martedì 23 febbraio 2021

Risposte alle obiezioni

 

INDICE

Prefazione

Dalla fede all'incredulità

Poniamo il problema

Le fonti profane

La scrittura santa

I testi cristiani

I Vangeli

Il mito

Risposte alle obiezioni

CAPITOLO VII

Risposte alle obiezioni


Gli storici, mi sembra giusto, conservano per la fine le loro migliori cartucce. Eccole in ordine di scoppio.

I fratelli di Gesù: Mai, dicono alcuni, si aveva invitato dei fratelli così ingombranti che la Chiesa, in seguito, tentò invano di nascondere. La loro esistenza si impose dall'inizio, provando allo stesso tempo quella di Gesù.

A prima vista, l'argomento compromette la nostra tesi; ma, dopo la riflessione, la sostiene. 

I «fratelli di Gesù», come tutto il resto, provengono dall'Antico Testamento. Si può leggervi a proposito di Giuseppe, figlio di Giacobbe, che sarebbe stato «Nazareno tra i suoi fratelli» (Genesi 49:26). E si trova la stessa espressione nel Deuteronomio (33:6).

Ora Giuseppe passava per il prototipo di Gesù: entrambi furono venduti da uno di nome Giuda, e molti dei loro fratelli recavano lo stesso nome. 

Per di più, come si è visto, le raccolte di profezie messianiche raggruppavano, l'abbiamo visto, formule senza contesto. Queste parole sorprendenti: «Nazareno tra i suoi fratelli» potevano suggerire i fratelli... e perfino il Nazareno. Il verso di Matteo (2:23) proviene senza dubbio di là. 

Il Nazareato collocava il prescelto al di sopra della sua famiglia: diveniva principe nel senso spirituale. A maggior ragione la divinità, quella investitura immediata da parte del dio supremo. I genitori carnali fornivano solo il supporto. 

Il vangelo non pensa per nulla di sminuire il Cristo contando tra i suoi antenati Tamar l'incestuosa, Raab la cortigiana, Sara la sterile, Agar la serva, Rut la moabita e Betsabea l'adultera (Matteo 1:1 ss). 

Gli dèi avevano allora famiglie inverosimili: lo stesso Zeus per poco finì divorato da suo padre Crono. Gesù poteva nascere senza decadere da una prostituta e, come Attis, da un incesto. La rosa trascende il letame. 

Da qui le parole di Cristo a Maria: «Che vi è fra me e te, o donna?» (Giovanni 2:4) o lo strano dialogo tra madre e figlio nel Tempio (Luca 2:39 ss).  

Si può spiegarlo solo così: il figlio era dio senza che la madre lo sapesse, la divinità scendendo dall'alto. Maria e Giuseppe avevano portato solo il loro corpo, quello straccio necessario alla Redenzione: il loro ruolo si arresta là.

A voler allineare questi testi al dogma attuale, l'apologetica si ridicolizza. 

Quanto ai fratelli, essi non sono per nulla dèi, essendo la divinità, come il genio, di natura individuale. Gli dèi pagani nati da una mortale avevano anche fratelli che non erano dèi.

Gesù, dio del mistero, che è ebreo solo in connessione alle Scritture, rientra in questo caso.

Il vangelo si basa sull'incomprensione della famiglia nei confronti del Cristo: lo credono addirittura «fuori di sé» (Marco 3:21). Guignebert ne è sorpreso; [237] eppure è logico: Gesù gli è troppo superiore per essere compreso da loro. Si misura la sua altitudine in base a quella differenza.

Fatto strano: questi versi, che li si oppone ora alla divinità del Cristo, avevano per scopo di provarla. Per comprenderli, vanno illuminati con la teologia pagana da cui procede tutto il vangelo.

Perché quest'ultimo è ebraico solo per il contesto e i personaggi: Israele non si sbagliò affatto. Qui tutto ha valore apologetico: Gesù fece pochi miracoli a Nazaret a causa dell'incredulità della gente. La fede è quindi una condizione necessaria. Non va confusa l'impotenza del guaritore con l'esigenza di un dio. Abbiate la fede, dice il vangelo, il miracolo seguirà.

 Se i fratelli di Gesù non credono in lui, è per una ragione precisa: non si potrà sospettare la famiglia di collusione. Il prestigio del dio non vi perde nulla, essendo la sua vera famiglia in cielo con il Padre e sulla terra con coloro che credono (Matteo 12:50)

Allo stesso modo, il clero comincia sempre ad opporsi, in apparenza, ai visionari estatici. In seguito, quella resistenza calcolata diventa convincente.

La prima stesura dei vangeli dava quindi a Gesù dei veri fratelli, tanto reali quanto lui. Più tardi, la fede corresse la situazione: per imporsi ai pagani, proclamò la nascita verginale del Salvatore.

Grazie ad un controsenso dei Settanta, si trovò che Isaia (7:14) la aveva annunciata. L'ebreo Aquila volle invano ristabilire il racconto nella sua forma autentica: i cristiani lo accusarono di snaturare il testo e di corrompere i costumi. [238]

Si ritoccarono i vangeli, le genealogie avendo portato fino ad allora a Giuseppe. Si legge ancora nel Syrus Sinaiticus: «Giuseppe, a cui la Vergine Maria fu promessa sposa, generò Gesù». Con una scorciatoia, Matteo (1:16) tentò di salvare la situazione. 

