martedì 30 settembre 2025

Gerard Bolland: FILOSOFIA DELLA RELIGIONE — Il credo apostolico

 (Questo è l'epilogo della traduzione italiana di un libro del miticista Gerard J. P. J. Bolland, «Wijsbegeerte van den godsdienst». Per leggere il testo precedente, segui questo link)


INDICE.

Prefazione

  1. La necessità dell'umanità e le aspettative di salvezza esposte nell'Apocalisse

  2. Il significato della religione per la comunità e la personalità

  3. Essenza e Causa della Religiosità. — Le difficoltà del Cristianesimo

  4. Ascensione e Resurrezione

  5. L'imitazione di Cristo

  6. Che cosa pensate del Cristo?

  7. Il Signore degli ebrei e il Padre di Gesù

  8. La rivelazione del mistero nello spirito del cristianesimo

  9. Il fondamento dei vangeli sinottici

  10. La religione nello spirito del superiore

  11. Il Dio della fede ecclesiastica e il Deus philosophorum. I

  12. Il Dio della fede ecclesiastica e il Deus philosophorum. II

  13. Il concetto di Dio

  14. Fioritura e Radice. — Il Cristianesimo nella storia. I

  15. Fioritura e Radice. — Il Cristianesimo nella storia. II

  16. Ebraismo e Cristianesimo

  17. Le aspettative riguardo all'aldilà

  18. Il credo apostolico

XVIII

Il credo apostolico. [1

Siamo giunti alla fine di queste discussioni sulla religione.  

E se ora ci chiediamo con quali riflessioni vorremmo concludere queste meditazioni, allora, come è logico, la confessione di fede della Chiesa deve venire alla fine. La difficoltà sta nel superare la mancanza di interesse che può derivare dall'ignoto, il quale solo a posteriori può essere ritenuto degno di attenzione.  

Tuttavia, alla fine deve arrivare il momento della confessione di fede, così come è onorata dai nostri connazionali protestanti, o meglio evangelici, e spesso si trova affissa con lettere dorate sulle pareti delle chiese di campagna: i 12 articoli di fede o il Credo degli Apostoli, che i riformatori portarono con sé dalla Chiesa cattolica romana come confessione dell'intero cristianesimo.  

Infatti, essi ritenevano che esso rappresentasse il vero formulario dei primi cristiani nella Chiesa, sebbene ciò fosse un'illusione: la Chiesa greca già non lo conosceva; è sconosciuto a Mosca e ad Atene e, in generale, ai cristiani di tradizione orientale. Perfino la Chiesa cattolica romana non lo utilizza nelle sue cerimonie. Durante la messa (o liturgia greca), il sacerdote deve recitare il Credo nei tre momenti solenni principali: l'offerta, la consacrazione e la comunione, ma si tratta della confessione di fede di Costantinopoli. La Chiesa romana, in quanto Chiesa cattolica, è vincolata alle confessioni di fede dei grandi concili ecumenici. E con una sola aggiunta, quella di Costantinopoli è anche la confessione della Chiesa greca. Dunque, la confessione di fede dei nostri connazionali riformati non è quella conosciuta dalla Chiesa d'Oriente, e la Chiesa romana, in certe occasioni, recita un altro simbolo.  

Ma allora, dove viene utilizzata nella Chiesa romana? Solo nel battesimo, il che significa che sin dall'inizio aveva una funzione specifica legata all'ammissione di nuovi membri. Questo aspetto non viene considerato dai riformati, sebbene sia qualcosa di molto particolare.  

Così come ci è giunto, il credo non è del tutto nella sua forma più antica, ma contiene alcune aggiunte risalenti all'anno 775 circa. Il periodo tra il 700 e il 1000 fu l'epoca oscura del papato, in cui ragazzi di dodici o tredici anni diventavano papi, e si racconta perfino che l'alto clero a Roma fosse talmente decaduto da non conoscere più il latino corretto, tanto che intorno al 750 il clero romano non era più in grado di recitare la confessione di fede originale.  

Oggi utilizziamo il formulario così come era in uso nel sud della Francia intorno al 775 con alcune aggiunte, e che sotto Carlo Magno fu nuovamente importato a Roma come confessione di fede. Dunque, i 12 articoli sono la confessione romana, ma non quella antica. Nella versione antica non si trovava l'affermazione: Discese agli inferi.  

