sabato 2 gennaio 2021

IL PUZZLE DEI VANGELIFonti essene

 (segue da qui)

4° Fonti essene

L'idea che la setta degli Esseni abbia potuto essere, almeno in parte, all'origine del cristianesimo aveva sfiorato alcuni esegeti, ma è Alfaric che ha dato a quella ipotesi tutto il suo peso. [107] La scoperta dei manoscritti del mar Morto è venuta in seguito a dargli una brillante conferma. Oggi i rapporti tra l'essenismo e il cristianesimo sono ammessi perfino da autori molto ortodossi. [108] Importa quindi precisare il ruolo delle fonti essene.

Respingiamo innanzitutto un'obiezione, che potrebbe essere tratta dal fatto che gli Esseni non sono nominati da nessuna parte, né nei vangeli, né in alcun testo cristiano. La spiegazione è abbastanza semplice: essi non si sono mai chiamati così. Sono i Greci che hanno dato loro questo nome, forse per analogia con gli Esseni,  casti sacerdoti di Artemide. Il nome è di origine incerta, ma figura solo negli autori esterni, in particolare in Giuseppe. Filone di Alessandria scrive «essaioi».

Essi stessi non intendevano sottolineare, con un proprio appellativo, la loro originalità o il loro dissenso; al contrario, affermano di essere i veri, gli unici depositari dalla Legge ebraica, gli unici fedeli continuatori dell'alleanza. 

Così l'istituzione di Qumran è indicata nel Manuale di disciplina solo con le parole: «la comunità», la «santa comunità», la «comunità di Dio», o «dell'alleanza», o «la comunità di verità». Solo la setta di Damasco, in qualche modo dissidente dall'Essenismo, si chiamerà «comunità della NUOVA alleanza», [109] espressione ben conosciuta da Paolo [110] e passata nel Vangelo di Luca: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue». [111] I cristiani riprenderanno spesso quella espressione, per opporsi agli ebrei. 

I membri della comunità sono semplicemente gli «uomini della comunità», o ancora i «santi» o gli uomini «di perfetta santità». Opponendosi ai figli delle Tenebre, essi sono i «figli della Luce», gli uomini «dalla parte di Dio» (contro quelli dalla parte di Belial, che è il nome dato dagli Esseni a Satana, così come da Paolo). Infine si trovano negli Inni gli appellativi «eletti di Giustizia» o «figli di Giustizia», che possono fare allusione al loro Maestro. 

Se dunque gli Esseni, che scompaiono dopo il 70, si sono veramente fusi nel cristianesimo, vi sono passati senza un nome distinto, senza sottolineare un'altra particolarità rispetto alla loro fedeltà alla Legge e all'Alleanza: non erano anche loro gli annunciatori della «buona novella»? [112]

IL FIGLIO DELL'UOMO — In più riprese nei vangeli, [113] Gesù è designato con l'espressione «Figlio dell'uomo», in relazione alla sua messianicità. Potremmo esserne sorpresi, perché, in questo ruolo, egli è il «Figlio di Dio», e perché, se Maria è sua madre, è concepito dallo Spirito Santo e non è quindi il figlio di un uomo. Ma l'espressione ha preso un senso particolarissimo, in particolare nella letteratura essena.

Essa viene dalla visione dello pseudo-Daniele: «Ecco apparire, sulle nubi del cielo, uno, simile ad un figlio di uomo». [114] Certamente, lo scrittore ha soltanto voluto dire «un uomo», quella espressione è comune nell'Antico Testamento. Ma la visione di Daniele essendo stata considerata quella del futuro Messia, l'espressione «Figlio d'uomo», o «Figlio dell'uomo», è stata applicata al Messia. Lo è così particolarmente nel libro di Enoc, che non è stato conservato nel canone biblico, ma che gli autori dei nostri vangeli conoscono e citano. Ma tutti concordano nel vedere nel libro di Enoc un'opera composita, la cui parte essenziale (le Parabole) è di origine essena.

