venerdì 22 giugno 2018

Gli Inizi del Cristianesimo Gnostico : Cristianesimo Paolino e Giovanneo (VII) — Il Problema Paolino

(segue da qui)


CAPITOLO VII


CRISTIANESIMO PAOLINO E GIOVANNEO


1. IL PROBLEMA PAOLINO

Nessuna valutazione del cristianesimo paolino è possibile finché abbiamo deciso quale delle dottrine eterogenee espresse nelle epistole sia realmente paolina. Riguardo a Paolo stesso si sa davvero poco che sia affidabile. Per il nostro presente scopo, comunque, sarà sufficiente, e sarà conveniente, usare il nome come quello del promulgatore di un corpo dottrinale che in realtà probabilmente emanava da più di una sola persona. Si tratta della dottrina di una scuola oppure di un gruppo di comunità alleate. In generale nel determinare la natura della dottrina non si può ricavare davvero molto aiuto da opere teologiche sul soggetto. Durante ottant'anni almeno, se cominciamo con F. C. Baur, un dispendio immenso di erudizione e perspicacia non è risultato in nessuna soluzione riconosciuta del problema paolino. Si potrebbe concludere tranquillamente che i teologi siano stati a ragionare a partire da una premessa falsa; altrimenti così molto lavoro appreso non sarebbe stata così miseramente sprecato. Il corso della discussione è stato ricordato e criticato acutamente da Schweitzer, [1] colla cui opinione sulla sua natura generale è impossibile non essere d'accordo:
I teologi operano sempre colle vecchie presupposizioni. . . . Il risultato è insoddisfacente da ogni punto di vista. Così la soluzione rimane impossibile come prima, e le semplificazioni che si pensano che siano state raggiunte nella dichiarazione del problema risultano solo in nuove difficoltà. 

La cosa straordinaria è che Schweitzer stesso non ha visto quale sia la presupposizione che falsifica persistentemente l'argomento, sebbene egli vi abbia posto il suo dito di nuovo e di nuovo. La difficoltà principale nella quale la critica si è molto dibattuta è, come lui sottolinea, che è stata spinta a riconoscere nelle epistole una doppia dottrina — una giuridica, fondata sul pensiero di giustificazione, e l'altra etica, governata dall'idea di santificazione — e non è stata capace di mostrare come le due siano collegate e come si possano unificare. [2] Ma ci sono anche contraddizioni collaterali che i critici tentano di rimuovere mediante un ragionamento sottile e verboso. Un metodo molto in voga è quello soggettivo di formare una concezione del paolinismo e poi portare in prominenza quei passi che la confermano, mentre tenendo passi inconvenienti fin dove è possibile nello sfondo oppure derivandoli arbitrariamente in un senso più favorevole.
La dualità essenziale della dottrina delle epistole paoline è stata notata chiaramente per prima da Lipsius (1853), con cui cominciò lo sforzo lungo e continuo per superarla. La critica di Schweitzer è che Lipsius attenua una delle dottrine a favore dell'altra e fa una connessione superficiale delle due tramite espressioni scelte abilmente. Egli è stato seguito da Lüdemann (1872), il quale ha sottolineato che nelle epistole ci sono non solo due concezioni della “carne” ma anche due “antropologie” con cui sono collegate rispettivamente due dottrine diverse di “redenzione”. La soluzione di Lüdemann è stata che la visione “etico-fisica” (ellenistica) costituisce di Paolo la “visione reale che tollera semplicemente la prossimità dell'altra e tende a soppiantarla” in proporzione a come lo scrittore procede più in profondità nella natura essenziale delle cose. Pfleiderer (1887) non è stato d'accordo con Lüdemann, mantenendo che entrambe le visioni avevano dal principio un eguale valore nella coscienza dell'Apostolo. Egli praticamente ha rinunciato al tentativo di risolvere il problema psicologico implicato nella sua conclusione, dicendo che non rimane nient'altro che ammettere che nella coscienza di Paolo le due diverse concezioni risiedono assieme disarmonizzate, e che egli passò dall'una all'altra senza sentire la contraddizione! Inutile dire che una conclusione che è stata nient'altro che una confessione di fallimento non è stata accettabile in generale ai critici teologi. La spiegazione per la maggior parte favorita dai successori di Pfleiderer è che la prospettiva religiosa di Paolo subì un cambiamento graduale. La spiegazione non spiega ciò che soprattutto ha bisogno di una spiegazione — vale a dire, la sovrapposizione di entrambe le dottrine pienamente sviluppate nella stessa epistola. Pfleiderer ha fatto riconoscere ad ogni caso il fatto che le due dottrine principali sono completamente mescolate. Il commento di Schweitzer è:

Si ricava quasi l'impressione che l'assunzione di fasi successive sia intesa principalmente a servire allo scopo di farfugliare sulla questione dell'unità interiore delle dottrine. I critici non esprimono nessuna meraviglia dinanzi alla maniera disinvolta con cui lo scrittore passa da una serie di idee all'altra. Alla conclusione di ciascuna di quelle opere si è obbligati a domandarsi se l'autore si aspetti veramente che il lettore consideri quel che viene offerto come la presentazione di un sistema che esistette da sempre nel cervello di un uomo del più antico periodo cristiano. [3]

L'osservazione finale sembra illustrare che Schweitzer avesse qualche presentimento di un fatto che impressionò fortemente van Manen — cioè, che dall'anno 30 alla data di Paolo non ci fosse stato tempo sufficiente per lo sviluppo di dottrine così diverse e così altamente elaborate. Comunque non è necessario con van Manen rilegare le epistole nella loro interezza al secondo secolo, dal momento che noi sappiamo che l'origine del cristianesimo gnostico o ellenistico precede l'inizio dell'era cristiana.
Un altro problema finora irrisolto si presenta coll'escatologia paolina, la quale è in flagrante opposizione alla dottrina gnostica dell'antitesi dello spirito alla carne — un'opposizione estremamente imbarazzante per quei critici che mantengono che la dottrina gnostica sia autenticamente paolina. Ma quelli che, al pari di B. Weiss (1886), enfatizzano l'escatologia e la credono il punto d'inizio della predicazione di Paolo non possono chiarire alcun processo ordinato di sviluppo. Kabisch (1893) rinunciò coerentemente al tentativo di spiegare la contraddizione assumendo un processo di sviluppo nel pensiero di Paolo, e tentò di sbarazzarsene asserendo che qualsiasi cosa Paolo scrisse della morte e della resurrezione egli intese una morte e una resurrezione fisiche, che decisamente non è il caso; inoltre, ci sono passi nei quali una “resurrezione” nel senso generalmente accettato del termine è negata implicitamente. Schweitzer osserva che secondo alcuni degli inquirenti lungo quelle linee la dottrina di Paolo consiste di una teologia “presente” e di una teologia “futura” tra le quali non esiste nessuna connessione intermedia. L'esistenza di quelle due teologie nelle epistole è, comunque, un fatto, e nessuno ha avuto successo nel riconciliarle. Brandt (1893), in diretta opposizione a Kabisch, ha sostenuto che Paolo considerò la sua conversione come “una morte e resurrezione del suo uomo interiore”. Una visione simile di morte e resurrezione cancella l'escatologia. Essa è la visione gnostica delle Odi di  Salomone dalla quale è del tutto assente un'escatologia.
Holtzmann (1897) ha recensito accuratamente l'opera dei suoi predecessori e ha tentato tramite una valutazione critica dei risultati ricavati nella luce dei suoi studi personali di dimostrare una cristologia paolina coerente. Il giudizio di Schweitzer è che lui, al pari degli altri, si spinge in semplici descrizioni nella fraseologia paolina ed è praticamente incapace di spiegare alcunché. Holtzmann trova la chiave del paolinismo nella storia della conversione di Paolo, sviluppando sulla sua base una teoria psicologica in un linguaggio vago e retorico. Ma, come una materia di fatto, nessuna dottrina nelle epistole è fondata dallo scrittore su un'individuale esperienza emozionale. In Romani 3 fino a 5, e 7:7-25, abbiamo un argomento strettamente ragionato con molta mostra di logica, e l'appello ad un'esperienza personale è piuttosto generale e capace di trovare una risposta nella coscienza di chiunque. In altre parti abbiamo una dottrina di redenzione che non è elaborata logicamente ma presentata come nota intuitivamente attraverso quel tipo sovra-sensoriale di conoscenza che è la Gnosi. La dottrina non è, nei suoi termini essenziali, peculiare a Paolo. Holtzmann differisce da alcuni altri critici nel negare che Paolo fosse uno gnostico. Schweitzer, d'altra parte, asserisce che l'intera natura del suo sistema lo mostra esser stato tale; ma come può ognuno che comprende cosa sia realmente lo gnosticismo credere