Ora, ci sono alcuni semi-liberali che si sentono illuminati da questa scoperta: ritengono di non dover più credere realmente alla discesa agli inferi del Signore dopo la sua passione e morte, perché tale affermazione non era presente nel formulario originale. Tuttavia, in realtà, non c'è nulla di più universale per la coscienza cristiana originaria della credenza nella discesa agli inferi. Tra il 200 e il 300 nessuno ne dubitava, e proprio per questo motivo non fu inclusa nella confessione di fede. Perché quest'ultima presupponeva una funzione polemica: si intendeva con essa, in modo implicito, escludere i dissidenti.  

Sebbene i 12 articoli apostolici non siano conosciuti dalla Chiesa greca, ciò non significa che lì si professi una fede completamente diversa. Allo stesso modo, se confrontiamo la confessione di fede attuale con quella romana precedente al 775, essa è comunque così antica che il suo contenuto precede i concili ecumenici. Gli articoli risalgono al periodo tra il 150 e il 200, fatta eccezione per le aggiunte del 775. La Chiesa romana li chiama apostolici con l'intento di affermare: “questo è l'autentico credo degli apostoli”, un'affermazione che, però, non può resistere a una critica storica seria.

Viene anche chiamato il Symbolum Apostolicum o Symbolum Apostolorum, e il termine simbolo, usato così spesso in precedenza, ha qui un significato completamente diverso. Non ci occuperemo dell'etimologia, e ciò che viene detto qui non è difendibile dal punto di vista etimologico, ma symbolum significa qualcosa come biglietto d’ingresso o parola d’ordine. Più letteralmente, significa segno distintivo, e precisamente un segno distintivo di buona disposizione d’animo per i veri cristiani. [2] Ed era attraverso la sua rivelazione che si otteneva l’accesso alla comunità. Infatti, l’originaria associazione era, come si è cercato di chiarire, un circolo misterico ad Alessandria, dove, come avviene ancora oggi nella massoneria, esistevano delle parole d’ordine.  

Ora, password non è esattamente il significato di symbolum, ma in origine si trattava comunque di una breve formula che bastava pronunciare per essere ammessi al gruppo. Ma questo implica anche immediatamente che non poteva trattarsi dell’intero formulario. In effetti, il symbolum originale, ossia la parola d’ordine, si può ancora intuire da Matteo 28:19. La lunghezza sproporzionata di questo versetto giustifica l'idea che probabilmente vi siano state aggiunte successive; la versione precedente al 200 potrebbe essere stata: “Andate e fate di tutte le nazioni miei discepoli e insegnate loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato”. E le parole “battezzandoli nello Spirito” sarebbero state poi interpolate. [3]

Non bisogna però trarre da questo la stessa conclusione di un dotto quacchero (cioè qualcuno che non considera il battesimo un sacramento), il quale si rallegrava nel poter considerare questa frase un'interpolazione, poiché ciò gli permetteva di sbarazzarsi delle parole solenni “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Questa è una visione meschina del cristianesimo più antico.  

Il nucleo misterico, riservato agli iniziati, della dottrina della Nuova Alleanza – la quintessenza, il cuore dell’insegnamento originario – non va cercato in un testo scritto nero su bianco. Il centro mistico attorno al quale si costruivano le teorie rimaneva segreto. E possiamo affermare con sicurezza che le parole “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” sono in realtà quanto di più antico esista. Coloro che hanno difficoltà con queste parole sbagliano a sentirsi sollevati pensando che solo ciò che è scritto nero su bianco abbia valore.  

Il fatto che questo sia proprio l'elemento più autentico e antico si può comprendere guardando alle antiche tradizioni misteriche.  

Nei misteri orfici, ad esempio, si parla di un essere di luce eterno chiamato Phanes, che non è altro che l’etere della moderna fisica, la quale – senza esserne consapevole – attinge in realtà da queste antiche tradizioni misteriche. Intorno al 300 a.C., Megastene riferisce che, secondo gli antichi Bramini, oltre ai quattro elementi (terra, acqua, aria e fuoco) ne esiste un quinto, dal quale sono formati la volta celeste e le stelle. In effetti, in sanscrito un defunto viene ancora detto “andato verso la Quintessenza”, e persino in “The Secret Doctrine” di Madame Blavatsky si parla di un Akasha o “etere superiore”, che lei chiama “madre di ogni forma ed essere esistente”. [4] In Italia, intorno al 440 A.E.C., il pitagorico Filolao avrebbe insegnato che nella “Sfera” esistono “cinque corpi”: fuoco, acqua, terra, aria e ὁλκάς (?) come quinto elemento. Anassagora, secondo Aristotele (Meteorologia 2:7), avrebbe invece sostenuto che l’etere, per sua natura, “tende verso l’alto”. Euripide concepiva l’espansione dell’etere come la volta celeste, identificando questo firmamento con Dio. Scrisse: “Vedete lassù quell’etere infinito che circonda la terra con le sue curve fluenti? Considerate quello come Zeus, come Dio”. [5] Anche Crisippo sostenne che ciò che si chiamava “Zeus” fosse in realtà l’Etere, e Cicerone scrisse che quando gli àuguri romani parlavano dei fulmini e dei tuoni di Giove, in realtà si riferivano al cielo che fulmina e tuona. Virgilio, tra gli altri, menziona il “padre onnipotente etere”. [6]  

