sabato 29 giugno 2019

«La Leggenda di Gesù» (E. Moutier-Rousset) — CONCLUSIONE

(questo è l'ultimo capitolo da me tradotto del libro del miticista E. Moutier-Rousset, La Leggenda di Gesù. Per leggere il testo precedente, segui questo link)

INDICE

CAPITOLO I. — PAOLO

§ 1.La Predicazione di Paolo

§ 2. L'Opera di Paolo

§ 3.La Testimonianza di Paolo

CAPITOLO II. — L'AUTORE DEGLI ATTI

§ 1. I Viaggi di Paolo 

§ 2.Pietro e gli Apostoli 

CONCLUSIONE



CONCLUSIONE

Per terminare, ripeteremo quello che stavamo facendo al principio di questo studio (Il Cristo è esistito?):

“Si è dunque portati a credere che, in questa formazione (della nuova religione), questa leggenda fluttuante dal principio, che non si basa su alcuna realtà esterna e non avviene in alcuna regione specifica, in alcun contesto storico, ha dovuto nutrirsi e accrescersi per l'assimilazione di una grandissima quantità di elementi attinti dai culti orientali che si erano infiltrati ovunque, soprattutto quello di Mitra, così diffuso in tutto l'Impero, per oltre un secolo, particolarmente nelle province orientali, dove si sviluppò dapprima del cristianesimo e che controbilanciò per un momento la religione del Redentore; inoltre, all'antico strato principale delle speranze messianiche che, dopo la cattività di Babilonia (—588), gli ebrei avevano propagato tra gli innumerevoli giudaizzanti del mondo conosciuto, si aggiungevano naturalmente le storie più o meno alterate dei tentativi falliti di agitatori come il Battista, Simone, Teuda, ecc..., che finirono tutti miseramente. E questo amalgama non è mai stato così intimo perché non si possa scoprire ancora abbastanza facilmente gli elementi che lo compongono. In questo insieme, si erano mescolate, come un lievito, le fantasticherie mistico-sociali dei miserabili che soffrivano una situazione intollerabile. Se questa spiegazione non è che un'ipotesi, offre, almeno, una probabilità infinitamente maggiore di quella della realtà di Cristo”. 

Lungi da noi il pensiero di cercare di diminuire il valore del lavoro degli esegeti. Nessuno, più di noi, rispetta e ammira i ricercatori pazienti che esaminano così minuziosamente i testi biblici. Certamente, il lavoro non è stato affatto infruttuoso e ha prodotto dei risultati di primaria importanza: ma non sono delusi quando sperano di far emergere una certezza? Lo studio, così approfondito e così dotto, dell'Iliade e dell'Odissea, potrà mai informarci della storicità di Achille o di Ulisse? Un testo, così preciso e così certo che si voglia ammettere, non è affatto una prova assoluta della realtà dei fatti che riferisce; è necessario, almeno, che non si scontra contro un'impossibilità materiale: altrimenti, non vedo proprio su cosa ci si appoggerebbe per negare il diluvio biblico o le avventure di Giona nel ventre della balena.

Inoltre, l'autore di un testo, anche se sincero, porta solo una testimonianza scritta, vale a dire una semplice affermazione, che spesso non è di prima mano, e sappiamo che questa base, già così poco solida in ciò che concerne la storia secolare, è ancora molto più fragile quando si tratta della storia delle religioni, dove l'ignoranza, la superstizione, la malafede, il pregiudizio, la passione, gli interessi si manifestano più liberamente.

Non abbiamo affatto cercato, come siamo stati accusati, “un successo assicurato tra gli uomini che trovano nella negazione dell'esistenza di Cristo un mezzo radicale per sbarazzarsi della religione cristiana”; e si deve deplorare che degli uomini di alto valore cerchino un argomento nel sospetto della sincerità di coloro che non condividono affatto le loro convinzioni. Inoltre, questo insulto, anche se fosse meritato, non si vede proprio come l'indegnità di un matematico indebolirebbe le sue dimostrazioni geometriche: anche se fosse agli arresti, i teoremi che avrebbe insegnato non resterebbero affatto meno veri. In realtà, abbiamo soltanto tentato, secondo i nostri fragili mezzi, di delucidare un punto di Storia, all'esempio di coloro che contestano a Shakespeare la paternità dei suoi capolavori e che sarebbero molto stupiti se li si accusasse di voler cancellare la letteratura inglese. Il signor Guignebert è stato più giusto nel dire “che non è affatto una maniera accettabile di entrare in discussione quella di sminuire l'avversario accusandolo di incompetenza, di pressapochismo e di dilettantismo... Parecchi negazionisti, senza essere degli specialisti di carriera, sono dei lavoratori pazienti e robusti, che hanno acquisito un'erudizione molto seria” (Le Problème de Jésus, pag. 7).