L'espressione «Figlio dell'uomo» fu allora evitata con cura: «In greco», dice padre Renié, «significa letteralmente un uomo, nato da un uomo, che ha un uomo per padre. È facile comprendere a quali malintesi quella espressione poteva dare luogo». [239]

Era al contrario troppo facile da comprendere. 

Quanto ai fratelli, divennero fratellastri, poi falsi fratelli. 

Gli irriducibili metteranno qui «Giacomo, il fratello del Signore», presunto vescovo di Gerusalemme. Ma Giacomo morì nel 62, a 96 anni, secondo Epifanio. [240] Era quindi nato nel 34 A.E.C., il che rende molto improbabile una fratellanza carnale con Gesù. 

Ognuno può spiegare i legami fraterni del Cristo secondo la propria fantasia. Renan pensa che i «fratelli del Signore» formassero nella Chiesa primitiva un Ordine parallelo a quello degli apostoli. 

Questo è possibile. I Fratelli, le Sorelle, i Reverendi Padri e le care Madri hanno sempre provveduto nella Chiesa per la nostra edificazione. 


Altre obiezioni

Eccone una, una puramente negativa: nessuno, nel primo secolo, avrebbe negato l'esistenza del Cristo.

Come saperlo? Ogni setta, dopo il suo trionfo, si affretta a distruggere ciò che la disturba: dove sono le nevi di un tempo e le Antitesi di Marcione? Che ne è stato delle opere di Frontone, di Giamblico, di Libanio? 

Giustino ci assicura che gli ebrei del suo tempo diffondevano fuori dalla Palestina dei libri contro i cristiani: dove sono questi libri? 

Costantino, Valentiniano, Teodosio fecero bruciare gli scritti «colpevoli di risvegliare la collera di Dio e di ferire le anime»

Nella Città di Dio, Agostino si felicita con le autorità per essersi opposte alla confutazione della sua opera. [241] Gregorio Magno, nel V° secolo, fa incendiare la Biblioteca Palatina e ordina la distruzione dei libri profani. [242]

Si pensa con ironia alle parole di Fustel de Coulanges: «Dove sono dunque i vostri testi?»

La polemica ebraica e pagana è conosciuta solo attraverso gli apologeti: è da temere che quest'ultimi rassomiglino ai nostri. Celso è in parte trasmesso da Origene, Giuliano da Cirillo e Teodoreto, Porfirio da Macario e Girolamo.

È vero che nessuno di loro nega, a quanto pare, l'esistenza di Gesù. Tuttavia i cristiani avrebbero torto a rallegrarsene troppo in fretta. 

Innanzitutto, questi illustri predecessori fanno le maggiori riserve sulla veridicità dei vangeli. Lo si è visto per Celso, e Porfirio è ancora più esplicito: «Gli evangelisti furono inventori non i reali conoscitori dei fatti che concernevano Gesù». [243]

Questo è troppo e il Codice di Teodosio punirà con la morte ogni possessore dei libri di Porfirio.

Se non hanno negato l'uomo Gesù, si deve concludere la sua esistenza? Certo che no.

Nessuno storico ha negato Gargantua o Micromega. Nessuno, prima del papa Pio II (morto nel 1464), aveva messo in dubbio la papessa Giovanna che era vissuta nel IX° secolo. Giovanni Hus la evoca al Concilio di Costanza, del 1415, e nessun Padre se ne stupì: tutti ci credevano.

 Chi dubitò, prima del XVII° secolo,  dell'esistenza di Pharamond? La Cronaca di San Dionigi faceva regnare questo capo franco dal 420 al 426: la sua leggenda, però, si è unita a quella di Guglielmo Tell. 

Si è sempre della propria epoca: Celso, Porfirio, Giuliano erano evemeristi come tutti gli altri, ivi compresi i Padri della Chiesa. Si ignorava tutto, in passato, della formazione dei miti, che riguarda la sociologia, disciplina recente.

 Credevano così nell'esistenza umana di Gesù e l'interpretavano a loro modo. Un'inchiesta è onerosa, spesso penosa: è più semplice spiegare un fatto inesistente con una chimera. Fontenelle lo ha mostrato nella sua Histoire des Oracles con l'allegoria del Dente d'oro. 

Così i doceti, ritenendo malvagia la materia, diedero a Gesù solo una apparenza di carne. Nelle sue Origini della religione, Charles Hainchelin scrive: «L'esistenza stessa dei doceti, va sottolineato, costituisce a favore della tesi mitica un grande, grandissimo argomento».

Questa non è la mia opinione: il docetismo è un'opinione teologica che non invalida né conferma l'esistenza di Gesù. La suppone acquisita, il che non significa provato.

Lattanzio, Eusebio e Arnobio non negano i miracoli pagani, ma li spiegano con la magia. Celso fa altrettanto per quelli di Gesù; non ha fatto alcuna ricerca sulle origini cristiane: «Tutto è ricavato dai vostri stessi autori. Noi non dobbiamo presentare altri testimoni; voi vi confutate da voi stessi». [244]

Il Talmud, senza risalire alle fonti, si limita a deformare il vangelo. La sua stesura è tarda: 5° e 6° secolo. Nella sua forma attuale, risale al XIII° secolo e sostiene che Gesù sia nato da una parrucchiera e dal soldato Pantera: questo nome prova la parodia. [245]

Rops lo va venire da parthenos, parola greca che significa vergine: l'etimologia è tendenziosa. 

