giovedì 27 giugno 2019

«La Leggenda di Gesù» (E. Moutier-Rousset) — La Testimonianza di Paolo

(continua da qui)
$ 3 — La Testimonianza di Paolo
Tuttavia, per una ripercussione inaspettata, questo distruttore della fede ebraica, questo demolitore futuro della fede cattolica, questo annunciatore del libero esame, è diventato l'ultimo baluardo della religione di Cristo, la sola testimonianza accettabile della storicità di Gesù:

I versi (1 Corinzi 1:13, 23 — 15:3-8 — 1 Corinzi 2:2 — 2 Corinzi 13:4) delle Epistole Cardinali [1]sembrano in effetti, a prima vista, le uniche presunzioni serie che si possano mantenere a favore della realtà di Gesù e della sua crocifissione. Così, i difensori di questa ipotesi vi si attaccano con estrema energia. L'Apostolo Paolo è, in apparenza, l'unico contemporaneo di Gesù che ci abbia lasciato qualche parola sul suo conto; ha conosciuto e frequentato gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni; ha vissuto a lungo a Gerusalemme e nei dintorni, prima, durante e dopo la crocifissione, e la sua testimonianza, che si potrebbe credere di prima mano, sembra sincera e inconfutabile.

“L'Apostolo Paolo si è formato tra gli uomini che avevano conosciuto Gesù, e la sua predicazione non ha affatto senso se Gesù non è mai esistito. È necessario, per scartare la sua testimonianza, ammettere che tutte le sue Lettere siano false e che sia lui stesso un personaggio immaginario: se certi critici non hanno affatto esitato ad arrivare fino a questa conclusione disperata, le loro tracce non sono seguite al giorno d'oggi da nessuno” (Guignebert, Hist. anc. du Christianisme, pag. 156).

Il signor Guignebert sembra credere che, per essere in diritto di respingere la storicità di Gesù, non vi è che una possibile ipotesi: ammettere che le Lettere di Paolo sono non autentiche e che l'apostolo è un personaggio favoloso. Vi sono nondimeno altre ipotesi che si presentano immediatamente alla mente: 

1°. Paolo non sarebbe che un impostore, una sorta di medium spiritista, che vive della credulità dei suoi gonzi. Questa tesi non è mai stata esaminata e io sono il primo a respingerla, non so esattamente perché, ad esempio, perché non vedo affatto la difficoltà di mentire in greco, così come in francese. [2] Inoltre, tali uomini non sono sempre dei volgari truffatori; a volte sono per metà, se non completamente sinceri e i  primi a illudersi delle loro proprie invenzioni. La maggior parte degli astrologi hanno mostrato questa miscela di inganno e di buona fede.

2°. I rari passi più favorevoli alla realtà di Gesù sarebbero stati interpolati dai successori dell'Apostolo, oppure modificati nel senso che meglio soddisfaceva loro. Quando si vedono le libertà che l'Autore degli Atti si prende con le affermazioni delle Epistole, questa supposizione ha a suo supporto, tutte le probabilità e molti versi delle Lettere di Paolo lasciano percepire questa manipolazione delle sue opinioni. I primi cristiani non provarono mai il minimo scrupolo a falsificare il testo sacro della Bibbia e dovevano molto meno imbarazzarsi di alterare a loro piacimento le affermazioni di un autore che consideravano, in generale, in una luce sfavorevole. Qual è l'esegeta che, ai nostri giorni, ammette l'autenticità integrale, perfino delle Epistole Cardinali? 

3°. La terza ipotesi — non è nemmeno un'ipotesi, è un fatto indiscutibile — alla quale io mi sono arrestato, è che Paolo è un allucinatore; io non metto affatto in dubbio la sua buona fede, ma il suo equilibrio mentale. Ammetterò, se si vuole, anche la conservazione perfetta delle sue Epistole, senza che ciò possa aggiungere un granello di certezza alla confidenza che possiamo accordargli, perché non c'è nessuna prova  dell'impossibile. Paolo ci comunica di aver visto Gesù risorto (1 Corinzi 15:8): egli ne è certo; si sarebbe lasciato bruciare dal fuoco piuttosto che cambiare idea, eppure siamo sicuri — noi non credenti — che questo non è affatto vero. È convinto di essere stato rapito al terzo cielo (2 Corinzi 12:1-6), e noi sappiamo con certezza che non esiste affatto un terzo cielo e che è falso, di conseguenza; predica il Cristo crocifisso (1 Corinzi 1:23), ma ora, milioni di sacerdoti, di monaci, di pastori, di papi, di religiosi di entrambi i sessi e di tutte le sette cristiane, tutti altrettanto convinti come Paolo, predicano ancora lo stesso dogma, basandosi come lui unicamente sulle Scritture, senza che la loro predicazione costituisca solamente l'ombra di una prova.

