domenica 28 febbraio 2021

IL MITO DI GIUDAIl Mistero del Tradimento

 (segue da qui)

IV. — IL MISTERO DEL TRADIMENTO

Riaprendo l'inchiesta, allora, nello spirito della scienza storica, chiediamoci riguardo la storia del tradimento, nelle parole di Volkmar, Cosa c'era da tradire? Secondo la narrativa, Gesù era stato per giorni la figura più importante di Gerusalemme. Aveva fatto un ingresso trionfale; era stato a insegnare quotidianamente nel Tempio; vi aveva provocato una commozione violenta espellendo i cambiavalute — un episodio che era stato spiegato rozzamente come un atto compiuto nell'interesse di devoti adoratori ebrei che venivano defraudati abitualmente dai cambiavalute. Che le autorità ebraiche dovessero voler imprigionare e punire un tale disturbatore prepotente della pace è prontamente concepibile — posto che potessimo credere che un solo uomo con una frusta di cordicelle potesse sconvolgere così, per dire, la Banca di Inghilterra. Origene, il più intelligente dei primi Padri, si sentì costretto a considerarlo un miracolo.

Ci viene detto, comunque, che le autorità sacerdotali temevano di arrestare Gesù apertamente a causa della popolazione amichevole — questo a fronte del ricordo ulteriore che il giorno dopo l'arresto quella stessa popolazione stava gridando «Crocifiggilo», e chiedendo il rilascio del brigante Barabba in preferenza al Figlio di Davide. I sacerdoti, allora, erano capaci di volgere la popolazione come avrebbero voluto.

Rinunciando a quel punto, nondimeno, supponiamo che due giorni prima della cattura i sommi sacerdoti e gli anziani avessero pianificato come «poter arrestare con un inganno Gesù e farlo morire......non durante la festa, perché non avvengano tumulti fra il popolo». Cosa dobbiamo fare allora della narrativa che la notte dell'arresto vi si recò con Giuda «una gran folla con spade e bastoni, mandata dai sommi sacerdoti e dagli anziani del popolo» ? Era un tumulto di notte, quindi, una questione di indifferenza? L'ingegnoso biografo, il dottor Neumann, in realtà ci dice che Giuda dovette guidare la banda dei catturatori «senza alcun scalpore». E il risultato è «una gran folla con spade e bastoni»! Così si possono scrivere storia e biografia.

Ma tutti quelli interrogativi sono coperti dall'interrogativo culminante, Perché le autorità avrebbero dovuto o invitare o accettare la guida di Giuda nella vicenda? Gesù, per la sua presunta dichiarazione in tutti e tre i sinottici, insegnava apertamente nel Tempio; poi lasciava apertamente il Tempio e se ne andava (Luca 21:37) con i suoi seguaci ogni sera al Monte degli Olivi. Quale possibile difficoltà avrebbero potuto trovare le autorità nel doverlo rintracciare? Un bambino avrebbe potuto rintracciarlo. Il dottor Neumann, ignorando saggiamente tali domande, ci assicura che non solo Giuda si trovò a guidare la moltitudine per mezzo della sua conoscenza speciale, ma dovette dare il bacio traditore — «sulla mano», una vecchia ipotesi per la quale non esiste alcuna giustificazione documentaria, perché «al buio» gli altri non avrebbero potuto riconoscere Gesù. Ora ci viene chiesto di credere che a mezzanotte la moltitudine era passata per una Gerusalemme al buio fino al monte oscuro senza le torce e le lanterne che nel quarto vangelo sono prese per garantite! Se, allora, la notte fosse stata così poco illuminata, come avrebbero potuto vedere Giuda che dava il bacio quando loro stessi non potevano vedere Gesù?

Nel frattempo, secondo gli stessi vangeli che descrivono Giuda mentre giungeva con la moltitudine, Giuda era stato con gli altri discepoli non solo durante l'Ultima Cena ma durante la camminata per il Monte degli Ulivi, che, ci viene detto, era l'«abitudine» di Gesù. Solo nel quarto vangelo ci viene detto che Giuda era «uscito» dopo aver ricevuto il boccone. I sinottici dicono tutti che «i discepoli» parteciparono alla cena e si recarono con Gesù al Monte degli Ulivi; e Matteo (26:35) afferma espressamente che «tutti gli apostoli» si unirono alla protesta di devozione di Pietro sul Monte degli Ulivi prima che passassero al Getsemani. In nessun punto raccontano dell'allontanamento di Giuda. E così siamo costretti a notare ciò che la scuola biografica, fino all'abate Loisy e al dottor Joseph Klausner di Gerusalemme, hanno così stranamente mancato di vedere, che la storia del tradimento è un'interpolazione documentaria nei sinottici — un'aggiunta ad una narrativa in cui originariamente il tradimento non figurava. 

Si potrebbe dedurre rigorosamente così tanto dal fatto che nel terzo vangelo (22:30), come si presenta, al Signore gli si fa effettivamente promettere ai Dodici, incluso Giuda, «Voi siederete su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele», dopo che ci è stato detto che Satana era entrato in Giuda e che si ordì la trama del tradimento. Forse il compilatore originale non poteva aver pianificato così per denigrare il Signore e sé stesso. In Matteo (19:28) la stessa promessa viene fatta prima del viaggio a Gerusalemme; ma nemmeno quell'evangelista poteva aver scritto presumibilmente una simile predizione se avesse inteso riportare la sua falsificazione attraverso il tradimento e la perdizione di Giuda. La promessa può essere stata corrente soltanto in un tempo anteriore alla presenza di una storia del Tradimento. [1] Solo quella considerazione dovrebbe dettare la nostra conclusione. Ma troveremo che ogni dato critico nel caso comporta la stessa decisione. 

La contro-argomentazione del dottor Eduard Meyer [2] — che la storia del tradimento deve essere storica perché l'evangelista non avrebbe mai inventato un episodio così ingiurioso per il prestigio degli apostoli — è tipica della dialettica del presupposto. Troveremo che tutte le prove esterne vanno contro a quel presupposto, e anche che esso è presentato a dispetto perfino delle probabilità a priori. Il dottor Meyer, la cui esegesi personale comporta costantemente l'ammissione di interpolazioni, sostiene qui come se l'intero testo di ogni vangelo debba provenire da un unica mano. Siccome tutte le interpolazioni devono essere state motivate in qualche modo, dobbiamo solo chiedere se una fazione cristiana potesse avere un motivo per screditare l'apostolato al fine di renderci conto che che il presupposto negativo a priori è illecito. 

Il motivo risiede nel contesto del conflitto tra la fazione giudaizzante e la fazione gentilizzante di cui abbiamo le chiare tracce negli Atti e nelle epistole paoline. Screditare l'apostolato ebraico era la tattica naturale e, anzi, inevitabile del movimento gentilizzante fintanto che le rivendicazioni tradizionali del più antico gruppo ebraico fossero avanzate, e che ci fosse stato un tale conflitto può essere contestato meno di tutti dal dottor Meyer. Infatti chi avrebbe potuto inventare un racconto così completo della divisione sconveniente nella Chiesa cristiana se essa non avesse avuto luogo? Nessuno poteva guadagnare o sperare di guadagnare inventando ciò

Era l'espressione spontanea di un conflitto di interessi paragonabili ai conflitti tra tribù, tra nazioni, tra classi; e il risultato fu una nuova finzione da un punto di vista morale con le finzioni iniziali della fede. L'autore dell''Epistola di Barnaba', un proselita antisemita che scriveva intorno al 140 E.C. (ma considerato da tutti gli antichi Padri come il Barnaba degli Atti), parla (cap. 5) degli Apostoli, che neanche enumera o nomina, come «gravati di ogni peccato», e scelti dal Cristo come tali «per dimostrare che 'non era venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori'». Un tale approccio non solo consentiva ma dettava, nel ramo gentile ora grandemente preponderante del movimento cristista, accuse dettagliate di malefatte contro gli apostoli per nome, e noi vedremo come l'influenza operò sui testi evangelici.

Il fatto che soltanto nel quinto capitolo e alla fine del capitolo precedente 'Barnaba' cita dai vangeli, mentre tutte le altre sue citazioni scritturali sono tratte dalla Septuaginta, può essere trattenuto per sollevare la questione se non ci sia stata qui un'interpolazione. Ma una conclusione del genere estende solo l'intervallo temporale del conflitto settario. Se fosse stato l'autore oppure un redattore ad aver scritto l'estesa denigrazione degli apostoli, raffigurandoli accuratamente con una spiegazione dottrinale che lascia vacillare la fede, si tratta una testimonianza irriducibile dell'azione ellenistica contro i giudaizzanti.

NOTE

[1] In tutta la massa dei Vangeli apocrifi e degli Atti, credo che, a parte il 'Vangelo dei Dodici Apostoli', ci sia solo una narrazione riguardante Giuda Iscariota, quella data nel 'Racconto di Giuseppe di Arimatea', e là è descritto come “non un discepolo di fronte a Gesù”, ma un finto seguace che cerca di far arrestare Gesù per una rapina al tempio commessa dal “buon ladrone” Demas, che morì con Gesù sulla croce. Giuda, inoltre, è descritto come “[figlio] del fratello di Caifa, il sacerdote”. Dei Dodici non c'è menzione.

[2] Che segue Heitmüller, art. su Giuda in Die Religion in Geschichte und Gegenwart, 1912, 3, 795. Il prof. Rudolf Bultmann, al contrario, vede nella storia del Tradimento poco più che una leggenda. Die Geschichte der Synopt. Tradition, 1921, pag. 159.

IL MITO DI GIUDAIl Mistero Messianico

(segue da qui)

 III. — IL MISTERO MESSIANICO

Che tipo di uomo, allora, troveremo come risultato del metodo biografico che elimina semplicemente l'elemento soprannaturale dai vangeli? Quale è, in particolare, la sua relazione con Giuda? Circa quel personaggio non ricaviamo nessun dettaglio preliminare. Lui è semplicemente uno dei dodici che Gesù ha improvvisamente «chiamati a sé» [1] da un numero non specificato di discepoli sulla cima di un monte, secondo Marco e Luca; e «Giuda Iscariota, quello che poi lo tradì», è uno dei dodici che Gesù invia a  predicare il vangelo, col potere di condannare le città incredule ad un destino peggiore di quello di Sodoma e Gomorra — un aspetto della questione che non sembra interferire nella coscienza cristiana media. 

Nessuna luce viene proiettata sulla natura dell'uomo nei sinottici. È nel certamente artificiale e fittizio quarto vangelo (6:67-71) che Gesù, dopo che «molti» dei suoi discepoli principali lo hanno abbandonato, domanda prima ai dodici: «Forse anche voi volete andarvene?» e aggiunge, alla protesta di Pietro: «Non ho forse scelto io voi, i dodici? Eppure uno di voi è un diavolo. Egli parlava di Giuda, figlio di Simone Iscariota: questi infatti stava per tradirlo, uno dei dodici».  Qui abbiamo quell'atmosfera mentale in gran parte diversa che molto tempo fa ha costretto lettori a mettere da parte il quarto vangelo in quanto assolutamente incompatibile con i sinottici dove diverge così da loro. Quando, allora, quel vangelo annuncia ulteriormente (12:6) che Giuda serbava rancore per il costoso nardo in base ad una pretesa ipocrita, «perché era ladro, e, tenendo la borsa, ne portava via quello che vi si metteva dentro»; e di nuovo ricorda (12:29) che Gesù ha effettivamente autorizzato questo ladro e ipocrita a «comprare quello che ci occorre per la festa», la scuola biografica tacitamente o esplicitamente mette da parte la testimonianza come invenzione successiva. Se quelle cose erano vere, come mai accadde che i creatori dei primi vangeli non sapevano nulla di loro ? 