Il «Figlio dell'uomo» di Enoc è quindi il Messia, ma per certi aspetti egli prefigura già il Logos (Verbo) del IV° Vangelo: è il «Figlio primogenito di Dio», poiché è stato creato dall'origine del mondo, prima delle stelle e del cielo. Nozione essenziale per gli Esseni, egli è il grande Maestro di Giustizia: è lui che possiede ogni Giustizia, ed è lui, assiso sul suo trono di gloria, che procederà al grande giudizio. Egli sarà «la luce dei popoli, la speranza di coloro che soffrono nel loro cuore». [115]

Quella concezione del sovrano giudice non poteva che sedurre gli Esseni, così innamorati della giustizia. Ma quando evocano quella attribuzione del Messia, gli evangelisti citano quasi testualmente il libro di Enoc: «Quando il Figlio dell'uomo siederà sul trono della sua gloria», [116] o ancora: «perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno». [117]

POVERTÀ EVANGELICA — Gli Esseni avevano fatto del disprezzo per la ricchezza una regola severa: nelle loro comunità, nessuno doveva possedere nulla di proprio: «Egli abbandonerà loro i beni e le entrate delle loro mani», prescrive il Manuale di disciplina, e sanzioni gravi sono previste contro colui che ne trattenga una parte. [118] Quella regola aveva di che stupire i contemporanei, in un paese dove era insegnato che i beni di questo mondo sono un favore e una ricompensa divina. [119] Ma non è solamente mediante quella messa in comune delle risorse che sarebbe possibile seguire lo strano comandamento di Gesù: «Per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete» ? [120] Non è una pura applicazione della regola essena quella istruzione data al giovane ricco: «Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri» ? [121]

Anche in questo caso la condizione «Se vuoi essere perfetto» è una correzione dell'autore di Matteo, probabilmente consapevole dell'impossibilità di applicare la regola in modo generale. Gli altri sinottici recano solo: «Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai... ecc.». [122] Luca dà peraltro la stessa regola per costruirsi dei tesori celesti, e quella volta senza alcuna riserva: «Vendete i vostri beni, e dateli in elemosina». [123

L'episodio del giovane ricco si trovava già nel vangelo di Pietro con una conclusione simile: «Vendi tutto ciò che possiedi e distribuiscilo ai poveri, e seguimi».

Se c'è un punto sul quale la morale cristiana deriva dalla regola essena, è proprio quella prescrizione di vendita dei beni, di esaltazione della virtù di povertà: né gli ebrei né i gentili avrebbero potuto concepire una prescrizione così assurda e così inquietante. Non vediamo da nessuna parte che un'istruzione di questo tipo sia stata data agli iniziati dei culti misterici. Gli Esseni soli hanno fatto della povertà volontaria una regola di condotta. 

Quando gli Esseni erano chiamati a viaggiare, non portavano nulla con sé: [124] in ogni città, un questore dell'ordine era incaricato di provvedere ai bisogni degli ospiti di passaggio, anche in materia di abbigliamento. Così era loro proibito portare persino una veste di ricambio. Non è questo che Gesù prescrive ai suoi discepoli, quando li invia in missione? Si crederebbe di leggere un manuale esseno, e di intuire l'organizzazione che suppone la regola: «Non procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, 10 né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali... In qualunque città o villaggio entriate, fatevi indicare se vi sia qualche persona degna, e lì rimanete fino alla vostra partenza». [125]

IL DISCORSO DELLA MONTAGNA — La moralità del vangelo è stata condensata da Matteo in un lungo discorso che egli presta a Gesù su un monte. [126] Si è spesso segnalata la natura artificiale di quella composizione, fatta di frasi affiancate, tanto più che Marco ignora il discorso e  Luca situa in una pianura un discorso contenente espressioni simili, ma abbastanza diverso nell'insieme. [127] Ma non importa questa disposizione, l'essenziale essendo costituito dalla sostanza della dottrina così insegnata. 

