Dal momento che la cerimonia religiosa annuale dei Terapeuti, e specialmente i cori, devono aver avuto un significato di quel tipo, è altamente probabile che l'interpretazione data da Filone fosse quella vera. La cerimonia, possiamo concludere, fu essenzialmente un mistero. E, siccome il sistema teosofico dei Terapeuti fu presumibilmente quasi simile a quello di Filone, è abbastanza probabile che nei misteri Mosè e Miriam simboleggiassero il Logos e Sofia.
Il battesimo paolino era certamente un mistero, e così lo era probabilmente il sacro pasto riferito in 1 Corinzi 10. La parola “mistero” capita numerose volte nelle epistole paoline, e ci fu evidentemente una dottrina esoterica riservata per il grado più elevato di iniziati nelle comunità cristiane, come nelle comunità gnostiche ebraiche pre-cristiane. Ciò dev'essere la spiegazione della dichiarazione in Marco 4:11, che ha esercitato così duramente la mente dei teologi. La stessa atmosfera religiosa che convertì certi miti pagani in misteri favorì anche la nascita e lo sviluppo di culti misterici tra gli ebrei. Qualcosa della letteratura ermetica, come ha provato Reitzenstein, era in esistenza all'inizio del primo secolo, e una familiarità con idee religiose contemporanee potrebbe aver esercitato un'influenza formativa sul pensiero di Paolo. Sembra ragionevole ipotizzare che egli fosse in qualche misura un innovatore, ma Bousset ha sicuramente ragione nella sua opinione che il paolinismo nei suoi aspetti principali — e per paolinismo io intendo la dottrina gnostica delle epistole — debba essere stata già la teoria e la pratica delle comunità per le quali egli scrisse. E quelle comunità, potremo concludere, furono comunità fortemente ellenizzate di mistici ebrei, con un miscuglio di greci. Le rassomiglianze tra il paolinismo e le idee religiose dei culti misterici pagani contemporanei riflettono il pensiero prevalente e le aspirazioni del tempo. Le differenze sulle quali pone così molta enfasi Schweitzer nella sua critica di Reitzenstein sono il risultato di una differenza di origine, ebraica da una parte, greca e orientale dall'altra.

venerdì 22 giugno 2018

Gli Inizi del Cristianesimo Gnostico : Cristianesimo Paolino e Giovanneo (VII) — Il Problema Paolino

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CAPITOLO VII


CRISTIANESIMO PAOLINO E GIOVANNEO


1. IL PROBLEMA PAOLINO

Nessuna valutazione del cristianesimo paolino è possibile finché abbiamo deciso quale delle dottrine eterogenee espresse nelle epistole sia realmente paolina. Riguardo a Paolo stesso si sa davvero poco che sia affidabile. Per il nostro presente scopo, comunque, sarà sufficiente, e sarà conveniente, usare il nome come quello del promulgatore di un corpo dottrinale che in realtà probabilmente emanava da più di una sola persona. Si tratta della dottrina di una scuola oppure di un gruppo di comunità alleate. In generale nel determinare la natura della dottrina non si può ricavare davvero molto aiuto da opere teologiche sul soggetto. Durante ottant'anni almeno, se cominciamo con F. C. Baur, un dispendio immenso di erudizione e perspicacia non è risultato in nessuna soluzione riconosciuta del problema paolino. Si potrebbe concludere tranquillamente che i teologi siano stati a ragionare a partire da una premessa falsa; altrimenti così molto lavoro appreso non sarebbe stata così miseramente sprecato. Il corso della discussione è stato ricordato e criticato acutamente da Schweitzer, [1] colla cui opinione sulla sua natura generale è impossibile non essere d'accordo:
I teologi operano sempre colle vecchie presupposizioni. . . . Il risultato è insoddisfacente da ogni punto di vista. Così la soluzione rimane impossibile come prima, e le semplificazioni che si pensano che siano state raggiunte nella dichiarazione del problema risultano solo in nuove difficoltà. 