Ma cosa è lasciato ora come materiale apparente dei documenti riguardo a Giuda? Semplicemente che, dopo averlo istruito e autorizzato assieme agli altri, Gesù improvvisamente profetizza, alla fine, che Giuda lo tradirà e, non facendo nessun tentativo di influenzare o di illuminare il disgraziato, gli permette di procedere. Per quanto riguarda Pietro, d'altra parte, il terzo vangelo, e solo quello (22:31), ci dice che Gesù disse: «Simone, Simone, ecco Satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli». Ma a Giuda, sulla tesi biografica, è permesso deliberatamente e impietosamente di andare al suo destino; e questo dal Maestro che aveva inculcato sopportazione fraterna e persistente perdono del peccatore tra i fratelli, e aveva stabilito che tutti i peccati sono eguali agli occhi di Dio.

Perché? Qui accade che i neo-unitariani bramano il tipo di soluzione offerta per prima dai più amabili Cainiti, e sviluppata successivamente da Neander, da Whately e da De Quincey, e poetizzata finemente dal signor Phillpotts. Gesù, penserebbero volentieri, si rese conto che Giuda sognava un vano desiderio, e, non senza cuore ma con rassegnazione, lo abbandonò a «sopportare il suo fato». Ma i documenti fatali, che vanno sempre sgretolandosi sotto i loro piedi, non danno loro alcun supporto. I sinottici e il quarto vangelo concordano ampiamente nel rappresentare Gesù come se reputasse Giuda un'anima malvagia, sotto il potere di Satana. Rimuovono tutti i riferimenti fatalistici alla profezia, e quella concezione è ancora la sola soluzione offerta. Allora, si potrebbe affermare in maniera plausibile che possiamo eliminare giustamente tutti i dettagli dai documenti, e procedere a fare le nostre ipotesi personali relative alla natura di un episodio che quei documenti da soli non ci danno alcuna ragione di supporre che fosse accaduto?  Il metodo estetico dei poeti e dei romanzieri andrebbe adottato tacitamente come metodo di storia, e la finzione andrebbe proposta come fatto? 

Il dottor Arno Neumann, uno di quei zelanti modernisti che sono abbastanza sicuri che «qualcosa del genere accadde», e sono sicuri di essere capaci di scrivere una biografia spirituale di Gesù, affronta la difficoltà di Giuda senza problemi. In questo modo: [2]

«Il fato ora ha voluto che uno dei seguaci più fidati di Gesù dovesse diventare il traditore del suo Maestro, Giuda di Kerioth. Per il suo crimine contro il più puro e il più grande di chiunque sia mai apparso sul palcoscenico della storia quest'uomo è diventato per noi il simbolo del più basso genere di peccatore, e il prezzo e il bacio di Giuda sono diventati proverbiali. Nel Credo della Chiesa il traditore divenne, per così dire, l'incarnazione vivente di Satana nella tragedia del soggiorno terreno del Figlio di Dio. Per il ricercatore storico, tuttavia, il cui scopo primo e principale è comprendere e raffigurare il suo personaggio, il discepolo rinnegato è una figura sconcertante».

«È molto probabile che nel suo cuore Giuda non fu mai un completo discepolo; che, ebreo per nascita, si unì ai discepoli di Gesù solo in un momento alquanto successivo;  che la crescente ostilità di Gesù alla religione dei padri lo allontanò; e che, al pari della grande maggioranza della gente, mantenne con tenacia l'idea che il Messia fosse destinato a liberare il suo paese dal dominio di Roma. Il focoso realista in Giuda arrivò ad essere deluso da Gesù».

Le nostre fonti non ci forniscono un resoconto soddisfacente delle ragioni della sua apostasia, poiché non possiamo credere che sia stato spinto, come viene suggerito maggiormente (Giovanni 22:4-6), da semplice brama di denaro. ......Se Giuda era un uomo avido, dobbiamo chiederci cosa fosse che avrebbe potuto portarlo a unirsi al povero predicatore itinerante, e quale interesse avrebbe potuto avere in lui il Maestro ? L'unica risposta a entrambe le domande va trovata nel suo entusiasmo messianico.

Sembrerebbe, infatti, come se il lungimirante Nazareno fosse diventato consapevole di un cambiamento nei suoi modi durante gli ultimi giorni; forse perché gli occhi di Gesù erano stati messi in guardia specialmente dalla Sua ansia per la Sua sicurezza personale......»

Qui, sembrerebbe, perfino il biografo fiducioso deve temere che la sua brillante narrativa sia troppo sottile per generare una concezione soddisfacente. La sua ipotesi che Giuda si unì al gruppo «solo in un momento alquanto successivo» è pura e semplice fabbricazione di fronte al chiaro documento e al fatto che il ministero totale dura apparentemente per poco più di un anno. In un capitolo precedente (pag. 89) egli ci aveva detto che «Un rapido esame del personaggio, e una buona fortuna altrettanto bene, devono aver contribuito ad aiutarLo in questo compito [di scegliere i suoi dodici discepoli]; poiché sembra essere stato ingannato soltanto in un unico discepolo, Giuda di Kerioth». «Soltanto in un unico»!  Così i fabbricatori di biografie giocano col loro materiale.  Di nuovo e di nuovo i sinottici indicano che Gesù trovò ottusi, ineducabili, egoisti, tutti, o quasi tutti, i suoi discepoli. 

Naturalmente, ci sono altri passi in cui dice loro (Matteo 13:16) che sono i privilegiati ascoltatori di cose che molti profeti e giusti avevano desiderato invano di sapere. Questo fa parte della confusione insolubile dei vangeli. Ma quando un dichiarato modernista, scegliendo ciò in cui crederà e rifiutando ciò in cui non vuole credere, ci assicura che il «lungimirante Nazareno» fece un «rapido esame del personaggio», e tuttavia fu anche fortunato nella misura in cui scelse soltanto un traditore cattivo e predestinato tra dodici, diventiamo consapevoli che la debolezza di giudizio e l'ignoranza speculativa che procedettero alla compilazione delle narrative evangeliche non sono scomparse dal procedimento dei fiduciosi opinionisti che si accingono a trovare per noi la verità in quella rete intricata di fantasie e di contraddizioni.

Il dottor Neumann, nonostante la sua conclusione che il «lungimirante Nazareno fosse diventato consapevole di un cambiamento» nei modi di Giuda, si sente indotto a respingere in quanto incredibile la predizione esatta del suo tradimento da parte del Maestro. «È certo», ci assicura il biografo, «che Giuda doveva dissimulare fino all'ultimo momento, e pure doveva tenersi informato su tutti i luoghi dove il Maestro intendeva trascorrere la notte; poiché il compito che aveva intrapreso era di guidare la banda dei catturatori, senza alcuna agitazione, da Gesù (Atti 1:16). Il suo bacio a sua volta — il bacio dell'allievo sulla mano del maestro — si rese necessario dall'oscurità come un segno grazie al quale gli altri avrebbero potuto riconoscerLo». E allora, finalmente, abbiamo questa conclusione goffa e impotente: «All'inizio Gesù, senza dubbio, pensò che l'intenzione fosse innocente (contro Luca 22:48)». Vale a dire, il lungimirante nazareno, che ci è stato descritto timoroso del «Suo» rischio di morte a seguito delle «Sue» azioni, neppure al momento del bacio del tradimento realizzò di essere stato tradito.

Da un'ipotesi così inutile come questa ci si volge, non invero ottimisticamente, ma con almeno la speranza in una condotta più avveduta, alla nuova Vita intitolata 'Jesus of Nazareth', del dottor Joseph Klausner di Gerusalemme. Questo studioso è abituato a rimproverare per la loro procedura non accademica e non scientifica molti degli specialisti «cristiani» del giorno, e vede una «fede acritica» al lavoro tra gli ortodossi. Si sarebbe potuto supporre che il suo pregiudizio pro-ebraico lo avesse messo in guardia da un'atmosfera non storica dove i biografi di ispirazione cristiana rimangono assorbiti dal loro disegno a priori di estrarre storia dai loro documenti. Ma il metodo del dottor Klausner è proprio il loro, con una colorazione ebraica anziché una cristiana. Egli non ha dubbi circa Giuda; lui infatti, è sicuro di sapere tutto di lui: 

«Giuda venne da Gesù da una parte lontana del paese (Kerioth di Giudea), una prova che era un uomo eccezionale e attratto fortemente dal nuovo insegnamento. Questo soltanto persuase Gesù a riceverlo come uno dei suoi più intimi Apostoli-discepoli; fino all'ultimo Gesù non riconobbe in lui il carattere vile che fece di lui un traditore. [3] ......»

Gradualmente il suo entusiasmo si raffreddò, e cominciò a guardare con sospetto alle parole e alle azioni del suo maestro. Era generalmente convinto che Gesù non avesse sempre successo nel curare i malati; che Gesù temesse i suoi nemici, e cercasse di sfuggirli ed eluderli; che ci fossero marcate contraddizioni nell'insegnamento di Gesù......»

«Per giunta, questo 'Messia' non avrebbe né voluto né potuto liberare la sua nazione, eppure si arrogò il ruolo de 'Il Figlio dell'Uomo che viene sulle nubi del Cielo', asserendo di dover assidersi alla destra di Dio nel Giorno del Giudizio, osando dire del Tempio, il luogo più sacro al mondo, che nessuna pietra dovrà rimanere sull'altra, e in realtà, che lo avrebbe distrutto e al suo posto avrebbe edificato un altro dopo tre giorni!»

Giuda Iscariota si convinse che costui fosse un falso Messia o un falso profeta, che errava e faceva errare, un ingannatore e uno che fuorviava, uno che la Legge comandava di uccidere, uno a cui la Legge impediva pietà o compassione o perdono...... Dopo [la] rivelazione ai discepoli a Cesarea, e all'intero popolo di Gerusalemme, Giuda si aspettava che nella Città Santa......Gesù avrebbe......distrutto i Romani e ridotto al nulla farisei e sadducei; allora tutti avrebbero riconosciuto le sue rivendicazioni messianiche, e tutti lo avrebbero visto nella sua gloria e nella sua maestà come il 'salvatore finale'. 

 Ma che cosa vide Giuda, in realtà? Nessun miracolo (Matteo solo racconta di come Gesù guarisse i ciechi e gli zoppi nel Tempio, materie sconosciute a Marco); nessuna azione potente; nessuno è sottomesso da lui; il potente Messia fugge ogni notte a Betania; fatta eccezione per le osservazioni 'audaci' contro la tradizione degli anziani, e la vana arroganza, Gesù non rivela alcun piano tramite cui effettuerà la redenzione. Non era, allora, un 'dovere religioso' consegnare un simile 'ingannatore' al governo e così adempiere alla legge: Tu toglierai il male di mezzo a te? (Deuteronomio 13:2—12)».

«Questa deve essere stata la logica del ragionamento di Giuda Iscariota» L'avarizia «non avrebbe potuto essere» la causa psicologica della sua azione; piuttosto fu la disperazione che Giuda sopportò per la sua stessa vicinanza a Gesù e la sua conoscenza delle fragilità umane di Gesù.

«Giuda era un giudeo istruito con un acuto intelletto ma un cuore freddo e calcolatore, abituato a criticare e a vagliare; la sua conoscenza delle fragilità lo accecò alle molte virtù di Gesù, che all'inizio lo avevano così impressionato e suscitato il suo entusiasmo. Era altrimenti con gli altri discepoli, tutti ugualmente galilei non istruiti, ottusi di intelletto ma di buon cuore; per loro le virtù coprivano tutti i difetti e fino all'ora del pericolo rimasero fedeli al loro maestro, e quando il breve intervallo di dubbio era passato tornarono alla sua sacra memoria e amarono così tanto la conoscenza delle sue parole e delle sue azioni al punto che esse sopravvivono fino a questo giorno». [4]

Così il lettore acritico è tenuto ad attenersi ad un punto di vista raggiunto un secolo fa, soltanto con un trattamento pro-ebraico invece che filo-cristiano. Per lo stesso resoconto del dottor Klausner, Giuda era giustificato nel «tradire» il suo Maestro; ma finora egli si compromette col sentimento cristiano nel dichiarare Giuda «vile», e anche «freddo e calcolatore» — questa ultima espressione nello stesso punto di una descrizione di lui mentre veniva mosso ad «entusiasmo» dalle «molte virtù di Gesù». Questi e altri dettagli, del tutto ipotetici salvo per l'uso fatto del quarto vangelo, che altrove considera piuttosto inaffidabile, il critico ebreo avanza senza riserve come fatti storici. E senza un segno di esitazione egli attribuisce implicitamente a «Galilei non istruiti» la preservazione dell'intero corpo dottrinale gesuano nei vangeli. 