Nel vangelo, a Gesù piace ripetere che è lui solo tutta la Legge (Pan Torà): ecco piuttosto l'origine del gioco di parole. 

Ora, un Gesù ben Pandera era vissuto sotto Alessandro Ianneo, 106-79 prima dell'era cristiana. Dopo un viaggio in Egitto per sfuggire la persecuzione, fondò una setta di ebrei apostati e fu messo a morte. 

Questo misterioso personaggio evoca sia il Maestro di Giustizia che il Gesù dei vangeli. Se la leggenda del Cristo è, per la maggior parte, attinta dalla Bibbia, copia anche da altri eroi, reali o fittizi.

 Gesù ci appare allora come una sintesi. 

Una tale avventura accadde in passato ad Ercole: Cicerone ne contava sei, Varrone quarantatré: li si riuniva tutti nel figlio di Giove e di Alcmena che fu, da allora, l'unico Ercole. 

Un'altra obiezione viene da Jean-Jacques Rousseau: «Il vangelo ha dei caratteri di verità così grandi, così sorprendenti cosi perfettamente inimitabili, che l'inventore sarebbe più straordinario dell'eroe». [246]

C'è molto da dire: le parabole hanno le loro controparti nel Talmud. I discorsi di Gesù ricordano così bene quelli dello pseudo-Enoc che Barnaba si confonde nella sua epistola (4:16) e attribuisce all'uno ciò che appartiene all'altro. 

Si ritrovano talvolta parola per parola nelle apocalissi ebraiche, in particolare nel Libro di Esdra, le profezie del Cristo sulla fine del mondo. 

Klausner ha ritrovato nelle preghiere talmudiche tutto il Padre Nostro in piccoli frammenti, e Charles il Discorso della montagna nel Testamento dei dodici patriarchi. Fino al gentile «Amatevi gli uni gli altri» che correva per le strade.

Quanto all'eroe stesso, si sa da dove viene: da quell'arlecchinata di versi biblici ricuciti nel migliore dei modi. Questi frammenti disparati, spesso contraddittori, generarono un carattere incoerente: il Gesù dei vangeli si contraddice in parole e in azioni: Jules Soury e Binet-Sanglé ne hanno concluso che era pazzo.

Non è difficile ricavarlo da sé: è sufficiente scegliere i testi. Si trovano nel vangelo i principi della democrazia e della dittatura, del dogmatismo e del libero esame, la schiavitù legittimata e l'uomo libero: è un miscuglio di eterogeneità. 

Da qui il suo successo: ognuno può trovare ciò che cerca o ciò che ci mette. L'odio endemico dei cattolici e dei protestanti in nome dello stesso vangelo ne sottolinea col sangue le contraddizioni: l'Irlanda moderna ne offre lo sconvolgente esempio.

Mauriac giudica il Cristo «formidabilmente illogico perché è la vita stessa».

Lo è, al contrario, perché è fatto di pezzi di ricambio: Gesù non è una persona, ma un assemblaggio. Il carattere fittizio del personaggio denuncia la costruzione artificiale della sua storia.

Un'altra seria obiezione è sollevata da Houtin: senza Gesù, la storia del cristianesimo mi sembrerebbe tanto inspiegabile quanto quella dell'Islam senza Maometto o del pitagorismo senza Pitagora. [247]

Questo equivale a mettere Gesù in una compagnia che non è la sua: Pitagora e Maometto sono profeti, Gesù è un dio. L'esistenza del dio è necessaria al culto, quella del profeta non è indispensabile: quale è quello del Rinascimento, della Rivoluzione, della Riforma? 

Lo stato sociale è sufficiente a spiegare tutto: quando il tronco è caldo, si infiamma. Lutero è più un effetto che una causa: la sua fortuna fu d'arrivare in tempo. Appena prima, avrebbe fallito come Hus e Wycliffe. Non si può essere storicisti se non per non essere sociologi. 

Se, malgrado tutto, avete bisogno di un uomo per trascinare il gruppo, prendete san Paolo: ecco il Pitagora e il Maometto di cui Gesù è il dio. 

I credenti obietteranno che la grandezza eccezionale del cristianesimo esige un'origine alla sua misura: sovrumana. 

Scolastica verbosa! Cerco la proporzione tra la foresta in fiamme e la scintilla che ha messo il fuoco. Quale rapporto tra Bernadette Soubirou e le folle di Lourdes? 

Il cristianesimo deve il suo successo alle cause sociali, alla potenza appassionata della fede e alle sue reazioni a catena. «I santi di legno intagliato», dice Lichtenberg, «hanno fatto di più nel mondo dei santi viventi».

Lo Spirito Santo soffia solo nella febbrile immaginazione del devoto.

A volte si sente quest'altra obiezione, piuttosto pungente: i cristiani, opponendo i razionalisti tra di loro, pretendono di confutare Loisy con Alfaric, Couchoud con Guignebert, Las Vergnas con Renan. Poi, supponendoli uccisi gli uni dagli altri, cantano sui loro cadaveri il Credo dell'unità cristiana. 

Possa la loro unità portarsi altrettanto bene dei nostri morti! È infatti artificiale e sleale, poiché la Chiesa decreta la testimonianza evangelica articolo di fede. 