Inoltre, senza lasciarci spaventare o influenzare dall'opinione generale, pensiamo che gli argomenti dei nostri avversari, anche ammettendoli senza restrizioni, siano molto lontani dall'essere convincenti: concediamo che Paolo non sia un personaggio immaginario e che le sue Lettere (le Cardinali almeno) siano autentiche. [3] Ma la realtà dell'Apostolo e la certezza delle sue Epistole, supponendole anche inalterate, non implicano minimamente la materialità dell'esistenza di Gesù. Appoggiandoci sulle Epistole Cardinali, siamo solo più dubbiosi della realtà oggettiva di Cristo. Dobbiamo solo ricordare a noi stessi che Paolo (le sue opere lo provano abbondantemente, e nessuno può dubitarne) è un visionario, un allucinatore e che non ha realmente visto il Cristo risorto, ma che lo ha solo percepito in una delle estasi alle quali era soggetto così frequentemente. Del resto, tranne che agli occhi di un credente, l'impossibilità materiale di questa storia di fantasmi deve essere sufficiente.

Ipnotizzato dalle predizioni della Bibbia sul Messia, Paolo ha finito per non dubitare più delle immagini che gli presentavano il suo cervello febbricitante, proprio come i posseduti del Medioevo erano convinti, e sostenevano, perfino nelle torture più terribili di aver visto il diavolo e di aver avuto dei frequenti rapporti con lui. Paolo, tuttavia, un po' meno squilibrato delle streghe, non arriva fino al punto di dire che ha frequentato il Cristo.

Giovanna d'Arco, anche lei, aveva visto l'Arcangelo Michele, santa Caterina e santa Margherita: “Io li ho visti cogli occhi del mio corpo così come ora vedo voi”, e lei lo sostiene fino al rogo, fino in mezzo alle fiamme. La testimonianza della Pulzella è più categorica, più precisa delle vaghe allusioni di Paolo, eppure, è un critico abbastanza intrepido da basare sulle affermazioni di Giovanna, la dimostrazione dell'esistenza dell'arcangelo e dei santi apparsi a Domrémy ?

Ancora, è probabile, per non dire proprio certo, che le Lettere di Paolo abbiano subito, prima di pervenire fino a noi, molte alterazioni e interpolazioni; parecchie di queste Lettere sono, per intero, respinte dai critici; nelle meno contestate, ci sono dei passi che sono stati ritoccati, se non addirittura inseriti maldestramente per intero, nel testo primitivo, come, per esempio, il cantico sulla carità (1 Corinzi 12:31; 13; 14:1) e i versi (Romani 13:1-7) riguardanti il rispetto dovuto alle autorità stabilite. La leggenda, spesso molto malevola per lui, si è impadronita di buon'ora del personaggio e, più di un cristiano zelante dei primi tempi ha dovuto addolcire ciò che le affermazioni taglienti dell'Apostolo dei Gentili avevano di troppo sconvolgente per l'ortodossia nascente, e sopprimere senza scrupoli ciò che era troppo contrario ai miti evangelici. Quel che ne sia, è molto difficile, leggendo le Epistole Cardinali, si cui l'esegesi contemporanea ammette quasi unanimemente l'autenticità generale, evitare l'impressione che esse siano state scritte, per la maggior parte, da un uomo che visse nella prima metà del primo secolo, coinvolto attivamente nelle lotte che riporta e nelle quali prende appassionatamente parte, impressione del tutto contraria a quella che produce la lettura dei Vangeli, nei quali non si sente alcuna realtà vivente.

