venerdì 2 novembre 2018

«Gesù, il Dio fatto uomo»Prefazione



Il Dio di Coincidenza

Può qualcuno negare che

Una cosa dopo l'altra

In sequenza e logica

Mai vista prima

Non può essere che la

Interferenza di un Dio

Determinata a provare che

Ognuno che pretende

Di conoscere ora

Una cospirazione è

Demente?

(Kent Murphy)

Gesù non è mai esistito storicamente, e la sua leggenda è dovuta a nient'altro che ad un'interpretazione profetica dei testi della Bibbia ebraica, a visioni, ad estasi o a deliberate proiezioni delle condizioni nelle quali vissero i primi cristiani entro la cornice della storia inventata del loro presunto fondatore.

Questa è la grande lezione del miticista francese Paul-Louis Couchoud. Insolitamente per un ateo, egli ha l'umiltà di riconoscere che lo Straordinario è una provincia dell'anima umana. Perduta non appena compare la folla, la ritroviamo nei grandi vuoti dei sogni, luogo infinitamente riposto da cui hanno origine veramente le grandi religioni, a meno che non siano delle mere farse e delle luridissime imposture. Gioia straordinaria, straordinario dolore: poli spaventosi di un mito di Gesù Cristo crocifisso che minacciò e sorpassò tutti gli altri miti di dèi che muoiono e risorgono, di cui, senza che i primi cristiani lo sapessero, non costituiva che l'istanza ebraica. Nel caso delle vere Origini cristiane, infatti, a dare origine al tutto, ad operare da cancello d'ingresso al mondo dell'irrealtà e del mito, fu la visione assolutamente personale di un ebreo, noto alla Storia col nome di “Simon Pietro detto Cefa”, che fu tanto fedele all'arcangelo celeste che pretendeva di aver “visto” da aver ispirato, nella sua anima, il fuoco di una sacra esaltazione molto tempo prima che venne inventata a tavolino, sulla carta, un'intera Non-Vita sulla terra per l'oggetto stesso delle sue visioni. 

Dove altri miticisti chiamano “mitologico” il Gesù esperito in estasi e rivelazioni dall'uomo chiamato Pietro, Couchoud lo chiama invece, per rispetto verso quella visione e quel visionario, “spirituale”. Ma la differenza, a tutti gli effetti pratici, è nulla: Pietro — proprio come l'uomo chiamato Paolo, appena qualche anno dopo — non vide affatto lo spettro di un ebreo crocifisso di recente sulla terra. Egli vide uno spettro, egli fu vittima di un'allucinazione. Per Couchoud, fu una vittima sincera. Per altri, mentiva. Lo storico non può decidere su questo. Ma può concludere fin d'ora che il Gesù crocifisso allucinato da Pietro non era il frutto di una “dissonanza cognitiva” con un altro Gesù crocifisso da Pilato a Gerusalemme: quest'ultimo Gesù fu inventato successivamente per dare un'illusione “storica” all'unico e solo Gesù avvistato da Pietro. E dagli altri apostoli dopo di lui. L'inesistenza di una tale entità segue dalla sua definizione, a meno che non si voglia condividere la medesima allucinazione di Pietro e dei primi cristiani e ritenere “storicamente vera” tanto l'esistenza di un arcangelo quanto quella di Satana. Couchoud ha visto giusto: non si deve spiegare perchè un visionario ebbe un'allucinazione. Quel fatto è completamente auto-esplicativo, quasi un truismo. Ciò che si deve spiegare, la vera, autentica sfida dello storico degno di questo nome, è perchè la gente venne a credere — e desiderò innanzitutto credere — che l'entità vista da Pietro fosse un personaggio reale. Quando “reale” non lo era affatto. 

Perciò non si devono spiegare le Origini cristiane con “l'uomo Gesù”, come pomposamente titola l'ennesimo libro stupido, bensì con la deità Gesù. Gesù non è un uomo gradualmente deificato, ma un arcangelo gradualmente umanizzato.