Ora, è innegabile, tenuto conto dei numerosi confronti che si impongono, che siamo là in presenza di una sintesi della moralità essena. Il regno dei cieli è promesso ai poveri (Luca vi aggiunge una maledizione dei ricchi), agli afflitti, agli oppressi, ai perseguitati a causa della vera Giustizia. Beati i pacifici, i misericordiosi!

Ancora più caratteristici sono le opposizioni tra la legge antica e la nuova: «Avete inteso che fu detto agli antichi... ma io vi dico...». [128]

La legge di Mosè proibiva solamente di uccidere, la nuova legge proibisce di adirarsi contro il proprio fratello. Questo è quanto prescrive il Manuale di disciplina: «Nessuno parli al suo fratello con ira e risentimento, o con insolenza e durezza». E il documento di Damasco prescrive «di amare ognuno il suo fratello».

Gesù ordina la purezza sessuale, anche nell'intenzioni: c'è a malapena bisogno di ricordare che questa è una delle prescrizioni più conosciute dell'Essenismo. Si tratterrà quella espressione del salmo che termina il Manuale: «Non custodirò l'iniquità nel mio cuore».

All'antica legge: «occhio per occhio, dente per dente», Gesù oppone la nuova regola: «Non resistere al malvagio». Il salmo finale del Manuale aveva già detto: «A nessuno restituirò la ricompensa del male». Si devono amare anche i propri nemici, insegna Gesù, come dice il salmo precedente: «perseguirò l’uomo con il bene». Un inno esseno dice anche: «Nella tua bontà è l'abbondanza del perdono».

Gesù proibisce i giuramenti sulle cose sacre, in ciò non fa che ripetere il Manuale di disciplina: «Un uomo che giura nel Nome ineffabile sarà escluso» (dalla comunità). Quella prescrizione doveva avere una grande importanza, perché Giuseppe la segnala tra gli Esseni: «Essi si astengono dal giurare considerandolo cosa peggiore che lo spergiurare; dicono infatti che è già condannato chi non è creduto senza invocare Dio». [129] Il documento di Damasco proibisce anche il giuramento «per alef e lamed».

Non si deve pregare come gli ipocriti che si mostrano nelle sinagoghe, ma, come dice Isaia, [130] in segreto, avendo chiuso la porta della propria stanza. Allo stesso modo gli Esseni condannano i sacrifici pubblici, opponendo loro la preghiera sincera con un cuore puro. Non si deve entrare nella casa di preghiera se si è impuri, ma «l'offerta delle labbra nel rispetto della legge sarà come un gradito odore di giustizia», un'offerta approvata da Dio.

Non si possono servire due padroni, dice il vangelo, ma un intero trattato esseno è dedicato alla lotta dei figli della Luce contro i figli delle tenebre: solo «il partito di Dio appartiene alla luce eterna».

Si potrebbero proseguire a lungo questi confronti. E se i due comandamenti essenziali sono innanzitutto amare Dio con tutto il proprio cuore e con tutta la propria anima, e poi amare il proprio prossimo come sé stessi, [131] come ci ricorda Gesù, [132] tutti i manoscritti di Qumran testimoniano lo stesso insegnamento. 

Sarebbe anche possibile spingere più oltre le ricerche di analogie, che non sono solo nella sostanza ma anche nella forma. Così Matteo conclude il Discorso della montagna facendo dire a Gesù che ogni uomo che ascolta le sue parole e le mette in pratica sarà paragonato «a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia», [133] in modo che i torrenti e i venti non possano farla crollare. Questa è esattamente anche la conclusione di un inno di Qumran: «Tu hai fondato sulla roccia la mia casa, e basi eterne mi servono da fondamento, e tutte le mie mura sono divenute un baluardo consolidato, che nulla può scuotere». [134

I SEGRETI DI ENOC — Forse si dirà che l'originalità del Discorso della montagna sia almeno di riunire in un unico corpo dottrinale le espressioni che, nei manoscritti esseni, restano sparse. Ma quella sistemazione è opera di Matteo? Sarebbe ben sorprendente se gli Esseni non abbiano scritto una sorta di codice morale, o un'esposizione di precetti morali per l'insegnamento. 

