martedì 1 dicembre 2020

«Il Quarto Vangelo» (Joseph Turmel) — Introduzione

Il Dio di Coincidenza 
Può qualcuno negare che 
Una cosa dopo l'altra 
In sequenza e logica 
Mai vista prima 
Non può essere che la 
Interferenza di un Dio 
Determinata a provare che 
Ognuno che pretende 
Di conoscere ora 
Una cospirazione è 
Demente?
(Kent Murphy)

E il primo governatore disse alle dominazioni che risiedevano presso di lui: «Venite, creiamo un essere umano a immagine di Dio e a nostra immagine cosicché l'immagine dell'essere umano possa fungere per noi da faro». E portarono a termine l'atto di creazione grazie al potere di ciascuno, secondo le caratteristiche date loro. E ogni governatore versò nella psiche di quell'essere una caratteristica corrispondente alla rappresentazione dell'immagine che avevano visto. E crearono un'entità, a immagine del primo e perfetto essere umano. E dissero: «Chiamiamolo Adamo, cosicché potremo forse avere il suo nome come un potere incandescente». E i governatori iniziarono:

Il primo, la gentilezza, creò le vere ossa.
Il secondo, la lungimiranza, creò i veri tessuti connettivi.
Il terzo, la divinità, creò la vera carne.
Il quarto, l'autorità, creò il vero midollo.
Il quinto, la sovranità, creò il vero sangue.
Il sesto, lo zelo, creò la vera pelle.
Il settimo, l'intelligenza, creò i veri capelli.


Il primo, Raphaô, iniziò con il formare il cocuzzolo della testa.

Arôna formò il cranio.
Meniggesstrôeth formò il cervello.
Asterekmê, l'occhio sinistro.
Thaspomakha, l'occhio destro.
Ierônumos, l'orecchio sinistro.
Bissoumeeni, l'orecchio destro.
Akiôreim, le narici.
Banênephroum, le labbra.
Amon-ffShata, i denti anteriori.
Ibikan, i denti posteriori.
Adabani, la nuca.
Khaamani, la gola.
Têbar, la spalla sinistra.
Dêarkô, la spalla destra.
Abitriôon, la mano sinistra.
Euanthên, la mano destra.
Astrôpsamini, il capezzolo sinistro.
Barrôph, il capezzolo destro.
Baoum, l'ascella sinistra.
Ararim, l'ascella destra.
Phthauê, l'ombelico.
Gêsole, lo stomaco.
Aggromauma, il cuore.
Mnashakka, l'orifizio anale.
Eilô, il pene.
Sôrma, i testicoli.
E Sôrma, la vagina.
Ormaôth, la gamba sinistra.
Psêrêem, la gamba destra.
Akhiêl, il piede sinistro.
Phnêmê, il piede destro.
Boozabel, le dita del piede sinistro.
Phiknipna, le dita del piede destro.

(da un non so quale antico testo gnostico)
Quale è l'esatta natura dello gnosticismo? Che cos'è di preciso, e cos'è uno gnostico? Che cos'è la gnosi? Per quanto riguarda la mia opinione, mi piace parteggiare per loro,  gli gnostici, senza esserne, però, un seguace a mia volta; pertanto, enuncerò la fondamentale convinzione gnostica in modo conciso: i veri gnostici ritengono che esistano nell'universo due potenze uguali e contrarie, una buona e una malvagia, e che esse siano in perpetua lotta fra loro. La forza buona ha creato lo spirito, quella malvagia la materia. La materia, l'esistenza materiale, la forma corporea, il corpo, la carne, sono male. Imprigionano e rendono schiavo lo spirito. Nascendo nel mondo della materia, gli esseri umani sono decaduti dalla loro vera condizione spirituale; obiettivo della loro esistenza è di farvi ritorno. Il diavolo (o perlomeno, un diavolo) ha creato questo mondo, che è l'inferno. Ecco il nocciolo dello gnosticismo, la sua essenza nel palmo della mano. E vi stupite se io parteggio per esso con tanto entusiasmo, pur essendo ateo e anzi, proprio essendo ateo?

Guardatevi bene attorno. Osservate questo mondo con sguardo critico, onesto, senza pregiudizi. Guardate la sofferenza, la miseria, tutto il male che questo mondo racchiude, e domandatevi: Dio ha realmente creato tutto questo? Potreste forse scoprirvi gnostici, se ancora volete sentirvi «spirituali». Ma, per favore, non chiamatemi spirituale. Io sono ateo. E non perché il male fa a pugni con la realtà di un dio creatore, bensì perché non esiste qualcosa come un «male» e un «bene» morali, perché sono le emozioni a far immaginare nella mente umana quel «bene» e quel «male» morali, e perché le suddette emozioni esistono in virtù della cieca selezione naturale, perché aumentavano le speranze di sopravvivenza dei geni degli individui che originavano quelle emozioni, non a causa di un valore intrinseco in quel «bene» e quel «male» 

Ma gli gnostici non conoscevano l'evoluzione per selezione naturale. Al suo posto, c'era una sorta di evoluzione regressiva degli «eoni» per emanazione dai precedenti, e nel processo di generazione degli eoni l'ultimo di essi, ultimo di una serie di eoni corrotti, era all'origine del male.  
 
Pensateci un attimo, vi prego: Dio avrebbe mai potuto creare qualcosa soggetto alla degenerazione, al declino e alla morte? Dio avrebbe mai creato qualcosa destinato a sentire dolore? A sanguinare, vomitare, suppurare, defecare, orinare e infettarsi? E anche ammettendo che sia capace di un tale atto di creazione, avrebbe voluto compierlo? Non vi sembra invece che l'artefice di questo mondo abbia davvero rovinato tutto? E forse addirittura deliberatamente?

I grandi maestri gnostici concordano in pieno su questi principi fondamentali, ma li hanno fissati incorporandoli (o meglio, incastonandoli) in vari sistemi metafisici complessi e astrusi di loro concezione; molto spesso questi maestri avevano una certa predilezione per l'eufuismo, e talvolta si tratta davvero, in tutta onestà, di ignotum per ignotius. Sono il primo ad ammettere che, per quanto sublime sia il suo pensiero, i testi dello stesso Valentino (carichi di termini ambigui, di arcaismi, di roboante lirismo zeugmatico e di autentica bile!) non di rado risultino difficili da penetrare. 

Ad esempio, si prenda il passo del vangelo di Giovanni che recita così:
Omnia per ipsum facta sunt;
et sine ipse factum est nihil, quod factum est.

La tradizione e interpretazione gnostica di queste parole differisce da quella della chiesa cattolica. I cattolici le intendono come: «Niente è stato creato senza di lui». Al contrario, gli gnostici le intendevano così: «Il niente è stato creato, ed è stato creato senza di lui». Ogni traduzione è un'interpretazione: come potrebbe essere altrimenti? Ora, secondo gli gnostici, il niente che coincide con l'inferno del nostro mondo è stato creato senza il Verbo divino. Ma non è il «nostro» mondo perché siamo a esso estranei ed esuli in esso. La nostra origine, e vera dimora, è il regno di luce del Padre. Perché questo mondo è stato creato dal nemico del Padre, il diavolo, e ogni forma materiale, ogni vita e ogni istinto carnale, ogni sviluppo e ogni decadimento corporeo sono opera sua. 

Non so perché gli gnostici dell'antichità avessero questa inclinazione a indugiare in così complicate speculazioni, ma così è; le loro menti erano forse strumenti ovipari, che schiudevano eterogenei ovetti mentali, e forse era inevitabile, visto che erano costretti a lottare contro il torpore e l'oscurità di quello che era per loro un immenso errore, sorto appena dopo che 12 folli e dementi cosiddetti discepoli si accinsero a falsificare e a corrompere e a falsificare — ossia a «giudaizzare» — il messaggio del Cristo del Dio Buono, credendolo erroneamente il loro agognato Messia ebraico. O almeno così era la loro versione dei «fatti». Ma alcuni di loro, e nella fattispecie alcuni della setta di Valentino, ci vedevano così bene da intuire dove esattamente era il vero inganno, la grande cospirazione, dal momento che così il folle apologeta proto-cattolico Tertulliano parla di loro:
«Invece [essi credono], fu sottoposto alla passione il Cristo psichico e corporeo, formato per riprodurre il Cristo che sta in alto, cioè quello che, nel dare ad Achamoth una formazione relativa all’essere e non relativa alla conoscenza, era stato steso sulla Croce, cioè Horos. Così costringono tutto in immagini, evidentemente Cristiani immaginari pure loro stessi».
(Contro i valentiani, 27, mia enfasi)

Che cos'era, nella concezione valentiniana, questa Croce chiamata «Horos»? E soprattutto, dov'era?
Affinché dunque agli eoni perfetti non fosse assolutamente visibile la mancanza di forma dell'aborto, di nuovo anche il Padre emanò un eone, la Croce (Staurós), il quale fu generato grande, perché grande e perfetto era il Padre, prodotto per fare da fortificazione e da muraglia degli eoni: è il limite del Pleroma, avente al suo interno tutti insieme i trenta eoni; questi sono infatti quelli che furono emanati. È chiamato «Limite» (Horos), poiché separa dal Pleroma la mancanza, «Partecipe», perché partecipa anche della mancanza, «Croce» perché è confitto stabilmente e immobilmente, di modo che niente della mancanza possa arrivare vicino agli eoni dentro il Pleroma.
(folle apologeta proto-cattolico pseudo-Ippolito, Confutazione di tutte le eresie, 6:31, mia enfasi)
È evidente che non si sta affatto parlando qui di una «Croce» romana, bensì di una croce cosmica, che faceva da barriera tra i cieli superiori e i cieli inferiori: ma allora il Cristo fu crocifisso, per quelli «eretici», non sulla terra, ma su quella croce cosmica! In pratica, quelli «eretici» stavano nascondendo le loro vere dottrine cosmiche (intorno alla passione celeste dell’Eone Cristo, posto sul limite «Horos», o Croce) dietro un testo di facciata chiamato vangelo. Stavano cioè razionalizzando i loro miti cosmici. E nel contempo volevano nasconderli ai non-iniziati. Esattamente ciò che la miglior tesi miticista si aspetta che fecero proprio gli autori anonimi del Vangelo Più Antico.

La cosa curiosa è che un vangelo gnostico, gli Atti di Giovanni, si vanta apertamente di costituire e raccontare una mera allegoria — e nient'altro — rispetto ai veri fatti svoltisi in cielo (e soltanto in cielo). E di nuovo ricompare la «Croce» cosmica:

Il venerdì in cui fu appeso all'ora sesta del giorno, caddero le tenebre su tutta la terra. Il mio Signore stette in mezzo alla grotta, illuminandola e mi disse: «Giovanni, per il volgo di Gerusalemme io sono crocifisso, sono trapassato con lance e canne, e mi è dato da bere aceto e fiele, ma a te dico: ascolta quanto dico. ...».
Dopo avere parlato così, mi mostrò una croce di luce, stabile, e attorno alla croce c'era una grande folla di aspetto diverso, ma dentro di essa aveva lo stesso e identico aspetto. Sulla croce vidi lo stesso Signore che non aveva alcuna forma, ma solo una voce. E non quella voce che ci era familiare, bensì una voce dolce, soave e veramente divina che mi disse:
«Giovanni, è necessario che uno ascolti da me queste cose, giacché ho bisogno di uno che ascolti.
Questa croce di luce ... in realtà, considerata in sé stessa, concepita ed espressa per noi, essa è la distinzione di ogni cosa ...
Questa non è la croce di legno che tu vedrai allorché scenderai di qui, né io sono quello che è sulla croce e che tu ora non vedi, ma del quale odi soltanto una voce.
Io ero considerato ciò che non sono, non essendo io ciò che sono per molti altri. Ciò che essi diranno di me è misero e non degno di me.
Se il luogo del riposo non si può vedere né di lui si può parlare, tanto meno posso essere visto io, il tuo Signore.
La folla uniforme che è attorno alla croce è la natura inferiore. ...
Non curarti, dunque, dei molti e disprezza coloro che sono fuori del mistero. ...
Io dunque non ho sofferto alcuna di quelle cose che essi diranno a mio riguardo; ed anche la passione che danzando ho indicato a te e agli altri, voglio che sia chiamata un mistero. …
Tu senti (dire) che io patisco,
ed io invece non ho patito,
che io non patisco,
ed io invece ho patito
,
che io sono trafitto,
ed io invece non sono stato sconfitto,
che io sono appeso, ed invece io non sono stato appeso,
che da me è uscito sangue,
ed invece non è uscito.
In breve: ciò che quelli affermano di me, non ha avuto luogo, mentre ciò che essi non affermano è proprio ciò che ho patito.
Ora ti indicherò qual è il significato di questo: so, infatti, che tu comprenderai. Conoscimi dunque come tormento del logos, trafiggimento del logos, sangue del logos, ferita del logos, affissione del logos, dolore del logos, inchiodatura del logos, morte del logos. Parlo così prescindendo dall'uomo.
...».
Dopo che egli mi disse queste cose e altre ancora che io non so riferire come lui vuole, fu assunto senza essere visto da alcuna folla. Ed allorché discesi, io li deridevo tutti, poiché egli mi aveva detto quanto essi mi dicevano su di lui. Tenni fermo in me stesso soltanto questo: il Signore ha compiuto tutte le cose in modo simbolico, e provvedendo alla conversione e alla salvezza degli uomini.
(Atti di Giovanni, 97:2-102:1, mia enfasi)


Sia pure a loro modo, gli gnostici sapevano molto, troppo, delle vere origini del mito di Cristo, senza neppure realizzare che si trattava di un mito. Ma sapevano abbastanza per non prendere alla lettera nessun vangelo. Dopotutto, non erano mica scientifici come potevano esserlo, per quei tempi, i seguaci di un Democrito o di un Lucrezio. Dovrebbe essere chiaro, a questo punto, perché gli gnostici furono fatti sparire.

Eppure, qualcosa di genuinamente «gnostico» è rimasto.

Dove meno te lo aspetti. 



Il Quarto Vangelo
         
Titolo originale: Le quatrième évangile, Rieder, 1925.

di Joseph Turmel (pseudonimo: Henri Delafosse)

 Traduzione in italiano di Giuseppe Ferri


INTRODUZIONE


Quasi mezzo secolo fa, Renan (L'Eglise chrétienne, pag. 58) definì il quarto Vangelo «uno scritto di nessun valore se si tratta di sapere come Gesù parlò, ma superiore ai Vangeli sinottici in quel che concerne l'ordine dei fatti». La prima parte di questo verdetto è oggi generalmente adottata, ma della sua seconda parte non resta più che un ricordo. Le inchieste numerose e rigorose alle quali è stato sottoposto il quarto Vangelo da venticinque o trent'anni stabiliscono che questo libro è stato composto al di fuori di ogni preoccupazione storica. Nelle righe che seguono si suppongono acquisiti i risultati della critica. Si ritiene provato che il quarto Vangelo è una lunga finzione. E si parte da questo fatto per tentare di rischiarare le sue origini
. [1]

NOTE

[1] Opere di lingua francese da consultare: Renan, L'Eglise chrétienne, pag. 45-62; J. Réville, Le quatrième Evangile, 1901; Loisy, Le quatrième évangile, di cui una prima edizione è apparsa nel 1905 e di cui la seconda è del 1921; M. Goguel, Introduction au Nouveau Testament, tomo II, Parigi, 1924. Si troveranno in questi ultimi libri tutta la letteratura del soggetto. Tra i commentari antichi io mi limito a segnalare quello di Grotius, Opera, II, 473-574, Londra, 1679.

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