La cosa straordinaria è che Schweitzer stesso non ha visto quale sia la presupposizione che falsifica persistentemente l'argomento, sebbene egli vi abbia posto il suo dito di nuovo e di nuovo. La difficoltà principale nella quale la critica si è molto dibattuta è, come lui sottolinea, che è stata spinta a riconoscere nelle epistole una doppia dottrina — una giuridica, fondata sul pensiero di giustificazione, e l'altra etica, governata dall'idea di santificazione — e non è stata capace di mostrare come le due siano collegate e come si possano unificare. [2] Ma ci sono anche contraddizioni collaterali che i critici tentano di rimuovere mediante un ragionamento sottile e verboso. Un metodo molto in voga è quello soggettivo di formare una concezione del paolinismo e poi portare in prominenza quei passi che la confermano, mentre tenendo passi inconvenienti fin dove è possibile nello sfondo oppure derivandoli arbitrariamente in un senso più favorevole.
La dualità essenziale della dottrina delle epistole paoline è stata notata chiaramente per prima da Lipsius (1853), con cui cominciò lo sforzo lungo e continuo per superarla. La critica di Schweitzer è che Lipsius attenua una delle dottrine a favore dell'altra e fa una connessione superficiale delle due tramite espressioni scelte abilmente. Egli è stato seguito da Lüdemann (1872), il quale ha sottolineato che nelle epistole ci sono non solo due concezioni della “carne” ma anche due “antropologie” con cui sono collegate rispettivamente due dottrine diverse di “redenzione”. La soluzione di Lüdemann è stata che la visione “etico-fisica” (ellenistica) costituisce di Paolo la “visione reale che tollera semplicemente la prossimità dell'altra e tende a soppiantarla” in proporzione a come lo scrittore procede più in profondità nella natura essenziale delle cose. Pfleiderer (1887) non è stato d'accordo con Lüdemann, mantenendo che entrambe le visioni avevano dal principio un eguale valore nella coscienza dell'Apostolo. Egli praticamente ha rinunciato al tentativo di risolvere il problema psicologico implicato nella sua conclusione, dicendo che non rimane nient'altro che ammettere che nella coscienza di Paolo le due diverse concezioni risiedono assieme disarmonizzate, e che egli passò dall'una all'altra senza sentire la contraddizione! Inutile dire che una conclusione che è stata nient'altro che una confessione di fallimento non è stata accettabile in generale ai critici teologi. La spiegazione per la maggior parte favorita dai successori di Pfleiderer è che la prospettiva religiosa di Paolo subì un cambiamento graduale. La spiegazione non spiega ciò che soprattutto ha bisogno di una spiegazione — vale a dire, la sovrapposizione di entrambe le dottrine pienamente sviluppate nella stessa epistola. Pfleiderer ha fatto riconoscere ad ogni caso il fatto che le due dottrine principali sono completamente mescolate. Il commento di Schweitzer è:

Si ricava quasi l'impressione che l'assunzione di fasi successive sia intesa principalmente a servire allo scopo di farfugliare sulla questione dell'unità interiore delle dottrine. I critici non esprimono nessuna meraviglia dinanzi alla maniera disinvolta con cui lo scrittore passa da una serie di idee all'altra. Alla conclusione di ciascuna di quelle opere si è obbligati a domandarsi se l'autore si aspetti veramente che il lettore consideri quel che viene offerto come la presentazione di un sistema che esistette da sempre nel cervello di un uomo del più antico periodo cristiano. [3]