Ora precisamente un testo poco conosciuto, messo a sua volta sotto il nome di Enoc e di origine essena, contiene un'esposizione simile a quella di Matteo, sotto forma di «beatitudini» e di «maledizioni». Lo si chiama il libro dei «Segreti di Enoc». Il suo testo ci è pervenuto tramite un manoscritto in slavo antico, ma l'opera risale ai primi anni della nostra era, se non alla fine del secolo precedente, perché era conosciuta da Filone di Alessandria. Non solo l'autore di Matteo l'ha utilizzata, ma si può dire che è l'esposizione che figura nei «Segreti di Enoc» ad aver servito da modello e ad essere passata, talvolta testualmente, nel nostro vangelo. Lo si giudichi da questi estratti: [135]

«Beato colui che teme il nome del Signore... e vive e muore nella giustizia. Beato chi giudica in giustizia e non in vista dei doni: di conseguenza riceverà egli stesso un giudizio giusto. Beato colui che vestirà l'ignudo con e all'affamato darà pane... Beato chi semina i semi della giustizia, perché li mieterà al settuplo. Beato colui nel quale é la verità e che dice la verità al prossimo. Beato colui che mostra la misericordia nelle sue parole e conserva la dolcezza nel suo cuore. Beato colui che conosce e loda le opere del Signore, invece le opere degli uomini, le une sono buone, le altre malvagie: ed è dalle sue opere che si conosce l'artefice».

«Chi si adira contro un uomo, anche se non gli fa del male, raccoglierà l'ira grande del Signore. Chi sputa sul volto dell'uomo mieterà vergogna al grande giudizio del Signore ... Forse che il Signore ha bisogno di pane o di candela o di montone o di bue? Ciò non è nulla, ma egli desidera un cuore puro...»

«Beato chi apre il suo cuore alle lodi e loda il Signore . Maledetto chi apre il suo cuore all'insulto e alle calunnie... Beato chi glorifica tutte le opere del Signore. Maledetto chi insulta la creazione del Signore... Beato colui che, anche se non parla di pace, ha la pace nel suo cuore verso tutti; maledetto chi dice: pace e non c'é pace nel suo cuore...»

«Chi fa del male all'anima di un uomo fa torto alla sua stessa anima, e non c'è guarigione nella sua carne né perdono nell'eternità»

È molto caratteristico ritrovare così, ed in una forma simile, nella bocca di Enoc, detti che si attribuiranno in seguito a Gesù. Nella misura in cui si scoprono le loro fonti, l'originalità dei vangeli svanisce, e l'insegnamento messo in bocca a Gesù si rivela una semplice collezione di detti preesistenti, che furono dapprima attribuite ad altri. Ancora alcune fonti sono perdute. 

IL MAESTRO DI GIUSTIZIA — La maggiore sorpresa che ci riservano i rotoli del mar Morto è senza dubbio la scoperta di un personaggio enigmatico, venerato dagli Esseni come loro «Legislatore», [136] ma identificato da loro con il Messia. Il suo nome dovendo restare nascosto (tranne che per gli iniziati), è designato solo dall'espressione «Maestro di Giustizia», ma dal libro di Enoc sapevamo già che è il Messia ad essere il Maestro di Giustizia. [137] Dopo aver sofferto nel suo corpo di carne, ed essere stato messo a morte per ordine del «sacerdote empio» ritornerà alla fine dei tempi per il grande giudizio. [138] Più volte viene definito unto, ovvero Cristo, [139] e nel commentario di Abacuc l'espressione «il giusto vivrà per la sua fede» non è più interpretata per la fede in Dio, ma per «la sua fede nel Maestro di Giustizia».