Per Aristotele, l’etere rappresentava la sostanza materiale primordiale dalla quale, secondo i Pitagorici, era nata l’intera realtà. Per gli iniziati orfici, questo stesso principio cosmico era chiamato Phanes, il primo nato da sé, il divino artefice del mondo – Phanes, che come essenza della luce era anche l’essenza della verità. “Perché la verità,” afferma Filone di Alessandria, “è luce”. E il valore numerico della parola greca ἀλήθεια è 52, lo stesso di αἰθήρ, il che ci aiuta a comprendere come nei misteri luce e verità fossero considerate una cosa sola.  

In sostanza, l’etere è la manifestazione oggettiva dell’essere di luce, che nel cristianesimo è chiamato Spirito Santo. I due sono la stessa cosa, presentati in modo oggettivo e soggettivo l'uno rispetto all’altro, eppure... sembrano ignorarsi a vicenda. L’etere deve diffondersi attraverso l’intero spazio come una materia incorporea, presente ovunque senza essere qualcosa in sé – proprio come lo Spirito Divino. Dobbiamo considerare quanto siano strettamente connesse tra loro le idee che polemizzano l’una con l’altra. E invece di polemizzare contro Dio o contro l’etere, dovremmo comprendere che entrambi devono essere pensati in un certo modo.

Nella quinta essentia o quinta essenza della terra, che discende dall’alto al basso come la prima materia, l’etere, possiamo immediatamente pensare al primum movens, discusso da Aristotele come il primo principio del movimento di ogni cosa, che tuttavia non si muoveva esso stesso. Oggi associamo il primum movens a Dio e la prima materia all’etere. E un principio eterno del mondo resta necessario, anche quando non si crede più in Dio; nella scienza naturale, in quanto tale, l’etere diventa il dio degli atei: così come nella Chiesa si dice che tutto è possibile con Dio onnipresente, nella fisica moderna tutto viene attribuito all’etere. [7]  

“La verità è luce”, ha detto Filone. E nella luce splendente deve apparire il divino vero, il “pneuma della verità” di Giovanni 16:13, in forma corporea! Il pneuma è l’etere in movimento. Quando leggiamo il Nuovo Testamento (e abbiamo il dovere, anzi l’onore di conoscerlo, perché alzare le spalle di fronte a ciò che non si conosce non è degno — è questo il segno miserabile del nostro tempo, che si scrolla di dosso ogni cosa senza saperne nulla), dobbiamo ricordare che “Spirito Santo” è sempre una traduzione di τὸ πνεῦμα τὸ ἅγιον, un nome che, nella filosofia antica, indicava l’etere. E che il pneuma sia la verità è confermato anche dallo scrittore efesino della prima lettera di Giovanni (5:6), intorno al 140 d.C. “Quando essi”, dice Celso riguardo ai cristiani del 2° secolo (citato da Origene, Contra Celsum 6:71), “affermano che Dio è pneuma, non si distinguono affatto dagli Stoici tra di noi”. “Cos'è dunque lo Spirito Santo?”, si chiede Clemente Alessandrino intorno al 210 (Stromata 5:88). E Gregorio di Nazianzo scrive nel suo Discorso 31: “Tra i saggi tra noi, alcuni ritengono lo Spirito Santo una modalità operativa, altri una creatura, altri ancora Dio; e altri non sanno cosa pensare”. Tuttavia, Clemente sapeva ancora (Paedagogus 1:6) che lo Spirito Santo fluiva in noi dal cielo; qualcosa di questa risposta storica riecheggia persino in Tommaso d’Aquino, dove afferma: “La luce dell’intelletto in noi non è altro che una sorta di similitudine partecipata della luce increata, nella quale sono contenute le ragioni eterne. [8] Ma, storicamente, dobbiamo innanzitutto ricordare che “anemos” significava spirito del vento e “pneuma” il suo soffio, motivo per cui, come in Erodoto (7:61) ed Euripide (Eracle 102), esistevano i πνεύματα ἀνέμων (spiriti dei venti). Un pneuma divino era dunque un soffio o un alito divino, e τὸ πνεῦμα τὸ ἅγιον (lo Spirito Santo) rimane, essenzialmente, un soffio sacro… di natura eterica, di leggerezza celeste. Il pneuma esisteva già prima del cristianesimo: era il soffio del vento, dell’aria, l’aria stessa dentro di noi, che nei misteri veniva considerata come un’aria eterea calda e luminosa, proveniente dal cielo stellato sopra le sfere planetarie, il luogo da cui, per gli iniziati, provenivano l’ispirazione e l’illuminazione, soffi invisibili eppure, per così dire, materialmente spirituali.  