Siamo molto lontani dall'avere la pretesa di contare tra gli esegeti, anche i più umili. Non abbiamo affatto, come i maestri in quest'arte, una  conoscenza completa dell'ebraico, dell'aramaico, della teologia (queste letterature ci sono completamente chiuse), né la scienza di un perfetto ellenista oppure di un latinista emerito. Ma ci sono delle questioni che ogni uomo di qualsiasi cultura, può approcciare alla luce della sua ragione, e i nostri più eminenti critici sono tacitamente d'accordo, poiché sottopongono le loro pubblicazioni al giudizio del grande pubblico. Forse pure (ma lo diciamo solo tremando), questi eruditi troppo specializzati hanno lo svantaggio di non percepire più la realtà se non attraverso il campo del loro microscopio e lo strumento, facendogliela vedere molto ingrandita, non evita di deformarla un po'. Un matematico, per il quale l'universo è solo un'equazione differenziale, lo conosce meglio del pastore che fissa distrattamente le stelle?

Siamo quindi soddisfatti di vedere uno dei nostri migliori critici non appellarsi all'argomento dell'autorità, che può essere buono da opporre ai partigiani della tradizione, ma che, dal punto di vista scientifico, è assolutamente nullo. Il gran numero di testimonianze e la loro gravità non sono affatto una garanzia sufficiente della verità delle dottrine: Aristotele, Newton, cento altri, tra i più grandi, hanno pronunciato delle enormità che non si perdonerebbero affatto ora, agli alunni delle nostre scuole primarie. 

***

Gli avversari della nostra tesi — non stiamo parlando affatto dei credenti, perché la fede non si discute — le oppongono un gran numero di argomenti di valore diverso, dunque discuteremo quelli che sono parsi i più seri.

In primo luogo, si rimprovera a tutti coloro che negano la storicità di Gesù di non aver affatto stabilito nemmeno la verosimiglianza della loro affermazione. Pensiamo che i nostri avversari capovolgono la questione; come ha detto ottimamente il signor S. Reinach: “Spetta a coloro che ammettono la storicità della Passione, di appoggiarla su alcuni passi decisivi... Dopo aver a lungo riflettuto, non credo che ci si riuscirà”. Una negazione, infatti, non ha bisogno di prove e non si potrebbe darle  di inattaccabili; ma ve n'è bisogno per affermare che l'esistenza di Gargantua è una leggenda? Sta a noi esigere delle prove dai nostri avversari e non a loro domandarle da noi. 

Ma queste prove, loro non possono fornirle; i partigiani della realtà di Cristo sono ridotti ad appoggiarsi unicamente su dei testi di cui loro stessi riconoscono l'estrema fragilità. Il signor Loisy confessa che è “tutt'altro vero che i Vangeli e gli Atti siano autentici e siano stati conservati integralmente, che siano delle opere originali, una testimonianza diretta sull'azione di Gesù e su quella degli uomini che, predicando Gesù Cristo, sono stati i fondatori della Chiesa” (Les Livres du Nouveau Testament, pag. 257).

“I Vangeli sono, per certi aspetti, e soprattutto nella loro parte più importante, i libretti di un dramma liturgico, molto più che il resoconto di ricordi solidi relativi ai fatti commemorati in questa liturgia” (Idem, pag. 630).

“Gli studi critici sulle affermazioni evangeliche sono tanto più negativi quanto più sono scientificamente condotti” (Ch. Guignebert, Manuel d'hist. anc. du Christianisme). 

