giovedì 21 febbraio 2019

Il Cristo è esistito?Conclusione (IX)

(Questo è l'epilogo della traduzione italiana di un libro del miticista E. Moutier-Rousset, «Le Christ a-t-il existé?». Per leggere il testo precedente, segui questo link)


Indice dei Contenuti

Cap. I. — Credulità generale
Cap. II. I documenti

Cap. III. Gli autori profani
Flavio Giuseppe
Filone
Giusto di Tiberiade
Plutarco
Tacito
Svetonio
Seneca
Plinio il Giovane
Giovenale, Persio, Marziale

Cap. IV. — Gli scrittori sacri
San Paolo
Gli Atti degli Apostoli
Le epistole apocrife:
San Paolo
San Pietro
San Giovanni
San Giacomo
Apocrifi
Le Sibille

Cap. V. — I vangeli
Gli evangelisti:
Marco
Matteo
Luca
Giovanni


Cap. VII. — La moneta nei vangeli


Cap. IX. — Conclusione

CAPITOLO IX

CONCLUSIONE

In sintesi, da tutte queste ricerche risulta con la massima evidenza:
1° — Che nessuno dei cronisti profani ebrei, greci o latini del primo secolo parla di Gesù e che fanno menzione a malapena dei cristiani in due o tre passi eccessivamente vaghi, dal significato dubbio e di cui si potrebbe a buon diritto sospettare l'autenticità, anche quando l'interpolazione non è affatto indiscutibilmente dimostrata;
2° — Che gli autori sacri, il cui nome e financo la patria sono rimasti segreti, se si dilungano parecchio sugli insegnamenti che attribuiscono al Messia, lasciano interamente da parte la persona di Gesù, ad eccezione degli evangelisti, tutti altrettanto sconosciuti e che a loro volta, non danno su di lui che dei dettagli vaghi e discutibili che sono di poca importanza e ci mostrano solo un'immagine nebulosa; che sono, in effetti, pressappoco silenti sulla biografia propriamente detta del Salvatore; sappiamo, inoltre, che si sono copiati gli uni dagli altri, fatto che rimuove ogni valore alle leggende dei tre meno vecchi; che gli stessi fatti raccontati da Marco, il primo in ordine di tempo, presentano solo una minuscola probabilità, diminuita ulteriormente dalle contraddizioni dei suoi successori;
3. — Che l'assenza completa di date in tutto il Nuovo Testamento, sia che provenga da una decisione deliberata oppure dall'irrealtà degli eventi, aumenta ulteriormente l'oscurità dei racconti ed aggiunge alla loro inverosimiglianza;
4°. — Che i personaggi nominati dagli scrittori canonici sono completamente ignorati oppure se, per caso, i nomi di rari attori storici si riscontrano sotto la loro penna, i redattori della Buona Novella dimostrano chiaramente di averli sentiti pronunciare solo in una maniera molto indistinta; incessantemente, confondono i titoli di questi personaggi e offuscano le epoche in cui li collocano;
5°. — Che l'imprecisione assoluta dei luoghi dove si suppongono che siano avvenute le avventure più straordinarie della carriera di Gesù, come ci sono raccontate dagli evangelisti, che l'assenza di qualsiasi colore locale nella totalità dei dettagli dell'ambientazione della scena, provano sovranamente che questi scrittori non hanno mai potuto accompagnare il Salvatore, tantomeno percorrere, più tardi, la regione  dove realizzò la sua missione, ma ancora che hanno potuto documentarsi solo da chi era così poco a conoscenza della Palestina; la Chiesa stessa non osa sostenere troppo che tutti gli evangelisti hanno seguito il Cristo.

Questa è la ragione per cui è ben difficile vedere in queste leggende nebulose qualcos'altro rispetto alla personificazione delle speranze messianiche degli ebrei di quel tempo, mescolate alla memoria favolosamente alterata della predicazione rivoluzionaria di alcuni agitatori della Palestina, come il Battista, per esempio, oppure Teuda e Giuda il Gaulonita (Atti 5:37). Vedremo, in seguito, molti passi dei vangeli che sono inspiegabili nell'ipotesi della realtà del Redentore.

