giovedì 1 novembre 2018

La Nascita del Vangelo — Sommario


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Sommario


CAPITOLO OTTO 

SOMMARIO

1. La conclusione principale degli studi del Nuovo Testamento è che i vangeli hanno un significato pieno e appropriato quando e solo quando sono compresi come totalmente allegorici, come raffigurazioni in simboli dell'unico e solo oggetto della profezia veterotestamentaria, la meravigliosa resistenza, secolo dopo secolo, del Popolo di Israele nella sua risoluta testimonianza per il monoteismo — “il Tuo popolo, che Tu hai chiamato Tuo primogenito, Tuo unigenito”. Ogni volta che ammettiamo questo (o qualsiasi) contenuto simbolico, siamo obbligati a rifiutare alla stessa misura qualsiasi contenuto storico.
2. La natura della rappresentazione allegorica fu fissata in primo luogo nelle profezie isaiane. Il Gesù era il “Servo Giusto di Jahvè”, l'“Ebed YHVH” del Secondo Isaia, di conseguenza nientemeno che la stessa Razza ebraica, il Popolo di Dio, il Genio di Giacobbe, il Popolo d'Israele idealizzato, spiritualizzato, universalizzato, personalizzato. È chiamato “Cristo” o “Messia”, in quanto l'“Unto” di Dio, ma più spesso “Gesù”, “il Gesù” in quanto il Salvatore, la Salvezza, del Mondo Pagano dal Peccato di Idolatria. La radice y-sh-, soccorso, salezza, con cui Iesous era associato nello spirito di quel giorno — Matteo 1:21 “e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà, ecc.” —, abbonda nei versi del Secondo Isaia e difficilmente avrebbe potuto mancare di regnare nel pensiero dei propagandisti primitivi.
3. Sotto il termine Figlio dell'Uomo quest'identificazione diventa obbligatoria. Nelle sue varie forme semitiche l'espressione indicava naturalmente un “essere umano”, ma nel suo uso profetico-apocalittico-religioso intendeva solo una cosa — il Popolo d'Israele, generalmente personificato. Tale era l'uso uniforme fin da Daniele 7:13.
Questa concezione danielica prevale in modo cristallino per tutte le Similitudini del Libro di Enoc, il cui pensiero e persino il discorso sono passati così spesso nel Nuovo Testamento. Ad essere sicuri, questo Figlio dell'Uomo, “l'Eletto” (usati costantemente come sinonimi in Enoc), il Popolo Eletto, è personificato e rappresentato così come un individuo, spesso come un Re Conquistatore. Ma resta il fatto che è la Coscienza Collettiva o Comunitaria, il sentimento nazionale della Razza che sempre si oggettiva nella frase. “Il Figlio dell'Uomo assiso sul trono della sua gloria” (parole completamente enochiche), così vividamente abbozzato in Matteo 25:31-46, è in Enoc ineluttabilmente il Popolo Eletto “Venuto per il giudizio”, che ricompensa i suoi amici tra i pagani, annientando tutti i suoi nemici. L'eco in Matteo non può avere alcun significato diverso.
4. Il Figlio di Dio significa la stessa cosa, una concezione più antica che attraversa tutta la letteratura del Popolo. Le possibili illustrazioni sono molte. Il primo prototipo è Esodo 4:22, “Dice il Signore: Israele è il mio figlio primogenito”. Ma si veda anche il salmo 2:7-9: “Tu sei mio figlio, oggi io t'ho generato. Chiedimi, io ti darò in eredità le nazioni e in possesso le estremità della terra. Tu le spezzerai con una verga di ferro; tu le frantumerai come un vaso d'argilla”. Tali parole hanno senso solo se intese a proposito del popolo di Israele — naturalmente, forse rappresentato da un Re all'incoronazione, o da qualche altro dignitario.
Quelle nozioni di Israele come Figlio dell'Uomo, e come Figlio-di-Dio, lo speciale Figlio del Suo Amore, pervadono la letteratura ebraica, intensificandosi con il passare degli anni, spesso a un livello superlativo nella tarda Apocalittica, dei tempi neotestamentari. Sembra impossibile che un individuo profondamente religioso, imbevuto dello spirito dell'ebraismo nel nostro primo secolo, avrebbe potuto usare tali termini senza sentire in sé stesso e suscitare nei suoi ascoltatori la Coscienza Nazionale che esprimevano o sottintendevano.