La bolla Lamentabili sane exitu del 1907 proibisce agli esegeti di interpretare la Bibbia come un «documento puramente umano» e ingiunge loro di tenere per scontata «l'origine soprannaturale della sacra Scrittura».

Monsignor Le Camus fa questo commento: «Il mio diritto si limita a dire: in nome della scienza critica, cercherò tutto, esattezza e significato letterale dei testi, argomenti intrinseci ed estrinseci, per arrivare alla conclusione che tengo in anticipo per certa o, meglio, alla dimostrazione che ho il diritto di opporre ai non-credenti: che le quattro biografie di Gesù sono autorevoli per noi e che il quarto vangelo è storico, autentico, ispirato al pari degli altri tre. Quindi la scienza che intendo attingere con tutto l'ardore e la sincerità dei razionalisti di qualsiasi scuola non è solo per fortificare la mia fede, ma per provocare quella degli altri. La fede è il mio obiettivo, là sarà il mio trionfo». [248]

Se la scienza è questa, andrò a dirlo a Roma.  

Per questi singolari studiosi, l'obiezione è inevitabilmente ingannevole, essendo vera la fede. San Tommaso l'aveva detto in pessimo latino.

Nel loro «Jésus contre Jésus», Gerard Mordillat e Jérôme Prieur pongono il problema: «Da secoli, gli esegeti cristiani hanno ben setacciato le biblioteche, ma non hanno mai trovato Gesù nella letteratura antica.... I razionalisti conclusero che Gesù era solo un mito inventato di sana pianta». [249]

Essi credono però alla storicità di Cristo, appoggiandosi su tre constatazioni:

In primo luogo, lo «scandalo della crocifissione»: Perché i cristiani avrebbero immaginato questo modo di esecuzione... tipicamente romano? 

In secondo luogo, il capo d'accusa «re dei giudei»: Questo titolo applicato al Signore nel momento in cui la Chiesa in gestazione si distanziava dal giudaismo sembra loro inverosimile se la storia è inventata.

In terzo luogo, le incongruenze dei testi sono, ai loro occhi, altrettanti indizi di un lavoro non concertato che non accredita la finzione.

Fine della dimostrazione. L'argomento è incoerente, l'abbiamo visto in queste pagine.

Ma gli autori del Corpus Christi partono da un apriorismo: «Se il Cristo, vale a dire il Messia, è una figura teologica, Gesù invece è un individuo di cui va affermato fin dall'inizio che non sappiamo nulla (o quasi), se non che è morto. Da cui ciascuno può dedurre che è nato». [250]

Questa scorciatoia è sorprendente: così la crocifissione, racconto liturgico ricavato dalla testimonianza unilaterale della Chiesa, imporrebbe ipso facto la nascita storica. Confusione di generi: la teologia non cessa di intromettersi nel temporale.

Alcuni denunciano il «negazionismo» come si denunciava in passato la stregoneria:

«Credendo di porre una fine al dibattito, si è persino arrivati a dire che non è mai esistito. Il primo nichilista, David-Friedrich Strauss, nella sua Vita di Gesù (1835), scrisse che il Cristo è il prodotto dell'immaginazione delle prime comunità cristiane. Più recentemente, John Allegro... pretende che Gesù è nato nella mente dei primi cristiani annebbiati dall'ingestione di psilocibina, una sostanza allucinogena, componente attiva di certi funghi velenosi. Il principio è banale: consiste nel negare l'esistenza di ciò che imbarazza. Costituito in sistema, si sa quanto possa essere pericoloso questo vecchio riflesso negazionista. Rivestendosi da una patina di rispettabilità scientifica, scuote facilmente le menti più deboli per servire veramente le sole ideologie pericolose».

Il subconscio collettivo resiste molto spesso alla ragione.

Questa assenza di rigore è frequente; numerosi sono gli autori che eludono senza pensarci un attimo la storicità di Gesù. «L'invenzione di un tale personaggio in così pochi anni è totalmente inverosimile», si può leggere nella ufficialissima Storia delle religioni. [251]

«Tutto il problema moderno dell'analisi del racconto della vita di Gesù dipende ovviamente dal metodo utilizzato», avverte Suzel Fuzeau-Braesch, «questi si classificano in due gruppi: i teologi... e gli storici laici.... Ma, in un recente periodo, la situazione è complicata dal fatto che alcuni teologi si vogliono anche storici». [252]

Lo stesso Albert Schweitzer pensava che nessuno è in grado di scrivere una vita autentica di Gesù sulla base dei documenti disponibili. [253]

Altro protestante, Wauthier d'Aygalliers riconosce che si è spesso «lontani dai metodi moderni della storiografia.... Non si è abbastanza notato la deformazione interessata ai quali sono stati costretti i testi dagli editori più ansiosi di stabilire una tesi in conformità alla loro mentalità o al loro tempo che di registrare puramente l'insegnamento della fonte».

Alcuni praticano l'arte di schivare. Così H. Raschke, citato da Drews, pensa che «l'esistenza di Gesù non ha bisogno di essere negata, perché, a dire il vero, non ha mai potuto essere affermata».

La Chiesa, infine, si incarica all'occasione di dirimere la difficoltà. Padre Lagrange era partito di fretta a togliere il Pentateuco a Mosè quando Roma lo fischia nel bel mezzo di una serie di articoli.