Ricordati di ciò che diceva il 100% ebreo Filone
“Più facilmente Dio si potrebbe mutare in uomo che un uomo in Dio”.
(Legatio ad Gaium 118)


Giammai dei monoteisti potevano deificare un uomo, “che un uomo, nato mortale, si costituisce in apparenza Dio, increato e immortale”, e Filone non poteva pronunciare quelle parole per giunta (!) quando dei suoi connazionali starebbero esaltando un uomo all'altezza della divinità. Tutte le armonizzazioni in tal senso sono destinate a naufragare. Meraviglia piuttosto quanti folli apologeti cristiani stiano al gioco, senza sentire la voce critica della coscienza. Rimangano pure da soli con la loro ipocrisia, se hanno il coraggio di dirigerla verso addirittura sé stessi. Io non credo più nella loro innocenza. La loro non si chiama più beata ignoranza. Ma ignoranza colpevole. Perchè adorare un Gesù “storico” equivale ad adorare la statua di un imperatore romano: stesso insincero feticismo adulatorio che farebbe, per quel solo fatto, un ebreo o un islamico superiore a un cristiano (visto che Mosè e Maometto non sono mai stati deificati). 
Tanto per cominciare, il feticcio in questione — il “Gesù storico” — non è mai riferito dalla letteratura ebraica, se non per denigrare la fasulla “traditio” cristiana. Flavio Giuseppe non menzionò mai Gesù. Svetonio non si riferiva a Cristo ma al riottoso Cresto, uno sconosciuto agitatore ebreo. Plinio il Giovane e Tacito riportano mero sentito dire in maniera del tutto acritica.

Quanto ai vangeli, non sono opere storiche, designate a fornire informazioni circa Gesù, ma annunci di “buona novella”, opere essenzialmente mistiche e allegoriche, che veicolano un messaggio di redenzione, a volte l'ispirazione di un genio (un nome tra tutti: Marcione), altre volte no, ma ad ogni caso totalmente sprovvisti di valore probatorio. Dopotutto, ciò che contengono è derivato dall'interpretazione e dalla drammatizzazione dei testi profetici, oppure è il prodotto diretto di visioni e rivelazioni, il cui peso nella chiesa primitiva era più che enorme. Altro materiale evangelico proviene dalla attribuzione al feticcio in questione di atti e detti che non furono i suoi, ma di cristiani ispirati dallo spirito. 

Secondo Couchoud (e qui mi trovo solo parzialmente d'accordo con lui), Marcione fu colui che portò, per prima, Gesù dal reame dell'entusiasmo mistico-allucinatorio al reame dei fatti duri e puri. L'eresiarca doveva inventare una vita terrestre per Gesù, se il suo intento principale era creare l'illusione che l'ignoranza del mondo circa un Dio superiore al demiurgo, al dio degli ebrei, fosse finalmente infranta tramite l'apparizione — la prima in termini assoluti —, nelle sembianze e solo nelle sembianze di un uomo, del Figlio del Padre celeste sulla terra. Una tale prima apparizione doveva essere il più possibile — per quanto sia consentita a un'entità aliena — “manifesta”, vale a dire recente e pubblica (ovvero: di fronte al pagano Pilato), perchè lo sconosciuto “Dio buono” riservasse a tutti, non solo a pochi, privilegiati apostoli, l'avvistamento, se non la conoscenza, di Sé mediante il Figlio. Se poi questo ovviamente nella realtà storica non avvenne, sulla carta l'eresiarca aveva fabbricato apologeticamente la risposta: a causa della cecità ebraica e delle creature del demiurgo, fu solo Paolo (solus Paulus) a riconoscere veramente l'alterità irriducibile del Figlio rispetto al mondo e al dio di questo mondo. Corollario: Segui lui, nemmeno i falsi apostoli giudaizzanti come Pietro, traditori del Figlio del Padre nella misura in cui lo avevano travisato per il Messia ebraico.

Così Couchoud offre un ottimo motivo perchè un eresiarca gnostico come Marcione doveva per forza prevedere un Gesù storico nel suo schema, ma non dà comunque il motivo perchè doveva essere necessariamente lui il primo ad introdurre l'idea di un Gesù storico.

Personalmente, ammiro Marcione.