Nei Vangeli, infatti, la personalità di Gesù scompare sotto l'impossibile, sotto l'improbabile e sotto il grottesco al punto che il signor Binet-Sanglé e il signor J. Soury hanno potuto seriamente sostenere la tesi che Gesù era affetto da follia. [1]

Inoltre, i testi dei Vangeli e degli Atti, anche se si ammettesse la loro conservazione integrale e l'intera buona fede di autori troppo creduloni e incapaci di modificare la leggenda, e di non inventare nulla di loro iniziativa (e noi sappiamo che questa assunzione indulgente fa loro troppo onore), questi testi, diciamolo, non possono che assicurarci dell'esistenza di favole anteriori a loro, e per nulla al mondo, della certezza dei fatti narrati o della storicità dei personaggi citati. Qual è lo storico della Grecia mitica che oserebbe sostenere la realtà di Agamennone, di Achille, di Aiace o di Ulisse e degli altri eroi omerici, appoggiandosi sui canti dell'aedo ellenico? Ancora, la cornice dell'Iliade è ben nota e le località nominate in questo poema sono esistite, ciò che non si può pretendere dei luoghi indicati nei Vangeli. Si conosce la posizione esatta di Sparta, di Argo, di Itaca, ecc., Ma quella di Nazaret, di Cafarnao, di Cana, ecc., è sicuramente solo un mito. Non si è mai trovata la tomba del Signore, nemmeno l'altura del Golgota, o Calvario, che fu inghiottita senza dubbio nelle “tenebre che coprirono la terra”, al momento della morte di Gesù. Al contrario, a Micene, la capitale del suo regno, si è riesumata, se non la tomba di Agamennone, il re dei re coalizzati contro Troia, almeno quella di un despotès di quel tempo.

I testi profani, ebraici, greci o latini ci danno ancora meno documenti e sono ancora meno convincenti: Flavio Giuseppe è stato grossolanamente interpolato; Svetonio ci dice solo qualche parola, che difficilmente si possono collegare a Gesù, morto venti anni prima, a proposito di un certo Chrestus, che visse a Roma, al tempo dell'imperatore Claudio; il passo di Tacito, a nostro avviso (si veda IL CRISTO È ESISTITO? pagine 44-54), è dei più sospetti; la famosa Lettera di Plinio il Giovane è molto probabilmente falsa (Si veda HAVET, Le Christianisme et ses Origines, tomo IV, pagine 421-431 — BOISSIER, Revue archéologique, 1876, pag. 115). Inoltre, questi testi, se fossero indiscutibilmente autentici, non potevano che essere un'eco delle voci che circolavano allora sui cristiani, e non proverebbero nulla.

I seri esegeti che ammettono la storicità di Gesù pensano di trionfare mettendo in evidenza le contraddizioni e le spiegazioni a volte un po' troppo infantili, si deve ammetterlo, dei negazionisti, perfino i più autorevoli, della leggenda. Ma le loro argomentazioni a loro, sono sempre più solide?

“Come mai”, ha detto il signor GUIGNEBERT, “nelle loro polemiche contro i cristiani, gli ebrei non avevano mai negato l'esistenza di Gesù? Questa sola negazione, ben fondata, conteneva un elemento radicale e tale che l'avversario doveva solo tacere. Ora, gli ebrei non l'hanno mai impiegata”.

Come, risponderemo, gli ebrei avrebbero potuto provare o soltanto affermare che Gesù non era mai esistito? Avrebbero potuto dire, tutt'al più, che non lo avevano affatto conosciuto. D'altra parte, e i loro poveri argomenti ne fanno fede, lo spirito critico non esisteva affatto al loro tempo, e la prima tendenza della mentalità umana è quella di credere ad ogni affermazione avanzata con una ferma assicurazione. Certo, l'argomento dell'esegeta erudita, se fosse rivolto agli uomini del diciannovesimo secolo, di una così alta cultura scientifica, di uno spirito critico così acuto come il suo, avrebbe un'autorità molto grande; ma rivolgendosi a degli ignoranti dell'inizio della nostra era, esso perde ogni valore. I monaci più istruiti del Medioevo non si sono mai sognati, mettendo gli stregoni alla tortura, di negare i pretesi miracoli di questi miserabili o di mettere in dubbio l'esistenza del Diavolo. Non abbiamo forse visto, quasi oggigiorno, in pieno sedicesimo secolo, la creazione della leggenda di Guglielmo Tell, di cui nessuno, finora, ne contesta la verità? Gli austriaci avrebbero avuto buon gioco, tuttavia, a respingere questa favola offensiva per loro e per il loro principe Alberto I. Non si vede tuttavia che l'abbiano mai fatto ed è dalla Svizzera che sono usciti i primi negatori di questa mistificazione — proprio come è tra i cristiani, e non tra gli ebrei, che si sono trovati i primi liberi pensatori abbastanza audaci da discutere la realtà di Cristo. Si potrebbero citare cento personaggi, mille fatti, cosiddetti storici, che la  critica serrata del nostro secolo, ha rigettato nel nulla, senza che i contemporanei della loro nascita, si fossero sognati un solo istante di esaminarli. Quando Evemero pretese che gli Dèi erano solo dei sovrani importanti, divinizzati dopo la loro morte, e che il loro mito era solo una meravigliosa distorsione di avvenimenti storici — tesi identica a quella che sostengono ancora alcuni partigiani della realtà di Gesù — si è incontrato qualcuno, durante quasi venti secoli, che mettesse in dubbio l'esistenza di Giove, di Poseidone, di Plutone, in quanto uomini? Il testo della Bibbia non è ancora sufficiente, agli altri tanto quanto ai credenti, per dimostrare la storicità di Noè, di Giacobbe, di Abramo, di Mosè, dall'esistenza così favolosa come quella di Gesù, e che i difensori sperano di servirsene per sostenere la realtà del Redentore?