5. Questa Coscienza Nazionale appare come un fatto quasi unico negli annali umani. E contro di esso, il Paradosso di tutti i tempi, il fatto paralizzante della disastrosa carriera della Razza, un racconto di sofferenza e di rovina, di umiliazione politica, di dispersione, di deportazione e di morte! La teoria o predizione danielica, non aveva alcuna spiegazione da offrire, passò semplicemente, simile al sacerdote e al levita, dall'altro lato, e cercava l'oblio nella prospettiva di un Nuovo Eone a venire, un Nuovo Anno Platonico. Ma uno spirito più elevato, il Secondo Isaia, immaginò una spiegazione e la espose coraggiosamente: Israele era il “Servo di YHVH”, il suo portatore di torcia, un sacrificio per i Peccati del mondo. Le sofferenze di Israele, le sue “morti” (Isaia 53:9) furono viste come una parte di uno scopo eterno e infinito di Dio per rivelare la conoscenza di Sé stesso a tutti gli uomini, per illuminare tutti i luoghi oscuri del globo. “Disperderò questo popolo tra i popoli, perché esso benefichi i popoli” (Apocalisse di Baruc 1:4). Israele sarebbe stato certamente glorificato da YHVH, non comunque come il capo politico ma come il Capo Spirituale dell'Umanità. (Isaia 53:12).
6. Tale, nonostante un testo corrotto, sembra essere sicuramente il pensiero di Isaia, tale almeno era pienamente compreso come il suo significato (Atti 8:35; Matteo 12:17-21). Questa pianta sbocciò e germogliò e maturò nella Diaspora: ad Alessandria, Antiochia, Cipro, Cirene, Damasco, Efeso — ovunque l'ebreo errante avesse messo piede nell'acculturato mondo greco. Da qui il proselitismo ebraico di cui il tema finale era la Propaganda cristiana primitiva -— il suo messaggio il “Vangelo Eterno” del monoteismo, “Temete Dio e dategli gloria” (Apocalisse 14:7) si unì alla distintiva dottrina isaiana del “Servo Sofferente di YHVH”, il Messia Afflitto ed Espiatorio. Quest'ultima dottrina era un'interpretazione spirituale della storia di Israele, una Trasfigurazione abbagliante del Cristo razziale. Molto chiaramente non si appellava al palestinese, che era sposato alla speranza danielico-apocalittica della supremazia imperiale. Non stupisce che l'antagonismo fosse stato intenso, che la questione fosse stata discussa più volte da Paolo e da Apollo e un centinaio di altri, tutto il giorno, tutta la notte, nella sinagoga, nelle sale pubbliche e nei piani alti, e senza risultato finale! Infatti il comune e unico arsenale di prove era la Scrittura — “è scritto” — e ognuno poteva provare il suo caso in base all'Antico Testamento, poiché c'era  Daniele come pure Isaia! Supporre che un tale dibattito riguardasse la vita, la morte e la resurrezione di un rabbino galileo, che devoti monoteisti ebrei come Paolo e Barnaba e Apollo stavano definendo in maniera blasfema il Figlio dell'Uomo e il Figlio di Dio, termini appropriati solo al Popolo Eletto d'Israele — un rabbino inoltre che quelli Apostoli non avevano mai visto e mai udito — ma basta! Caratterizzare una supposizione del genere sarebbe contrario allo spirito di un parlamento.
7. Era naturale, era inevitabile, che l'interprete di Isaia dovesse “rivolgersi ai gentili”, ma così facendo affrontava un problema formidabile. Desiderava convertire i pagani dal politeismo al monoteismo (Atti 14:15-17, 17:23-30) e certamente molti, con alcuni dei migliori, erano disposti e persino desiderosi di convertirsi. Ma l'Unico e Solo Dio così proclamato non era semplicemente il Dio dell'Universo, in quanto rivolto a tutti gli uomini: era, o almeno era stato per molti secoli, preminentemente e particolarmente il Dio d'Israele; era Israele che aveva operato attraverso tutte le epoche e operava specialmente in quel momento come Suo Servo Giusto, Suo Agente e rappresentante, la Luce per illuminare i gentili, il Suo Unto (Cristo), il Salvatore di tutta l'Umanità. È vero, questa Salvezza era stata preparata attraverso secoli di umiliazione e di sofferenza e “morti” sacrificali espiatrici, ma così tanto più essa costituiva Israele il Capo Spirituale dell'Umanità e lo trasfigurava in una gloria unica ed eterna.