Mi dà fastidio il non poter evitare di ammirare colui che sarebbe responsabile di aver inventato un Gesù più chimerico del precedente. Così come lo accetto, altrettanto lo rifiuto, per quella inesplicabile ambivalenza che sembrava aver governato tutte le sue mosse, da come brandì le lettere di Paolo ai suoi fini, a come inventò di sana pianta, non importa se prima o dopo di altri, una Non-Vita per uno spettro che quello spettro non aveva mai avuto.
Qualunque cosa fosse l'inconcepibile malvagità o bontà delle sue azioni, è chiaro che mai, in nessuna parte della Storia umana, c'è mai stato un personaggio simile, che rinchiudesse dentro di sé contemporaneamente tanta miseria e tanta grandezza.
Con quel suo odio impresentabile, bestiale e abominevole per la materia, da lui ritenuta opera di un dio crudele, esisteva in lui qualcosa che comunque mi affascina, un qualcosa che va al di là della sorpresa che ha saputo procurarmi, alla realizzazione della sua possibile paternità del Più Antico Vangelo, o — che è in fondo lo stesso — della portentosa capacità di astuzia della quale avrebbe dato ampiamente prova, creando il primo apparentemente innocuo embrione di quella che sarebbe diventata la “Grande Chiesa”.
Forse quel fascino era dovuto alla sua malvagità, a una crudeltà che era molto al di sopra del male stesso. Come se, in determinate circostanze, l'eresiarca Marcione non fosse un essere umano simile agli altri. Lo schifo di ciò che aveva fatto — inventare e propagandare una biografia per Gesù! — aveva raggiunto un estremo così inconcepibile, alla luce delle conseguenze (e quali conseguenze!) — che doveva comportare canoni diversi da quelli che si applicano al resto degli esseri umani.
Visto da un'ottica che non ha niente in comune con quella che si utilizza abitualmente per l'umanità, non c'è dubbio che Marcione risultava un essere affascinante verso il quale io non mi sento, in verità, capace di chiarire del tutto i miei sentimenti.

Dimenticato dalla falsa “giustizia” dei bastardi falsari proto-cattolici contro i quali aveva sempre lottato, l'eresiarca Marcione, quell'aborto, quel genio del male, quello spirito indomabile, creò forse per prima l'idea di un Gesù crocifisso da Pilato.

Dai vangeli non si può ricavare dunque nulla di storico circa il loro protagonista.
Per giunta, sono anche relativamente tardi, rispetto all'espressione più antica della fede cristiana, quella, cioè, rivelata nelle epistole di Paolo. Il cristianesimo di Paolo non adora un personaggio vissuto di recente sulla terra, ma un'entità che è solo l'emanazione più diretta — e più messianica — del dio di Israele.
A giustificare la tesi di Couchoud sono i testi stessi, come 1 Corinzi 15:3-4; 11:23; 2:8. Dall'affermazione che Cristo morì e risorse dai morti secondo le Scritture, si ricava che sono le scritture sole a fornire l'idea della morte e della resurrezione del Messia. Il fatto che Paolo dice, descrivendo l'Eucarestia, di aver ricevuto dal Signore tale rito, prova che non si tratta affatto di una tradizione evangelica anteriore a Paolo bensì solamente del frutto delle sue visioni, di un puro prodotto della sua immaginazione. Il passo sui dominatori di questo mondo — i tenebrosi “arconti di questo eone” — che crocifissero il Signore della gloria senza riconoscerlo, dimostra che Paolo immagina l'intero dramma della passione svolgersi tra la terra e il cielo, in un'atmosfera apocalittica. La storia del Cristo che discende dalla sua dimora celeste per incarnarsi, morire sulla croce, risorgere e riascendere in cielo alla testa dell'intera corte celeste è della stessa pura natura mitologica del Figlio prediletto dell'Ascensione di Isaia, che al comando divino discende attraverso cieli successivi, totalmente non riconosciuto dagli angeli che presiedono quei cieli, per giungere infine nello Sheol per spogliare l'Angelo della Morte del suo potere, e riascendere quindi alla gloria celeste per ricevere la lode e l'adorazione di tutti gli angeli. 

Il cristianesimo è all'origine un'esperienza spirituale relativa al culto del Signore Gesù, un culto misterico, più precisamente, incentrato sul Mistero di un essere celeste che, per amore dell'umanità, eseguì nei cieli inferiori un sacro dramma di redenzione. Ma quando, dopo la caduta di Gerusalemme, il numero dei proseliti aumentò a dismisura, risultò praticamente impossibile renderli partecipi delle medesime vette sublimi del fervido misticismo originario, e il risultato è (ancor oggi) sotto gli occhi di tutti: una trasformazione — una degradazione per Couchoud (e chi mai potrebbe dargli torto?) — della fede cristiana. Il Mistero di Gesù assunse le sembianze di una storiella. Non era più un cantico poetico ispirato dall'estasi miracolosa, ma un racconto da tramandare ai nuovi proseliti, ogni domenica. L'epica sublime di Paolo diventò una leggenda artificiale. All'esperienza mistica collettiva delle origini, rivelatoria di un dramma spirituale, subentrò la sua materializzazione e trasformazione in sedicente “Storia reale”: Gesù è fatto discendere dal cielo alla terra. Egli è letteralmente un dio fatto uomo.