Malgrado tutto e quale che sia il loro alto valore storico, noi non abbiamo affatto in queste Lettere il racconto di un testimone calmo, imparziale, dotato del minimo spirito critico: Paolo è un uomo appassionato, violento, autoritario, accecato dal suo pregiudizio, che nessuna obiezione potrebbe attendere; pertanto, le sue affermazioni hanno bisogno di essere strettamente controllate. Non è che ci capita spesso l'occasione di sospettare della sua sincerità: se la sua visione è distorta, egli ha detto francamente ciò che crede di vedere e non mente proprio quando non ci dice la verità; soltanto, il suo fanatismo gli fa guardare i fatti attraverso un prisma ingannevole. Eppure, il passo: “Mi sono fatto giudeo con i giudei, ecc...” (1 Corinzi 9:19-22) ci mostra che a volte, non esita affatto a dare una distorsione alle sue convinzioni e a lasciarsi trascinare consapevolmente ad un increscioso compromesso con la menzogna.

Paolo, si dirà, è contemporaneo di Gesù; ok, ma l'ha visto? Ha assistito alla crocifissione? No, perché l'avrebbe detto e noi gli crederemmo sulla parola. Si è mai preoccupato della materialità del suo Figlio di Dio? Quando le sue affermazioni non hanno affatto per base delle dicerie (1 Corinzi 15:3-7), le quali, del resto, non concordano minimamente con il mito evangelico, esse si basano su dei sogni o delle visioni suscitate da delle predizioni della Bibbia interpretate forzatamente per entrare nella tesi che immagina. Paolo è persuaso in anticipo di tutto ciò che la sua passione, il suo fanatismo intollerante gli suggerisce  ed è la prima vittima delle sue ripetute allucinazioni; non è affatto la sua buona fede ad essere sospetta, è la sua percezione, il suo equilibrio mentale. Se vogliamo credere, secondo la sua testimonianza, che egli ha visto il Cristo risorto, perché dovremmo dubitare che sia stato rapito al terzo cielo e che esista un terzo cielo? Perché non dovremmo essere convinti che fu da Gesù stesso, morto e sepolto, che ha appreso il significato della Cena? (1 Corinzi 11:23-26). Per noi, la nostra fiducia in Paolo, grande com'è, si arresta non appena racconta ciò che non ha potuto vedere e che è materialmente impossibile da vedere.

Inoltre, anche se le parole dell'Apostolo non possono sollevare alcuna obiezione motivata, constatiamo che nulla di ciò che avanza collega il suo Cristo all'umanità, né conferma alcuna delle tradizioni dei Vangeli. Non vi è nulla di più stupefacente, anzi, del suo silenzio assoluto su tutto ciò che concerne le leggende evangeliche e nulla dà più fortemente l'impressione che questi miti siano un'invenzione posteriore rispetto alla predicazione dell'Apostolo e non riposano su alcuna realtà. Paolo, che ha abitato a Gerusalemme, non avanza da nessuna parte che ha conosciuto Gesù; è a malapena che lo nomina: non predica che il Messia ebraico, “il Cristo crocifisso, resuscitato il terzo giorno, secondo le Scritture e che è apparso in seguito agli Apostoli e a lui stesso. Ma si tratta di un essere reale che parla oppure del Messia di Isaia (42:13) e dei Salmi? Paolo non cita mai una data, neppure approssimativa della Passione o della nascita di Gesù, che è fuori dal tempo, come egli è fuori dal mondo. Paolo non sa affatto dove sia nato il Redentore, né dove sia morto; ci assicura che è stato sepolto, senza indicarci il luogo, né in quale città; nessuna realtà traspare dalle righe che dedica a lui: “Paolo sembra sapere molto di più sulle attività di Cristo in cielo, prima e dopo la sua epifania, che sulla vita di Gesù” (Loisy, les Livres du Nouveau Testament, pag. 10). Nel passo della prima ai Corinzi  (11:23) “la notte in cui fu tradito...”, Paolo non tenta di dire né da chi, né a chi, né quando. Giuda Iscariota e il suo tradimento gli sono tanto sconosciuti quanto Caifa, Ponzio Pilato e tutti gli altri attori di questo dramma; da nessuna parte, in verità, accusa gli ebrei in generale della morte del Salvatore, [4] tesi sulla quale gli Evangelisti vorranno più tardi appoggiarsi  così compiacentemente e così fortemente, nonostante la sua improbabilità; non ha affatto udito parlare di Erode! Naturalmente, è ancora più ignorante degli interminabili ricami degli autori della Buona Novella sul tema della Passione e non ha mai sentito pronunciare i nomi di Simone il Cirenaico o di Giuseppe d'Arimatea, né sa nulla dell'ostilità furiosa, oltre che inspiegabile, dei farisei contro il Redentore: al contrario, è fariseo lui stesso, almeno secondo gli Atti (23:6 e 26:5), e si mostra estremamente fiero di appartenere alla “piú rigida setta della sua religione”.