Egli ha semplicemente trasformato la storia in un racconto ebraico, inventando come richiede l'occasione. Insistendo sulla storicità della narrativa nel suo insieme, lui afferma senza riserve nella storia dell'arresto che «i vangeli forniscono molti dettagli supplementari, alcuni dei quali sono veri». Questo dalle sole fonti per la sua narrativa. Ma il biografo cristiano non è di un briciolo più scrupolosamente critico nella sua manipolazione altrettanto libera dei documenti; e quando il modernista fiducioso ci ha condotto ad un impasse di auto-contraddizioni a furia di eludere le auto-contraddizioni dei suoi documenti, forse dovremo avere anche alcuni fedeli con noi nell'appello ad una riapertura del caso lungo qualcosa di simile a linee giudiziarie.

Infatti ognuno che accarezza il bell'ideale di un Super-Maestro ha motivo di lamentarsi contro un espositore che gli dica, al pari del dottor Neumann (pag. 135), che Gesù attuò davvero l'azione violenta e caotica di cacciare i cambiavalute dal Tempio, e (pag. 153) che in seguito i suoi occhi furono «messi in guardia dalla Sua ansia per la Sua sicurezza personale». Se vogliamo attingere e scegliere dai nostri testi e inventare le nostre ipotesi a volontà, l'idealista potrebbe ben dire: «Facciamo una figura che quando sfida le autorità regnanti sa cosa sta facendo ed è preparato a prendere le conseguenze. Facciamo qualcosa di simile ad un Superuomo, non una miscela di eroismo e di terrore, di possessione messianica e di timido calcolo. Non ci si venga a dire che quando Gesù chiede ai sommi sacerdoti perché essi vengono a prenderlo come un ladro nella notte, egli si stesse nascondendo veramente dal terrore, confidando nella loro paura di arrestarlo di giorno. Non ci si lasci con un Superuomo crollato al posto di una Divinità crollata».

Il biografo compiacente potrebbe forse rispondere che gli idealisti dovranno prendere ciò che possono ricavare; che, avendo rinunciato al Dio inaccettabile, che predispone un tradimento e maledice il traditore, dovranno scendere ad aspetti pratici e plausibili, perfino a costo di spogliare il Maestro degli attributi di coerenza e di coraggio sereno, rendendolo un visionario in attesa di soccorso soprannaturale, e che si perde d'animo quando lo trova mancante.

Ma quando si arriva ad una tale sostituzione di ipotesi per una narrativa che è allo stesso tempo screditata dal rifiuto e fondata come una valida dimostrazione storica di una personalità, almeno l'indagatore che è interessato prima di tutto alla verità storica deve prendere un altro percorso e un altro metodo; e forse il disilluso ex-credente potrebbe ritenere opportuno seguirlo, per il momento.

NOTE

[1] In Matteo 10:1, i dodici sono introdotti rapidamente. In Marco 3:13, i dodici sono “chiamati”; così in Luca 6:13.

[2] Jesus, traduzione inglese; 1906, pag. 152.

[3] Jesus of Nazareth: His Life, Times, and Teachings di Joseph Klausner, Ph.D, (Heidelberg); Jerusalem, traduzione inglese; ed. 1927, pag. 285.

[4] Id. pag. 324-326.

sabato 27 febbraio 2021

IL MITO DI GIUDAIl Problema Critico

 (segue da qui)

II. — IL PROBLEMA CRITICO

I primi suggerimenti dei Cainiti non furono trascurati dai teologi razionalisti tedeschi di cento anni fa. Paulus, un tempo famoso, che ha prodotto una Vita di Gesù nel 1828, e di cui forte era la sostituzione di racconti prosaici e credibili al posto dei racconti incredibili in tutti i punti dei vangeli, vide un Giuda che cercava di raggiungere una buona fine con mezzi cattivi. Neander lo rappresentò esplicitamente come un sostenitore dell'idea che se Gesù fosse il Messia avrebbe impedito l'arresto richiamando legioni di angeli per salvarsi; mentre, se non fosse il Messia, avrebbe meritato la morte. In Inghilterra, l'arcivescovo Whately ha favorito la prima parte dell'ipotesi, che era stata avanzata molto tempo prima da Daniel Whitby, un commentatore del regno di Guglielmo e Maria, che a sua volta citò Teofilatto (11° secolo) per aver attribuito l'idea ad alcuni Padri. [1] De Quincey con zelo la ha adottata e sviluppata, [2] dichiarando che l'azione di Giuda fu indotta nella fiduciosa speranza che Gesù sarebbe stato costretto a dichiararsi il Messia, dopodiché il popolo di Gerusalemme si sarebbe unito a lui, e avrebbe così rovesciato il giogo romano.  Quella tesi attraente del problema è sostanzialmente rappresentata dal signor Phillpotts nel suo verso vivido e ritmico, che ha gran parte dello spirito e dell'energia di Browning e una musica a sé stante.


I teologi professionisti, specialmente in Inghilterra, naturalmente sono stati lenti a rispondere finora a tali suggerimenti, soprattutto da quando Milman sollevò la questione per le sollecitazioni tedesche e la speculazione inglese che suscitarono. Si dice di Carlyle che era immensamente affascinato da una frase di Milman relativa a «la straordinaria condotta di Giuda Iscariota». Quando leggiamo il passo in Milman iniziamo a capire come in quell'età il nuovo spirito della critica storica, generato da parte francese da Voltaire e da parte inglese da Gibbon, si adattava ad alcuni dei suoi problemi; e come, d'altra parte, un temperamento come quello di Carlyle reagì contro il ragionamento in tali questioni. 

Milman sta scrivendo nella sua immatura 'History of Christianity', che risale al 1840, ed è composta nella decadente prosa accademica di quel periodo:

«Molta ingegnosità è stata dimostrata da alcuni scrittori recenti nel tentativo di attenuare, o meglio di giustificare, questa straordinaria condotta di Giuda, ma il linguaggio in cui Gesù parlò del crimine sembra confermare l'opinione comune della sua enormità. È stato suggerito che Giuda poteva aspettarsi che Gesù mettesse in atto il suo potere, anche dopo la sua cattura, per eludere o fuggire i suoi nemici, e così la sua avarizia poteva calcolare di assicurarsi la ricompensa senza essere complice di un omicidio assoluto, tradendo allo stesso tempo il suo Maestro e defraudando i suoi datori di lavoro.

Secondo altri, motivi ancora più alti potrebbero essersi mescolati con il suo amore di guadagno: potrebbe aver supposto che, coinvolgendo così Gesù in difficoltà altrimenti inestricabili, gli avrebbe lasciato solo l'alternativa di dichiararsi apertamente e autorevolmente il Messia e costringerlo così alla realizzazione tardiva delle visioni ambiziose dei suoi partigiani.

È possibile che il traditore non possa aver contemplato, o non possa essersi permesso chiaramente di contemplare, le conseguenze finali del suo crimine: potrebbe aver indugiato nella vaga speranza che se Gesù fosse stato davvero il Messia, si sarebbe annoiato, se potremmo avventurarci nell'espressione, di 'una esistenza incantata', e sarebbe stato al sicuro nella sua intrinseca immortalità (una nozione in tutta probabilità inseparabile da quella del Liberatore) dalla malizia dei suoi nemici. Se non lo fosse stato, il crimine del tradimento non sarebbe di grandissima importanza. C'erano altri motivi che avrebbero concorso con l'avarizia di Giuda......» [3]

E così via. Lo storico, ufficialmente convinto della concezione che un uomo potesse «tradire» l'Onnipotenza che allo stesso tempo stava tradendo lui, si allea con cautela con i nuovi tentativi «liberali» di razionalizzare la storia dogmatica cristiana, ma è accurato a non assumere nessuna posizione chiara. Giuda è rimasto moltissimo com'era nella tradizione, una persona malvagia, avida, vendicativa, incapace di venerare «la squisita perfezione di un personaggio così opposto al suo», e nemmeno da considerare sincero nel suo rimorso, questo essendo piuttosto una percezione dell'odio in cui era incorso piuttosto che un pentimento per quello che aveva fatto.

Eppure Milman era per il suo tempo illiberale un «liberale»; e la sua discussione sulle nuove speculazioni, derivanti dalla Germania, relative alla motivazione umana nella storia evangelica, contava altrettanto nella vita intellettuale della vecchia Inghilterra vittoriana come contò la  presentazione di Abramo, nella sua 'History of the Jews', come «uno sceicco arabo». E se concludessimo che il suo liberalismo e la sua critica storica non siamo andati molto lontano, saremmo costretti giustamente a confessare che la critica storico—religiosa ufficiale o professionale di oggi, dopo quasi un centinaio d'anni, non sia andata molto oltre.

Lo stimolo di Milman, in effetti, è stato poco corrisposto dalla ricerca accademica inglese, che anche nell'età successiva si è spesa nella nuova analisi documentaria dell'Antico Testamento piuttosto che in qualche trattamento radicale dei problemi vitali del credo coinvolto. Ad un esame relativamente audace della letteratura dell'Antico Testamento è seguito un semplice esame di revisione testuale del Nuovo Testamento; e il tipo di indagine sulle origini cristiane che avrebbe dovuto seguire è stato lasciato principalmente a mani straniere.

È vero che l'approccio clericale ortodosso al credo cristiano, fin da Renan, è stato tacitamente diretto più o meno al fine neo—unitariano di provare che il Gesù evangelico fosse un essere umano storico — un'eresia che è diventata praticamente ortodossia. Ma il perseguimento di questo fine è stato relativamente poco scientifico come lo era l'ortodossia del passato. Già nel 1857, il professore di Zurigo Gustav Volkmar aveva affermato nitidamente l'essenziale incredibilità della storia del Tradimento; e «G. R.», l'autore di un lavoro piuttosto ampolloso intitolato 'Gospel Paganism; or, Reason’s Revolt against the Revealed’, aveva ripreso il tema nel 1864  (pag. 104); che Thomas Scott ha trattato nuovamente nella sua 'English Life of Jesus', 1866 (riscritto nel 1871). È stato di nuovo discusso indipendentemente da Derenbourg nel suo 'Essai sur l'histoire et la géographie de Palestine', nel 1867 (nota 9); ed è stato sviluppato lungo le linee di Volkmar nell'opera anonima, ‘The Four Gospels as Historical Documents’ (1895), un'espansione della 'English Life of Jesus' di Scott ritenuta l'opera di Sir George W. Cox.

A questo punto la pura incredibilità della storia evangelica si era così impressa sugli spiriti più critici nella Chiesa che l'ammissione di Keim, nella sua monumentale Life of Jesus (1863), di un desiderio che la narrativa potesse essere respinta come non-storica, trovò simpatizzanti tra i lettori della traduzione inglese; e nell''Enciclopaedia Biblica' (1899-1903) il professor Cheyne, che era diventato convinto della sua natura mitica, e aveva ulteriormente realizzato la non-storicità dei Dodici Apostoli, la trattò coraggiosamente e definitivamente  come non-storica. Ancora una volta, nel 1901, il signor P. C. Sense, nella sua 'Historical Inquiry into the Origin of the Third Gospel’ (pag. 382), confessò la sua incredulità nella sua storicità, sottolineando che non vi è alcuna allusione a Giuda in qualsiasi scrittore ortodosso prima di Ireneo; e recentemente, nel Hibbert Journal (aprile, 1925), il dottor Jacks la ha dichiarata nel contempo «inspiegabile» e inutile, osservando, dopo Wrede, l'innaturalità della passività degli undici. In Germania una mezza dozzina di scrittori sono andati oltre. E ancora la massa degli studiosi di professione, in Inghilterra e altrove, non fanno nessuna ammissione di dubbio.

Così la storia di Giuda sta per essere affrontata da molti nella nostra età «emancipata» proprio come è stata affrontata nell'Inghilterra del 1837; e gli studiosi professionisti, preoccupati del compito di respingere la tesi mitica in generale, si sono tuffati non più in profondità di Milman nel problema particolare che gli era stato affidato dalla aspeculazione tedesca del suo tempo.