L'osservazione finale sembra illustrare che Schweitzer avesse qualche presentimento di un fatto che impressionò fortemente van Manen — cioè, che dall'anno 30 alla data di Paolo non ci fosse stato tempo sufficiente per lo sviluppo di dottrine così diverse e così altamente elaborate. Comunque non è necessario con van Manen rilegare le epistole nella loro interezza al secondo secolo, dal momento che noi sappiamo che l'origine del cristianesimo gnostico o ellenistico precede l'inizio dell'era cristiana.
Un altro problema finora irrisolto si presenta coll'escatologia paolina, la quale è in flagrante opposizione alla dottrina gnostica dell'antitesi dello spirito alla carne — un'opposizione estremamente imbarazzante per quei critici che mantengono che la dottrina gnostica sia autenticamente paolina. Ma quelli che, al pari di B. Weiss (1886), enfatizzano l'escatologia e la credono il punto d'inizio della predicazione di Paolo non possono chiarire alcun processo ordinato di sviluppo. Kabisch (1893) rinunciò coerentemente al tentativo di spiegare la contraddizione assumendo un processo di sviluppo nel pensiero di Paolo, e tentò di sbarazzarsene asserendo che qualsiasi cosa Paolo scrisse della morte e della resurrezione egli intese una morte e una resurrezione fisiche, che decisamente non è il caso; inoltre, ci sono passi nei quali una “resurrezione” nel senso generalmente accettato del termine è negata implicitamente. Schweitzer osserva che secondo alcuni degli inquirenti lungo quelle linee la dottrina di Paolo consiste di una teologia “presente” e di una teologia “futura” tra le quali non esiste nessuna connessione intermedia. L'esistenza di quelle due teologie nelle epistole è, comunque, un fatto, e nessuno ha avuto successo nel riconciliarle. Brandt (1893), in diretta opposizione a Kabisch, ha sostenuto che Paolo considerò la sua conversione come “una morte e resurrezione del suo uomo interiore”. Una visione simile di morte e resurrezione cancella l'escatologia. Essa è la visione gnostica delle Odi di  Salomone dalla quale è del tutto assente un'escatologia.
Holtzmann (1897) ha recensito accuratamente l'opera dei suoi predecessori e ha tentato tramite una valutazione critica dei risultati ricavati nella luce dei suoi studi personali di dimostrare una cristologia paolina coerente. Il giudizio di Schweitzer è che lui, al pari degli altri, si spinge in semplici descrizioni nella fraseologia paolina ed è praticamente incapace di spiegare alcunché. Holtzmann trova la chiave del paolinismo nella storia della conversione di Paolo, sviluppando sulla sua base una teoria psicologica in un linguaggio vago e retorico. Ma, come una materia di fatto, nessuna dottrina nelle epistole è fondata dallo scrittore su un'individuale esperienza emozionale. In Romani 3 fino a 5, e 7:7-25, abbiamo un argomento strettamente ragionato con molta mostra di logica, e l'appello ad un'esperienza personale è piuttosto generale e capace di trovare una risposta nella coscienza di chiunque. In altre parti abbiamo una dottrina di redenzione che non è elaborata logicamente ma presentata come nota intuitivamente attraverso quel tipo sovra-sensoriale di conoscenza che è la Gnosi. La dottrina non è, nei suoi termini essenziali, peculiare a Paolo. Holtzmann differisce da alcuni altri critici nel negare che Paolo fosse uno gnostico. Schweitzer, d'altra parte, asserisce che l'intera natura del suo sistema lo mostra esser stato tale; ma come può ognuno che comprende cosa sia realmente lo gnosticismo credere che i capitoli di Romani sopra riferiti fossero stati scritti da uno gnostico? Holtzmann era conscio probabilmente dell'irreconciliabilità di gran parte della dottrina con la visione gnostica di redenzione, e ha fatto la negazione nell'interesse del suo metodo di armonizzazione — sostenendo, per esempio, che l'unione con Cristo nella teoria paolina del battesimo sia semplicemente