Così, nello Spirito Santo e nell’etere, si trova la stessa dottrina, senza che nessuno ne sospetti nulla. In generale, nemmeno i professori di matematica e fisica ne sanno qualcosa dal punto di vista storico; l’unica eccezione è il chimico di Groningen, Prof. Dr. F. M. Jaeger, la cui erudizione impone rispetto. Del retore di Leida non si è voluto imparare nulla, sebbene lui, nei suoi ultimi 25 anni, abbia imparato molto da loro. Così, la scienza ufficiale non ha alcuna consapevolezza di questo, sebbene già L. Oken (1779–1851), nella sua Natura Philosophia, abbia detto: “L’etere è la prima realizzazione di Dio, la sua eterna posizione; Dio ed etere sono identici”. Tutto è insieme distinto e indistinto, e questa distinzione apparirà ovunque, specialmente in un saggio storico sulla .... religione.  

Nei Misteri Orfici, il Tempo era chiamato il Padre di tutte le cose. E quel Tempo generò l’uovo cosmico, rappresentazione dello spazio delimitato dal firmamento come una sfera cava. Gli antichi non avevano un termine per spazio, ma conoscevano la sfera, ossia lo spazio coperto dal cielo. E quella sfera, di per sé, era un globo oscuro, pieno di tutto ciò che doveva germogliare, proprio come un uovo è la matrice di ciò che deve svilupparsi, e il suo interno è immerso nell’oscurità. [9] Quello che più tardi venne chiamato talvolta “l’uovo filosofico” era in realtà l’uovo cosmico in miniatura, simbolo della coscienza umana ancora non sviluppata ma con il potenziale di contenere tutta la saggezza, il microcosmo umano ancora in divenire.

L'uovo cosmico, generato dal Tempo, è la sfera priva di luce, che si sviluppa e deve dividersi in un mondo superiore e un mondo inferiore. E cosa viene alla luce? Cos'altro, se non ciò che la luce stessa deve essere, l'essenza della luce! Ecco di nuovo la profonda semplicità primitiva! Questa essenza della luce ha l'impulso all'autoespansione ed è, innanzitutto, una personificazione della repulsione. Tuttavia, poiché tutto deve essere mantenuto unito anche dall'attrazione, in questa funzione l'essenza della luce è chiamata Eros; il radioso e ardente Phanes [10] è anche Eros, ovvero l'amore universale che unisce e mantiene in movimento il mondo, come si vede negli “Uccelli” (v. 696) di Aristofane.

Ora, Phanes (il cui nome è etimologicamente legato a phaenomeen, fenomeno) è anche un epiteto del dio sole, ma nella saggezza misterica è in particolare lo spirito della luce che illumina l'intero spazio. E la materialità, che non si manifesta mai in modo tangibile o corporeo e tuttavia è onnipresente senza mai apparire come un corpo determinato, è la sostanza stellare dei misteri antichi. Oggettivamente, quindi dal punto di vista della materialità, Phanes è l'etere, e soggettivamente, quindi dal punto di vista della personalità, è il pneuma, mentre secondo la dottrina dei misteri era eterno, e gli si attribuiva anche una causalità negli effetti. Egli era l'auto-generato, divenuto da sé, proprio padre e proprio figlio. E lo era precisamente come pneuma divino, come etere all'opera.

Questa è la dottrina centrale dei misteri orfici: nell'infinità del Tempo, si riconosceva un essere eterno di luce, chiamato Phanes, proprio padre e figlio come unità del pneuma.

Questa era la concezione più antica. Nel Nuovo Testamento, la dottrina della Trinità non può essere dimostrata come ortodossa; era l'insegnamento esoterico per gli iniziati, che non la divulgavano apertamente. Qualcosa è stato detto a riguardo nel Vangelo egiziano, ma pubblicamente si evitava l’argomento. Intorno all'anno 200, la Chiesa di Roma non fece lo stesso; il clero era allora troppo superficiale per comprendere gli gnostici e non pensò in termini trinitari, cioè non sapeva da dove provenisse la sua dottrina né quale significato dovesse attribuire alla formula: Padre, Figlio e Spirito Santo.