Non è necessario soffermarsi a lungo sul lato teologico della discussione: il dibattito ricorrente relativo a come Giuda possa essere giustamente trattato come un famigerato traditore quando, di fronte alla storia evangelica, lui è il  ministro predestinato del piano di salvezza. Senza la sua azione, teologicamente parlando, il sacrificio divino non sarebbe stato realizzato; come mai allora poteva essere decentemente condannato non solo all'eterna esecrazione ma alla punizione eterna quando il tradimento codardo di Pietro restò impunito? Giuda portò il suo rimorso, secondo uno dei due racconti scritturali della sua fine, fino ad arrivare al  suicidio; e il tedesco Von Hase ha sostenuto che il suo rimorso dimostrò la sua originaria nobiltà di carattere. Pietro non mostra nessun perdurante senso di vergogna nei documenti.


Una coscienza inquieta del dilemma risiede presumibilmente alla base del mito popolare, incarnato in 'Saint Brandan' di Arnold, che rappresenta Giuda rilasciato dall'inferno un giorno in ogni anno; e alcuni buoni pietisti sono andati oltre. Anatole France, in 'Le Jardin d 'Epicure', racconta di un buon Abate, il “più amabile dei Cainiti”, che devotamente sperava e pregava per il perdono di Giuda. E in effetti deve essere difficile per il pietista umano riconciliare il trattamento di Giuda con quello del ladro penitente, specialmente in vista delle regole stabilite nel Discorso della Montagna sulla paziente rimostranza e dissuasione dei malfattori.


Il dilemma teologico della fede ortodossa sul'argomento è davvero un dilemma difficoltoso, e probabilmente è stato la fonte di così tanta incredulità al pari di ogni altro elemento nei testi sacri. Ci sono ancora menti che aderiscono convulsamente alla dottrina di vetusta data secondo cui il Divino Artefice ha diritto per la natura delle cose a creare recipienti di disonore a sua volontà, predestinando i loro peccati da tutta l'eternità, e punendoli per tutta l'eternità nella giusta sequenza; ma quei fanatici sono sempre più superati dalle menti che decidono che se un sistema religioso riduce la vita ad una farsa morale il sistema avrebbe fatto meglio ad andarsene. Quel terribile detto evangelico,

«Il Figlio dell'uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell'uomo viene tradito: sarebbe meglio per quell'uomo se non fosse mai nato»

non è più accettabile per uomini pensanti, fossero perfino mistici.

Da qui, allo stesso modo, le difese speciose dell'abate Oegger (che in seguito divenne un Swedenborgian) e gli sforzi umani dei Neanders, dei Whatelys, e dei De Quinceys per fabbricare un personaggio di Giuda che lo ponesse nella categoria dei peccatori perdonabili, lasciando da sola la questione se la salvezza salvezza della razza umana sia davvero supposta dipesa dall'accidente di un tradimento che, nella circostanza del caso, fu ad occhi umani completamente inutile allo scopo di provocare una tragedia prevista e accettata in anticipo dalla vittima.

Ma la razionalizzazione di credi irrazionali, per non dire altro, è un compito arduo, e spiriti ardenti son da trovarsi che non permetteranno «nessuna assurdità» su Giuda Iscariota. Nei primi anni novanta l'allora vescovo di Ripon rinviò a quel che un certo giornalista ha descritto sdegnosamente come «la passione moderna nel riabilitare l'infame». [4] Per il vescovo, Giuda era «un tipo dell'uomo senza principi». Come ha sottolineato giustamente, Giuda aveva avuto il suo monito, sebbene il vescovo non poteva concepire che Giuda potesse aver «distrutto il suo posto personale come tesoriere» del gruppo per la semplice ricompensa di trenta sicli. Il defunto professor Fairbairn, d'altra parte, adottò l'opinione corretta che Giuda fu un uomo deluso in cerca della sua vendetta. 

Il fervido giornalista appena citato, che, io penso, fu il defunto Andrew Lang, non era riluttante ad adottare una spiegazione che lasciava Giuda regolarmente condannato come un folle traditore. Quello era ciò di cui lui era principalmente preoccupato. Un uomo cattivo, sosteneva irresponsabilmente, è un uomo cattivo, e i soli documenti che possediamo riguardo a Giuda lo rappresentano come tutto ciò. È verissimo. Ma il moralista zelante, che era solito parlare di Gesù come «Nostro Signore», ha fallito di realizzare, nel suo zelo, che egli stava ancora lasciando i suoi compagni di fede in un dilemma che era stato riconosciuto da alcuni teologi, tra loro il tedesco Keim, che doveva scrivere per lettori più riflessivi di quelli che piacevano al giornalista. E, quel che è peggio, il vescovo di Ripon, che avrebbe dovuto sapere meglio, aveva eluso a sua volta quel dilemma.

Gesù deve essere considerato da coloro che credono nella sua esistenza storica o, in termini della fede storica, una persona soprannaturale, un Dio incarnato, oppure, nei termini della tesi neo-unitariana che sta ora diventando ortodossa, un uomo e maestro innaturalmente dotato.  

 E in entrambi i casi egli deve essere considerato, se seguiamo il vescovo di Ripon e il signor Lang, come colui che ha scelto tra i suoi dodici apostoli «un tipo dell'uomo senza principi». Renan, l'effettivo fondatore del neo-unitarianesimo, accetta quella situazione. E l'assunto comune sembra essere che una simile sfortuna avrebbe potuto capitare al Maestro innaturalmente dotato come a qualsiasi altro uomo.

Il critico pagano Celso, tuttavia, iniziò una difficoltà duratura quando provocò i primi cristiani, da qualche parte intorno al 200 E.C., con il fatto che il loro Signore non aveva avuto abbastanza sagacia da discernere un cattivo nel suo immediato seguito, come avrebbe fatto qualsiasi capobrigante. E, mentre il buon cristiano medio è preparato a questo punto a ricadere sulla dottrina del Divino Artefice che crea e utilizza recipienti di disonore per i suoi scopi elevati, i teologi più scrupolosi, con Keim, riconoscono una difficoltà da cui sarebbero felici di trarsi fuori. 

Infatti la scuola neo-unitariana cerca di necessità di fabbricare un Gesù comprensibile, per quanto ingestibile possa essere il compito. Sulla vecchia tesi ortodossa, Gesù vedeva nei cuori di tutti gli uomini, e deve aver conosciuto la natura di Giuda. No, per la sua prescienza divina egli era consapevole che Giuda lo avrebbe tradito, ed egli lo scelse con quella conoscenza. Per la scuola neo-unitariana quella visione delle cose è diventata offensiva e impossibile. Loro devono avere un Superuomo che, per quanto gli sia stato fatto recitare il ruolo di Dio, rimane un uomo in tutto e per tutto, e non è semplicemente umano per scopi teologici quando sta affrontando il suo destino predestinato.

Il Dio che esitò alla prospettiva di adempiere al piano di «Suo» padre e al «Suo» personale obiettivo eterno è una concezione abbastanza fastidiosa anche per il teologo ortodosso. Per il neo-unitariano è una chimera. Il suo Gesù deve essere stato un riformatore umano, oppure un idealista, che non aveva pianificato il suo sacrificio personale. Per lui, allora, il Gesù storico non può aver detto quelle cose circa la sua morte necessaria «come fu scritto»; la dichiarazione che egli deve essere tradito; e che sarebbe stato meglio per il traditore predestinato se egli non fosse mai nato. Quelle cose, per la scuola biografica, devono essere finzioni dei creatori dei vangeli. Eppure è ai creatori dei vangeli che devono guardare per qualche conoscenza del loro Gesù!  

NOTE 

[1] Lectures on the Characters of Our Lord's Apostles, By a Country Parson di Whately (1851), pag. 102. Whately aggiunge che “i miglior Commentatori hanno supposto” che Giuda mirava a costringere Gesù a utilizzare i suoi poteri soprannaturali. Ma egli accetta la motivazione di Giuda data in Giovanni, e sostiene che Giuda poteva fare più moneta col “suo sistema di peculato” di quanto ottenne dalla ricompensa. 

[2] Works, ed. 1863, volume 6, saggio su Giuda Iscariota. De Quincey cita Jeremy Taylor come sostenitore della sua opinione. Citato in Montefiore, The Synoptic Gospels, seconda edizione, 1, 347.

[3] Opera citata, libro 1, capitolo 7 (Parigi ed. 1840), pag. 173. 

[4] Difficilmente può essere stato per quell'ispirazione che Burns scrisse il suo caratteristico resoconto di Giuda come molto inferiore in perfidia alla regina Elisabetta: “Un cane triste, certo, ma i suoi demeriti sono ancora insignificanti rispetto alle azioni dell'infernale Bess Tudor. Giuda non sapeva, o almeno non era affatto sicuro, cosa e chi fosse quel Maestro; la sua turpitudine fu semplicemente tradire un uomo degno che era sempre stato un buon Maestro per lui, un grado di turpitudine che è stato persino superato da molti della sua specie da allora”. Lettera al dottor Moore, 28 febbraio 1791. 

giovedì 25 febbraio 2021

IL MITO DI GIUDAIl Problema Letterario

 (continua da qui)

PARTE I

IL MITO DI GIUDA


I. — IL PROBLEMA LETTERARIO 

Un poeta inglese, il signor Frank Kendon, selezionando un tema significativo, ha pubblicato di recente una poesia intitolata 'Una Vita e Morte di Giuda Iscariota', il cui racconto, ci dice, «intende presentare un personaggio coerente e umano che si adatti ai fatti e ai limiti di una storia ben nota». E mentre ha apportato «cambiamenti......nel personaggio di Giuda come lo riportano gli evangelisti», egli pretende che quei cambiamenti sono «giustificati sulle basi di verità immaginativa». Tale giustificazione e tale esperimento sono giustificati, naturalmente, dalla pratica poetica dai tragediografi greci in poi. Essi prendevano quello che definivano un mito dalla poesia o dal folclore, e lo manipolavano alla luce della loro immaginazione, come i drammaturghi elisabettiani prendevano leggende e cronache per i loro scopi.

Il signor Kendon, a sua volta, assume che il suo argomento è storico. Se ha fatto qualcosa durevolmente efficace, poeticamente o psicologicamente, è una questione per la future critica letteraria, da non discutersi al presente proposito. Quindici anni fa il signor Eden Phillpotts manipolò lo stesso tema in modo più semplice e forse più  impressionante, in versi sciolti più nervosi e drammatici, e con un altro tipo di «verità immaginativa». E ci sono stati, io credo, altri tentativi, in altre lingue, [1] oltre alla 'Autobiografia di Giuda Iscariota' di J. W. T. Hart, pubblicata nel 1884, che in una prosa adeguatamente vivida offre forse una costruzione tanto buona come non mai, dal punto di vista dell'arte figurativa. 

Ma costruzioni di questo tipo non sono peculiari al periodo moderno. Tale speculazione, in realtà, risale ai primi tempi della Chiesa, quando, nel secondo secolo, secondo Epifanio (403), alcuni dei «Cainiti» sostenevano che Giuda tradì Gesù perché era venuto a vedere in lui una persona pericolosa che stava distruggendo la legge e l'ordine; mentre altri dichiaravano che il tradimento era una buona azione, fatta premeditatamente per recare la salvezza umana costringendo le autorità sacerdotali ebraiche a sacrificare un uomo buono, e in tal modo a rovesciare il loro stesso potere. Secondo Ireneo, che scrisse prima ancora (177-202), i Cainiti «producono una storia fittizia, che essi chiamano il Vangelo di Giuda»; e da altri passi della stessa opera dello scrittore [2] sembrerebbe che Giuda figurasse in uno dei tanti schemi gnostici come un «Eone sofferente», il dodicesimo nella gerarchia. Il resoconto di Epifanio indica una dottrina meno fantastica. I Cainiti, infatti, potrebbero essere ricordati per essere stati i primi a tentare di fabbricare una teoria quasi-razionale della storia evangelica. Ma il piccolo bambino cristiano moderno che domandò a sua madre «Non dovremmo essere molto obbligati a Giuda per quello che fece?», espresse quello che era probabilmente un sentimento non insolito in tutte le età tra cristiani scrupolosi. 

