domenica 21 aprile 2024

Gli scritti di San Paolo — EPISTOLE PASTORALI (POLEMICA ANTIMONTANISTA)

 (segue da qui)

II

POLEMICA ANTIMONTANISTA

In 1 Timoteo 2:11-15a noi leggiamo un'ordinanza relativa alla donna. Essa comprende due parti. Nell'una è fatto divieto alla donna di insegnare e di comandare all'uomo; nell'altra sono espresse le considerazioni che motivano la proibizione. Ho già segnalato [1] la proibizione di insegnare, fatta alla donna nella prima epistola ai Corinzi 14:34. Ho mostrato che essa non era stata conosciuta né da Ireneo né dai primi avversari del montanismo, e che non poteva essere minimamente anteriore all'anno 200 circa. Il divieto di comandare all'uomo, che è menzionato qui, non può essere evidentemente di una data più antica. Passiamo ora alle considerazioni sulle quali quella duplice proibizione si basa. Eccole: 

Infatti Adamo è stato formato per primo; Eva in seguito. E Adamo non è stato sedotto; è la donna che, sedotta, si è resa colpevole di trasgressione. Eppure lei sarà salvata dal parto.

In due parole, la donna deve occupare una posizione subordinata in tutto ciò che riguarda le cose religiose, e quella subordinazione è, nel contempo, la conseguenza del modo della formazione di Eva e la punizione della sua condotta nel paradiso terrestre. Questa è l'ordinanza. Non si può approvare evidentemente la duplice proibizione che essa comporta. Ma le sue considerazioni non mancano di essere estranee. Perché andare a cercare fin nel paradiso terrestre una spiegazione che il senso comune forniva ampiamente?

Apriamo ora il Panarion 49:2, di Epifanio. Vi si parla della setta dei Priscillianisti o Quintilianisti, setta che rappresentava ciò che si chiamerebbe oggi l'estrema sinistra del movimento montanista. Ed ecco cosa ci viene detto: 

Essi ricevono i due Testamenti e credono alla resurrezione dei morti. Attribuiscono la fondazione della loro setta a Quintilla e a Priscilla... Fanno appello a diverse autorità molto frivole. Pretendono che il fatto di essere stata la prima a mangiare dal frutto della conoscenza è stato per Eva un grande privilegio... Spesso tra loro sette vergini vestite di bianco e munite di torce si presentano davanti al popolo in chiesa per pronunciare gli oracoli. In preda ad una sorta di entusiasmo, fanno scene davanti ai presenti, per indurli a versare lacrime che saranno considerate un frutto di penitenza. Infatti versano lacrime e con la loro mimica deplorano la vita degli uomini. Tra loro le donne sono vescovi, sacerdotesse e sono ammesse ad altri gradi. Non si tiene alcun conto del sesso col pretesto che (Galati 3:28) «nel Cristo non vi è né uomo né donna».

Ecco l'informazione che ci dà Epifanio la cui documentazione è qui, ad avviso di tutti i critici, degna di fede. Accostandola ad 1 Timoteo 2:11-15a noi otteniamo la constatazione seguente: 

Tra i montanisti le donne hanno insegnato nell'assemblea, hanno perfino comandato agli uomini poiché sono state ammesse al sacerdozio e all'episcopato. Dal canto suo Paolo non vuole che si conferisca l'insegnamento alle donne; egli non vuole neppure che le donne comandino agli uomini. I montanisti, per giustificare le prerogative che conferivano alle donne, hanno esaltato Eva che è stata la prima a mangiare del frutto della conoscenza (essi hanno anche invocato l'esempio della sorella di Mosè che era profetessa e l'esempio delle quattro figlie di Filippo che erano anche profetesse, ma è su Eva prima di tutto che si sono basati; d'altronde Epifanio dice espressamente (3): «Essi conferiscono alle donne l'ordine dei vescovi e dei sacerdoti e dichiarano di fare ciò a causa di Eva»). Dal canto suo Paolo, per provare che le donne devono restare in una situazione subordinata, fa, anche lui, appello a Eva; ma egli nota che lei è stata formata dopo Adamo e, per giunta, che la donna è stata sedotta ma non l'uomo.