Il Cristo paolino non ha famiglia: Paolo ignora financo i nomi di Giuseppe, padre di Gesù e di Maria, sua madre. Ha dei fratelli? Il solo passo delle Epistole in cui vi è menzione dei “fratelli del Signore”, non dovrebbe tradursi più esattamente, con l'espressione “i nazareni”? In effetti, si definivano tutti fratelli e Paolo impiega costantemente questo termine in questo senso (1 Corinzi 1:1, 10, 11, 26, ecc., ecc.) — [5] Non è proprio lo stesso nel caso di Giacomo, un altro “fratello del Signore” (Galati 1:19), che Paolo, contrariamente a Marco e ai suoi emuli, colloca tra i Dodici apostoli? Ma vi furono mai Dodici apostoli?

Del resto, Paolo non lascia supporre da nessuna parte che gli stessi Apostoli avessero conosciuto Gesù: [6] “Apparve a Cefa, poi ai Dodici..., poi apparve a Giacomo, poi a tutti gli apostoli, e, ultimo di tutti, apparve anche a me, come all'aborto...” (1 Corinzi 15:5, 7, 8). Questa doppia apparizione soprannaturale di Cristo agli Inviati, non implica ovviamente alcuna realtà sensibile di Gesù; è sempre il Messia ebraico ad essere sulla scena e a manifestarsi nei sogni e nelle estasi. Paolo è molto attento a precisare: non è Gesù che è apparso, è il Cristo (il Messia); e l'Apostolo dei Gentili si aggrappa così ostinatamente alla tesi che il Cristo non può avere nulla che lo connetta ad una realtà umana e vivente, che nel Racconto della Cena (1 Corinzi 11:23-26) che, proprio come lo dà, non offre assolutamente nulla di inaccettabile, egli prova il bisogno di renderlo del tutto immaginario presentandolo come una rivelazione divina. Certo, l'episodio, di per sé, avrebbe potuto  perfettamente accadere così come è raccontato da lui, ma, incredibilmente, Paolo non lo racconta affatto come un fatto che dei testimoni degni di fede gli avrebbero riportato: “È dal Signore stesso che lo ha appreso”, vale a dire da una visione, da un sogno! Questa possibile azione di Gesù diventa sotto la penna dell'Apostolo, il gesto illusorio di un personaggio intravisto in un'allucinazione.

Bisogna aggiungere che Paolo non era stato in relazione con nessuno degli apostoli nominati nei libri dei Sinottici, salvo Pietro e Giovanni (e Giacomo, fratello del Signore, ignorato nella tradizione evangelica); ma lui non li cita mai come dei compagni di Gesù, che lo avevano conosciuto e seguito nella sua esistenza terrena; questi sono soltanto dei personaggi prominenti che “sono reputati i più ragguardevoli, le colonne, i pilastri” dalla minuscola Chiesa di Gerusalemme (Galati 2:6 e 9). Data la frequenza di questi nomi tra gli ebrei, nulla può portarci a concludere che questi sono gli stessi uomini di cui parlano i Vangeli.

È inutile dire che non conosce tantomeno i personaggi che figurano nella leggenda posteriore al suo insegnamento: né Marta, né Maria, né Maria Maddalena, nemmeno Lazzaro, il cui ritorno miracoloso alla vita avrebbe portato un sostegno così potente alla sua tesi fondamentale della resurrezione che, per Paolo è tutto il cristianesimo.