Constatiamo infine che se gli ebrei non hanno mai tentato di negare Gesù, i Doceti, dalla fine del primo secolo, insegnavano che egli era solo un'apparizione, un fantasma. Resta ancora un'allusione a questa dottrina, nel Nuovo Testamento (2 Giovanni 7), e sant'Ignazio (morto intorno al 110) la combatte. Si vede che non è così nuova come la si pretende. 

“Benché si tratta solo di un'impressione personale, sembra impossibile negare che agli occhi di ogni lettore disinteressato, dai Sinottici non emerge una figura distinta e originale, che riflette la vita e può a malapena fuoriuscire dall'immaginazione mitologica”. Si è visto che siamo arrivati attraverso l'esame del testo a delle conclusioni diametralmente opposte. Non le riprodurremo qui, avendole già ampiamente sviluppate nelle nostre opere precedenti.

“È un uomo, un uomo autentico e che si mostra tutt'intero: è affaticato, affamato; dorme, domanda, gioisce, si affligge, trema, piange, è irritato; conosce i limiti del suo potere come del suo sapere. Non è affatto così che si presenterebbe l'immagine di un possente dio intercessore...”

Tutte queste affermazioni sono fondate sui testi evangelici, senza alcuna autorità, e in aggiunta, è proprio così che si presenta l'immagine degli Immortali nell'Iliade: anche loro, dormono, mangiano, bevono, domandano, gioiscono, si affliggono, tremano, piangono, si irritano. Tutti, Giove stesso, sanno che il loro potere non è affatto illimitato. Se, per definizione, non possono morire, possono essere feriti e soffrire. Apollo è schiavo di Admeto. Ciascun Dio è dappertutto, in tutti i tempi, fatto a somiglianza dell'uomo!

“Se veramente la nuova religione non è che la forma religiosa di una potenziale rivolta sociale, perché inscrive in testa alla sua legge, il divieto della violenza, l'obbligo della sottomissione alle autorità e della rassegnazione sociale? Predica l'amore fraterno e la carità... È probabile che un movimento all'origine del quale si colloca Spartaco, che cerca la sua ispirazione nel messianismo ebraico, un movimento provocato dalla più scandalosa disuguaglianza e dalla lotta di classe più implacabile, abbia generato proprio una religione di pace [2] che, ripudiando ogni rivendicazione sociale, consente di sopportare tutto sulla terra, nella speranza di una felicità oltremondana?”

“È difficilmente concepibile che l'esasperazione causata da lungo tempo, per una sfortuna cronica, nelle masse proletarie dell'Impero romano, si sia trasformata, al tempo di Augusto, e così spontaneamente, in un sentimento religioso e le abbia spinte a costituire una religione che cambia il loro immediato desiderio di benessere terreno nella speranza della felicità celeste”. 