Cosa pensava dunque un cristiano originario di queste parole? Un cristiano originario era un membro della comunità misterica alessandrina, fondata da ebrei misterici non nazionalisti, ebrei mistici di una fede completamente diversa da quella ebraica tradizionale, che non chiamavano più il Dio di Mosè l'Essere Supremo e ponevano il Padre al di sopra del Signore. Nel senso gnostico (= colui che possiede la gnosi) del 2° secolo, essi interpretavano il “Credo in Dio Padre” non come Roma lo intendeva dopo il 150, ovvero come un’identificazione con il Signore.

Infatti, se si prosegue con la critica al Dio dell'Antico Testamento come qui esposta, allora la filiazione con il Padre del Nuovo Testamento diventa improbabile.

I primi cristiani erano ebrei che avevano trovato un compromesso; il loro mondo di pensiero derivava dalla concezione misterica greco-ellenistica, ma adottarono i termini dell'Antico Testamento, quindi la fraseologia veterotestamentaria, sebbene la loro sensibilità fosse in realtà greca e misterica.

Così si creò una sorta di illusione che faceva sembrare che l'Antico Testamento si continuasse nel Vangelo, e certamente l'Antico Testamento non può essere scartato del tutto, ma in cosa è effettivamente radicato il Vangelo? Esteriormente nel giudaismo, interiormente nel pensiero greco. Quando questa distinzione non fu più mantenuta, si creò per il primo cristianesimo un grande problema: il dilemma del 2° secolo, al quale Roma rispose dichiarando che il Signore e il Padre erano la stessa cosa.

“Che cosa intendi con il Padre?” sarebbe quindi la domanda da porre, “e come intendi il Figlio?”

Il Figlio! L'originaria crocifissione era una crocifissione nell'aria ad opera degli arconti e, quando si rinunciò a questa idea e si rappresentò il Signore Gesù come disceso sulla terra, divenne necessario chiedersi: Come si è manifestato il Signore Gesù sulla terra? I primi cristiani erano doceti e, parlando del Figlio apparso nella carne, dicevano: “Era solo apparenza”.

Ma Roma non si accontentava di ciò. A partire dalla metà del 2° secolo, Roma era fortemente legata alla figura del piccolo uomo, e sebbene gli gnostici intorno al 150 non fossero più gli originali, erano comunque gli intellettuali. Ma il clero romano non ne voleva sapere di loro; li respinse richiedendo, al momento del battesimo, una dichiarazione che uno gnostico non poteva fornire.

In sintesi, si può dedurre quanto segue:

1°. I 12 articoli di fede non contengono la professione di fede della liturgia cristiana.

2°. Il Credo di Costantinopoli è in uso nella misura in cui viene recitato nelle cerimonie. L’ortodossia, con la sua infinita ignoranza riguardo alle pratiche cattoliche romane, non sa che la sua professione di fede è specificamente romana solo nel battesimo.

3°. Chiunque potrebbe dire: “Credo nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo”, ma da Roma si doveva allora chiedere: “Cosa intendi con questo?”

4°. Così si giunse a una formula di fede interpolata, in cui la Chiesa diede così tante spiegazioni da renderla impossibile da accettare per gli gnostici. La formula alessandrina “Credo nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo” fu interpretata in modo tale che gli gnostici non potessero più professarla, e la Chiesa romana proclamò trionfante: “Questo è il Credo degli Apostoli”, intendendo con ciò che essa conteneva ciò che gli apostoli avevano originariamente creduto.

Passiamo ora all'analisi dei 12 articoli stessi!

“Credo in Dio Padre Onnipotente, Creatore del cielo e della terra...”

I 12 articoli di fede della Chiesa romana, a partire dalla metà del 2° secolo, identificano il Padre con il Creatore, il Dio del Vangelo con il Dio dell'Antico Testamento. Lo gnostico era perfettamente disposto a dire: “Credo in Dio Padre”, ma non intendeva affatto il Creatore della Genesi.


“...E in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore...”