Questo personaggio è esistito? I tentativi di identificazione sono incerti, e ci si può persino chiedere se gli Esseni non avessero riunito su un solo soggetto i ricordi (molto abbelliti) di due o tre uomini che avevano giocato presso di loro un ruolo piuttosto simile, se il Maestro di Giustizia, come più tardi Gesù, non sia già un personaggio composito. Che importa? L'essenziale è aver appreso che le speculazioni essene sul testo di Isaia non erano rimaste orientate verso il futuro, che si erano concretizzate attorno ad un personaggio che era vissuto [140] ed era morto prima dell'era cristiana, — probabilmente sotto Ircano II intorno al 65 A.E.C., prima dell'entrata di Pompeo a Gerusalemme nel 63 A.E.C. Come aveva annunciato Isaia, [141] questo Messia era passato inosservato, era stato umile, aveva subito supplizi senza lamentarsi. Non era già questa la storia di Gesù? L'analogia era troppo evidente per non essere segnalata: 

«Il maestro galileo (Gesù), così come ce lo presentano gli scritti del Nuovo Testamento, appare per molti versi come una impressionante RINCARNAZIONE del Maestro di Giustizia. Come lui predica la penitenza, la povertà, l'umiltà, l'amore per il prossimo, la castità. Come lui prescrive di osservare la legge di Mosè, tutta la legge, ma la legge ultimata, resa perfetta grazie alle sue stesse rivelazioni. Come lui fu l'Eletto e il Messia di Dio, il Messia redentore del mondo. Come lui, fu osteggiato dai sacerdoti del partito dei Sadducei. Come lui fu condannato e torturato. Come lui, alla fine dei tempi, sarà il sovrano giudice». [142]

Aggiungiamo che, come Gesù, il Maestro era stato predestinato fin dal grembo di sua madre: «Dal seno materno (mi hai formato, e dal grembo) di mia madre ti sei preso cura di me», dice a Dio. [142*]

Anche se la somiglianza non è totale, bisogna ben riconoscere in questo Maestro di Giustizia una delle figure che erano servite a creare il Gesù evangelico. A meno di ammettere che la stessa storia si sia esattamente ripetuta a cento anni di distanza, dobbiamo accettare l'idea che l'Essenismo, penetrando nel cristianesimo, vi ha portato il suo Messia, gli ha imposto la sua concezione del Cristo.

È evidentemente spiacevole che non abbiamo un racconto esseno della passione del Maestro di Giustizia. Nondimeno, si può ricostruirne l'essenziale a partire dalle allusioni contenute negli inni o nei salmi di ringraziamento che gli sono attribuiti. In questi cantici, di una grande bellezza, il Maestro sofferente e nell'attesa di una morte imminente, si rivolge a Dio.

Egli ricorda innanzitutto quale è stata la sua missione: «Mi hai messo a stare con molti pescatori, che tendono le reti sulla superficie del mare» (inno 1:8). Anche Gesù recluterà i suoi discepoli tra i pescatori del lago. Come Gesù, egli è stato oggetto di contestazioni: «Io sono un inciampo per chi trasgredisce, un medicamento per tutti quelli che si volgono dal peccato... Io sono un uomo che combatte con quelli che diffondono errori, ma un uomo di pace per tutti quelli che vedono giustamente» (inno B). Dei miracoli hanno accompagnato egualmente la sua missione: «Nel tuo consiglio meraviglioso hai rafforzato la mia posizione, hai operato miracoli di fronte ai molti per la tua gloria... Quale creatura d'argilla può fare miracoli?» (inno H:28-29). Egli annuncia persino la sua trasfigurazione: «E io sarò risplendente di luce sette volte» (inno L:24).

Nondimeno egli è dapprima rimasto nascosto: «Tu infatti, mio Dio, mi hai nascosto ai figli dell'uomo, hai celato in me la tua Legge, fino al momento di rivelare a me la tua salvezza» (inno 1:11). Benché la sua parola sia «l'acqua viva», [143] la sua azione deve restare ancora segreta, ma la radice così innestata crescerà per sempre, «e tutte le nazioni conosceranno la tua verità, e tutti i popoli la tua gloria» (inno J:6:12). Anche Gesù darà a volte ai suoi discepoli istruzioni di segretezza, difficilmente compatibili ai nostri occhi con i suoi miracoli pubblici, e pur prevedendo la diffusione della salvezza.