A tutto ciò gli Apostoli potevano veramente credere, e poteva ispirarli con uno zelo missionario che avrebbe infranto ogni argine. Ma una dottrina del genere non poteva essere resa accettabile  in alcun modo ai gentili, e predicarla a loro sarebbe stata una follia imperdonabile. Se i Missionari dovessero fare del bene ai pagani con la loro predicazione, era imperativo adattare l'insegnamento agli allievi a cui insegnare. E questo gli apostoli  fecero ai gentili nel complesso con straordinaria prudenza, serietà e sagacia, come attestato dal progresso rapido e trionfale della loro propaganda. Non erano imbroglioni, non erano ingannati; erano zeloti religiosi pienamente persuasi dell'importanza irresistibile del loro “Vangelo Eterno” del monoteismo e della loro stessa chiamata come strumenti nelle mani dell'Onnipotente, per la diffusione della Sua eterna verità redentrice del mondo. Ma capivano perfettamente che ogni aperta proclamazione del vangelo, così come loro stessi lo concepivano, avrebbe sicuramente danneggiato il suo stesso scopo, e che avrebbero dovuto adattare il messaggio ebraico allo spirito ellenistico.
8. Questo adattamento è ciò che chiamavano “somministrare latte ai piccoli”, Paolo dice ai Corinzi (1 Corinzi 3:1s) che non poteva dar loro da mangiare carne, che non erano in grado di riceverla; era il latte che era costretto a dar loro da mangiare, essendo solo bambini. Questa metafora di nutrire i bambini col latte, per adattare l'istruzione alle persone da istruire, sembra essere stata popolare nell'ebraismo; era una metafora favorita in Filone. E cos'era questo “latte innocente della dottrina”? Era il racconto evangelico — non proprio all'inizio esattamente come lo abbiamo ora. La forma presente accettata era un'espansione molto graduale, in cui è ancora possibile riconoscere un certo numero di fasi precedenti, come anelli annuali su un albero, come la fase dei Logia, la fase di Marco, la fase di Matteo, la fase di Luca — e molto lontano da un lato, come un secondo stelo, la fase di Giovanni, poco somigliante a qualsiasi sinottico. Quelle sono solo alcune fasi tra tanti, e — per variare la figura — sono annodate insieme in una matassa intricata, che la ricerca accademica cerca non invano sebbene non con abbastanza successo di svelare. Dietro a quelle fasi risiedono o giacciono molti altri tipi più semplici, meno artistici senza dubbio e meno graditi al senso e alla fantasia erudita. Altri tipi, ancora più tardi, passano al rococò e al grottesco. I vangeli rappresentano il meglio che l'abilità letteraria di un secolo avrebbe potuto compiere nell'individuare l'allegoria più efficace, nel fornire un latte ricco, salutare e appetibile per bambini.
9. L'Eroe di questa “Antica, Antica Storia” è in realtà il Popolo di Israele idealizzato. Gli episodi sono immaginati in modo da riflettere la storia e il carattere di quel Popolo come si trova in gran parte nell'Antico Testamento, specialmente in quelle caratteristiche eccezionali che sembravano determinare e giustificare la propaganda degli Apostoli, tuttavia erano impossibili da offrire ai gentili come nudi fatti storici. Tali sono specialmente le leggende della Crocifissione e della Resurrezione di Gesù. Quelle formavano il perno dell'intera predicazione, poiché simboleggiavano il pensiero centrale, la sofferenza sacrificale, la Morte espiatoria di Israele per mano dei pagani, la Sepoltura politica dello Stato ebraico che doveva essere seguita dalla Resurrezione spirituale del vero Israele Ideale e dalla sua ascensione alla Gloria Eterna come Signore spirituale di tutta la terra, come Capitano della Salvezza per tutta l'Umanità.
10. Insieme a tutto questo sfruttamento dell'Antico Testamento, si corre attraverso un Simbolismo abbondante, specialmente in Luca e in Giovanni, interessata soprattutto alla salvezza dei pagani attraverso il vangelo. È rappresentata sotto la forma della Guarigione degli Afflitti da parte del Dio-Salvatore, il Gesù, e specialmente sotto la forma della Cacciata dei Demoni (divinità pagane) per mezzo della Sua Parola (l'insegnamento monoteistico). Inoltre, la relazione tra Ebreo e Gentile viene spesso e ripetutamente figurata nel miracolo simbolico e nella parabola. Per necessità, il Gesù che impersona i portatori della “vera luce che illumina ogni uomo e che stava venendo nel mondo” era raffigurato in modo preminente come il grande Maestro e sulle sue labbra era posta tutta la sapienza più elevata che si poteva raccogliere non solo dalla Legge, dai Profeti, dagli Scritti e persino dai Detti dei Padri, ma anche dalla filosofia greca.