Abbiamo visto (La Prétendue morale dans l'Evangile), che cosa si deve pensare della proibizione della violenza, della fraternità, della carità evangelica e della rinuncia ad ogni rivendicazione sociale. Il Vangelo, al contrario, ci sembra un libro di odio furibondo contro i beati di questo mondo. La carità che si crede di leggervi era raccomandata solo verso gli adepti e Paolo ci dice che dobbiamo abbassarci molto, anche in questo caso particolare. Il cantico della carità in Paolo “ha ogni probabilità di non essere suo”, secondo il signor Loisy, e l'eminente esegeta ha detto altrettanto del passo sulla sottomissione dovuta alle autorità. Del resto, anche se fossero indiscutibilmente usciti dalla penna dell'Apostolo, questi versi proverebbero solamente che i suoi discepoli avevano spesso bisogno che li si richiamasse alla bontà e all'obbedienza.

L'esasperazione delle masse proletarie non era affatto cessata al tempo di Augusto e dei suoi successori e non poteva cessare, poiché le cause che l'avevano provocata continuavano; è sufficiente leggere senza pregiudizio le minacce forsennate degli evangelisti contro i ricchi, per esserne convinti. Ma i miserabili hanno troppo spesso riconosciuto a loro spese l'inutilità e i pericoli di una rivolta aperta per rischiare di nuovo; in mancanza di meglio, si accontentano di odio e di insulti. La speranza delle felicità celesti non li fa abbandonare il sogno di un immediato miglioramento della loro sorte: “In verità, io vi dico, tutto questo arriverà su questa generazione” “Poi noi viventi..., ...verremo rapiti sulle nuvole”  (1 Tessalonicesi 4:17) — “Quando Cristo... ...avrà ridotto al nulla ogni impero, ogni dominazione ed ogni potenza (1 Corinzi 15:24) — ecc.

L'attesa di un Salvatore era inoltre diffusa nel mondo soggetto a Cesari, che sperava in un miracolo la fine di una situazione intollerabile: non c'è nulla di sorprendente nel fatto che una popolazione così disperata abbia agognato con ardente desiderio  un Redentore che discendesse dal Cielo per alleviare il suo tormento, dal momento che le forze umane erano impotenti e Roma era invincibile.

A quel tempo, tutti gli atti della vita, anche i più volgari, i più intimi, erano accompagnati da una manifestazione religiosa, in una misura di cui abbiamo difficoltà a farci un'idea ora. Così, il movimento di protesta contro il dispotismo romano doveva prendere fatalmente la forma di una manifestazione teologica, e la folla si era rivolta, per appoggiare le sue rivendicazioni, al giudaismo, il cui Dio si mostrava così ostinatamente ostile alle divinità dei ricchi e dei potenti, agli dèi che proteggevano la Città Eterna. Solo in effetti, tra tutti gli Dèi dei popoli conquistati, Jahvè rimase devoto e minaccioso; lui solo aveva ancora la forza di radunare i ribelli. Da lì, questo impulso, in un primo momento incomprensibile, verso il giudaismo e, ancor più, verso la nuova religione che, entrambi, con lo stesso gesto di disprezzo e di odio, rigettavano assieme nel nulla, gli Dèi impotenti dei vinti che non avevano saputo difendere i loro fedeli contro le armi di Roma, e le odiose divinità del detestato conquistatore.

A sostegno di questo punto di vista, si deve aggiungere che, al di fuori del pesante dominio latino, il cristianesimo non fa proseliti!

“Bisogna ammettere che questa storia si è costituita in territorio ebraico, dal momento che il racconto che possediamo, resta, dopo molte ricerche, così ricolma di parole e di costumi ebraici, indifferenti e persino incomprensibili a tutti gli altri tranne che agli ebrei, dirò perfino agli ebrei palestinesi”.

Crediamo che ci sia una confusione qui. Il cristianesimo non si è affatto stabilito in territorio ebraico, ma nell'ambiente di culto ebraico, tra i giudaizzanti, nelle sinagoghe per metà ellenizzate d'Oriente: “Io parlo a gente esperta della Legge”, ha detto Paolo, rivolgendosi ai cristiani di Roma (Romani 7:1). Il contenuto di questa Epistola mostra che Paolo scrive a dei pagani giudaizzanti, ma nati fuori dalla Giudea e che hanno già fatto volentieri a meno della circoncisione. Questa atmosfera è ben diversa e spiega meglio la miscela incoerente che ricolma i Vangeli, di elementi ebraici e di idee greche, mescolati con l'ignoranza di tutto ciò che riguarda la Palestina, e combinati con la conoscenza superficiale dei costumi religiosi degli ebrei.