Poi il Maestro evoca il suo arresto: «Mi hanno accerchiato con le loro armate di guerra», la sua detenzione: «Sono stato infatti legato con corde indissolubili, con catene che non si possono spezzare» (inno J:5:36-37), l'abbandono e la dispersione dei suoi discepoli: «Tutti i miei compagni e i miei familiari furono respinti lontano da me, e mi considerarono come un vaso fuori uso» (inno H:9). Come Gesù, egli ha conosciuto il suo Giuda, e gli applica lo stesso verso del salmo: «Colui che mangia il mio pane con me leverà il calcagno contro di me» (inno J:5:23-24, qui al plurale), — come in Giovanni 13:18.

Come Gesù nel Getsemani, egli ha conosciuto lo scoraggiamento e l'angoscia: «Ero angosciato come una donna che dà alla luce il suo primo figlio» (F:7)... «Quanto a me, terrore e tremore mi hanno catturato, si sono spezzate tutte le mie ossa, il mio cuore si è sciolto come cera di fronte al fuoco» (H:33)... «E risuona l'abisso al mio gemito, la mia anima si avvicina alle porte della morte» (J:6:24) «E la mia anima, in me, era abbattuta fino alla morte, infatti la forza era scomparsa dal mio corpo» (O:32). Ma Dio lo ha confortato: «Non mi hai abbandonato, infatti, nell'angoscia della mia anima, nell'amarezza della mia anima hai ascoltato il mio gemito» (I:12). Egli ha compreso la necessità del suo sacrificio, e lo ha accettato: «E io ho dichiarato ingiusti i miei giudizi, ma dichiarerò giusto il tuo giudizio. Infatti io conosco la tua verità, e io amo il tuo giudizio, e nei colpi che mi colpivano io mi sono compiaciuto» (P:9-10).

Ci rivela i dettagli della sua passione, i clamori ostili della folla: «L'assemblea degli empi infuria contro di me, mugghiano come le tempeste marine quando le onde sono agitate» (B:12), — gli oltraggi: «E tra gli oltraggi, tu non mi hai lasciato senza coraggio» (D:35), — le sevizie (B:7, P:25), — le umiliazioni: «Essi hanno fatto di me un oggetto di disprezzo e di onta» (D:33). 

Egli sa che si vuole la sua vita: «Gli oppressori hanno attentato alla mia vita», ma non sanno che così fanno la volontà di Dio: «È a causa tua che hanno attentato alla mia vita, perché tu fossi glorificato col giudizio degli empi» (C:23-24). È stato condannato da un giudizio che dichiara ingiusto, pur accettandolo (P:9-10). È stato messo «all'interno del confine dell'empietà, dalla stessa parte degli empi» (F:25).

Il Maestro non poteva evidentemente raccontare la sua morte, ma la prevede: «E i lacci di morte circondano senza possibilità di scampo» (F:29), e sa che sarà il segno di cataclismi (F:33:36). L'insieme degli inni riflette quella attesa della morte imminente. [144]

Essa è evocata, troppo rapidamente, nel commentario di Abacuc: «La spiegazione di quelle parole riguarda il Sacerdote che si è rivoltato e ha violato i precetti di Dio e ha perseguitato il Maestro di Giustizia. Ed essi si sono accaniti contro di lui al fine di colpirlo con giudizi iniqui: e malvagi profanatori hanno commesso orrori su di lui e vendette sul suo corpo di carne». [144*]

Infine lui stesso aveva annunciato, come Gesù, la sua  riapparizione gloriosa: «Io resto saldo e mi sollevo su quelli che mi disprezzano» (H:22). E aveva predetto che allora la primavera sarebbe diventata «una fontana eterna» e che la radice che aveva piantato avrebbe dato «frutti per sempre» (O:8 e 20).