Anche su Cristo lo gnostico aveva riserve, sebbene riuscisse comunque a dargli un significato o uno scopo in cui trovava soddisfazione. Originariamente, Cristo era Chrèstos, ma a Roma il termine fu trasformato in Christus. [11]

Ma “unico Figlio” non era accettabile, soprattutto non come Figlio del Signore degli ebrei. Piuttosto, egli era la personificazione dell'Idea delle Idee platonica e, in questo senso, poteva essere considerato il Primogenito del Padre, ma allora il Signore era anch'egli un Figlio del Padre, poiché per gli Ofiti era lo spirito planetario di Saturno o Saturno stesso, che i Greci chiamavano Kronos e gli orientali Kewan. [12] Per Basilide era anche chiamato Abraxas; [13] la somma del valore numerico delle lettere formava il numero 365, e così fu considerato ad Alessandria un dio annuale e un dio solare.

Gli spiriti planetari erano anch'essi figli celesti del Padre, e il Signore era il primogenito tra di loro.  

Un ebreo non avrebbe mai ammesso che il Signore avesse un figlio. Maometto, polemizzando contro il cristianesimo, afferma infatti nel Corano che Dio non ha un figlio. Ciò è tipicamente ebraico, tipicamente orientale. È necessaria una distorsione enorme del significato evangelico per introdurre il Signore dell'Antico Testamento nel Vangelo con l'intento di farci credere, del Padre, che sia Adonai, il Signore. A tal fine, in Marco 12:29 è stata interpolata la frase: “Ascolta, Israele”. Se c'è qualcosa di certo, è che i cristiani riconoscono un solo Signore, e quel Signore è Gesù. Non si può negarlo. E persino il clero romano, nella sua confessione di fede, non ha osato affermare esplicitamente che il Signore è il Padre, attribuendo invece questo titolo al Signore Gesù.  

Ma Marco 12:29 allora? In quel passo, infatti, si fa dire a Gesù che vi è un unico Signore, il Signore degli ebrei.  

Dunque, c'è molto da riflettere sul termine “Signore” all'interno della professione di fede.  


“…Che è stato concepito per opera dello Spirito Santo—” 

Questa affermazione ha sempre destato difficoltà, e non si può presentare un'argomentazione razionale a suo sostegno. Tuttavia, riflettiamo più a fondo!

In relazione al significato generale, il Signore Gesù deve risultare il primogenito tra molti fratelli, come esempio e modello per gli uomini. In ognuno di noi emerge qualcosa di divino, e per questo elemento divino, senza il quale non potremmo essere chiamati esseri umani né fratelli in Cristo, è necessaria un'azione diretta dell'inconcepibile. Per via naturale, il divino in noi non può essere spiegato; esso non ha una paternità naturale, ovvero, come esseri consapevoli, noi “non abbiamo un padre”.  


“...nato dalla Vergine Maria—”.  

Nel testo originale è scritto Mariam. E nel secondo libro di Mosè si parla di una sorella di Mosè chiamata Miriam. Ricordiamo che le vocali con cui gli ebrei tedeschi leggono l'ebraico sono estremamente alterate; [14] in realtà, solo un piccolissimo gruppo tra loro parla ancora un ebraico corretto. Così, sembra che quella sorella si chiamasse Miriam, ma nella traduzione alessandrina viene chiamata anche Mariam, mentre nella traduzione persiana della grande cronaca araba di Tabari (839-921) si legge: Giosuè, figlio della Miriam mosaica.  

Si potrebbe quindi pensare alla Vergine Maria in modo simile alla Vergine Olandese o alla Vergine cittadina di Amsterdam; consideriamola come la Vergine ebraica, sulla scia della Figlia vergine di Sion di 2 Re 19:21. Perché? Perché Gesù non poteva nascere da Mosè; hanno preso la sorella Mariam al posto di Mosè per dire che il Signore Gesù è nato dal mosaismo, dal giudaismo mosaico. Perché questo è il lato, il lato ebraico, del cristianesimo. [15]


“...che patì sotto Ponzio Pilato—”.  

Questo è stato incluso come articolo di fede a Nicea e a Costantinopoli. Ma non è curioso che il momento specifico di un evento sia stato trasformato in un articolo di fede? Comprendiamo da soli che ciò implicava già che non si era più certi dell'evento nel momento in cui si richiedeva ai fedeli di sottoscriverlo. La maggior parte dei credenti, anche se non pensavano più a una crocifissione avvenuta nell'aria, riteneva che la vita terrena fosse stata solo un'apparenza, e che l'evento dovesse essere confermato in una data per contrastare il docetismo.  

L'instabilità della data della Pasqua si spiega allo stesso modo: è nata dal fatto che non si sapeva con certezza, che la data era assolutamente indeterminabile. Non dobbiamo pensare che sia andata persa una conoscenza certa; è sempre stato così: il momento esatto non è mai stato conosciuto.  