Se i Vangeli non sono affatto dei documenti storici — e difficilmente lo si può contestare — se questi sono solamente delle opere di fede; se gli Atti sono solo una “leggenda informe” (LOISY), non resta da consultare nel Nuovo Testamento che le Epistole di Paolo, poiché gli altri opuscoli non valgono affatto la pena di una confutazione. Di nuovo, seguendo l'esempio di molti critici, ritorneremo solo alle Epistole Cardinali, dato che le altre sono più o meno sospette. Ammettiamo dunque la loro autenticità (a parte alcuni passi molto probabilmente rimaneggiati o interpolati). Non dimentichiamo, tuttavia, che le date di tutti questi scritti, perfino delle Epistole meno contestate, sono molto vaghe e molto discusse, il che non facilita affatto la soluzione del problema: ci si rende conto facilmente, anzi, che le considerazioni che si possono ricavare, devono differire essenzialmente se si attribuisce all'Epistola ai Galati la data del 55 (LOISY), oppure la metà del secondo secolo (DREWS); se il Vangelo di Marco può essere fatto risalire fino a prima del 70 (nel 50 secondo Clemente), o spostato fino all'ultimo quarto del 2° secolo.

Non ci resta quindi più nulla, come abbiamo appena detto, se non le Epistole di Paolo. È nelle sue Lettere (quasi tutti gli esegeti ne convengono) che si trova il nodo della questione, la soluzione approssimativa del problema. Questa è l'unica testimonianza che merita attenzione. Ma le asserzioni più precise di questo visionario sono solo delle allucinazioni e, lui stesso, non le dà per nient'altro. Come abbiamo visto in questo libro, Paolo non parla mai di Cristo come di un essere reale e non ci fa apprendere nulla su Gesù che egli abbia intravisto al di fuori delle estasi.  “La conoscenza che ne ha è gnosi, scaturita tutta dalla rivelazione diretta; essa appartiene alla teosofia, alla teologia, alla metafisica, affatto alla Storia. Non è minimamente probabile che la popolazione intelligente delle città marittime dell'Asia Minore, dove predica Paolo, si sarebbe volta, alla sua voce, verso il cristianesimo, se lui avesse annunciato del tutto semplicemente che, dieci o venti anni prima, un Galileo, di nome Gesù, si era fatto riconoscere per il Messia, da una banda di pescatori e di manovali; ma, al contrario, si comprende che avrebbe risposto a una predicazione che le presentava, sotto i tratti del Cristo celeste, il Salvatore divino di cui aveva già un'idea familiare”.

Come mai Paolo, del resto, che si suppone abbia vissuto in contatto con i presunti apostoli, i compagni e gli amici di Gesù, non ha fatto la minima allusione ai loro rapporti con il profeta galileo? Come mai non ha appreso nulla da loro sulla vita terrena di Cristo, sui suoi insegnamenti? Come mai, nel Concilio di Gerusalemme, come lo racconta, né lui né Pietro citarono l'opinione del Maestro divino su questa questione essenziale della Circoncisione, da cui dipendeva tutto il futuro della cristianità? Perché i due successori di Gesù non parlano mai di lui, come se fossero convinti tanto quanto noi che la sua vita è soltanto una favola? Gli stessi Atti, così attenti a nascondere la gravità del conflitto tra i due capi nazareni, non fanno più menzione del Redentore nel loro racconto edulcorato. Molto meglio, in tutto il libro degli Atti, si vede che né Pietro, né Paolo, né alcun apostolo conobbe in Gesù nient'altro che il Cristo sognato da Paolo.

Oltretutto, perfino concedendo, contro ogni probabilità, la realtà della Passione, è ammissibile che dopo la morte del profeta galileo, i suoi amici e coloro che lo avevano frequentato, avrebbero potuto pretendere che fosse risorto, che l'avessero visto vivo per sei settimane e ne avessero fatto un Dio? Questa vasta mistificazione non era certamente alla portata di poveri pescatori. L'antichità ha conosciuto un sacco di eroi risorti, ma non sono mai stati i contemporanei ad averne inventato la storia.