simbolica. Quella è un'interpretazione forzata non giustificata dal testo, come hanno constatato altri commentatori — ad esempio, Titius (1900) e Heitmüller (1903) — l'ultimo dei quali [4] dichiara che l'unione mistica che si realizza nel battesimo tra il credente e Cristo sia un'unione “fisico-iperfisica” e ha per sua conseguenza che il primo partecipa veramente nella morte e resurrezione del secondo. Se sostituiamo al posto dell'espressione piuttosto evasiva di Heitmüller la parola “spirituale”, questo è il chiaro significato del passo (Romani 6:3-6) che esprime la visione gnostica della “resurrezione” — una visione che si enfatizza nel verso 13: “Offrite voi stessi a Dio come vivi tornati dai morti”. Una seconda resurrezione futura è esclusa. Né 1 Corinzi 1 e neppure le parti escatologiche delle epistole possono essere state scritte da questo gnostico. La procedura di Holtzmann in questo caso è tipica. L'ammissione di una contraddizione è elusa asserendo che Paolo in un certo passo non si debba intendere a significare quel che è detto veramente, perché ciò sarebbe incoerente con quel che si dice altrove. Un altro metodo di auto-inganno esemplificato da Holtzmann è la finta armonizzazione di una differenza radicata tramite una di quelle frasi vaghe che servono semplicemente come una copertura di insufficienza, come per esempio “la coincidenza di un'attitudine nazionale dello spirito con una forma greca di pensiero”.
L'opera di Holtzmann non è stata accettata dai teologi critici come una soluzione soddisfacente del problema paolino. Brückner (1903) e Wrede (1904) hanno sostenuto che il paolinismo non si può spiegare come uno sviluppo dell'insegnamento di Gesù, e il primo lo ha fatto risalire all'escatologia ebraica come esemplificata nelle Apocalissi di Esdra e Baruc. Questa conclusione è stata sfidata fortemente da Olschewski (1909), il quale ha obiettato che gli scrittori menzionati in precedenza non avevano spiegato “la combinazione peculiare di cristologia colla pneumatologia che è così specificamente paolina”, e ha tentato di fare così lui stesso suggerendo una teoria psicologica a partire dalla storia della conversione di Paolo — un espediente favorito, poiché avviluppando le difficoltà in una nuvola di parole i teologi sono capaci di convincersi che un'esperienza spirituale così eccezionale possa rendere conto della promulgazione di ogni sorta di dottrina paradossale da parte del suo soggetto. Ma i princìpi di una critica profonda richiedono che si dovrebbero dimostrare e rendere concepibili cronologicamente e psicologicamente le fasi mediante cui si realizzò il passaggio da una certa dottrina ad un'altra piuttosto incompatibile.
Da parte di Brückner, comunque, è partito un progresso importante e il problema si è dichiarato in termini nuovi e più scientifici. Le sue conclusioni personali sono state inadeguate e non hanno costituito nessuna soluzione al problema, perché egli ha applicato il suo metodo solo parzialmente dando eccessivo rilievo all'escatologia delle epistole. Ma la strada da lui aperta è stata perseguita al meglio scopo da Reitzentein e Bousset. Ad opinione di quelli scrittori il problema non è quello della psicologia di una singola mente, ma si deve risolvere tramite un'applicazione dei principi dello studio scientifico delle religioni. Bousset sostiene che qualcosa almeno della dottrina paolina più caratteristica fosse già quella delle comunità alle quali egli scrisse; e Reitzenstein ha rintracciato analogie tra il paolinismo e le idee religiose dei culti misterici e della letteratura ermetica. Entrambi quelli scrittori, comunque, hanno trovato necessario nell'applicazione del loro metodo essere selettivi, e non hanno tenuto conto del doppio aspetto della soteriologia paolina. Reitzenstein, è vero, ha tentato di spiegare l'escatologia paolina nella stessa maniera del misticismo paolino; ma Schweitzer ha sostenuto in modo