Infine abbiamo trovato che, presi per cronache di eventi reali, gli stessi vangeli sono pieni di contraddizioni e di impossibilità, e che dal primo all'ultimo sono fabbricazioni deliberate che diventavano ragionevoli e significative solo se intese in termini simbolici, “severa Verità vestita di magica finzione”. Tutto ciò era così naturale da essere inevitabile.
11. Lo scrittore del quarto vangelo (“Giovanni”) avrebbe alterato la tendenza principale del sentiero sinottico: non vi avrebbe rinunciato, ma l'avrebbe trasformata abilmente per rivolgerla verso il misticismo, lo gnosticismo e una concezione più spiritualizzata del tutto. La natura del Gesù qui è rarefatta nella nebbia intangibile di una difficoltà definita Logos.
12. Così inteso, l'intero Nuovo Testamento appare comprensibile e meravigliosamente adatto ai suoi ascoltatori pagani. Abbiamo trovato testimoni della correttezza di questa interpretazione che abbonda a piene mani, si potrebbe quasi dire in ogni capitolo dei vangeli. Si potrebbero rammentare solo pochissimi semplici esempi. Così, ognuno deve sentire che il quarto vangelo, il più ellenistico di tutti, spira condanna degli ebrei dall'inizio alla fine; eppure ammette la tesi centrale dei vangeli precedenti, che “La salvezza è (proviene) dagli ebrei” (4:22). Inoltre, identifica il Gesù con Israele inequivocabilmente nell'uso della similitudine veterotestamentaria della vigna. Sembra impossibile che l'evangelista non avesse in mente il linguaggio di Isaia, di Ezechiele e di Osea, e di conseguenza, nel dichiarare e ripetere “Io sono la Vigna”, afferma inequivocabilmente che il Gesù è Israele — ma in una prudente maniera pittorica, una maniera “velata” (2 Corinzi 4:3), che non avrebbe rivoltato la coscienza gentile. Quale altro senso se non l'assenza di senso?
Ancora una volta, la Trasfigurazione ha un significato — e in effetti, un significato travolgente — quando e solo quando la si intende di Israele trasformato da uno Stato che lotta invano nel Capo spirituale e nella Guida di ogni generazione.
Ancora una volta, Paolo dichiara di non aver predicato ai Corinzi nient'altro “che Gesù Cristo e Lui crocifisso” (1 Corinzi 2:2); ma in quel momento stava somministrando in maniera davvero appropriata “latte per bambini”. Tra i “maturi” predicava “la teosofia in un mistero”, una “sapienza nascosta ordinata da Dio prima dei mondi per la nostra gloria, che nessuno dei dominatori di questo mondo ha conosciuto; perché, se l'avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria” (1 Corinzi 2:7 s). Questo sembra indicare chiaramente come Paolo affrontava il corso della Storia ebraica — di Israele “che non ha dove posare il capo”, schiacciato, crocifisso. Che una tale coscienza avrebbe dovuto influenzare l'Apostolo allora e là, in quella crisi della storia ebraica, appare così naturale da essere quasi necessario.
13. Ma come fece l'Apostolo a scoprire tutti quei segreti che “gli Arconti di questo Eone” non avevano conosciuto? Lascialo parlare da solo: “Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio” (2:10). Avrebbe potuto, osato, chiarire che si trattava solo di speculazione interiore, di una meditazione, di una meraviglia, una riflessione sull'oscuro enigma della Storia di Israele? L'Apostolo considerava la spiegazione che aveva raggiunto come una rivelazione dello Spirito. “Il vangelo da me annunciato non è opera d'uomo;  perché io stesso non l'ho ricevuto né l'ho imparato da un uomo, ma l'ho ricevuto per rivelazione di Gesù Cristo”. Questo può solo significare che era il risultato delle sue meditazioni personali.
14. L'Ultima Venuta del Figlio dell'Uomo come predetto nel vangelo significa proprio cosa significa in Daniele 7:13, il trionfo a lungo ritardato dei “Santi dell'Altissimo” — Israele (Daniele 7:18, 21s, 25, 27). Il trionfo di Isaia su Daniele non fu mai completo. La speranza di un'incursione catastrofica e catastatica dalle nubi del cielo si è protratta fino ad oggi, e non bisogna sorprendersi di trovare suoi frammenti disseminati qua e là per tutto il Nuovo Testamento. Cedendo alle necessità della situazione, i cristiani divisero la venuta (Parusia) in due: la Prima nella Sofferenza, la Seconda nella Gloria. Questo in effetti preservò l'ordine dei veggenti, ponendo Isaia davanti con Daniele al seguito, ma sebbene parzialmente una “fissione spontanea” essa non rese giustizia a nessuno dei due profeti, poiché nessuno dei due aveva mai sognato due “Venute”.