Il Cristo paolino non ha affatto, tantomeno, una patria. Senza dubbio, Paolo ci disse proprio una volta: “il Cristo è del seme di Davide” (Romani 1:3) e “gli Israeliti dai quali proviene Cristo” (Romani 9:5), ma è impossibile che sia detto altrimenti del Messia di Isaia; avrebbe potuto perfino aggiungere, senza compromettersi e secondo Michea (5:1), che era uscito da Betlemme di Efrata; ma puntualmente, sembra che non sappia affatto o che si preoccupi molto poco di sapere che esisteva una località con questo nome quasi alle porte di Gerusalemme (a 9 chilometri a sud). Quanto a Nazaret, di una realtà così dubbia, non è affatto sorprendente che non ne abbia mai sentito parlare; ma che egli ignori che il suo Cristo è galileo, ecco che sembra passare i confini dell'agnosticismo. È improbabile che non faccia mai la minima allusione a Cafarnao, [7] centro dell'attività del Salvatore, né al passaggio di Gesù tra i Samaritani, che avrebbe fornito un precedente così indiscutibilmente divino alla sua predicazione del Vangelo ai Gentili e gli avrebbe fornito un argomento davanti al quale qualsiasi opposizione di Pietro sarebbe caduta. Si può facilmente comprendere il fatto che Paolo non cita nessuna delle città immaginarie di Cana, di Corazin, ecc., ma è ammissibile che lui non parli mai una sola volta del Calvario, né del Monte degli Ulivi, che non dica nemmeno dove Gesù fu crocifisso? È possibile, nel parlare di Gesù e della sua Crocifissione, passare sotto silenzio tanti luoghi illustrati dai tragici ricordi della Passione?

Lasciamo da parte il romanzo degli Atti ricamati sulle Epistole, anche se sembra strano che Paolo sembrasse aver dimenticato la morte di Stefano di cui fu spettatore e alla quale applaudì e, omissione ancora più improbabile, l'apparizione sulla Via di Damasco che ha avuto così tanta influenza sulla sua condotta ulteriore. Perché non si rammenta affatto di Giovanni-Marco, il suo discepolo disobbediente? Perché soprattutto omette di nominare il suo vecchio maestro Gamaliele, di cui sembra così fiero, secondo il racconto di Atti? Perché passa sotto silenzio Luca, l'evangelista, che fu il suo compagno fedele per dodici anni? (Renan). Tutte queste omissioni sono tanto incomprensibili quanto inspiegabili nella tesi di una qualunque realtà della leggenda.

In breve, il Cristo di Paolo è fuori dal tempo, fuori dal mondo fisico. È un sogno di malati ed è questo sogno che si vuole presentare a noi come una testimonianza indiscussa di un contemporaneo ben informato! [8] “Il Gesù di Paolo è una costruzione soggettiva, una combinazione della logica e della metafisica di un fariseo applicata ad alcuni fatti reali: è una gnosi” (Renan).

NOTE

[1] 1 Corinzi 1:13. Paolo è stato forse crocifisso per voi?
1 Corinzi 1:23. Ma noi predichiamo il Cristo crocifisso.
15:3. Infatti vi ho prima di tutto trasmesso ciò che ho io stesso ricevuto, e cioè che Cristo è morto per i nostri peccati secondo le Scritture;
4. — Che fu sepolto e resuscitò il terzo giorno secondo le Scritture.
 5. — Che apparve a Cefa e poi ai dodici.
6. — In seguito apparve in una sola volta a più di cinquecento fratelli, la maggior parte dei quali è ancora in vita, mentre alcuni dormono già.
7. — Poi apparve a Giacomo, poi a tutti gli apostoli.
8. — Infine, ultimo di tutti, apparve anche a me come all'aborto.
1 Corinzi 2:2. — Perché mi ero proposto di non sapere fra voi altro, se non Gesù, e lui crocifisso.
2 Corinzi 13:6. — Se Cristo infatti è stato crocifisso…

Si noti quanto il racconto delle apparizioni di Gesù risorto differisca, nelle Epistole, da quello dei Vangeli e degli Atti. Si noti soprattutto che l'estasi nella quale il Cristo risorto è apparso, non si è prodotta in Paolo fino a quando non ha ricevuto il racconto e subito il contagio delirante di quelle dei “cinquecento fratelli, di Giacomo e degli Apostoli”

[2] “Voi l’avete letto in greco; dunque il fatto è vero. Questo modo di ragionare non è quello di Euclide, ed è alquanto sorprendente nel secolo in cui viviamo; ma non tutti gli spiriti si correggeranno tanto in fretta; e le persone che compilano saranno sempre più numerose di quelle che pensano” (Voltaire, Dict. Phil. art. Babele, sezione II).