che i capitoli di Romani sopra riferiti fossero stati scritti da uno gnostico? Holtzmann era conscio probabilmente dell'irreconciliabilità di gran parte della dottrina con la visione gnostica di redenzione, e ha fatto la negazione nell'interesse del suo metodo di armonizzazione — sostenendo, per esempio, che l'unione con Cristo nella teoria paolina del battesimo sia semplicemente simbolica. Quella è un'interpretazione forzata non giustificata dal testo, come hanno constatato altri commentatori — ad esempio, Titius (1900) e Heitmüller (1903) — l'ultimo dei quali [4] dichiara che l'unione mistica che si realizza nel battesimo tra il credente e Cristo sia un'unione “fisico-iperfisica” e ha per sua conseguenza che il primo partecipa veramente nella morte e resurrezione del secondo. Se sostituiamo al posto dell'espressione piuttosto evasiva di Heitmüller la parola “spirituale”, questo è il chiaro significato del passo (Romani 6:3-6) che esprime la visione gnostica della “resurrezione” — una visione che si enfatizza nel verso 13: “Offrite voi stessi a Dio come vivi tornati dai morti”. Una seconda resurrezione futura è esclusa. Né 1 Corinzi 1 e neppure le parti escatologiche delle epistole possono essere state scritte da questo gnostico. La procedura di Holtzmann in questo caso è tipica. L'ammissione di una contraddizione è elusa asserendo che Paolo in un certo passo non si debba intendere a significare quel che è detto veramente, perché ciò sarebbe incoerente con quel che si dice altrove. Un altro metodo di auto-inganno esemplificato da Holtzmann è la finta armonizzazione di una differenza radicata tramite una di quelle frasi vaghe che servono semplicemente come una copertura di insufficienza, come per esempio “la coincidenza di un'attitudine nazionale dello spirito con una forma greca di pensiero”.
L'opera di Holtzmann non è stata accettata dai teologi critici come una soluzione soddisfacente del problema paolino. Brückner (1903) e Wrede (1904) hanno sostenuto che il paolinismo non si può spiegare come uno sviluppo dell'insegnamento di Gesù, e il primo lo ha fatto risalire all'escatologia ebraica come esemplificata nelle Apocalissi di Esdra e Baruc. Questa conclusione è stata sfidata fortemente da Olschewski (1909), il quale ha obiettato che gli scrittori menzionati in precedenza non avevano spiegato “la combinazione peculiare di cristologia colla pneumatologia che è così specificamente paolina”, e ha tentato di fare così lui stesso suggerendo una teoria psicologica a partire dalla storia della conversione di Paolo — un espediente favorito, poiché avviluppando le difficoltà in una nuvola di parole i teologi sono capaci di convincersi che un'esperienza spirituale così eccezionale possa rendere conto della promulgazione di ogni sorta di dottrina paradossale da parte del suo soggetto. Ma i princìpi di una critica profonda richiedono che si dovrebbero dimostrare e rendere concepibili cronologicamente e psicologicamente le fasi mediante cui si realizzò il passaggio da una certa dottrina ad un'altra piuttosto incompatibile.
Da parte di Brückner, comunque, è partito un progresso importante e il problema si è dichiarato in termini nuovi e più scientifici. Le sue conclusioni personali sono state inadeguate e non hanno costituito nessuna soluzione al problema, perché egli ha applicato il suo metodo solo parzialmente dando eccessivo rilievo all'escatologia delle epistole. Ma la strada da lui aperta è stata perseguita al meglio scopo da Reitzentein e Bousset. Ad opinione di quelli scrittori il problema non è quello della psicologia di una singola mente, ma si deve risolvere tramite un'applicazione dei principi dello studio scientifico delle religioni. Bousset sostiene che qualcosa almeno della dottrina paolina più caratteristica fosse già quella delle comunità alle quali egli scrisse; e Reitzenstein ha rintracciato analogie tra il paolinismo e le idee religiose dei culti misterici e della letteratura ermetica. Entrambi quelli scrittori, comunque, hanno trovato necessario nell'applicazione del loro metodo essere selettivi, e non hanno tenuto conto del doppio