Illuminato di colpo, il Padre si fermò subito: l'unità cristiani era salvata. [254

La strada essendo fissata alla cristianità, è normale che si ritrovi al capolinea. Chi se ne discosta viene soppresso, il che assicura l'unità degli altri. 

Allo stesso modo, nonostante tre scismi e venti eresie, la Chiesa è sempre senza lacerazioni: un frammento non è mai rotto.

I miscredenti non hanno tra loro quella bella armonia: si arriva perfino a litigare. Ma tutti sono d'accordo nel respingere l'esegesi ortodossa e, per ventura, nel battere i suoi campioni. 

Le loro divergenze sul resto valorizzano il loro accordo alle spalle dei cristiani.   


In sintesi

A prima vista, la tesi cristiana è soddisfacente, i vangeli essendo fatti per essa. Ma crolla all'esame. 

Abbiamo visto le difficoltà della storia, ma la teologia ha le sue.

Gesù non appare da nessuna parte come un uomo-dio, cioè come un essere al tempo stesso composito, come il centauro, la sirena o il grifone. Ma egli è a volte uomo e a volte dio; da qui l'incoerenza, la trappola e il nodo gordiano. 

L'affresco cade spesso nel ridicolo: così secondo Luca (24:42 ss), Gesù glorificato attraversa i muri e mangia del pesce, volendo provare a ogni costo che il suo corpo è proprio reale. 

A volte la stessa divinità del Cristo è danneggiata, il che costringe il credente a guardare altrove. Monsignor Calvet inciampa sull'angoscia di Gesù in croce: «ci sono misteri inquietanti che è pericoloso indagare». [255]

 Come dite voi. 

Secondo san Tommaso, Gesù è «calmo nelle parti superiori dell'anima e turbato solo nelle inferiori». [256] Altrove l'anima ridiviene meravigliosamente semplice per salvare la sua immortalità.

Ma le gesta trasmurali del nazareno non disturbano la quiete del cristiano. Il signor Guitton scrive semplicemente: «Tiberio, Tacito, Filone, Giuseppe, se fossero stati nella stanza dove è apparso Gesù non avrebbero scorto nulla». [257]

Poi, con le spalle al muro, ci si siede sulla difficoltà come Dio sui cherubini: qui sedes super cherubim (2 Re 19:15). 

Rops, legatario universale dei due Testamenti, ha l'ottimismo dei cuori puri che non complicano inutilmente le cose: «Tutto è semplice, mirabilmente semplice per chi si basa solidamente su questo dogma: Gesù è dio fatto carne». [258]

 È anche sempliciotto. 

E tutti, trasportati, gridano con Pascal: «Non rimproverateci la mancanza di chiarezza, perché ne facciamo professione» (Pensieri 751). 

La critica dell'avversario è il mestiere che entra in gioco.

Una tesi confermata della storicità di Gesù non chiarirebbe peraltro la metamorfosi di un povero diavolo in dio. Anche se si arricchirà più tardi la sua divinità facendolo salire di grado — da secondo dio, diventa il dio supremo — all'inizio era già così alto che si sale.

Se si cerca altrove una divinizzazione simile a quella di Gesù, non se ne trova né tra gli ebrei, né tra i pagani, quella degli imperatori non essendo per nulla della stessa natura.

Conosciamo in compenso diversi dèi «umanizzati», Attis, Mitra e gli altri. Ragioniamo per analogia: non credendo nella trascendenza di alcun culto, diciamo con Albert Sorel: «Nulla, nella Storia, si spiega se non per collegamento, si comprende se non per confronto».

La storia comparata delle religioni si impone allo stesso tempo dell'anatomia comparata. Ma essa testimonia con tutta evidenza a favore della tesi miticista. Non molto tempo fa, i cardinali e arcivescovi di Francia denunciavano «il corso della storia delle religioni destinato a confondere in uno stesso disprezzo l'errore e la verità».

La storicità del Cristo è così ipotetica che i suoi partigiani reagiscono sempre con gli argomenti della fede. Essi affermano più di quanto non sappiano; fides argumentum non apparentium (Ebrei 11:1). 

Testimone Renan: «Se ci si attenesse, scrivendo la vita di Gesù, ad avanzare solo certe cose, ci si dovrebbe limitare a qualche riga». [259]

 Su ciò, egli scrive quattrocento pagine.

Dall'altra parte, Guitton, l'altro biografo di Gesù, segue il suo esempio: «Ciò che mi dà fastidio è essere obbligato a volte, per il mio ruolo o per le apparenze, ad essere più di quello che sono, ad affermare più di quello che so e a presentare agli altri come certo ciò che non lo è altrettanto per me». [260]

Soprattutto, come tutti i credenti, si avvicinano alla verità senza vederla. A proposito dell'autore di profezie e di apocalissi, lo stesso Renan scrive per distrazione: «A forza di parlare del Messia, lo crearono». [261

Ancora un passo, sarebbe là.

Per Loisy, «nulla nei racconti evangelici ha consistenza di fatto se non la crocifissione di Gesù per sentenza di Ponzio Pilato a causa di agitazione messianica». [262]

 Ora, solo i vangeli parlano della crocifissione di Gesù: è logico conservarla rigettando il resto?