[3] Gli esegeti più autorevoli e più eminenti non sono affatto d'accordo nella valutazione delle Epistole che si possono, con più o meno compiacenza, attribuire a Paolo:
I. — Renan (Paul, pag. 5) è di gran lunga il più generoso; si sente che è molto disturbato dal fatto che non può, malgrado la sua eccessiva buona volontà, ammettere l'autenticità di tutte le Epistole di Paolo. Le classifica in cinque classi:

1°. Epistole indiscutibili e non contestate: queste sono l'Epistola ai Galati, le due Epistole ai Corinzi, l'Epistola ai Romani;
2°. Epistole certe, quantunque si sia fatta qualche obiezione: queste sono le due Epistole ai Tessalonicesi e l'Epistola ai Filippesi;
3°. Epistole di una probabile autenticità, sebbene si sollevino delle serie obiezioni: è l'Epistola ai Colossesi, che ha allegata la dedica a Filemone;
4°. Epistola discutibile: è l'Epistola agli Efesini;
5°. Epistole false: Queste sono le due Epistole a Timoteo e l'Epistola a Tito.

II. Il signor A. Loisy (Les Livres du Nouveau Testament, pag. 43), considera autentiche, al pari di  quasi tutti gli esegeti, le Epistole Cardinali. Eppure, le considera interpolate e non attribuisce a Paolo, il “bellissimo inno sulla carità” (1 Corinzi 12:31, 13:1-13, 14:1) e il passo sulla sottomissione dovuta alle autorità (Romani 13:1-7). Egli considera sospetti i versi (2 Corinzi 16:1, Romani 16:21-27).

Al di fuori delle Epistole Cardinali, trattiene l'Epistola ai Filippesi (anno 59-61), ai Colossesi e a Filemone (stesse date), e la prima ai Tessalonicesi (51), con molte riserve; Ma, dichiara apocrife l'Epistola agli Efesini (75-100), la seconda ai Tessalonicesi (75-100), le due Epistole a Timoteo (110) e quella a Tito (110). L'Epistola agli Ebrei è evidentemente ancor meno di Paolo.

III. — Dal canto suo, il signor Guignebert (Manuel d'Histoire Ancienne du Christianisme, pag. 284) pensa che si possano “considerare come autentiche e pienamente degne di fede (ma l'accordo è lungi dall'essere fatto sulla questione): l'Epistola ai Romani, la prima e la seconda ai Corinzi; l'Epistola ai Galati e anche la prima ai Tessalonicesi; come sicure, intendo dire conformi al pensiero di Paolo, fuoriuscite dalla sua cerchia, se non interamente scritte di suo pugno, l'Epistola ai Filippesi e la seconda ai Tessalonicesi; come più discutibili, vale a dire rimaneggiate posteriormente, le Epistole a Filemone, agli Efesini e ai Colossesi che segnano uno sviluppo significativo nel pensiero cristologico dell'Apostolo ma, in tutta evidenza, sono derivate dalla sua ispirazione. Noi scartiamo, per il momento, il resto che non può essere autentico, vale a dire le Pastorali e l'Epistola agli Ebrei”.

(Le Pastorali sono le due Epistole a Timoteo e l'Epistola a Tito).

IV. — Il signor Maurice Vernes (Gde Encyc., Articolo  Paolo), ci assicura, d'altra parte, che “l'autenticità delle quattro Epistole Cardinali è ammessa dalla quasi unanimità dei critici, benché si possano sospettare dei rimaneggiamenti e delle interpolazioni di una certa importanza.

“Le Lettere ai Tessalonicesi, due di numero, e quella a Filemone, sono state a volte sospettate; il loro contenuto dogmatico, almeno, non dà mai adito a delle serie obiezioni”.

“Lo stesso non vale per le lettere ai cristiani di Efeso, di Filippi e di Colosse, che presentano un tipo di cristianesimo apparentato strettamente al sistema di san Paolo, ma tendente a distaccarsi da esso con delle speculazioni che sembrano appartenere ad uno stadio più avanzato del pensiero cristiano. Si è proposto a sua volta di vedervi degli scritti autentici, fortemente rimaneggiati, oppure delle opere esplicitamente pseudo-epigrafiche”.

V. — Christian Baur (1840), molto prima degli esegeti che abbiamo appena citato, respinge l'autenticità della maggior parte delle Epistole di san Paolo e  trattiene solo le Epistole Cardinali. Havet lo segue nella sua opinione (le Christian. et ses Origines, IV, pag. 368).

