mercoledì 30 settembre 2020

LA PASSIONE DI GESÙ: FATTO DI STORIA O OGGETTO DI CREDENZAGesù, successore di Melchisedec.



Gesù, successore di Melchisedec.

Nel capitolo 7, l'Epistola dichiara Gesù prefigurato da Melchisedec, personaggio del Libro della Genesi (14:18-20), qualificato come sacerdote del Dio Altissimo Dio, bruscamente introdotto nel racconto delle gesta di Abramo, a cui offre del pane e del vino, che egli benedice, e a cui gli dà la decima del bottino, senza che  alcuna informazione sia fornita su di lui. L'Epistola spiega che «questo Melchisedec, re di giustizia e re di pace — che è senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di vita, — ma che è fatto simile al Figlio di Dio, — questo Melchisedec rimane sacerdote in eterno...» (7:2-3).

D'altra parte, l'Epistola precisa che Gesù, il nuovo «sacerdote in eterno, secondo l'ordine di Melchisedec» (si veda 5:6), andrà a sostituirsi ai figli di Levi, che esercitano il sacerdozio, secondo l'ordine di Aronne, e questo cambiamento di sacerdozio corrisponde ad un cambiamento della legge. «Infatti è noto che il nostro Signore si è levato da Giuda, in riferimento a cui Mosè non disse nulla riguardo al sacerdozio» (7:12-14).

In che modo Loisy ha interpretato questo confronto di Gesù con il personaggio biblico di Melchisedec? In Histoire et mythe (1938), egli dichiarava: «È sfuggito a Couchoud che il tipo di Melchisedec è ricco di indicazioni in rapporto alla concezione del Cristo che si è formata l'autore dell'Epistola e che Gesù, nella sua esistenza terrena, è ritenuto aver realizzata: vale a dire essere stato «senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di vita» in questo mondo, ma con una vita reale e umana, tra quel principio eterno e quel coronamento senza fine della sua esistenza... Gli è sfuggito che se il Cristo è detto «essersi levato da Giuda», è perché è apparso in Giudea, senza essere realmente uscito da Giuda». [113]

Tuttavia, in un libro precedente, Remarques sur la littérature épistolaire du Nouveau Testament (1935), Loisy si esprimeva in tutt'altra maniera: «È soprattutto come re di giustizia e come re di pace che Melchisedec prefigura il Cristo. E lo prefigura proprio così negli altri aspetti che ci sono indicati, anche i quali, bisogna ammetterlo, non hanno il loro pieno significato che nel Cristo.... Egli è «senza padre, senza madre, senza genealogia», — da cui consegue che le genealogie di Matteo e di Luca sono ignorate o trascurate, — «senza principio di giorni», — leggiamo: senza nascita terrena, — «senza fine di vita», — perché la sua morte non è stata che il suo ingresso nell'immortalità, fatto che esclude il soggiorno nella Tomba e la resurrezione corporale. Ecco quel che dice il nostro testo, e la gnosi [114] che esprime non è certo meno sprovvista di originalità né di audacia: il Cristo è apparso sulla terra senza esservi nato, e non vi è morto che per entrare nell'eternità. Il «velo» della «sua carne» (10:20) non si è rotto che per aprirgli l'accesso del cielo. E dunque «egli non ha avuto fine di vita». [115]

Riguardo all'espressione particolare: «Nostro Signore si è levato da Giuda», Loisy spiegava: «egli si è levato come un astro, e questa è un'allusione alla stella di cui parlava» il profeta Balaam nel Libro dei Numeri (24:17). [116] Da parte sua, un altro critico, Alfaric, ha soprattutto trattenuto, nello stesso passo dell'Epistola agli Ebrei, la provenienza da Giuda e vi ha visto un'allusione ad un altro verso della Bibbia, «la famosa profezia di Giacobbe» [117] nella Genesi (49:10): [118] «Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone del comando tra i suoi piedi, finché verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta l'obbedienza dei popoli». [119] In ogni caso, si può pensare che il Loisy del 1933-1935 e l'Alfaric del 1954, in disaccordo sulla realtà di una carriera terrena di Gesù, erano d'accordo nel vedere nel verso di Ebrei la costruzione di una figura mitica, sulla base di testi della Bibbia.

NOTE

[113] LOISY, Histoire et mythe, pag. 103-104.

[114] Si veda più avanti Appendice 2, pag. 253.

[115] LOISY, Remarques (1935), pag. 109.

[116] LOISY, Remarques, pag. 109; stessa interpretazione nel suo libro precedente, La naissance du christianismme (1933), pag. 30, nota 1. La stessa reminiscenza si troverebbe nell'Apocalisse 22:16: si veda più avanti Appendice 3, pag. 293.

[117] ALFARIC, Le probléme de Jésus (1954), pag. 24.

[118] Riproduciamo di seguito la traduzione di Edouard DHORME, La Bible, volume 1, L'Ancien Testament, primo volume (Bibliothèque de la Pleiade), 1956, pag. 169.

[119] Il grande professore di storia religiosa del popolo ebraico, Edouard DHORME, vede in questo verso della Genesi una «allusione tardiva alla regalità ebraica, che deve durare fino ai tempi messianici» (nota, pag. 169 del volume menzionato sopra). D'altra parte molte traduzioni della Bibbia recitano: «finchè venga Sciloh», riproducendo semplicemente la parola ebraica, di cui si riconosce che non è comprensibile. Su questo punto, Edouard Dhorme si spiega così: «L'enigmatico shîlôh, che interpretiamo con shé-lô, «a cui appartiene», è stato considerato un riferimento al Messia. La Vulgata «(edizione latina della Bibbia ad opera di san Girolamo, nel IV° secolo)» ricorre al verbo shâla «inviare» e traduce: qui mittendus est; lo scettro appartiene a colui che deve venire» (stessa nota della pag. 169).

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