Infatti in questo caso si tratta di un  racconto «ispirato» di un uomo accusato di «tradire» un'Onnipotenza che allo stesso tempo si rivela come colui che tradisce sé stesso. Infatti Giuda non è semplicemente predestinato come altre persone a fare qualsiasi cosa faccia: la sua azione è predetta da profeti ispirati che sono garantiti da Dio Incarnato; ed egli «va al suo posto» nel Tartaro e nella storia, con l'onere di un'esecrazione impareggiabile perfino nella storia cristiana. E anche se i Cainiti sembrano essere stati Gnostici eccentrici, forse vegetariani, è ancora significativo che nel secondo secolo, quando gli ortodossi stavano accettando la storia di Anania e Saffira, e stavano imparando a fare di Anania, non di Pietro, il tipo supremo di bugiardo, vi erano alcuni che si ribellarono all'intera etica del torto motivato in azione, e cercarono una via d'uscita, anche sul piano religioso.

Tocca alla scienza storica moderna studiare i resti del cristianesimo antico senza pregiudizio e senza presupposizione storica, per raggiungere un giudizio più fermo di quello fabbricato da intuizionisti indisciplinati in un'epoca di molteplici illusioni e di non meno molteplici fabbricazioni, per risolvere un problema rispetto a cui non hanno fatto nessun esame induttivo. Quel problema, si può notare, non è affrontato in un'opera come la recente «Vita di Gesù» del signor Middleton Murry. Anche lui, invero, confessa di rifiutare certi episodi nei sinottici in quanto «apocrifi», oltre a respingere il quarto vangelo in quanto «a-storico». Non è chiaro il perché, dal momento che lui accetta alcuni dei miracoli più impossibili. Ma il signor Murry affronta il suo argomento non come un investigatore storico ma come un mistico o un intuizionista, consapevole di aver appena «capito» Gesù ignorando tutte quelle difficoltà dell'esegesi che hanno condotto così tanti aspiranti biografi a tortuosi sentieri. Per lui il concetto di Gesù è un aspetto del suo concetto di Dio. È più interessante constatare che, al pari degli intuizionisti della Chiesa primitiva, egli è indotto a rifiutare la concezione ortodossa di Giuda.

Il risultato curioso è che, perfezionando l'esegesi del dottor Schweitzer, da cui lui a quanto pare ha derivato il suo impulso, il signor Murry fa sì che Gesù sistemi la sua personale tragedia in un senso nuovo, impiegando Giuda non nella maniera insensibile della storia evangelica ma benevolmente e con la comprensione di Giuda. Renan ha reso la resurrezione di Lazzaro una questione di abile inganno; il signor Murry dà quella natura al Tradimento e alla sua conseguenza, proponendo «una comprensione segreta tra Gesù e Giuda» nella cui tesi non trova «assolutamente niente di scioccante». E così Giuda è nuovamente vendicato: 

«La sua memoria è stata cancellata. Anche dai credenti nel Dio-uomo il nome di Giuda avrebbe dovuto essere riverito come il nome dell'uomo per la cui mano il sacrificio di Dio fu reso possibile. Per un credente nel Dio-uomo, Giuda si erge accanto a Gesù stesso nella grande storia. Infatti lui, quando tutti erano privi di comprensione, deve aver capito. Forse non tutto, ma qualcosa......L'uomo che tradì Gesù e si impiccò nel dolore era un uomo, e forse più uomo dei discepoli che abbandonarono il loro padrone e fuggirono, o più di di Pietro che lo rinnegò tre volte. Dai nudi fatti della storia sinottica noi siamo costretti a concludere un'intesa tra Gesù e Giuda». [3

La risposta a tutto questo, come per il ragionamento dei Cainiti, non si deve trovare in alcun nuovo esercizio di ipotesi poetica sulla possibile psicologia di Gesù e di Giuda. Autori capaci di fabbricare una psicologia di Dio possono fabbricare psicologie ad libitum per qualsiasi personaggio immaginato, da Adamo ad Amleto. Per uomini il cui senso di realtà è basato su una conoscenza comprovata e su una percezione della procedura richiesta per la verifica di ogni conoscenza, l'unica via razionale è quella di esaminare i racconti in questione come esaminano tutti gli altri problemi. Il risultato risulterà essere una scoperta che il problema in questione è semplicemente fittizio.

NOTE

[1] La lista, che è una lista lunga, include un romanzo medievale e una commedia elisabettiana (non preservata) di Samuel Rowley. La materia è stata approfondita in un saggio del dottor A. Luther, Jesus und Judas in der Dichtung (Hanau, 1910).

[2] Contro le Eresie, 1:31:1; 2:20:2-5.

[3] The Life of Jesus, 1926, pag. 212-213. “Io confesso”, scrive il signor Murry (prefazione, pag. 9), “che nemmeno un po' di critica avanzata della narrativa evangelica mi respinge come uomo e mi irrita come critico”. Si deve temere che egli trovi d'accordo su quel punto i suoi critici clericali. Nel suo ultimo trattamento, egli vacilla, come fece Renan, sulla sua teoria della storia di Lazzaro, e pone un “forse”.

GESÙ E GIUDAPrefazione

 Il Dio straniero, che non solo non ha colpa di questo mondo e non ne è toccato, ma che ha pietà di esso, toccò la terra unicamente in Cristo e anche con lui in maniera nascosta. Proprio questo trascendente absconditum, velato anche nel suo Evangelo, deve essere nella sua lontananza l'unica realtà che illumina; infatti già il dicibile non può che deformare.

(E. Bloch, Ateismo nel cristianesimo, trad. it. di Francesco Coppellotti, Milano, 1971, p. 231)

— Questo è tutto? — chiese Paolina.

No, figlia mia, non è tutto. Putois ebbe questo di notevole, ch’egli ci era cognito, famigliare, e che tuttavia...

— ... non esisteva affatto — disse Zoe.

Il signor Bergeret lanciò sulla sorella uno sguardo di rimprovero:

— Che idea, Zoe ! Perché rompere così l’incanto? Putois non esisteva. L’oseresti dire tu, Zoe? Zoe, lo potresti sostenere? Per affermare che Putois non esistette affatto, che Putois non fu mai, hai tu abbastanza considerato le condizioni dell’esistenza e i modi d’essere? Putois esisteva, sorella mia. Ma è vero che la sua era un’esistenza speciale.

(Anatole France, Putois)


Πόλεμος πάντων μεν πατήρ εστί

(Eraclito)


Il Dio di Coincidenza   

Può qualcuno negare che  

Una cosa dopo l'altra  

In sequenza e logica  

Mai vista prima   

Non può essere che la  

Interferenza di un Dio  

Determinata a provare che  

Ognuno che pretende  

Di conoscere ora  

Una cospirazione è   

Demente? 

(Kent Murphy)


Nel terreno del Nuovo Testamento, cominceremo dal più minuscolo seme di cui ci parla la nota parabola: 

«A che paragoneremo il regno di Dio, o con quale parabola lo rappresenteremo? Esso è simile a un granello di senape, il quale, quando lo si è seminato in terra, è il più piccolo di tutti i semi che sono sulla terra; ma quando è seminato, cresce e diventa più grande di tutti gli ortaggi; e fa dei rami tanto grandi, che all'ombra loro possono ripararsi gli uccelli del cielo»

(Marco 4:30-31)

Apriamo dunque il Nuovo Testamento, non prima di averlo ordinato cronologicamente, e scopriamo che ogni cosa cominciò con l'ebreo Paolo. Perciò diamo uno sguardo più vicino al primo granello di senape che avrebbe conquistato Roma: 

Ora esisteva, forse, un culto di Gesù prima di Paolo, ma a questo punto, chiunque fosse all'origine di quel culto di Gesù, è irrilevante, perché quell'origine è in realtà totalmente assente da tutti i documenti del cristianesimo. Qualunque cosa fosse all'origine di quel culto, è insomma totalmente perduto. I più antichi documenti cristiani, infatti, sono solo sei/sette (o forse solo quattro) lettere autentiche di Paolo. Ma quelle lettere sono altamente problematiche per i folli apologeti cristiani. A differenza dei quattro vangeli, ricolmi di detti e atti di Gesù, stupefacente come potrebbe essere, lo strato più antico degli scritti del Nuovo Testamento non offrono alcuna informazione sostanziale circa Gesù. 

Nelle sue lettere, Paolo non racconta né gli inizi della nuova religione, né gli episodi della vita del suo fondatore, non conosce né Maria, né Giuseppe, né Pilato, né gli altri personaggi dei vangeli. Egli si dedica alla predicazione del vangelo di dio, vangelo unico (non ve ne sono quattro ai suoi tempi), ossia, della buona novella di salvezza. Ma si comincia ad attaccarlo ed egli previene i Corinzi dall'ascoltare quei malvagi predicatori (2 Corinzi 11:4): «Se infatti il primo venuto vi predica un Gesù diverso da quello che vi abbiamo predicato noi o se si tratta di ricevere uno spirito diverso da quello che avete ricevuto o un altro vangelo che non avete ancora sentito, voi siete ben disposti ad accettarlo». Dunque, si riconosce qui la presenza di ben due cristianesimi, vi sono discordie tali che Paolo dice: «ciascuno di voi dichiara: «Io sono di Paolo»; «io, di Apollo»; «io, di Cefa»; «io, di Cristo». Cristo è forse diviso?» (1 Corinzi 1:12-13). Si vedono brulicare tutte queste sette attorno a Paolo. Vi sono stati almeno due cristianesimi all'origine: un cristianesimo giudaizzante e un cristianesimo gentilizzante.

Quale è il pensiero di Paolo ? Paolo non ha visto l'uomo Gesù. Egli non dice nemmeno che gli altri apostoli l'avevano conosciuto in modo diverso da come lo aveva conosciuto lui, ossia: soltanto mediante visioni.

È per rivelazione che egli ha avuto conoscenza del mistero di Cristo. Per Paolo, sono i principi del mondo, ovvero gli arconti dei cieli cosmici, dei pianeti, che hanno crocifisso «il Signore della gloria», espressione che significa lo splendore della deità e che non indica un uomo crocifisso. 

Potete pensare per un solo momento che si alluda in quella scena cosmica ad un semplice patibolo, ad una tortura, ad un Cristo storico?!?

Io non lo penso proprio. 

Paolo ci dice anche che quella crocifissione è stata rappresentata davanti ai Galati. E questo spettacolo non doveva essere riprovevole perché Paolo si gloria della croce di Cristo per mezzo di cui il mondo è crocifisso. Il mondo non può essere crocifisso da una croce di legno, mediante una crocifissione romana. 

«Per Paolo», ed è Renan che lo dice, «Gesù non è un uomo che ha vissuto ed ha insegnato. Gesù è il Cristo che è morto per i nostri peccati, che ci salva, è un essere del tutto divino».

Se quella setta, ci dice Renan, non ci avesse trasmesso degli scritti, noi non sfioreremmo la persona di Gesù e potremmo addirittura dubitare della sua esistenza. Ecco ciò che ci dice il celebre autore della Vita di Gesù. Tradotto: se non ne dubitiamo, è grazie ai vangeli che sono posteriori a Paolo. 

Ma i vangeli sono adulterati, contradditori. Personalmente, io non posso credere a queste false testimonianze. E la mia conclusione è presto detta: ci sono stati due Gesù, due cristianesimi. San Paolo lo ha detto, Tertulliano lo ha confessato, i nostri evangelisti pure, tutto è stato confuso verso il 140-150.

Ci sono state delle polemiche. Marcione ha diffuso il primo vangelo. Si è avuta in seguito una fusione di diverse scritture, ma i due Gesù, i due cristianesimi, sono sempre là nelle nostre scritture, si deve scegliere uno e dire perché oppure separarli completamente. 

Quanto al fatto che Ponzio Pilato avesse fatto crocifiggere qualcuno a Gerusalemme, io sono assolutamente pronto ad ammetterlo, io sono perfino persuaso che egli avesse fatto crocifiggere un sacco di ebrei. Il problema non è quello. Il problema è sapere se un uomo crocifisso da Ponzio Pilato è alle Origini cristiane, è là a mio avviso tutto il problema, è di questo soprattutto che vorrei avere almeno una prova.