15. È evidente che la stessa concezione danielica prevale quasi se non in modo del tutto esclusivo nell'Apocalisse di Giovanni. Quindi, “e sulla nube uno stava seduto, simile a un Figlio d'uomo” (14:14) — che cos'è se non un'eco di Daniele 7:13? “Il leone della tribù di Giuda” (Apocalisse 5:5) suggerisce anche la nazione conquistatrice, mentre il (piccolo) “Agnello immolato dalla fondazione del mondo” (13:8) fornisce un'identificazione con il Giusto Servo Israele (in Isaia) che “era come agnello condotto al macello” (53:7). Che l'Agnello simboleggia il Popolo Eletto sembra chiaro dal canto angelico: “L'Agnello che fu immolato è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione” (Apocalisse 5:12). Sicuramente possiede ogni significato e proprietà quando inteso a proposito di Israele, per quanto idealizzato e personalizzato; ma inteso a proposito di un falegname galileo — chi oserebbe dire che abbia qualche senso o idoneità di sorta?
16. L'intera storia non venne in esistenza in un dato momento o in un dato luogo o come l'opera di qualche singolo uomo. I missionari più antichi sembrano essersi accontentati di poche idee centrali e di aver evitato qualsiasi presentazione ufficiale di una vita. Gli Apostoli insegnarono quasi esclusivamente che il Cristo soffrì e morì, fu crocifisso e poi esaltato in gloria, il tutto “secondo le Scritture”. Il Gesù che Paolo stava proclamando era Jeshu-ah, la Salvezza per mezzo di Israele, come rivelato nei rotoli di Isaia e degli altri profeti. Questo Salvatore, apertamente l'intero popolo ebraico, era raffigurato come un individuo umile e sofferente. Così Israele, Trasfigurato dall'ambizione mondana danielica nel ruolo sacrificale derivato da Isaia dell'Espiazione del Mondo (avendo spogliato da sé stesso i principati e le potenze — Colossesi 2:15) era destinato ad essere Crocifisso, schiacciato e calpestato nella polvere ancora e ancora, disperso, deportato; sebbene politicamente Morto e Sepolto (in un esilio senza dimora), ancora destinato alla Vittoria Spirituale (anastasis), per Assidersi alla fine alla Mano Destra di Dio (trionfante parusia) in Giudizio per la Salvezza (Spirituale) dei Popoli.
17. Gli apostoli stavano usando la loro Personificazione come un semplice espediente transitorio, non come la verità ultima. Guardavano fiduciosamente a un primo periodo in cui avrebbero potuto sbarazzarsi di quelli espedienti — latte per bambini — e nutrire i loro convertiti con cibo solido per uomini, con “Teosofia in un Mistero”, puro cibo Spirituale per gli Spirituali, un insegnamento, così sembrerebbe, che metteva da parte l'allegoria evangelica, come nella Didachè e nel Pastore di Ermas.
A questo punto si nutrirono, ahimè! di un'illusione. Il Carnale tende a rimanere carnale, non solo per pochi anni ma per molti secoli. Il poeta preferisce la sua teoria puerile dell'arcobaleno a quella del fisico, e dichiara coraggiosamente:
Chiedo non orgogliosa Filosofia
Per insegnarmi cosa sei.
Il letterale vivido vangelo oggettivo, una volta seminato nell'immaginazione degli uomini, ha affondato le sue radici sempre più in profondità nella nostra intera natura, e ora si teme che lacerarlo crei o sbricioli tutto il tessuto della nostra civiltà — così inveteratamente incline è l'Uomo a Simboleggiare, a fare Segni, e quindi a fraintendere il Segno per il Significato! Tuttavia — “eppur si muove”. Persino la Sequoia non dimora per sempre, e il colossale albero di senape del cristianesimo letterale, che ha protetto e ombreggiato Europa e America per così tanti secoli, ora sente soffiare attraverso tutti i suoi rami il soffio dello Spirito, che presto o tardi deve gettare al suolo la sua raffigurazione letterale. 
La Nascita del Vangelo

Per i figli degli uomini, più potente,
Più luminoso costruiscilo di nuovo,
Nel tuo stesso seno costruiscilo nuovamente!
Ordina che la nuova via abbia inizio
Con più chiaro senso,
E fa’ che nuovi canti di gioia
Siano a ciò cantati.
William Benjamin Smith.

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