Non sappiamo come il Maestro sia stato ucciso, ma non è impossibile che sia stato crocifisso. È un'ipotesi [145] che potrebbe basarsi su un frammento del commentario di Naum: dopo aver evocato colui «che appende uomini vivi sul legno, il che prima non avveniva in Israele» (che potrebbe riferirsi agli 800 crocifissi di Alessandro Ianneo), [145*] il commentario esseno delinea un confronto: «Ma colui che è appeso vivo sul regno, si invocherà». L'ultima parola, che sembra ben doversi riferire al Maestro, è purtroppo incerta, e nessun testo ci permette di assicurare che anche Ircano II abbia fatto crocifiggere degli ebrei.

Se il Maestro di Giustizia fosse stato crocifisso, ciò accentuerebbe ancor di più la sua analogia con Gesù, e si potrebbe pensare che la sua morte sia servita a raccontare più tardi quella di Gesù. Senza dubbio quest'ultima è soprattutto raccontata con l'applicazione di profezie attinte dall'Antico Testamento; ma è ben comprensibile che gli Esseni, conoscendo queste profezie e avendo identificato il loro Maestro al Messia, avessero cercato di stabilire che esse erano state realizzate. Loro potrebbero essere quindi gli autori di queste raccolte di profezie, o Testimonia, di cui abbiamo riconosciuto la necessaria esistenza, e un cui frammento è stato trovato a Qumran. [145**]

Si sono, senza dubbio, rilevate alcune differenze tra il Maestro di Giustizia e Gesù: era inevitabile, 

Come si può pretendere che in due secoli (che separano la morte del Maestro dalla stesura dei vangeli), cambiando contesto e linguaggio, il racconto non si sia modificato, non abbia acquisito nuovi tratti?

Una differenza importante merita che ci si soffermi: il Maestro di Giustizia era un sacerdote, della tribù di Levi, Gesù era un laico della tribù di Giuda (o dato come tale). Ma la natura sacerdotale del Maestro non è segnalata come un tratto dominante della sua persona: egli è molto di più, è il Sacerdote per eccellenza, l'Unto di Dio, insomma il Cristo. In ciò, non differisce da Gesù, chiamato «Unto», e assimilato dall'Epistola agli Ebrei a Melchisedec, che era anche il Sacerdote per eccellenza.

Si dirà infine che da nessuna parte il Maestro di Giustizia è chiamato Gesù. Ma sappiamo che il nome temibile del Messia doveva rimanere nascosto, [146] tranne che per alcuni iniziati, fino al giorno in cui sarebbe permesso rivelarlo. Ora, questo giorno è arrivato, apprendiamo da un testo esseno, «l'Ascensione di Isaia», ed ecco cosa vi leggiamo: «Questo è il tuo Signore, il Signore del mondo, il Signore Cristo, che sarà chiamato nel mondo Gesù». [147] Vi si era sospettata un'interpolazione cristiana, ma è molto meno certa da quando siamo meglio informati sull'Essenismo e sul suo ruolo.

Dopo queste parole, è detto: «L'arconte di questo mondo stenderà la sua mano sul Figlio di Dio, lo ucciderà e lo SOSPENDERÀ AL LEGNO, egli lo ucciderà senza sapere chi è». [148] Se è il Maestro di Giustizia, è dunque stato davvero crocifisso. E questa è esattamente l'espressione che l'apostolo Paolo ripeterà per Gesù, assimilato alla Sapienza divina «che nessuno degli arconti di questo mondo ha conosciuta; se l'avessero conosciuta, non avrebbero sospeso al legno il Signore della gloria». [149]

Si converrà che tutti questi accostamenti sono terribilmente inquietanti: per il loro numero e la loro precisione, permetterebbero quasi di collegare il cristianesimo al Maestro di Giustizia e al suo supplizio, senza far intervenire un nuovo Gesù al tempo di Tiberio. 

Non c'è dubbio, in ogni caso, che i ricordi della passione del Maestro di Giustizia siano stati utilizzati per raccontare quella di Gesù, infatti si sapeva molto di più sul primo che sul secondo.

NOTE

[107] Si veda A l'école de la raison, e Les origines sociales du christianisme, Ed. Rationalistes.