 Loisy dice altrove: «L'autore (Giovanni) non ha mai conosciuto che un Cristo liturgico, oggetto del culto cristiano. (...) Da questi frammenti di biografia divina non si ricava alcuna impressione di realtà». [263]

E ancora: «I miti religiosi sono un lavoro del pensiero religioso su cose religiose e non sui fatti». [264]

All'occasione, precisa che Gesù non è «il fondatore della religione cristiana, ma il suo punto di partenza». [269]

E, per finire, questo superbo lapsus: «Se Gesù è esistito, i suoi discepoli...». [265]

Ed ecco la sua conclusione: «L'origine puramente mitica del cristianesimo è un romanzo; l'esistenza storica di Gesù è un fatto». [266]

Chi ci avrebbe creduto? 

Guignebert confessa: «Ci si potrebbe seriamente chiedere se tutto quello che sappiamo di Gesù non fosse leggendario». [267]

Meglio ancora: «L'ipotesi dell'inesistenza storica di Gesù può formularsi legittimamente e reclamare discussione». [268]

Infatti: «Gli studi critici sulle affermazioni evangeliche sono tanto più negativi nelle loro conclusioni quanto più sono condotti scientificamente». [269]

Di conseguenza: «Gesù è un personaggio storico senza storia». 

Smettiamola qui con quella noiosa farsa. Fac conclusionem (Ezechiele 7:23). 

Per questi pii autori, l'esistenza di Gesù è un postulato delle origini cristiane, il che è ancora un atto di fede. 

Diffido dei postulati che spesso sono solo un'abitudine di pensiero: sia è troppo inclini a credere evidente ciò che è solo familiare.

Ora, tutti hanno sentito parlare di Gesù Cristo dalla culla; le sue feste fondano le nostre cronologie e scandiscono la nostra vita. Ravvivata senza posa, la sua immagine si è radicata nella memoria collettiva e convince inconsciamente.

Tutti i credenti sanno che il cielo teologico non è più un luogo, ma dicendo «Padre Nostro...» alzano lo sguardo innamorato verso il grande vuoto. 

L'immagine ha creato il riflesso, l'usanza e le maniere che, in definitiva, fondano da soli la fede. 

È soprattutto contro l'immagine di Gesù che si scontra la tesi mitica, figura cara tra tutte, perché concretizza i sentimenti emotivi più segreti e le passioni più esaltate.

Da qui certi ragionamenti sciocchi e contorti: per Loisy, la leggenda stessa di Gesù prova la sua esistenza.

Direi altrettanto di Babbo Natale.

L'approccio mitologico ha di certo ancora i suoi misteri: non vengono da debolezze di ragionamento, ma dalla nostra ignoranza attuale e dalla complessità del problema. 

La nascita del cristianesimo, infatti, si inserisce in un contesto economico, sociale e religioso poco conosciuto. L'affresco è impreciso, il pennello esitante: non vediamo altro che onde tempestose sotto un cielo tormentato alla Van Gogh.

Qui tutto si agita: le persone, gli dèi, le istituzioni, e le profondità si nascondono.

Il cristianesimo è emerso alla confluenza di tre speranze che coltivavano i pagani, gli ebrei e gli schiavi.

Sappiamo poche cose dei pagani, ancor meno degli schiavi. Quanto agli ebrei, la Bibbia interrompe bruscamente la loro storia nel 136 A.E.C. alla morte di Simone Maccabeo. Il periodo in cui si sviluppa il movimento cristiano, ignorato dalla Bibbia, è anche poco conosciuto dalla storia secolare.

Un mondo scomparso è sempre incomprensibile: l'Atlantide affondata non ha mai rivelato il suo segreto e i rettili smisurati del Mesozoico alimentano sempre la speculazione della conoscenza.

Bisognerebbe probabilmente ricreare un mondo per capire come Paolo e Barnaba hanno potuto passare per degli dèi in forma umana (Atti 14:10 ss) e Gesù per Giovanni il Battista risorto (Marco 6:16).

Che cosa abbiamo in comune con quella gente? La loro verità non è la nostra verità, e la nostra ragione si scontra con la loro irrazionalità. 

Riconosciamo nondimeno la complessità del problema: è impressionante. Ogni religione, infatti, è il risultato integrale o il riflesso del mondo che la ha visto nascere.

Nulla ne è più complesso perché tutto è coinvolto: sociologia, storia, legislazione, folclore, scienza, psicologia, psicologia, medicina e geografia. Sostanze di tutte le religioni, queste discipline si combinano tra loro e si intrecciano nella loro influenza formativa.

Ci sono paesi pieni di divinità come l'epidermide da pulci. Non è senza motivo che le civiltà si definiscano cristiane, buddiste o musulmane: solo le religioni sono abbastanza totalitarie da dotarle del loro proprio nome.

Quale mente sarebbe abbastanza vasta da abbracciare tutto? Non esiste nessuno specialista di storia delle religioni o di cultura generale.

Diciamo in tutta modestia che la tesi mitica si impone per la sua stessa logica.

«Soluzione limite, soluzione eroica», dice il signor Guitton, «soluzione disperata forse, ma soluzione residuale e l'unica logica per chi non crede». [270]

La soluzione disperata è spiegare il mistero per mezzo del soprannaturale come fanno i primitivi.

Grazie comunque.

Padre Lagrange sottolinea la «testardaggine radicale» di quella tesi, ben «conforme al temperamento francese». [271]

 Secondo noi, non si tratta tanto di testa quanto di cervello; ma grazie al Padre e viva la Francia!