I montanisti hanno fatto esattamente ciò che Paolo proibisce, e per giustificare la loro condotta, essi hanno portato proprio l'esempio di cui Paolo si serve per condannarla.

Siamo qui in presenza di coincidenze singolari. Quando le si ha constatate, si può, se si vuole, non indugiarvi e non provare alcun bisogno di spiegarle. Ciò sopprime ogni difficoltà, e questo è ciò che ha avuto luogo finora. Se si ritiene che quell'approccio è insufficiente, che le suddette coincidenze devono avere una causa, e che quella causa dev'essere cercata, si hanno davanti a sé due ipotesi.

Si può supporre che il testo 1 Timoteo 2:11 sia una risposta per le rime all'attività montanista sulla quale esso è modellato. Quella soluzione rende conto a meraviglia le coincidenze che abbiamo constatato; spiega in particolare l'intervento di Adamo ed Eva nella legislazione paolina. Soltanto essa fa risalire quella legislazione fino all'incirca l'anno 180. 

Accanto a quella soluzione, ve ne è un'altra che capovolge l'ordine dei fattori, che colloca il regolamento dell'epistola o intorno all'anno 60 attribuendola allo stesso Paolo, oppure intorno al 125 attribuendola ad un Paolo fittizio, che dà in ogni caso alla legislazione dell'epistola la priorità sull'organizzazione montanista. In quell'ipotesi Paolo, o colui che prende il suo nome, ha proibito alle donne di insegnare e di comandare gli uomini, senza che si sappia a quale bisogno rispondesse quella duplice proibizione. In più, per una ragione molto misteriosa, egli ha motivato il suo regolamento con la situazione rispettiva di Adamo ed Eva e con la condotta che quest'ultima ha tenuto nel paradiso terrestre. Più tardi, intorno al 160, i montanisti hanno fatto la loro apparizione. Cattolici un po' stravaganti ma cattolici, essi non hanno potuto ignorare l'ordinanza di 1 Timoteo 2:11 che, scritta o intorno al 60 o intorno al 125, passava per essere di Paolo. Essi l'hanno conosciuta e... hanno adottato esattamente il punto di vista opposto. Paolo proibiva alle donne di insegnare e di comandare agli uomini; loro hanno istituito donne vescovo, donne prete, hanno incaricato le vergini di esibirsi nella chiesa con attitudini teatrali, per predicare la penitenza ai cristiani. Paolo basava il suo regolamento sulla storia di Adamo ed Eva; loro hanno fatto appello a quella stessa storia per autorizzare le loro istituzioni. Se avessero voluto schernire l'apostolo non avrebbero agito diversamente. Ciò è verosimile? 

Ancora un'osservazione. Citando l'ordinanza 1 Timoteo 2:11 relativa alla donna, ho supposto che essa finisca in 2:15 con le parole: «Lei sarà salvata per il parto». Ma, se si consulta una versione, si legge talvolta l'una talvolta l'altra delle due traduzioni seguenti che, entrambe, presuppongono che la frase cominciata in 15 si prosegua in 15b:

Tuttavia lei sarà salvata per il parto (15b) se lei persevera nella fede, nella carità, nella santità con modestia. 

Eppure si salverà partorendo figli (15b) se essi persevereranno nella fede, nella carità con la modestia. 

Mi affretto a dire che la prima traduzione è un'illusione, in quanto nasconde un fatto importante che si presenta in questo punto nel testo greco (e anche nei principali manoscritti latini), ovvero la sostituzione del plurale al singolare. Da 11 fino a 15a incluso, si parla della donna al singolare; poi in 15b il singolare cede il posto al plurale: éan meïnôsin (si permanserint negli antichi testi latini che la bibbia clementina ha abbandonato).

D'altra parte la seconda traduzione è anch'essa un'illusione in quanto, per preparare il plurale «se persevereranno», fa intervenire il plurale «figli» che non esiste nel greco. Senza dubbio il termine «figlio» è nel termine composto teknogonia (procreazione dei figli) che dà il testo greco. Esso è lì, ma ha perso la sua individualità. Esso è lì, proprio come le parole «figlio» e «campo» sono nei termini composti «peuricultura» e «agricoltura».  