“...fu crocifisso, morì e fu sepolto, discese agli inferi—”.  

Quest’ultima parte è stata aggiunta solo nel 775 e non compare nel simbolo romano più antico.  

I protestanti, che sentono il bisogno di considerarsi ortodossi, si rallegrano di questa aggiunta, perché non sono più obbligati a crederci e possono ignorarla. Tuttavia, dimenticano che, in origine, solo le questioni controverse erano incluse nei dodici articoli di fede. Le spiegazioni forzate dei protestanti per giustificare un'interpretazione accettabile sono davvero deboli; così, Calvino ha affermato che questa espressione indica una discesa nelle profondità della terra, intesa come sepoltura. [16

Ma il vero significato va ricercato nella fede misterica, dove era un'idea molto diffusa: anche Orfeo discese negli inferi per portare luce ai prigionieri delle tenebre.  

I riformatori, che cercavano di razionalizzare questo punto, dimostrarono di non poter fare a meno di essere un po' moderni.  


“...il terzo giorno resuscitò dai morti, salì al cielo, siede alla destra di Dio, Padre onnipotente—”.  

Qui Gesù appare come colui che condivide il trono, e non con il Signore ebraico.  


“...da lì verrà a giudicare i vivi e i morti—”.  

Qui la fede si trova su un terreno fragile, che minaccia di far morire il cristianesimo più per questa incoerenza che per obiezioni teoriche; qui emerge l'incapacità dell'uomo moderno di concepire l'aldilà secondo questa concezione cristiana ortodossa, ma distorta. Attendere la venuta del Signore significa, in sostanza, la morte dormiente.  

Quando i protestanti annunciano che qualcuno è morto nella speranza di essere accolto da Cristo, la dottrina pura insegna che il defunto deve attendere il ritorno di Cristo, il quale giudicherà i vivi e i morti. La Chiesa romana ha combinato questa credenza con l'idea gnostica dell'ascensione celeste: da cielo, inferno e purgatorio, tutti dovranno essere giudicati di nuovo alla seconda venuta di Cristo.  

La fede originaria è quella misterica dell'ascensione dell'anima al cielo immediatamente dopo la morte. E intorno al 150 fu aggiunto: Dovete credere, secondo la tradizione ebraica, nella resurrezione dei morti, ovvero che nessuno è ancora stato salvato o condannato all'inferno. Tutto attende Cristo.

Ormai si è atteso così a lungo il ritorno di Cristo che si è persa persino l'abitudine di aspettarlo; la fede nella sua seconda venuta è ormai solo un dogma e non più una credenza viva nei cuori, come accadeva nei secoli passati. Chi di noi attende ancora con ansia, giorno dopo giorno e ora dopo ora, il ritorno di Cristo? Il problema principale per l'uomo moderno non è la difficoltà teorica, ma il crollo di queste aspettative.  


“… Credo nello Spirito Santo —”

Questo non è altro che l'antica fede. [17]


“… Credo in una santa, universale, cristiana Chiesa —”  

La Chiesa cattolica romana legge qui: “La santa Chiesa cattolica”; i cristiani greci si definiscono ortodossi, non cattolici. I protestanti francesi parlano di une église universelle, ma questo non è il significato originale. Il termine greco usato dalla Chiesa latina indicava la sua volontà di stabilire le proprie norme, sia spirituali che temporali, per tutte le comunità come Ecclesia Romana Catholica.  


“… La comunione dei santi —”

La Chiesa cattolica pensa qui alle anime in cielo. L'intento originario era più semplice: si riferiva ai fedeli.  


“…. La remissione dei peccati —”  

Non vi è nulla di sentimentale in questo concetto; anzi, non deve essere inteso in modo sentimentale. Una volta condannati, nulla al mondo può più aiutare. Questo articolo si riferisce al battesimo. Molti cristiani, come Costantino il Grande, si facevano battezzare solo poco prima della morte. Infatti, nel battesimo venivano perdonati tutti i peccati commessi fino a quel momento; ma se successivamente si commetteva un omicidio, un adulterio o un'altra forma di fornicazione, non c’era più possibilità di perdono. In particolare, riguardo all’adulterio, i primi cristiani avevano opinioni molto severe, e le Scritture affermano esplicitamente che esistono peccati mortali. Tuttavia, la Chiesa cattolica ha concesso qualche attenuazione.  

Qui non si parla quindi di amore divino, né di nobili sentimenti o aspirazioni del cuore. Si tratta solo di una polemica contro idee diffuse, senza parole dolci o consolanti.  