Si è pure detto che non occorre una prova, perché l'esistenza storica di Gesù non avrebbe nessuna importanza per la fede, ma io dichiaro invece che sì, quell'esistenza è ormai troppo intimamente legata alla fede perché non vi si badi. Mauro Pesce, per prendere uno tra i tanti cosiddetti accademici storicisti, è fin troppo evidentemente un cripto-cristiano: altrimenti, come spiegare il suo distorto interesse per i cattolici attuali ? Ma senza scomodare il folle apologeta cristiano di turno travestito da «storico», andate a dire a Roma dal demente pontefice regnante che l'esistenza terrena di Gesù non ha alcuna importanza, vedete come vi faranno uscire a forza dal Vaticano a colpi di alabarda! Ha ha ha !!!

L'umanizzazione di un Cristo divino si comprende tanto bene quanto quella di Zeus-Giove e, a partire da là, ogni tipo di leggende poteva nascere, legate più o meno a  diversi uomini in cui si poteva credere che lo Spirito di Dio si fosse incarnato. I tratti umani prestati a Gesù non costituiscono nemmeno presunzioni in favore della sua esistenza reale. Tutti gli eroi leggendari sono stati presentati sotto tratti umani. 

Ad ogni caso, il Gesù dei vangeli come lo si legge nel Nuovo Testamento, non è un personaggio storico. 


GESÙ E GIUDA

UN'INCHIESTA STORICA E TESTUALE 

di

J. M. ROBERTSON 


Traduzione di: Giuseppe Ferri



PREFAZIONE

Un anno fa è stato suggerito che un motto appropriato per un libro sulla non-storicità di Gesù sarebbe “l'ultimo pronunciamento del vescovo Gore: 'L'accettazione della storia di Cristo resta un atto di fede. Non ci può essere nulla di dimostrabile nella Storia reale'” . Quella citazione è davvero degna di nota in quanto indicativa di quanto poco sostegno sia dato dagli spiriti più religiosi alla posizione comune secondo la quale il cristianesimo si regge su un fondamento razionale. Il Cardinale Newman, si ricorderà, fece la dichiarazione ancor più sorprendente —  probabilmente inaccettabile al dottor Gore — che c'è poco nell'etica del cristianesimo che non fosse stato anticipato nella letteratura più antica. Lui sapeva che perfino il grido, “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”, è pagano. 

Difficilmente sarebbe giusto, comunque, suggerire che altri studiosi cristiani debbano essere in qualche modo vincolati alle dichiarazioni di eminenti cristiani che li superano per intensità della fede. In ogni caso, il presente lavoro si rivolge di necessità a uomini e donne che credono onestamente all'esistenza di Gesù come un fatto storico, per quanto possano essersi sbarazzati in gran parte della massa di credenze a cui ciò è stato associato in precedenza. Che debbano considerare la tesi mitica come una stravaganza è tanto più facilmente capito dallo scrittore perché nella sua gioventù, circa cinquant'anni fa, così lui pure la considerava. Avendo tenuto una conferenza su “Il Gesù di Renan e il Gesù di Strauss”, egli fu accolto dalla sfida di un amico: “Perché dai assolutamente per scontato che ci fosse stato un Gesù?” Al che egli sorrise — non, invero, con l'ineffabile superiorità del modernista cristiano (che è irraggiungibile da altri), ma abbastanza superiormente — e tranquillamente replicò, “Ciò è una stravaganza”. 

In un certo senso lo era; infatti la vecchia teoria mitica, derivata principalmente da Dupuis e da Volney, teneva conto soprattutto degli argomenti della mitologia astrale e solare — un corpo di tradizioni importanti in realtà, e che richiede un pieno riconoscimento e un'indagine in ogni completa tesi mitica, ma di per sé inadeguata alla spiegazione di gran parte della storia evangelica. Fu solo dopo molti anni di accettazione della storicità di Gesù che lo scrittore fu spinto, a seguito di una lunga e rigorosa inchiesta, ad abbandonarla in quanto insostenibile. 

Le pagine seguenti indicano, tra le altre cose, quanto l'argomento, siccome sviluppato da varie mani, sia comunemente ignorato, o sia oziosamente deriso, oppure, quando affrontato seriamente con un argomento, sia confutato soltanto in apparenza. Ma laddove l'argomentazione a favore della tesi mitica, esposta in origine in grandi volumi, è solita, perfino in affermazioni concise, allontanare, a causa di un'aria di astrattezza, tutti tranne che i lettori più studiosi, qui essa è approcciata, nei termini di una nuova analisi testuale, su una particolare linea di narrativa concreta e di sfida diretta a ciò. Tutti coloro che sono veramente interessati alla verità sul cristianesimo possono essere ragionevolmente invitati a seguire tale approccio, e a notare come la tesi mitica entra qui in azione. Da quel concreto punto di vista, l'intera tesi mitica è indicata in prospettiva.

Il professor Burkitt ha ragione senza dubbio nel confessare che l'interesse ai problemi delle origini cristiane sta diminuendo nella massa; proprio come il Vescovo Ellicott ha confessato cinquant'anni fa che “lo studio critico e meditato delle Scritture sta diventando sempre più trascurato”. Il processo è chiaramente cumulativo. Ma forse il dottor Burkitt sarebbe d'accordo con molti razionalisti nel concedere che tale semplice resa all'indifferenza non sia del miglior augurio per la vita intellettuale; e che anche una classificazione scientifica del cristianesimo come un prodotto del folclore e della mitopoiesi reso possibile dall'organizzazione ecclesiastica, sia preferibile al mero disinteresse circa l'intera materia. Senza esitazione, si presume che egli non abbia nessuna parola da dire a favore della conservazione di un culto non creduto dai suoi stessi esponenti ufficiali.

A breve distanza da quella esagerazione di cinismo, comunque, ci sono, così sembrerebbe, non pochi che vedrebbero una placida continuazione delle apparenze della fede, nella perdita di una fede nella sostanza, piuttosto che in ogni indagine rigorosa dell'intero problema. In questo modo, forse, la tesi mitica è considerata con più insofferenza di quanto lo sia da molti che la rifiutano sinceramente.

Il nostro commento dev'essere il detto di Whately, così assai più pregnante di intere batterie di testi religiosi: “Fa tutta la differenza del mondo se mettiamo la verità al primo posto o al secondo”. Questo è il detto di un prelato che era abbastanza gioiosamente fiducioso della verità delle storie di miracoli nei vangeli, ora abbandonate da così tanti uomini di fama e prominenza nella sua Chiesa. In quelle circostanze egli può essere considerato da alcuni della sua stessa casa un profeta pericoloso, vedendo quanta opinione pubblica ha riscosso. 

Dopo Whately è venuto Seeley, il cui 'Ecce Homo', proclamando un Gesù non divino ma superuomo, è stato molto odiato dai fedeli del suo tempo, dato che lo scarsamente lungimirante Lord Shaftesbury lo denunciò come il peggior libro «mai vomitato dalla bocca dell'inferno», sebbene l'altrimenti lungimirante Gladstone lo prendesse sotto la sua potente protezione. L'eresia di Seeley è diventata ortodossia accademica; e ancora procede il lavoro di riconsiderazione. 

Gli innovatori e gli accomodatori del passato o devono essere classificati umanamente come fedeli a quel che ritenevano fosse la verità, oppure devono essere inseriti nella lista nera in quanto praticanti di quella “economia di verità” ritenuta giustificata da alcuni gesuiti. Dando loro in massa il beneficio del dubbio, il nuovo eretico può sfidare adeguatamente i suoi contradditori a essere all'altezza del suo principio. Generare il sospetto che una vasta parte dell'opinione seriamente proclamata sia in larga misura una mera convenzione equivale a rendere un servizio addirittura peggiore alla stabilità sociale piuttosto che alla verità scientifica. E l'unico modo per sfuggire a tale degenerazione è ragionare sui problemi.

martedì 23 febbraio 2021

Perché Gesù Molto Probabilmente Non È Mai Esistito: Doppiopesismo di Ehrman

Perché Gesù Molto Probabilmente Non È Mai Esistito: Doppiopesismo di Ehrman


Narve Strand, 27/04/19 (versione 1.1 05/05/19)


[mia traduzione da qui]

Molte persone sembrano pensare che sia folle dubitare che Gesù sia esistito, ma in realtà è la convinzione che lo sia ad essere irragionevole. L'affermazione, fatta da Ehrman nel suo libro “Did Jesus Exist?”, che egli era “un essere puramente umano” morto intorno al 30 E.C. (ad esempio pag. 37, 46 (epub)) semplicemente non è confermata da una ponderata valutazione dell'evidenza.

Immagina che qualcuno affermi “la Persona P è esistita come un essere puramente umano migliaia di anni fa”. Supponi di non sapere di chi stiamo parlando ora: Come faresti a valutare se l'affermazione è molto probabilmente vera? Vorrai sapere di che tipo di persona stiamo parlando innanzitutto. Diciamo che lui o lei risponda “P era un sapiente” oppure “un re”. Quelli sono titoli che tendono ad essere detenuti da esseri puramente umani e abbiamo un sacco di prove valide e affidabili, molte delle quali esistevano nel passato. Quindi non è irragionevole anche solo supporre che sia esistita la persona P.

Ma ora, supponiamo che ci venga anche detto “La persona P ebbe una nascita soprannaturale, fu circondata da un mucchio di miracoli, morì, diventò divina e poi apparve a persone in visioni dopo ciò”. Esseri puramente umani sono per definizione non soprannaturali o divini . È intrinsecamente improbabile che debba esistere qualcuno che è sempre presentato come un essere soprannaturale o divino nelle fonti. Sì, sì, ciò non implica logicamente che non sono esistiti, ma semplicemente che non è proprio ragionevole ipotizzare la loro esistenza qui. Non devi proprio dire più che c'è un “nucleo storico” per la persona P dietro tutto il materiale mitico o immaginario. Esso deve essere specificato e mostrato. L'onere della prova spetta a te per mostrare che la persona P è comunque esistita come un essere puramente umano. L'intrinseca improbabilità dell'esistenza della persona P può ora essere sconfitta solo da forti prove corroboranti esterne.


Le Basilari Regole dell'Evidenza

Ciò solleva la questione di cosa renda buone, affidabili, le prove. Dato che la persona P non è presentata in una maniera chiara e inequivocabile come puramente umana in nessuna delle fonti sopravvissute, non possiamo semplicemente accumularle e rispondere alla domanda aritmeticamente. Ehrman è troppo impressionato dalla quantità di prove per Gesù (ad esempio pag. 66, 73). La pura e semplice quantità di fonti è irrilevante in un caso dubbio come questo, è la qualità che conta. Questo è solo ragionamento basato sull'evidenza 101. Pensa a un tribunale o alla ricerca empirica in generale: quali sono i tipi di prove accettate qui?

(E1) Prova empirica diretta che qualcosa è il caso

(E2) Testimonianza affidabile della persona P nelle di lui o di lei stesse parole

(E3) Resoconti affidabili dei testimoni oculari

(E4) Testimonianza di un esperto basata su E1—3

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(E5) Prove circostanziali

La cosa migliore, ovviamente, sarebbe stata aver visto la persona P con i tuoi propri occhi o avere prove fisiche della sua esistenza. A parte questo, avrebbe funzionato pure una testimonianza attendibile nelle stesse parole di lui o di lei. Se ciò non è disponibile, allora avrai bisogno almeno di resoconti oculari affidabili. Qualsiasi pretesa di essere un affidabile testimone esperto per la difesa dipende dall'avere accesso alle prime tre categorie di prove e dalla capacità di documentarlo. Solo E1—4 contano in un tribunale o nella ricerca empirica come prova buona, affidabile. Non possiamo o non dovremmo decidere a favore di affermazioni positive in casi dubbi, su evidenze soltanto circonstanziali.