 GESÙ
IL DIO FATTO UOMO

di P. L. COUCHOUD

Tradotto da: Giuseppe Ferri. 

ALLA
MEMORIA DI
JOHN MACKINNON ROBERTSON

PREFAZIONE

Di tutte le rivoluzioni storiche dell'Occidente, la rivoluzione cristiana fu la più profonda nei suoi effetti. Guardarvi come ad una rivoluzione semplicemente sociale o morale equivale a fraintenderla, poiché era nella sua essenza una rivoluzione religiosa. Fu provocato un cambiamento nell'uomo perché l'uomo aveva recato un cambiamento nel suo Dio.

Così nuovo fu il Dio offerto dal cristianesimo all'umanità che egli appare concepibile a malapena. Questo non era semplicemente un Dio umanizzato, come molti altri, ma una divinità che aveva assorbito l'umanità fino all'ultima goccia, che era sprofondata nella miseria umana perfino ad un'umiliazione degradante, ad una sofferenza ignobile, e ad una punizione infame — un Dio che era anche uno schiavo torturato, che assumeva con una forma umana tutto ciò di cui l'uomo poteva soffrire, perfino al grado più abietto, più indegno, e più vergognoso. Questo era un Dio in cui l'essere umano più abietto, non importa quanto giù fosse caduto, poteva trovare un amico, e in cui, per giunta, poteva scoprire salvezza.

“Una civiltà è trasfigurata”, dice Andre Malraux, “quando dalla sua parte più disgraziata si deriva una gemma di valore — quando il vincolo dello schiavo e la fatica del lavoratore non si devono più disprezzare, ma devono essere la fonte di salvezza”. [1] Si aspettava la salvezza dal Dio crocifisso. È nell'anima che Dio è nato, e nella misura in cui il nuovo Dio emerge vivamente in gruppi di uomini sempre più numerosi in tale misura il mondo è trasformato. In questa maniera la nascita di Gesù si rinnova incessantemente. 

Prima di questa rinascita indefinita di Gesù prese luogo un'altra più specifica. Questa nuova divinità non emerse interamente come la osserviamo nella pienezza dei suoi poteri. La sua fu una gestazione lunga e laboriosa, e la storia del suo sviluppo è il soggetto di questo libro. 

In verità, il Dio martirizzato è un nuovo aspetto, sebbene un aspetto sorprendente, di un essere glorioso, il Figlio dell'Uomo, che fa la sua apparizione nel libro di Daniele e che sarà il giudice al giorno del giudizio. Il Figlio dell'Uomo si fuse col Crocifisso, e lo sfondo da cui prende forma Gesù è quello della distruzione completa e imminente del mondo. Egli è la figura centrale di una rivoluzione cosmica che gli uomini aspettavano in speranza febbrile. Qualunque cosa egli fosse al principio, qualunque cosa egli sia diventato da allora, le speranze collettive degli uomini lo crearono. Un'attesa interminabile può dare origine alla creazione più impressionante su questa terra, e l'attesa incrollabile di trecento anni della venuta del Figlio dell'Uomo sviluppò uniformemente una storia che va dal libro di Daniele al vangelo secondo san Luca.

La speranza non è regolata dalle frontiere. La più perdurante tra le religioni fu l'opera di uomini che credevano che non vi rimaneva per loro il respiro di un momento prima della fine. La grande catastrofe alla quale agognavano era imminente; erano venuti all'estremo limite dell'esistenza dell'uomo. Con occhi vitrei sollevati verso il cielo per l'ora alle porte, essi edificarono solidamente un tempio terreno in cui non nutrivano nessuna fede. Il profeta dell'Apocalisse contò i fedeli di Gesù; numeravano 144000. Ma di quanti milioni si era sbagliato!

In questo lavoro tentiamo di seguire lo sviluppo di un credo, e tentiamo di realizzare uno dei compiti dati alla Storia da Fustel de Coluanges: “L'histoire n'étudie pas seulement les faits matériels et les institutions: son veritable objet est l'âme humaine. Elle doit aspirer a connaitre ce que cette âme a cru, a pense, a senti”. (La Storia non solo studia fatti materiali e istituzioni: il suo vero obiettivo è lo studio dell'anima umana. Dovrebbe tentare di conoscere quel che l'Anima ha creduto, pensato, e sentito.)

Se fosse possibile segnare un bilancio che mostra lo stato dei credi ad una data epoca, il credo sarebbe presentato nel suo dettaglio più grande. Qui abbiamo altri piani, poichè abbiamo tentato di seguire un credo lungo il corso che ha preso il suo impulso dinamico, e abbiamo notato le fasi successive con la più grande esattezza possibile per noi. Per questo la cronologia è lo spirito vitale della Storia, ed è essenziale non correre prima degli eventi. Lo storico è assediato dalle tentazioni di permettere a fasi più antiche, oppure perfino al punto iniziale di un credo, lo stato di un credo come lo trova ad una data quando esso è conosciuto meglio. Egli gradirebbe, per esempio, immaginare che i credi esposti nei vangeli devono sottostare alle epistole di san Paolo oppure all'Apocalisse di san Giovanni, che furono composte ad una data più antica. C'è un pericolo simile rispetto ad istituzioni, che è ancor più grande nella misura in cui i credenti hanno mostrato qualcosa di più che una tendenza naturale, un interesse dogmatico di prim'ordine, nell'affermare che ciò che vedono sviluppato e stabilito nel loro stesso tempo sia stato anche sviluppato e stabilito fin dal principio. Scritti che sono stati antidatati in modo pio sono facili da riconoscere. Quel libro delizioso, gli Atti degli Apostoli, possiede un'aria più credibile, che deve essere resistita. Il quadro che ci offre dei credi antichi è prezioso, ma non rispetto al tempo a cui si ritiene riferisca — no, con riferimento al tempo in cui fu scritto il libro. Il suo autore lanciò un mantello sui conflitti violenti che scioccarono la Chiesa antica, e questo mantello si deve sollevare e si devono esporre nude alla luce del giorno le divisioni tra i fondatori del culto, poiché di queste sono le testimonianze dirette e palpitanti della vita reale.  

Un'altra pietra di inciampo risiede nel percorso dello storico; il credo religioso tende ad esprimere le sue verità in termini di realtà, da qui innumerevoli incomprensioni. Nei vangeli questa maniera di esprimere una verità religiosa è utilizzata frequentemente e liberamente, tuttavia è valutata raramente al suo giusto valore, e spesso inosservata. Senza ulteriore indugio, dobbiamo ammettere che qualsiasi cosa sia un oggetto di fede tende ad assumere una parvenza di realtà negli occhi del credente. Da questo deriva che la religione diventa un arte — la più antica, necessaria, sublime, e ardente delle arti umane; un'arte che dà al mondo e alla vita un significato e una dignità che permettono agli uomini di vivere in una società con rispetto di sé e negazione di sè. Un cambiamento religioso può cambiare tutti i costumi e le relazioni dell'uomo rispetto al suo ambiente. Un'arte del genere ha i suoi propri modi di espressione; le sue verità differiscono da quelle della poesia e di nuovo da quelle della ragione. E di quelle tre verità, quale è la più vera? Un problema metafisico probabilmente privo di significato. Don Chisciotte è più vero di tutti gli spagnoli che mai vissero. Gesù è vero tuttavia in un'altra maniera — nella maniera di Dio. La storia di Gesù, una verità religiosa, non si può mai portare in linea con la poesia e neppure con la ragione; poichè è qualcosa a parte da entrambe. San Paolo aveva ragione quando egli scrisse che il giudizio delle cose spirituali appartiene allo spirituale. Per questa ragione è inutile aspettarsi una comprensione di creazioni religiose da un uomo senza alcun senso religioso, proprio come sarebbe assurdo aspettarsi da un agronomo di impiegare la sua tecnica per il giudizio di quadri oppure da un assicuratore di valutare il valore di un poema. 

La Storia di Gesù non è l'elaborazione di qualcosa che avvenne, ma l'espressione di qualcosa che gli uomini desiderarono appassionatamente che avvenisse: la sofferenza e la morte di un dio così che l'umanità potesse essere salvata. 

Dire che Gesù fu un dio trasformato in un uomo equivale a parlare sia per il credente che per lo storico, a ciascuno secondo la sua maniera. Ma dichiarare che Gesù fu un uomo trasformato in un dio è egualmente sbagliato sia per il fedele che per lo storico.

Questo libro non sarebbe mai stato scritto se non per l'aiuto e l'incoraggiamento datomi dalla Rationalist Press Association e, in particolare, dal tardo e rimpianto J. M. Robertson. Alla memoria di quel nobilissimo uomo io ho dedicato questo lavoro, poiché egli fu uno dei primi a percepire chiaramente di che genere fosse la natura reale di Gesù.

NOTE

[1] La Condition Humaine; Parigi, 1934, pag. 394, 7.

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