Altri sono meno amabili. Padre Huby definisce «mitomani» coloro che denunciano il mito che lui adora. [272]

 Un certo Merejkovsky accusa i miticisti di unire «la malevolenza all'ignoranza e alla stupidità». [273] I percheron dell'esegesi ci trattano da cavalli leggeri.

Ci sono anche gli Olimpi: «La tesi miticista», dice uno, «è stata più volte confutata». [274] Questo si saprebbe.

«Abbiamo di meglio da fare», dice l'altro, «che confutarla». [275] Guardare dall'alto in basso non è dominare.

Il torto degli storicisti è quello di esigere da noi la prova positiva di una negazione. Loisy «confessa umilmente» (dice) «di non aver ancora scoperto che Gesù non è esistito». [276]

Non ho nemmeno scoperto che i Fenici non possedevano i telefonini. Alcuni concludono perfino che ce l'avevano perché non sono stati ritrovati i fili. 

Chi proverà che Venere non è nata dalla schiuma, che Buddha non ha camminato sulle acque, o che Mosè non era ipermetrope? Non si dimostra una negazione: negatio non probatur.

Non aspettatevi soprattutto che Gesù venga a dirvi: no, non sono mai esistito. 

È per quella ragione che il titolo di questo libro assume una forma interrogativa. A quelli che affermano la storicità tocca provarla: impresa difficile, sicuramente, perché la teoria è divorata dai miti.

Rari erano in passato i negatori, ma che élite! Non meno di due papi:

Leone X, secondo John Bale, avrebbe detto al suo segretario, il futuro Cardinale Bembo: «La storia ci insegna quanto ci abbia giovato quella favola di Cristo: quantum nobis nostrisque ea de Christo fabula profuerit satis est omnibus saeculis notum».

Paolo III, secondo Mendoza, ambasciatore di Carlo V a Roma, considerava Gesù un avatar di Mitra.

Bonaparte era scettico, senza dubbio sotto l'influenza di Volney: «È una grande questione» — disse a Wieland — «sapere se il Cristo è vissuto». [277] Da notare che Napoleone, antisemita, aveva tentato invano di abrogare il decreto dell'Assemblea costituente del 1791 che concedeva agli ebrei lo status di cittadini.

«A causa del mito di Gesù», scriveva Goethe a Herder, «il mondo potrà ancora ristagnare per mille anni e nessuno ne verrà a capo, poiché è necessaria egual forza di conoscenza, di intelligenza, di finezza intellettuale tanto per difenderlo che per confutarlo». [278

Due illustri miticisti hanno illustrato il XX° secolo: Anatole France e Bertrand Russell.

Loisy e Le Goff testimoniano che France, l'illustre autore del Jardin d'Epicure, ha tentato, in Putois, di storicizzare il mito di Gesù Cristo. [279]

«Storicamente, è molto dubbio che Cristo abbia vissuto», dice Russell, che ha vinto il premio Nobel per la letteratura nel 1950. [280]

Ci sono innumerevoli esegeti che negano la storicità: Robertson, Kalthoff, Smith, Drews ne sono i capifila. 

In Francia diversi nomi si sono imposti: gli studi di Prosper Alfaric, Paul-Louis Couchoud, Georges Las Vergnas, Guy Fau, Robert Joly, fanno autorità. 

Razionalisti di ogni provenienza hanno riflettuto sulla questione: professori di Facoltà e di liceo, storici, insegnanti, giornalisti, molti intellettuali non credono all'esistenza umana di Gesù.

In posizione di ripiego, alcuni credenti preparano la sfilata: «Nulla sarebbe cambiato, in fondo, se il nome di Gesù venisse messo tra virgolette come designazione più o meno convenzionale del fenomeno religioso come si è svolto nella prima generazione cristiana». [281]

 Strauss aveva già detto: «La nascita soprannaturale di Cristo, i suoi miracoli, la sua resurrezione e la sua ascensione al cielo rimangono verità eterne, per qualunque dubbio che si elevi contro la realtà storica di quei fatti». [282

In altri termini, il vangelo è irreale ma vero: «Che mi importa», mi ha detto un credente, «se Cristo sia vissuto o meno sulla terra; ciò che conta è che egli vive in me».

Questo è rassicurante. Così solo la fede conta, non è  essa «la certezza di cose che si sperano e la dimostrazione di realtà che non si vedono?» (Ebrei 11:1). «Ora» dice Paolo, «tutto quello che non viene dalla fede è peccato» (Romani 14:23).

Questo è più inquietante: essendo la ragione, fino a prova contraria, l'arbitro supremo del pensiero, come, senza di essa, dirigere l'intelligenza?

La ragione è una capacità propria dell'uomo di formare concetti, di conoscere, di dedurre, di capire, di dimostrare, di giudicare e di comportarsi. Si oppone alla conoscenza rivelata, oggetto della fede.

Joseph de Maistre, l'illustre autore delle Serate di San Pietroburgo, dice giustamente che ci sono molte più persone legate alla religione di quante siano i veri credenti.

I cristiani del terzo millennio faranno altrettanto bene? Rimandando la Passione al cielo da dove Paolo l'aveva presa, saranno per sempre inespugnabili?

Gesù, temo, non ha finito di redimerli. Ma bisogna essere polli per aspettarsi dagli altri la salvezza; ciascuno deve prendere il proprio destino nelle sue  mani.