aspetto della soteriologia paolina. Reitzenstein, è vero, ha tentato di spiegare l'escatologia paolina nella stessa maniera del misticismo paolino; ma Schweitzer ha sostenuto in modo conclusivo contro di lui che l'escatologia ebraica non ha nessuna analogia nel misticismo pagano. Da questa prospettiva  Brückner aveva la visione più chiara. In realtà, chiunque mantiene che Paolo fosse uno gnostico oppure un mistico è esposto alla confutazione da parte di ogni obiettore che porta avanti passi che nessuno gnostico o mistico può aver scritto. L'escatologia e il misticismo sono così non mescolabili al apri dell'olio e dell'acqua. Reitzenstein nel continuare il tentativo di spiegare le dottrine delle epistole senza tener conto della loro natura eterogenea si è esposto alla critica di Schweitzer, che scrisse:
L'Apostolo si pone dal punto di vista di una stretta predestinazione; per quelli che sono “chiamati” segue necessariamente la salvezza; quelli che non sono chiamati non possono mai, e in alcun modo, ottenerla. Un'analogia a questa concezione manca nelle religioni misteriche. [5]
Dovrebbe essere evidente in effetti che la concezione non poteva esistere eventualmente nello stesso contesto di idee religiose della dottrina paolina per cui chiunque lo voglia può diventare spirituale e una creatura nuova mediante un'unione mistica col Cristo — una dottrina che è esposta in termini perfettamente non ambigui in Romani 6:2b-13. La teoria del battesimo delineata in questa parte non avrebbe nessun senso se alcuni uomini fossero predestinati alla distruzione. Così non è ricavabile alcuna soluzione del problema paolino finché i teologi non siano pronti ad ammettere che le epistole sono composite. Bousset [6] ha già dichiarato che il problema è insolubile, siccome naturalmente è sulle linee sui quali i critici sono stati ad operare per i passati ottant'anni. Ma più presto o più tardi la verità albeggerà su di loro; e allora forse il valore del lavoro della Scuola Olandese sarà riconosciuto. Van Manen, al pari di tutti i pionieri, non sempre ha seguito la giusta strada, e l'esposizione dei suoi errori si possono far passare come una confutazione della sua tesi nel suo complesso; ma non sempre sarà così. La teologia è andata lontano durante gli ultimi cento anni, ed è capace di viaggiare più lontano.
Una dimostrazione di una stratificazione nelle epistole procede non solo dal riconoscimento di differenze dottrinali, ma anche da quello di differenze stilistiche. È altrettanto impossibile che lo scrittore di Romani 3-5; 7:7-25; 9:14-24; 11:1-12, dovesse aver scritto anche Romani 1:18-27; 2:17-29; 6:3-13, 16-23, come lo sarebbe per Martin Chuzzlewit essere stato scritto da George Meredith; e quando è stato osservato che una dottrina altamente caratteristica è invariabilmente accompagnata in numerosi lunghi passi da uno stile letterario davvero caratteristico e individuale trovato altrove solamente in brevi interpolazioni che sono così evidenti come ciottoli nell'argilla, e in alcune epistole — ad esempio, 2 Corinzi — non si trovano del tutto, la sola conclusione logica è che le parti in questione siano state inserite in un documento esistente in precedenza. È possibile mostrare mediante un esame accurato ed un confronto di stile e dottrina che in ognuna delle epistole principali è incorporato un documento gnostico e che quei documenti formano gli strati più antichi delle rispettive epistole. Una riproduzione approssimata del sostrato gnostico delle quattro epistole è aggiunto nelle Appendici da B fino a F di questo libro. [7]

NOTE

[1] Gesch. der Paul. Forsch.

[2] Opera citata, pag. 9.

[3] Opera citata, pag. 26, 28.

[4] Taufe und Abendmahl bei Paulus, pag. 56.

[5] Gesch. der Paul. Forsch., pag. 168. Lo scrittore predestinariano utilizza la parola “chiamato” ma la parola non comporta in sé stessa la dottrina della predestinazione.

[6] Der Apostle Paulus, 1906, pag. 16.

[7] Una dimostrazione dettagliata della correttezza approssimata della ricostruzione è offerta nel mio libro, A Critical Analysis of the Four Chief Pauline Epistles.

Nessun commento: