venerdì 30 ottobre 2020

LA PASSIONE DI GESÙ: FATTO DI STORIA O OGGETTO DI CREDENZAPatria e destinatari del Vangelo.




Patria e destinatari del Vangelo.

Altrettanto importante della determinazione dell'epoca del Vangelo è quella della regione dove ha visto la luce. Eusebio riporta, secondo Clemente di Alessandria (fine del II° secolo), che è stato scritto a Roma; [78] ma quella tradizione potrebbe essere considerata legata a quella che fa di Marco un discepolo di Pietro e che non sembra dover essere accettata. [79] Tuttavia tutti i critici concordano oggi nel ritenere probabile la composizione a Roma: il principale argomento è la particolare abbondanza di latinismi nel testo greco di questo Vangelo, argomento confermato dall'antichità della traduzione latina. [80]

Nondimeno vi è motivo di pensare che il Vangelo di Marco sia stato scritto nella stessa lingua degli altri tre e delle Epistole di Paolo; ciò è tanto più naturale in quanto la comunità cristiana a Roma sembra essere stata reclutata in gran parte, non solo nel I° secolo, ma anche nel II° secolo, tra gli stranieri provenienti dalla Siria, dall'Asia Minore e dall'Egitto, che leggevano e scrivevano in greco piuttosto che in latino. È in greco che sono stati scritti i documenti più antichi che la Chiesa romana ci ha lasciato. Se fosse stato scritto in latino, dalla fine del I° secolo, allora il Vangelo di Marco avrebbe costituito un'eccezione. [81]

D'altra parte l'autore sembra essere per l'origine un israelita, e non un pagano. «Conosce l'aramaico, perché impronta ad esso, per autenticare il suo racconto, un buon numero di termini, di cui lui stesso dà la traduzione: dei nomi comuni, come Golgota, «cranio» (15:22); dei soprannomi, come Boanerghes, «figli del tuono» (3:17); dei titoli onorifici, come Rabbì, «maestro» (9:5 ecc.), Abbà, «padre» (15:36); delle espressioni imperative, come talitha koum, «fanciulla, alzati» (5:41)...» Altre volte, Marco impiega delle parole aramaiche senza tradurle: Cafarnao, dato come residenza abituale del Cristo; ma «il nome vuol dire: «villaggio del Consolatore». Gesù risorge la figlia di Giairo e presenta quella resurrezione come una rinascita (5:39); ma Giairo significa giustamente «il risvegliato». Solo un Israelita familiarizzato con le sottigliezze della sua lingua madre può abbandonarsi a tali giochi di parole. [82]

Tuttavia, sebbene gli ebrei fossero molto numerosi nella Chiesa cristiana di Roma e ne abbiano fornito i primi adepti, non è per loro che Marco ha principalmente scritto. Un tale pubblico senza dubbio non avrebbe avuto bisogno che gli si traducesse l'aramaico, che doveva essere la sua lingua corrente. L'evangelista, del resto, gli si sarebbe rivolto in termini ben diversi. Parla degli ebrei come di stranieri, di cui i suoi lettori ignorano i costumi; per esempio, in occasione della discussione di Gesù con i farisei (7:3-4), egli insiste sulle molte abluzioni che fanno gli ebrei. Tali spiegazioni non possono rivolgersi che ai pagani convertiti. [83]

NOTE

[78EUSEBIO, Storia ecclesiastica, 2, 15:1-2.

[79] Si veda ALFARIC, op. cit., pag. 54.

[80] Si veda ALFARIC, op. cit., pag. 45-46 e pag. 55. Si veda GUIGNEBERT, Jésus, pag. 39 e LOISY, La naissance du christianisme, pag. 50-52.

[81] Si veda ALFARIC, op. cit., pag. 52-57.

[82] ALFARIC, op. cit., pag. 42-43. Per la frase intera in aramaico che Gesù avrebbe pronunciato sulla croce, si veda più avanti, pag. 206-208.

[83] Si veda ALFARIC, op. cit., pag. 47.

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