venerdì 19 aprile 2024

Gli scritti di San Paolo — EPISTOLE PASTORALI (LE NOTE DI PAOLO)

 (segue da qui)


EPISTOLE PASTORALI

Si chiamano epistole pastorali tre lettere paoline di cui due sono rivolte a Timoteo e la terza a Tito. Esse hanno ricevuto, nel XVIII° secolo, il nome di pastorali, perché sono dedicate in gran parte ai doveri dei pastori. Diciamo però che il loro obiettivo non è esclusivamente morale, ma trattano anche della bontà di Dio e della redenzione compiuta da Gesù Cristo. Esse associano alla morale la dogmatica. Fanno persino penetrare quest'ultima in quella; infatti, tra gli obblighi imposti ai pastori, vi è uno che consiste nel combattere le eresie e gli eretici. 


I

LE NOTE DI PAOLO

Soffermiamoci prima davanti a quattro piccole note che vi si incontrano. Tre di loro appartengono alla seconda epistola a Timoteo 1:15-18; 4:9-16; 4:19-21. La quarta termina l'epistola a Tito, 3:12-14. 

Nella prima Paolo fa l'elogio di Onesiforo che gli ha reso numerosi servizi ad Efeso, che, nella stessa Roma, si è messo alla sua ricerca e ha finito per trovarlo. Ma egli nota nello stesso tempo che è stato abbandonato da tutti in Asia. Nella seconda dichiara di avere solo Luca con sé. Al contrario, al momento in cui scriveva la terza, Eubulo, Pudente, Lino, Claudia gli tenevano compagnia. Nella quarta nota egli dà le sue istruzioni a Tito e gli domanda innanzitutto di venire a raggiungerlo a Nicopoli. 

Facciamo conoscenza con questi brani. Nel primo Paolo, in testimonianza di gratitudine, augura a Onesiforo, che ha saputo «trovarlo» a Roma, di «trovare» misericordia presso il Signore «in quel giorno». L'espressione «in quel giorno» riappare nella seconda epistola ai Tessalonicesi 1:10. Lì essa indica il giorno in cui il Signore Gesù, discendendo dal cielo, comincerà con sterminare gli increduli, poi inaugurerà il suo regno a Gerusalemme. Alla luce di questo commentario, si vede che Paolo augura al suo benefattore Onesiforo di sfuggire allo sterminio con cui il Signore colpirà i miscredenti, e di essere ammesso nel regno che avrà Gerusalemme per capitale. Non si riconosce lì il falsario. 

Nella seconda nota Paolo riporta che il fabbro Alessandro gli ha fatto molto male, poi aggiunge: «Il Signore gli renderà secondo le sue opere». Questo tratto, che non ha nulla di eroico, è molto umano; ma un falsario si sarebbe ben guardato dall'introdurlo nel suo quadro.

La terza nota dà minori informazioni che un falsario non avrebbe avuto alcun interesse a immaginare.

Nella quarta leggiamo: «Bisogna che anche i nostri apprendano a praticare le buone opere nei bisogni urgenti». Il pensiero è questo: «Gli ebrei stessi non rifiutano i loro servizi a coloro che non ne hanno bisogno. I nostri devono prendere modello da questi uomini; devono anche loro fare il bene quando l'occasione si presenta». Quella morale basata sull'emulazione è quella alla quale tutti gli educatori fanno appello. Un falsario avrebbe trovato un movente più elevato. Insomma un falsario non aveva alcun interesse a fabbricare questi brani; molti di loro, al contrario, non potevano che nuocergli. Diciamo quindi senza esitazione che le nostre quattro note sono autentiche. Le quattro note che ho appena esaminato sono, tenuto conto del loro contenuto, totalmente estranee alle epistole pastorali alle quali sono incorporate, e nelle quali occupano d'altronde solo un posto marginale. Adesso studierò queste epistole e distinguerò le redazioni per le quali sono passate, come se le suddette note non esistessero. 

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