conclusivo contro di lui che l'escatologia ebraica non ha nessuna analogia nel misticismo pagano. Da questa prospettiva  Brückner aveva la visione più chiara. In realtà, chiunque mantiene che Paolo fosse uno gnostico oppure un mistico è esposto alla confutazione da parte di ogni obiettore che porta avanti passi che nessuno gnostico o mistico può aver scritto. L'escatologia e il misticismo sono così non mescolabili al apri dell'olio e dell'acqua. Reitzenstein nel continuare il tentativo di spiegare le dottrine delle epistole senza tener conto della loro natura eterogenea si è esposto alla critica di Schweitzer, che scrisse:
L'Apostolo si pone dal punto di vista di una stretta predestinazione; per quelli che sono “chiamati” segue necessariamente la salvezza; quelli che non sono chiamati non possono mai, e in alcun modo, ottenerla. Un'analogia a questa concezione manca nelle religioni misteriche. [5]
Dovrebbe essere evidente in effetti che la concezione non poteva esistere eventualmente nello stesso contesto di idee religiose della dottrina paolina per cui chiunque lo voglia può diventare spirituale e una creatura nuova mediante un'unione mistica col Cristo — una dottrina che è esposta in termini perfettamente non ambigui in Romani 6:2b-13. La teoria del battesimo delineata in questa parte non avrebbe nessun senso se alcuni uomini fossero predestinati alla distruzione. Così non è ricavabile alcuna soluzione del problema paolino finché i teologi non siano pronti ad ammettere che le epistole sono composite. Bousset [6] ha già dichiarato che il problema è insolubile, siccome naturalmente è sulle linee sui quali i critici sono stati ad operare per i passati ottant'anni. Ma più presto o più tardi la verità albeggerà su di loro; e allora forse il valore del lavoro della Scuola Olandese sarà riconosciuto. Van Manen, al pari di tutti i pionieri, non sempre ha seguito la giusta strada, e l'esposizione dei suoi errori si possono far passare come una confutazione della sua tesi nel suo complesso; ma non sempre sarà così. La teologia è andata lontano durante gli ultimi cento anni, ed è capace di viaggiare più lontano.
Una dimostrazione di una stratificazione nelle epistole procede non solo dal riconoscimento di differenze dottrinali, ma anche da quello di differenze stilistiche. È altrettanto impossibile che lo scrittore di Romani 3-5; 7:7-25; 9:14-24; 11:1-12, dovesse aver scritto anche Romani 1:18-27; 2:17-29; 6:3-13, 16-23, come lo sarebbe per Martin Chuzzlewit essere stato scritto da George Meredith; e quando è stato osservato che una dottrina altamente caratteristica è invariabilmente accompagnata in numerosi lunghi passi da uno stile letterario davvero caratteristico e individuale trovato altrove solamente in brevi interpolazioni che sono così evidenti come ciottoli nell'argilla, e in alcune epistole — ad esempio, 2 Corinzi — non si trovano del tutto, la sola conclusione logica è che le parti in questione siano state inserite in un documento esistente in precedenza. È possibile mostrare mediante un esame accurato ed un confronto di stile e dottrina che in ognuna delle epistole principali è incorporato un documento gnostico e che quei documenti formano gli strati più antichi delle rispettive epistole. Una riproduzione approssimata del sostrato gnostico delle quattro epistole è aggiunto nelle Appendici da B fino a F di questo libro. [7]

NOTE

[1] Gesch. der Paul. Forsch.

[2] Opera citata, pag. 9.

[3] Opera citata, pag. 26, 28.

[4] Taufe und Abendmahl bei Paulus, pag. 56.

[5] Gesch. der Paul. Forsch., pag. 168. Lo scrittore predestinariano utilizza la parola “chiamato” ma la parola non comporta in sé stessa la dottrina della predestinazione.

[6] Der Apostle Paulus, 1906, pag. 16.

[7] Una dimostrazione dettagliata della correttezza approssimata della ricostruzione è offerta nel mio libro, A Critical Analysis of the Four Chief Pauline Epistles.