Quanto a me, non sono né da vendere, né da redimere; non mi aspetto dal cielo più che dalla terra, avendo constatato, ahimè, che la Buona Novella era tendenziosa.


Cosa credo 

Credo che l'unico sacerdozio sia quello della Giustizia.

Credo che Dio non sia perfetto, ma da rifare.

Credo che la salvezza degli uomini risieda nella Conoscenza: il sapere prenderà la precedenza sull'idolo; non è una caduta, ma un'ascesa.

Auspico il rifiuto illuminato delle superstizioni: la ragione sola vi provvederà. 

Che per essersi opposte per millenni al progresso morale dell'umanità, le religioni di ogni credo scompaiano.

Che i loro sacerdoti e guru rinuncino agli dèi e si dedichino ai loro simili.

Che l'integralismo religioso, veleno delle credenze servili, frutto dell'ignoranza, sia per sempre sradicato.

Quanto al Cristo, egli non è più un ideale, ma un mito: non si muore più per lui, si vive.

Dogmi e tabù cristiani sono una foresta decrepita; anche l'onda del rinnovamento si è ritirata.

La Chiesa decaduta ha perso il suo paradiso: ora i fedeli guardano altrove.

Solo le cattedrali, vaste conchiglie lasciate sulla riva dal riflusso della fede, manterranno questo profumo di fiori sbiaditi, di incenso freddo e di cera spenta... 


NOTE

[237] Guignebert, Jésus, pag. 71.

[238] Epifanio, De mensuris, 14-15.

[239] Renié, Manuel, volume IV, pag. 360.

[240] Epifanio, Haer. 78, 14.

[241] Libro 5:25.

[242] Jean de Salisbury, De nugis curialium, libro 2, capitolo 26.

[243] Citato da Harnack, frammento 15.

[244] Si veda Jean Coryne, Nouvelles remarques sur Celse et le Discours Vrai, pag. 18.

[245] È nominato Perahyah nell'Orpheus di Salomon Reinach, pag. 334.

[246] Emilio, libro 4, Professione di fede del vicario savoiardo.

[247] Albert Houtin, Courte histoire du christianisme, pag. 13 (Rieder, 1924).

[248] Monsignor Le Camus, Fausse exégèse, fausse théologie, pag. 9.

[249] Jésus contre Jésus, pag. 41, Ed. du Seuil, 1999.

[250] Thierry Murcia, Jésus, les miracles en question: Collection les Clefs de la connaissance, 1999.

[251] Le christianisme jusqu'à 325, pag. 189 (Gallimard, 1972).

[252] Suzel Fuzeau-Braesch, Le Dieu Unique et le récit de Jésus, analyse des mythes fondateurs, pag. 145, Ed. L'Harmattan, 1999.

[253] A. Schweitzer, Histoire de la recherche sur Jésus, 1906.

[254] Si veda Loisy, Mémoires, volume III, pag. 555 (Nourry, 1930).

[255] In le Christ, enciclopedia Bloud et Gay, pag. 1.112, Parigi 1935.

[256] San Tommaso, Sum. Teol. III pars. qu. XLVI.

[257] Guitton, Jésus, pag. 306.

[258] Rops, op. cit., pag. 61.

[259] Renan, prefazione alla Vita di Gesù.

[260] Guiton, dialogue avec M. Pouget, pag. 186.

[261] Renan, Hist. du people d'Israël, libro 10, capitolo 16. O.C. volume VI, pag. 1499.

[262] Loisy, La passion de Marduk.

[263] Loisy, Le quatrième évangile, pag. 56.

[264] Loisy, Revue d'histoire et de littérature religieuse, anno 1912, IV, pag. 387.

[265] Ibidem.

[266] Citato da Couchoud, Le mystère de Jésus, pag. 70.

[267] Le mythe du Christ, in Revue d'histoire, 1910, pag. 431.

[268] Guignebert, Manuel d'hist. anc. du christianisme, pag. 156.

[269] Jésus, pag. 60.

[270] Guitton, in Ecclesia di settembre 1951, pag. 112.

[271] Lagrange, Loisy et le modernisme, pag. 225 (Ed. du Cerf, 1932).

[272] Padre Huby, Les mythomanes de l'Union rationaliste (Beauschesne, 1933).

[273] Jésus inconnu, pag. 32 (Genève, 1946).

[274] Marcel Simon, op. cit., pag. 27.

[275] Loisy, De la méthode en histoire des religions.

[276] Loisy, La naissance du christianisme, pag. 5.

[277] Dialogue à Weimar, secondo Albert Schweitzer.

[278] Lettere del 4 settembre 1788.

[279] Si veda Loisy, Mémoires (volume 3, pag. 437 ss) e Le Goff, A. France à la Béchellerie, pag. 181 ss. France ha tentato in Putois di storicizzare un mito. «Ho appreso dal dottor Couchoud, suo amico, che il grande scrittore pensava al Cristo». 

[280] Perché io non sono cristiano?, conferenza a Battersea Town Hall del 6 marzo 1927; J. J. Pauveft, edizione 1960.

[281] Citato dal signor Pierre Sipriot nella Table Ronde del novembre 56, pag. 18. Si veda anche Etudes di marzo 57, pag. 391 ss.

[282] Strauss, Vita di Gesù, pag. 8, trad. Littré, Parigi 1893.

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