Ma a nessuno verrà l'idea di dire: «La puericultura è utile se essi sono ben accuditi» oppure; «Il lavoratore si arricchisce con l'agricoltura se essi sono ben coltivati». Non si ha più il diritto di tradurre. «Tuttavia lei sarà salvata per il parto se essi (i figli) persevereranno…» 

Quindi la traduzione «se persevereranno» è grammaticalmente inaccettabile. Eppure è questa che si utilizza comunemente. Essa deve senza dubbio il favore di cui gode ai buoni risultati che dà. Vediamo questi risultati. Essa fa dire all'apostolo che la donna, che mette figli al mondo, sarà salvata se questi figli «persevereranno» nella pratica delle virtù cristiane! Essa subordina la salvezza della madre alla perseveranza de suoi figli; la rende responsabile della condotta che essi avranno durante tutta la loro vita! Una tale asserzione è mostruosa. E gli esegeti ne convengono, perché ci spiegano che il senso della frase è questo: «Lei sarà salvata, se dà ai suoi figli un'educazione cristiana». Interpretazione che sfortunatamente si basa su una falsificazione. Il testo è inesorabile. Lo si interpola quando vi si inserisce l'idea di un'educazione cristiana data dalla madre ai  suoi figli. Esso parla di una perseveranza nella vita cristiana: éan meïnôsin. E, che lo si voglia o no, gli si fa sostenere un'iniquità quando, con la maggior parte dei commentatori, si suppone che parli della perseveranza dei figli, in altri termini quando si traduce: «se essi persevereranno». 

La transizione dal singolare al plurale che si constata nel mezzo di 2:15 solleva un problema letterario. Questo problema è talvolta eluso (in particolare dall'edizione clementina della Vulgata); altre volte se ne dà una soluzione mostruosa. La vera soluzione va cercata altrove. La si trova quando si confronta 11 con 9-10. La transizione dal singolare al plurale che esiste all'interno di 15 (tra 15a e 156) si ritrova tra 10 e 11; ma in senso inverso. In 9-10 si parla delle donne al plurale; in 11 appare la donna al singolare. L'ordinanza 11-15a la cui reazione è al singolare è inquadrata in una redazione al plurale. In altri termini il plurale che regna in 9-10, che scompare in 11-15a, riappare in 15b; e quest'ultimo frammento, se si tiene conto solo del punto di vista redazionale, si collega a 10 saltando 11-15a. Questo fatto non manca di essere sorprendente. La sorpresa aumenta ancor di più quando si confronta 15b a 9. Entrambi raccomandano la sôphrosuné, vale a dire la modestia. Affini dal punto di vista redazionale, lo sono anche dal punto di vista del vocabolario. 

Aggiungiamo che lo sono da un punto di vista logico. Il versetto 10 ci insegna che l'unico ornamento degno delle donne cristiane è quello delle buone opere. Il versetto 15b spiega che le donne avranno quell'ornamento, se persevereranno nella fede, nella carità, nella santificazione con la modestia. Esso completa il pensiero espresso in 10. 

Due conseguenze conseguono da lì. Principalmente, 15b, che oggi è separato da 9-10 dall'ordinanza relativa al posto che le donne devono occupare nella chiesa, veniva in origine immediatamente dopo 9-10 di cui fa parte integrante. Secondariamente, la suddetta ordinanza che va da 11 a 15a compreso, e la cui origine tardiva ci era già nota, è un brano interpolato. È stata gettata in una dissertazione che esisteva prima di essa e con la quale non ha nulla in comune. 

Poiché l'ordinanza 1 Timoteo 2:11-15a è un brano interpolato, non può informarci sull'origine e sullo spirito delle epistole pastorali (si considerano qui queste epistole fatta eccezione delle note autentiche di Paolo).

Essa vuole combattere un'istituzione montanista; ma essendo stata inserita artificialmente nel testo che le serve da contesto, non autorizza alcuna deduzione sullo scopo e sulla data della versione primitiva. 

Esaminiamo ora alcuni testi che, invece, non hanno nulla in comune con la controversia montanista.

NOTE

[1] Delafosse, La première Epître aux Corinthiens, pag. 101. 

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