Riferiamo alle opere citate, per l'esame delle ragioni che hanno condotto gli autori ad adottare queste diverse opinioni.

[4] In nessuna delle Epistole Cardinali, giammai Paolo imputa agli ebrei il supplizio di Gesù, al contrario: “Se i principi di questo mondo l'avessero conosciuta (la sapienza di Dio), non avrebbero crocifisso il Signore” (1 Corinzi 2:8). I principi di questo mondo non sono ovviamente gli ebrei, anche agli occhi di Paolo.

Troviamo, è vero, nella prima Epistola ai Tessalonicesi: “I Giudei che hanno ucciso il Signore Gesù” (2:15), ma questo verso che contrasta così fortemente con il mutismo abituale dell'Apostolo su questo soggetto è una ragione in più per sospettare l'autenticità di questa Epistola, già molto dubbia. Il signor A. Loisy confessa (Les Livres du Nouveau Testament, pag. 139) che l'intero passo (2:13-16) può essere considerato con probabilità interpolato nel racconto originale.

In fondo, Paolo non rimprovera minimamente ai compagni di fede qualcosa di diverso rispetto a non credere alla sua predicazione e a non arruolarsi tra i suoi seguaci. Per lui, gli ebrei sono delle persone che si immobilizzano nelle loro vecchie convinzioni, “dei reazionari”, dei “fossili”, ma per nulla affatto dei deicidi.

[5] Paolo dice anche “mio fratello Apollo” (1 Corinzi 16:12), “Mio fratello Epafrodito” (Filippesi 2:25), “mia sorella Febe” (Romani 16:1).

[6] È ugualmente un fatto che nella predicazione degli Apostoli, come la troviamo negli Atti stessi, noi non possiamo davvero scoprire che essi hanno conosciuto Gesù personalmente, salvo che nell'unico passo:

Atti 10:3. — E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui (Gesù) compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme...
10:41. — ...Noi, che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua resurrezione dai morti. 

Ancora non si è per nulla obbligati a credere che Pietro e gli altri “testimoni” avessero bevuto e mangiato con Gesù morto, dopo che era risorto. Il signor Guignebert (Le Probléme de Jésus, pag. 65), trova questa precisione “inquietante”.

Questo passo è la ripetizione di Atti:

1.3 — Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua Passione... apparendo loro per quaranta giorni…
1:4. — ...Mentre si trovava a tavola con essi…

[7] L'esistenza di Cafarnao non è affatto meglio stabilita rispetto a quella di Nazaret.

[8] “Come spiegare che così tanti uomini si siano messi tutto ad un tratto ad attendere il ritorno di un Maestro che non sarebbe affatto vissuto e che, tuttavia, era appena morto?” (Guignebert, Histoire Ancienne du Christianisme, pag. 156).

La crocifissione (si è scritto crocifinzione) è, almeno, tanto dubbia quanto l'esistenza di Gesù; di conseguenza, l'obiezione non regge. D'altra parte, gli ebrei stavano aspettando con tanta fede quanto quella nella venuta del Messia, il ritorno di Elia, la cui realtà è ancora più problematica, se possibile:
Malachia 4:5. — “Ecco, io vi mando il profeta Elia, prima che venga il giorno del Signore, giorno grande e terribile”.
Matteo 11.13. — “La Legge e tutti i Profeti infatti hanno profetato fino a Giovanni”.
14. — “...egli è quell'Elia che deve venire”.

“Le Epistole di Paolo non ci fanno apprendere granché  se non la nascita di Gesù di Nazaret e la sua morte sulla croce, per ordine di Ponzio Pilato” (Guignebert, Histoire Ancienne du Christianisme, pag. 156).

(Trovo il nome di Nazaret solo nella prima Epistola a Timoteo (6:13), di cui nessun esegeta oggi ammette l'autenticità).

“Spetta a coloro che ammettono la storicità della Passione, di sostenerla su qualche testimonianza decisiva... Dopo averci a lungo riflettuto, non credo che vi si riuscirà” (Reinach, Cultes, Mythes et Religions, 1904).

“Se Paolo è un testimone di Gesù, è un testimone molto imperfetto, che lo ha visto soltanto in una visione e che sembra non conoscere quasi nulla della sua vita terrena” (Idem, 1907).

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