(NE1) Sentito dire

(NE2) Testimoni inaffidabili (testimonianza vaga, ambigua, chiaramente distorta)

(NE3) Fonti ipotetiche, inesistenti

sono perciò esclusi come prove buone e affidabili qui. Ma è proprio questo: Gesù è un caso dubbio e noi non abbiamo affatto prove buone e affidabili per lui (si veda E1—4). Noi abbiamo soltanto il tipo cattivo, inaffidabile (NE1—3). Ecco perché è improbabile che egli sia mai esistito o come essere divino o come un essere puramente umano.


Storia versus Finzione

Facciamo un passo indietro per vedere come mai è così. Come è ben noto,

Non esistono prove empiriche dirette che Gesù sia mai esistito (si veda E1)

Non abbiamo nemmeno una testimonianza nelle sue stesse parole (si veda E2)

Non c'è alcun testimone oculare affidabile che confermi la sua esistenza (si veda E3)

Nessuno scrittore dentro o fuori il Nuovo Testamento rivendica in modo chiaro e inequivocabile di avere tali prove a portata di mano. Ecco perché non possono nemmeno essere presi per testimoni esperti ed affidabili qui (si veda E4).

Ehrman praticamente dice così lui stesso (si veda ad esempio il capitolo 2). Eppure lui insiste nel trattare il Nuovo Testamento come un documento storico e nel trattare quelli scrittori extrabiblici come prove di conferma (si veda specialmente i capitoli 3—4). Tratta persino fonti puramente ipotetiche come prove indipendenti e corroboranti! (ad esempio pag. 66). Non è così che si fa storia. Lo sappiamo da oltre 2400 anni:


Esiste una grande differenza tra verifica e sentito dire (si veda E1/NE1)

Tra informazioni affidabili e informazioni inaffidabili in generale (E1—4)

La corroborazione mediante fonti affidabili è fondamentale, specialmente in casi dubbi (si veda E3)

Abbiamo sempre bisogno di rimanere sul piano umano (si veda E4) e

di misurare criticamente le nostre fonti (si veda E4/NE1—2)

Uno storico generalmente affidabile prima facie come Erodoto, dice: Queste sono le mie fonti. Ecco cosa penso che dicano. Non crederci sulla mia parola, giudica tu stesso! (ad esempio Storie 1.1—5, 20, 24, 49, 51, 57, 60, 123, 140, 160, 183, 193, 214; 2.2—3, 5, 16, 20—4, 29, 33, 45, 65 , 99, 120, 123, 142—3, 145—7, 156, 167; 7.139; si veda Dover 1988; Evans 1978; Lateiner 1986; 1989). Confronta questo con lo scrittore del Nuovo Testamento:

Pone sé stesso come un'autorità assoluta

Racconta storie come se fosse onnisciente

Non nomina neppure le sue fonti! (ad esempio Luca 1:1—4)

Quello, e il fatto che non si mantiene sul piano umano, che indugia in contraddizioni, che elabora tecniche letterarie come composizione ad anello ed intercalazione, che costruisce intere scene con particolari dettagli, dialoghi e tutto attinti dall'Antico Testamento, ecc., ecc., conferma il caso: il suo testo non mostra nessuno dei segni che rivelano prima facie una documentazione storica generalmente affidabile e mostra tutti i segni indicatori che rivelano una finzione storica — anche secondo gli standard del suo tempo (ad esempio Brodie 2004; 2012; MacDonald 2003; 2006 ; 2014; si veda Carrier 2012 (capitolo 4, 10), Dykstra 2015 e Martin 1991 (capitolo 2) per un sondaggio e riferimenti alla ricerca tradizionale qui). Trattare il Nuovo Testamento come se ci desse informazioni storiche affidabili, come fa Ehrman, vuol dire essere colpevoli di un semplice fraintendimento semantico.


L'appello di Ehrman ai Criteri di Autenticità

Ehrman ovviamente direbbe che non considera il Nuovo Testamento una prova buona e affidabile. Non direttamente, comunque. Il suo approccio è più sofisticato: il trucco è quello di mettersi dietro l'autore e la sua agenda, scavando le reali pepite di informazioni storiche attraverso una serie speciale di criteri di autenticità. Ma: se il testo stesso infrange le regole basilari dell'evidenza (si veda E1—4), come può aiutare l'introduzione di più regole? Non puoi ricavare informazioni buone e affidabili da prove cattive e inaffidabili (NE1—3) come quelle. Pensare che puoi, come fa chiaramente Ehrman (ad esempio capitolo 8), è pura alchimia.

Prendi il suo appello al criterio di attestazione multipla. Certo, se una o più fonti indipendenti forniscono prove buone e affidabili, allora il fatto che una di quelle fonti parli anche della persona P dimostra, o rende molto più probabile, che egli sia realmente esistito. Perfino se l'esistenza della persona P è altrimenti in dubbio. Questo è il caso con molti altri saggi o re con materiale chiaramente immaginario o mitologico a loro incollato: come Alessandro Magno, diciamo. Oppure Socrate. O Augusto. O Dario. Quest'ultimo esistette addirittura quasi mezzo millennio prima della presunta esistenza di Gesù. Qui abbiamo testimoni indipendenti, quasi contemporanei, scritti di storici, documenti mondani, e persino prove fisiche sotto forma di iscrizioni, monete e così via. Qui che si applica la regola dell'attestazione multipla. Ma quando non abbiamo alcuna prova buona e affidabile come nel caso di Gesù? Prove negative più prove negative equivalgono a prove negative. L'attestazione multipla del sentito dire è ancora sentito dire. Qui la regola è totalmente inutile.

Le regole di autenticità di Ehrman non sono neppure sufficienti da sole. Oppure: possono essere ritenute sufficienti e utilizzate meccanicamente (come un algoritmo o “ricetta”), ma non possono più produrre informazioni storiche affidabili. Gesù ebbe una nascita soprannaturale? Era circondato da un mucchio di miracoli? Ritornò dai morti? Era divino oppure era diventato divino? Certo, ciò è attestato in maniera multipla per cui deve significare che esisteva anche il sovrumano, mitico Gesù! La regola è inutile perché essa non può separare da sé in modo affidabile lo storico e il mondano dal soprannaturale e dal fantastico. Ehrman vorrebbe senza dubbio dire che noi dobbiamo valutare il contenuto prima di applicare la regola. Ma dal momento che Gesù non è chiaramente presentato come un essere puramente umano in nessuna delle fonti ciò significherebbe introdurre ancora più regole. Dal momento che nemmeno queste altre regole sono sufficienti o affidabili, finiamo con un regresso eterno o, peggio, per dover fare una scelta arbitraria se e quando applicare la regola X invece di Y. L'insufficienza e l'affidabilità dei criteri di autenticità è ben nota negli studi biblici (si veda ad esempio Allison 1998; 2008; 2009; Avalos 2007; Bird 2006; Dykstra 2015; Le Donne 2002; Porter 2000; 2006; 2009; si veda Hoffmann 2010 e Thompson & Verenna 2012 per raccolte di articoli accademici che mettono in discussione l'intera ricerca del Gesù storico). Non riferendo questo semplice fatto al suo pubblico laico, Ehrman crea un'impressione falsa o fuorviante dello stato della ricerca nel suo proprio campo.

Prendi uno qualsiasi dei suoi altri criteri di autenticità: il criterio del Contesto Aramaico, ad esempio (capitolo 3). Perché mai il puro e semplice fatto della presenza di parole aramaiche nel Nuovo Testamento, o di aver maggior senso del greco se è tradotto in aramaico, renderebbe più probabile l'esistenza di Gesù? È semplicemente fallace. Che cosa, è impossibile creare fiction o trasmettere miti in aramaico? È impossibile parlare aramaico fuori dalla Giudea? È impossibile parlare aramaico dopo la presunta esistenza di Gesù? Non erano gli stessi (bilingui) scrittori del Nuovo Testamento a parlare aramaico? Quindi chi può dire che non stanno solo riportando i loro pensieri qui, oppure che non stanno basando ciò che dicono su libere traduzioni aramaiche (targum) dell'Antico Testamento (si veda ad esempio Aus 1992, 12 & Chilton 2006, 238—55). Ancora una volta, l'appello ai criteri è totalmente inutile perché essi da soli, tanto meno quando applicati a contesti estremamente implausibili oppure a testi intrinsecamente inaffidabili, non possono produrre risultati affidabili. E cosa dobbiamo dire dell'appello di Ehrman al criterio di credibilità contestuale rispetto a quello di dissomiglianza? Nel primo caso, egli si sta appellando a ciò che si adatta a ciò che sappiamo e nell'altro a ciò che non vi si adatta. Questo non è solo un uso arbitrario dei criteri ma un uso formalmente contraddittorio degli stessi. Ehrman ama colpire in testa il lettore con il “consenso accademico”, ma è molto meno desideroso di parlare della ricerca accademica ogni volta che gli si oppone. Questa scelta di comodo è destinata a compromettere ancora il libro come testimonianza di esperto affidabile.


“Due Dati Chiave per la Storicità di Gesù”

Ehrman crede che ci siano due argomenti schiaccianti e soverchianti contro coloro che dubitano che Gesù fu un essere puramente umano che morì verso il 30 E.C.:

(1) Il fatto che tutte le fonti più antiche parlano di lui come crocifisso, e

(2) la menzione in Paolo di Giacomo come il “fratello del Signore” (capitolo 5).

Questa sarebbe davvero una prova buona e affidabile se due o più fonti parlassero davvero di Gesù come di “un essere puramente umano”. Ma non lo fanno. Nessuna delle fonti più antiche parla di lui come se avesse una nascita o una carriera puramente umane, così come poteva allora essere stato un maestro—profeta puramente umano con fratelli biologici? Semplicemente non ha senso. L'appello ai criteri di autenticità non ti sarà di aiuto in questo caso, perché né le regole né le fonti in questione sono guide affidabili per la storicità. Aggiungi a ciò il fatto che la più antica fonte conosciuta (Paolo) non dice una parola circa un Gesù che è un maestro—profeta e l'intera argomentazione di Ehrman in supporto del Gesù storico crolla come un castello di carte.

Contro (1): Come ho detto, poiché l'esistenza di Gesù è in dubbio e non abbiamo neppure alcuna prova reale (E1—4) che sia esistito, in questo caso non possiamo usare il criterio di attestazione multipla in alcun significato affidabile. In nessun modo dovremmo fare uso ora di fonti puramente ipotetiche (come “Q”) per compensare fonti reali (Paolo) oppure usare quelle successive (i Vangeli) per sostanziare quelle precedenti (di nuovo Paolo). Specialmente se c'è un dubbio accademicamente genuino sul fatto che la fonte ipotetica in questione sia una fonte (si veda ad esempio Goodacre 2002 su “Q”) e le fonti successive non possono essere trattate come se fossero indipendenti e affidabili in alcun modo significativo (si veda anche Brodie 2012; Dykstra 2015).

Ehrman non sembra curarsi di alcunché di questo. E no, lui non presenta neanche il caso contro l'uso di fonti puramente ipotetiche o di fonti inaffidabili successive. Il fatto è che Paolo da nessuna parte parla di Gesù come di un “profeta” o di un “maestro” che aveva “discepoli”, che fu trascinato in tribunale dal “Sinedrio”, processato davanti a “Pilato” e poi crocifisso “dai Romani”. In realtà, non si riferisce chiaramente a niente che ci induca a credere che Gesù fosse “un essere puramente umano” che esistette e morì intorno al 30 E.C. Nessuna delle fonti più antiche e pre—evangeliche ci riesce! (si veda per esempio Martin 1991, capitolo 2). Questa costante tendenza negativa nelle fonti più antiche avrebbe dovuto almeno spingere Ehrman a fermarsi a riflettere. Avete indovinato: non ne fa nemmeno menzione! Invece, lui usa i vangeli per “colmare i vuoti” in Paolo, facendogli dire cose che lui mai disse. L’ipotesi di Ehrman è veramente così debole da dover mistificare l'evidenza in questo modo?