[108] DANIÉLOU, Les manuscrits de la mer Morte et les origines du christianisme.

[109] Documento di Damasco.

[110] 1 Corinzi 11:25. E anche dell'epistola agli Ebrei (Ebrei 8:13).

[111] Luca 22:20.

[112] Inno F:18:14.

[113] 41 volte nei sinottici, 12 volte in Giovanni.

[114] Daniele 7:13.

[115] L'espressione è stata ripresa nel vangelo di Tommaso (logion 86). Si noterà che l'espressione finale «la luce dei popoli» sembra già annunciare l'apertura del «regno» ai non-ebrei: vedremo che questa è probabilmente una delle innovazioni essenziali introdotte dal Maestro di Giustizia, prima di essere realizzata dall'apostolo Paolo.

[116] Matteo 19:28, riferimento a Enoc 51:3.

[117] Luca 22:30, riferimento a Enoc 52:10-14.

[118] Quella regola sola può spiegare la punizione di Anania e di Saffira in Atti 5:1-10.

[119] Si veda Deuteronomio 15:6.

[120] Matteo 6:25.

[121] Matteo 19:21.

[122] Marco 10:21, Luca 18:22.

[123] Luca 12:33.

[124] GIUSEPPE, Guerra Giudaica, 2:8:4.

[125] Matteo 10:9-11.

[126] Matteo 5:1 e seguenti.

[127] Luca 6:17 e seguenti.

[128] Matteo 5:21 e seguenti.

[129] Guerra Giudaica 2:8:4.

[130] Isaia 26:20.

[131] Levitico 19:18; Proverbi 25:21.

[132] Marco 12:29-31, Matteo 22:37-39, Luca 10:27.

[133] Matteo 7:24-27. Stessa immagine in Luca 6:47-49.

[134] Inno L, 6-9. Si veda anche Inno J, 24-29.

[135] 2 Enoc 42:6-14, 44:2-3, 45:3, 52:1-15, 60:1.

[136] Il termine era già in Giuseppe, ma non si aveva saputo comprenderlo, vi si aveva visto una semplice allusione a Mosè.

[137] Enoc 46:3. Si trova pure l'appellativo «Messia di Giustizia» (Benedizioni patriarcali, 3-4).

[138] Documento di Damasco, Inni, ecc. Per tutte queste analogie, si veda A. RAGOT, Messie essénien et Messie chrétien, Cahier E. Renan, 1963.

[139] Il termine è giustificato dal carattere sacerdotale del Maestro, e potrebbe spiegare l'applicazione del termine «Cristo» (unto) a Gesù, se quest'ultimo poteva essere considerato il Maestro riapparso ai discepoli.

[140] La sua esistenza non è più messa in discussione. Si veda DUPONT-SOMMER, Les écrits esséniens... (Payot, 3° edizione 1968, pag. 369 ss.).

[141] «Noi non ne facemmo stima alcuna» (Isaia 53:3). 

[142] DUPONT-SOMMER, Aperçus peéliminaires sur les manuscrits de la mer Morte, pag. 121.

[142*] Inno P:9:29-31.

[143] Come in Giovanni 4:32.

[144] Tutte le citazioni che precedono sono estratte da traduzioni di Dupont-Sommer, negli Ecrits esséniens (op. cit.) con la sua numerazione.

[145] Difesa da A. RAGOT, Aux sources du christianisme, Cahier E. Renan, 2° trim. 1967, pag. 12.

[145*] Flavio Giuseppe, Antichità 13:14:2 (si trattava di Farisei).

[145**] Si veda DUPONT-SOMMER, op. cit., pag. 330.

[146] Enoc, già citato, e così Ascensione di Isaia 7:37.

[147] Ascensione di Isaia 9:5. Queste parole finali del manoscritto etiope mancano nella versione latina (e nella versione slava). Si veda anche Gesù il Signore Cristo in 4:13.

[148] Ascensione di Isaia 9:14.

[149] 1 Corinzi 2:7-9.  

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