Se è impossibile negare in una maniera certa che Gesù sia esistito, poiché non si può trovare una negazione, in ogni caso, si è almeno autorizzati ad affermare con forza che egli non ha lasciato alcuna traccia certa della sua esistenza e che, se ha vissuto, è passato completamente inosservato e ignorato, persino in Giudea (Atti 25:19).
“Io vedo, nella vita di Gesù, solo un fatto che sia assolutamente indiscutibile, che fu messo sulla croce per ordine di Ponzio Pilato; ma, ad eccezione di questo fatto unico, io non credo che si sia prodotta, a proposito di Gesù, una sola affermazione che non sia soggetta a dei dubbi serissimi” (Havet, le Christian. et ses Origin. IV, pag. 14).
Contrariamente a quanto avanza lo storico erudito delle Origini del Cristianesimo, siamo convinti che questo fatto unico non sia affatto ben assicurato di per sé. Oltre agli evangelisti, così poco degni di credito e così distanti da eventi e da luoghi, non troviamo altro che una parola di Paolo che menziona il supplizio del Redentore: “Noi predichiamo il Cristo crocifisso” (1° Corinzi 1:23), ma l'apostolo è qui solo un riflesso della leggenda nazarena che egli si è  sempre evitato di verificare; non conosce né Caifa né Pilato: ne sa ancor meno di Tacito sul Cristo. Abbiamo visto in precedenza quanto il  passo dello storico romano sul Salvatore sollevi dei sospetti. D'altra parte, il racconto della comparsa di Gesù davanti al Sinedrio, poi il secondo giudizio davanti a Pilato, come ce li presentano gli evangelisti, il resoconto dell'esecuzione, il ruolo del sommo sacerdote e quello del procuratore, contengono troppe peculiarità inammissibili perché si possa attribuire loro il minimo valore storico e gli autori della Buona Novella sono troppo poco d'accordo tra di loro “perché non siano soggetti a dei dubbi serissimi”, perfino nei dettagli che non offrono nulla di soprannaturale. Non percepiamo, in realtà, alcuna traccia indiscutibile dell'esistenza di Gesù, nemmeno negli scrittori sacri: gli evangelisti sono i soli a parlarne come di un essere che è vissuto, ma tutte le gesta che gli prestano sono miracolose. Il resto del Nuovo Testamento, dal suo canto, rimuove dall'azione del Messia, tutto ciò che contiene di umano, per quanto sia meraviglioso e inaccettabile, per occuparsi solo del Cristo risorto e del regno di Dio che ha promesso a coloro che credono alla sua parola. Se ci si astrae dal cosiddetto Marco, dalla realtà così incerta e di cui gli altri evangelisti sono solo l'eco alterata; se rifiutiamo di prestare fede alla sua testimonianza così incredibile, non ci resterà dunque di più o meno autentico che una confusa menzione del nome di Cristo, in Tacito e, supponendo che quella non sia stata affatto interpolata, ipotesi che non manca per nulla di verosimiglianza, noi non sappiamo da quale fonte l'annalista ha potuto basare questa informazione. Si ammetterà che ci sono delle ben magre prove per asserire una convinzione e che le ragioni per dubitare sono di gran lunga più solide.

Ci resta da indagare come il nome di un personaggio così elusivo, così inconsistente, abbia potuto divenire il perno di una religione distinta, vale a dire, resta da studiare al meglio, l'ambiente nel quale si è propagata la nuova credenza e da rimarcare quanto fosse favorevole alla sua schiusa e al suo sviluppo; cercare di rendere conto delle idee, delle superstizioni, della situazione, delle aspirazioni delle masse popolari dove il cristianesimo si è per prima diffuso, dell'anarchia morale e materiale del governo dei Cesari, riconoscere che le massime disperate del vangelo sono solo il riflesso di sofferenze intollerabili; infine, esaminare l'azione e le opere degli scrittori dell'Antico Testamento. Tutto questo studio porterà a rafforzare la convinzione già ben assicurata dal silenzio della Storia, che la leggenda di Cristo è una favola inaccettabile.

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