Tutti i tentativi di ricostruzione della vita di un personaggio così vago, per quanto leggermente si tenta di tracciarne i tratti, sono dunque condannati in anticipo ad un deplorevole fallimento, perché non si può ricavare dai Vangeli un singolo evento indiscutibile, una sola parola che si possa attribuire con qualche probabilità al Salvatore. Renan ha scritto la più bella, se non la più falsa di queste ricostruzioni: ha fatto del suo eroe, una sorta di Fourier o di padre Enfantin (per non dire proprio un Renan del primo secolo), ma la magia dello stile non è abbastanza per nascondere la fantasia puerile della fabbricazione. L'autore è un poeta meraviglioso, ma anche se avrebbe potuto fare un serio lavoro di critica, non lo ha tentato affatto.

Forse, infine, le differenze di opinione sulla realtà di Cristo provengono dal fatto che la questione non è stata posta molto chiaramente:

Evidentemente, non si tratta per nulla di indagare se sia esistito, all'inizio della nostra era, un uomo chiamato Gesù, che aveva predicato in qualche angolo ignorato della Galilea: niente di più facile da concedere e possiamo, se lo si desidera, concedere partita vinta su questo punto ai partigiani della realtà umana del Messia; ma non è affatto probabile che si accontenterebbero di così poco. È tuttavia impossibile fare un passo avanti e accordare loro di più: non vi è il minimo indizio storico dell'arresto di questo Gesù a Gerusalemme, del suo processo, della sua condanna o della sua tortura, e ciò che ci raccontano i Vangeli, opere di autori sconosciuti e molto posteriori agli eventi che riportano, è talmente avvolto da contraddizioni, da fatti incredibili e da assurdità che non si può trattenere nulla. 

La tesi della non esistenza di un Cristo umano rimuove tutte queste difficoltà, ma le sostituisce, è vero, da quella, ben minima tuttavia, di spiegare il movimento che portò, a poco a poco, le masse proletarie del mondo romano verso un sogno di felicità immediata. Per noi, sono i giudaizzanti dell'Asia greca che, nelle loro sinagoghe, hanno costruito il loro Messia secondo le profezie della Bibbia che l'annunciavano. Sotto la pressione di un'intensa propaganda, risalente a diversi secoli, portarono da loro le popolazioni afflitte dalla atroce tirannia latina. Ma quelle masse proletarie che adoravano il Messia ebraico non hanno affatto conosciuto la Palestina, più di quanto la conoscessero coloro che le indottrinavano. I Vangeli sono una favola ebraica recitata in un ambiente greco, proprio come il Fedro o l'Andromaca di Racine sono dei drammi francesi sotto dei nomi ellenici.

Noi crediamo dunque che le ragioni per dubitare dell'esistenza di Gesù restano tutte e che si può opporre ai negazionisti soltanto l'assenza di prove dirette della non-realtà del personaggio, prove che non si possono evidentemente fornire e che è illegittimo domandare. Inoltre, i nostri avversari hanno da obiettarci solo degli argomenti estratti da testi falsificati e abilmente presentati. Quale che sia il significato più o meno probabile che tentano di far derivare, essi sono impotenti a far nascere una convinzione solida, persino a scalfire lo scetticismo ragionato. Che si ritrovi un passo di Giuseppe, di Tacito o di qualche altro, la cui autenticità sia accettabile, noi ci inchineremo e ci arrenderemo di buon cuore e senza esitazione. I pii esegeti sono talmente del nostro avviso sulla debolezza delle pretese prove avanzate al punto che si aggrappano disperatamente alla certezza di qualche riga riscontrata nella Storia della Guerra Giudaica e negli Annali. Essi sentono, così proprio come noi, che non vi è altro terreno solido, dal momento che la Chiesa stessa non osa più riferirsi ai resoconti apocrifi di Pilato o alla Lettera di un cosiddetto Lentulo.

Ecco perché, alla domanda posta nel nostro primo volume: Il Cristo è esistito? noi ci crediamo in diritto, nello stato attuale della scienza storica, di rispondere coraggiosamente:

NO!


E. MOUTIER-ROUSSET.


NOTE

[1] “A volte si sarebbe detto che la sua ragione fosse turbata” (Renan, Vie de Jésus, 331).

[2] Religione di pace! Si crede di sognare leggendo queste parole e quando si pensa allo stesso tempo a diciotto secoli di disordini, di massacri, di guerre atroci, civili o esterne, che dal primo giorno fino ad ora, hanno insanguinato gli annali della cristianità!

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