“… La resurrezione della carne —”

Questo è il punto più critico di tutta la dottrina cristiana, che non riesce a distaccarsi dall'idea della seconda venuta di Cristo sulla terra. Forse, oggi il cristianesimo sarebbe in una condizione migliore se fosse riuscito ad abbandonare questa disastrosa credenza ebraica.  

Concludiamo ora con il Credo nella sua interezza, auspicando che la comprensione di esso non abbia compromesso la capacità di provare emozioni spirituali.  

“Credo in Dio Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra;  

“E in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore;  

“Che fu concepito per opera dello Spirito Santo, nacque da Maria Vergine;  

“Patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto, discese agli inferi; 

“Il terzo giorno resuscitò dai morti;   

“Salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente;   

“Di là verrà a giudicare i vivi e i morti; 

“Credo nello Spirito Santo;  

“Credo nella santa Chiesa universale, la comunione dei santi;   

“La remissione dei peccati; 

“La resurrezione della carne;   

“E la vita eterna. 

AMEN”.


NOTE AL CAPITOLO XVIII.

[1] Per la considerazione liberale del symbolum si veda K. Kautzsch, Das sogenannte Apostolische Glaubensbekenntnis, Lipsia 1910, con ulteriori indicazioni bibliografiche.

Il pastore lic. theol. Goetz ripercorre brevemente la lotta intorno al symbolum fino ad Harnack e ritiene: “Spetta al nostro tempo riprendere i compiti rimasti incompiuti e condurli verso una soluzione più soddisfacente”. (Das apostolische Glaubensbekenntnis, Tubinga 1913, p. 10).

[2] Anche come collatio, riassunto (συμβολή), la confessione è stata chiamata già presto symbolum, accanto a σύμβολον o segno di riconoscimento.

[3] Cfr. Bolland, Het eerste evangelie, pp. 42 ss. e 185; De achtergrond der evangeliën, p. 38.

[4] Megastene; cfr. Strabone 15:1,59. Blavatsky, S. D. 1:354 “Prakriti il cosmo materiale” (1:276) “nel suo stato primario è Akasha” (1:277). “L’etere o Akasha pervade tutte le cose”. (1:367). “L’etere nell’esoterismo è la vera “quintessenza” di ogni possibile energia”. (1:554).

[5] Luciano, Jupiter Tragoedus 41.

[6] Cicerone, De natura deorum 1:15,40; Virgilio, Georgiche 2:325. Secondo Z. R. 334; cfr. Oorspr.³, p. 68 e De Orphische mysteriën², p. 13 n. 3.

[7] Eppure anche Einstein ha rimesso il dio degli empi in inattività; secondo lui si può credere nell’etere, che però non deve dare alcuna prova della sua esistenza.

[8] Summa theologiae I:84,5.

[9] L’origine della filosofia greca³, p. 57.

[10] Abel, Orphica, p. 3.

[11] Cfr. Zuivere Rede³, pp. 678 ss. e 724 ss.

[12] “Saturno e il suo giorno”. (De groote vraag², 159); Zuivere Rede³, p. 645; Oorsprong³, p. 13 n. 2.

[13] Cfr. Abraxas. Studien zur Religionsgeschichte des späteren Altertums, di A. Dieterich, Lipsia 1891.

[14] È qui il luogo per una storiella che il Prof. Bolland raccontava da 25 anni ogni anno ai filologi antichi. La prima volta lo fece nel suo corso di filosofia greca del 1896, quando i classicisti scoppiarono a ridere per la sua pronuncia del greco, che trovavano molto strana. (Si pensi a: Die althellenische Wortbetonung im Lichte der Geschichte). Allora disse: “Eh, ragazzi, ridete, e ridete di qualcosa di strano, perché in effetti quella pronuncia non è neppure corretta. Se Platone potesse risorgere dalla tomba e sentirmi qui, direbbe: “Ho scritto con tanto senso estetico per vedere le mie magnifiche conversazioni così rovinate?” Ma se ascoltasse voi, ve la cavereste senza rimproveri, perché Platone non si accorgerebbe affatto che state parlando greco”. E così anche Mosè rimarrebbe in silenzio di fronte agli ebrei di oggi.

[15] Cfr. Bolland, Het evangelie², pp. 99–100.

[16] Il Catechismo di Heidelberg parla qui ancora della “indicibile angoscia, dolore, terrore e tormento infernale, nei quali Egli in tutta la sua passione (ma soprattutto sulla croce) era precipitato”.

[17] Nondimeno, la predica sullo Spirito Santo resta la danza sulle uova per il predicatore.

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