Contro (2): Che cosa troviamo quando andiamo alla più antica fonte conosciuta (Paolo) e la prendiamo per quella che è (per esempio Filippesi 2:6—11)? Quel Gesù

Fu un essere semi—divino (en morphê theou) (2:6)

Che “svuotò” (ekenôsen) sè stesso (2:7), che fu

“Fatto” (genomenos) a “somiglianza” di un umano (homoiômati anthrôpon) (2:7)

E in quella apparenza morì sulla croce (2:8) e

Diventò Signore di tutte le cose (2:9—11) e

adottato Figlio di Dio (Romani 1:16) a causa di ciò

Questo non suona proprio come un essere puramente umano che ebbe una nascita naturale e una carriera umana. In realtà, Paolo fa di tutto per dire che Gesù non era veramente un essere umano. Ora improvvisamente Ehrman è molto ansioso di invocare di nuovo il disaccordo accademico: il disaccordo è così enorme, infatti, che egli non può nemmeno dirci intorno a cosa consiste! (pag. 174) Per gli studi biblici non ci vuole una laurea in astrofisica. Qualsiasi persona ragionevole può vedere da sé che l'unica cosa di cui Paolo chiaramente non sta parlando qui è “un essere puramente umano”. Usa persino una parola speciale “fatto” (genomenos) invece del consueto “nato” (gennaô) (si veda anche Galati 4:4; Romani 1:3) per indicare la venuta di Gesù nel mondo. La parola suggerisce manifattura diretta (da parte di Dio) in contrapposizione alla nascita naturale, qualcosa che è anche mostrato dal fatto che utilizza anche questa parola per descrivere Adamo e il corpo della resurrezione (1 Corinzi 15:4, 37). Non solo non troviamo alcun chiaro riferimento al maestro—profeta di Ehrman in Paolo: il soprannaturale Gesù—chimera di Paolo contraddice totalmente il suo Gesù puramente umano.

— “Ma tu non hai ancora detto perché Paolo chiama Giacomo il “fratello del Signore”!— (si veda Galati 1:18—19)”

Ricordi che Paolo disse che Gesù divenne figlio di Dio e Signore di tutte le cose dopo la sua morte? Un maschio cristiano è anche un figlio di Dio (Galati 4:6). Che cosa lo rende ciò? Corretto: Fratello del Signore. “Fratelli” o “sorelle” è anche come Paolo chiama altrove i suoi compagni cristiani (Galati 6:18; si veda Romani 15:30; 1 Corinzi 1:10; 15:58; 16:15). Certo, è logicamente possibile che Giacomo fosse un vero fratello di Gesù, ma devi ammettere che è ambiguo, giusto? Paolo, abbiamo visto, è attento all’uso delle parole, e allora perché non qualifica qui il suo uso di “fratello” con “secondo la carne” oppure con “di Gesù”? La strana frase appena prima, (heteron tôn apostolôn) senza la qualificazione “nessuno” (oudeis) rende il verso doppiamente ambiguo. Nel contesto avrebbe potuto significare sia “non vidi nessuno degli altri apostoli se non Giacomo, il fratello del Signore” (volendo dire che Giacomo era sia un apostolo che un fratello del Signore) sia “io non vidi alcun altro apostolo; solo Giacomo, il fratello del Signore” (volendo dire che Giacomo non era un apostolo, ma solo un cristiano ordinario). Il fatto che in seguito si riferisce a Giacomo e gli dà ancora un altro epiteto (un “pilastro” (styloi)) ha solo l'effetto di moltiplicare ulteriormente le ambiguità (“fratello” è una designazione biologica per Giacomo? Oppure lui è solo un cristiano ordinario? È un fratello biologico, un apostolo e un pilastro? Stiamo anche parlando dello stesso tizio qui?) Semplicemente non c’è un riferimento chiaro e non ambiguo ad un fratello biologico in Paolo. Infatti, la totale assenza di frasi qualificative e il fatto che tale relazione sia fuori luogo per la teologia soprannaturale del Gesù di Paolo, rendono la lettura di Ehrman la meno probabile.


E Adesso Che Cosa?

Nota, io mi sono soltanto

Affidato a basilare ragionamento basato su prove

Attenuto alla formulazione effettiva delle fonti esistenti

Adeguato alla tradizione ebraica e cristiana

Conformato alla ricerca accademica tradizionale in tutti gli aspetti rilevanti

Io non ho assunto nessuna “teoria controversa” né mi sono impegnato in nessuna “erudizione di convenienza” allora. Ehrman rinfaccia ai suoi avversari di aver speculato al di là delle fonti e per la loro erudizione di convenienza (ad esempio pag. 91, 115—6, 188) quando praticamente sta facendo la stessa cosa lui stesso. Abbastanza francamente, trovo altrettanto vaga la tesi mitica che farebbe di Gesù un dio che muore e risorge

Ucciso dai demoni nello spazio

Modellato direttamente sul materiale greco—romano (la metafisica dualista di Platone, la distinzione aristotelica tra sublunare e sovralunare, ecc.)

Anch'essa comporta l'invocazione di fonti successive e di letture puramente ipotetiche (si veda ad esempio l'uso dell'Ascensione di Isaia in Carrier 2014). Anch'essa è una argomentazione costruita al massimo su prove puramente circostanziali.

Quindi dove ci lascia questa situazione? Bene, se andiamo alla nostra fonte più antica (Paolo) e lo prendiamo ancora una volta alla lettera per quel che dice, vedremo che egli sembra credere che Gesù ebbe qualche tipo di esistenza terrena. Non dice nulla che ci induca a credere altrimenti (che fu ucciso nello spazio, diciamo). Ma, come ho detto, lui non sembra pensare nemmeno che egli fosse vissuto nel passato recente. Come può essere ciò? Paolo era quel che oggi chiameremmo una personalità schizotipica: Gesù fu prima “rivelato in lui” (apokalypsai en emoi) (Galati 1:16), a significare che ebbe allucinazioni di visioni e di conversazioni con questo Gesù—spirito prima di parlare ad altri di lui (Galati 1:17—9). Sembra che il Gesù di Paolo sia apparso sempre e solo a lui e ad ogni altro cristiano — e sì, anche a Giacomo! — in questo modo (1 Corinzi 15:3—8). Quelle allucinazioni avrebbero indotto Paolo, Giacomo e gli altri ad una caccia di nuovo nelle Scritture Ebraiche alla ricerca di indizi nascosti su di lui (ad esempio 1 Corinzi 2:7; 15:3—8; si veda Deuteronomio 21:22—3; Daniele; Salmi 22—4; Isaia, ecc.). Qui avrebbero trovato un discorso vago e sconnesso di un servo sofferente che recò i peccati dell'umanità, che fu sfigurato e poi rivendicato da Dio dopo qualche tempo; e avrebbero trovato anche di una “sospensione su un legno” come parte di un metodo per uccidere criminali (si veda Galati 3:13 dove Paolo si riferisce esplicitamente a questo complesso di idee e a Deuteronomio 21:22—3 come prova scritturale della sua idea di crocifissione) (si veda anche Martin 1991, capitolo 2). Questo spiega anche perché Paolo sulla carriera terrena di Gesù non diventa mai molto più specifico di così. Per lui la sola cosa che contava era che egli fosse crocifisso in ogni caso (1 Corinzi 2:2). Il Gesù di Paolo è probabilmente un composto: in parte allucinato, in parte incoerente costrutto letterario dalle Scritture ebraiche. Qui non è necessario nessun maestro—profeta umano o dèi pagani che muoiono e crescono uccisi da demoni nello spazio. Paolo stesso afferma che le visioni e le Scritture sono le sole fonti per il suo Gesù (Romani 1:2; 1 Corinzi 15:3—9; Galati 1:15—9).

Noi non dobbiamo nemmeno sostenere questo come se fosse una tesi positiva, ma solo sottolineare che Paolo credeva in questa figura e che (a) non segue nulla da questo circa la sua esistenza e inoltre (b) questa presunta esistenza di Gesù è pure prima facie improbabile. Una coerente posizione a—storica in tal caso è come l'ateismo: proprio come con il teista, la sola cosa che abbiamo bisogno veramente di mostrare è che lo storicista non possiede prove reali che renderebbero l'esistenza del suo Gesù puramente umano più probabile che non.

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SI VEDA ANCHE:

Allison, D. 1998, “Jesus of Nazareth: Millenarian Prophet” (Fortress Press)

—— 2008, “The Historians’ Jesus and the Church,” in Gaventa & Hays

—— 2009, “The Historical Christ and Theological Jesus” (William B. Eerdmans)

Aus, R. 1992, “Barabbas and Esther and Other Studies in the Judaic Illumination of Earliest Christianity” (University of South Florida)

Avalos, H., 2007, “The End of Biblical Studies” (Prometheus Books)

Bird, M. 2006, “The Criterion of Greek Language and Context: A Response to Stanley E. Porter,” Journal for the Study of the Historical Jesus 4(1): 55—67

Brodie, T. 2004, “The Birthing of the New Testament: The Intertextual Development of the New Testament Writings” (Sheffield Academic Press)

—— 2012, “Beyond the Quest for the Historical Jesus: Memoir of a Discovery” (Sheffield Phoenix Press)

Carrier, R. 2012, “Proving History” (Prometheus Books)

—— 2014, “On the Historicity of Jesus” (Sheffield Phoenix Press Ltd)

Chilton, B. 2006, “Targum, Jesus and the Gospels,” in Levine, Allison et al.

Dover, K. J. 1989, “The Greeks and Their Legacy” (Blackwell)

Dykstra, T. 2015, “Ehrman and Brodie on Whether Jesus Existed: A Cautionary Tale about the State of Biblical Scholarship,” Journal of the Orthodox Center for the Advancement of Biblical Studies 8(1):1—32

Ehrman, B. 2013, “Did Jesus Exist? The Historical Argument for Jesus of Nazareth” (HarperCollins)

Evans, J. A. S. 1978, “Father of History or Father of Lies? The Reputation of Herodotus,” The Classical Journal 64:1: 11—7

Fischer, D. H. 1970, “Historians Fallacies: Toward a Logic of Historical Thought” (Harper & Row)

Gaventa, B. R. & Hays, R. B. (eds.) 2008, “Seeking the Identity of Jesus: A Pilgrimage” (William B. Eerdsmans)

Gjertsen, D. 1989, “Science and Philosophy: Past and Present” (Penguin)

Goodacre, M. 2002, “The Case Against Q: Studies in Markan Priority and the Synoptic Problem” (Trinity Press International)

Hoffmann, R. J. (ed.) 2010, “Sources of the Jesus Tradition: Separating History from Myth” (Prometheus Books)

Lataster, R. 2016, “Bart Ehrman and the Elusive Historical Jesus,” Literature and Aesthetics 26: 181—92

Lateiner, D. 1986, “The Empirical Element in the Methods of Early Greek Medical Writers and Herodotus: A Shared Epistemological Response,” Antichthon 20:1—20

—— 1989, “The Historical Method of Herodotus” (University of Toronto Press)

Le Donne, K. & A. 2002, “Jesus, Criteria, and the Demise of Authenticity” (T & T Clark)

Levine, A.—L., Allison, D. C. et al. 2006, “The Historical Jesus in Context” (Princeton University Press)

MacDonald, D., 2003, “Does The New Testament Imitate Homer? Four Cases from the Acts of the Apostles”

—— 2006, “Imitations of Greek Epic in the Gospels,” in Levine, Allison et al.

—— 2014, “The Gospels and Homer: Imitations of Greek Epic in Mark and

Luke—Acts” (Rowman & Littlefield)

Martin, M. 1991, “The Case Against Christianity” (Temple University Press)

Schweitzer, A. 2005, “The Quest of the Historical Jesus” (Dover Publications)

Thompson, T. L. & Verenna, T. S. (eds.) 2012, “’Is This Not the Carpenter?’: The Question of the Historicity of the Figure of Jesus” (Equinox Press)

Wells, G. A., 1986, “Did Jesus Exist?,” ed. riv. (Prometheus Books)

—— 1988, “The Historical Evidence for Jesus” (Prometheus Books)

Zindler, F. R. & Price, R. M. (eds.) 2013, “Bart Ehrman and the Historical Quest of the Historical Jesus of Nazareth; An Evaluation of Ehrman’s Did Jesus Exist” (American Atheist Press)