martedì 9 aprile 2019

LE TESTIMONIANZE SULLA STORICITÀ DI GESÙ di Arthur DrewsL'Interpretazione Mitico-Simbolica dei Vangeli.


7. L'INTERPRETAZIONE MITICO-SIMBOLICA DEI VANGELI.  

(a) La sofferenza e l'Esaltazione del Messia.
— L'interpretazione mitico-simbolica dei vangeli vede in Isaia 53 la cellula germinale della storia di Gesù, il punto di partenza di tutto ciò che gli è relativo, il nucleo solido attorno a cui tutto il resto si è cristallizzato.

Il profeta tratta del “servo di Jahvè”, che si sottomette volontariamente alla sofferenza per espiare il peccato e la colpa del popolo: 
Disprezzato e rigettato dagli uomini, uomo dei dolori, conoscitore della sofferenza, simile a uno davanti al quale ci si nasconde la faccia, era disprezzato, e noi non ne facemmo stima alcuna. 
Eppure egli portava le nostre malattie e si era caricato dei nostri dolori; noi però lo ritenevamo colpito, percosso da Dio ed umiliato. 
Ma egli è stato trafitto per le nostre trasgressioni, schiacciato per le nostre iniquità; il castigo per cui abbiamo la pace è su di lui, e per le sue lividure noi siamo stati guariti. 
Noi tutti come pecore eravamo erranti, ognuno di noi seguiva la propria via, e l'Eterno ha fatto ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti. 
Maltrattato e umiliato, non aperse bocca. Come un agnello condotto al macello, come pecora muta davanti ai suoi tosatori non aperse bocca. 
Fu portato via dall'oppressione e dal giudizio; e della sua generazione chi riflettè che era strappato dalla terra dei viventi e colpito per le trasgressioni del mio popolo? 
Gli avevano assegnato la sepoltura con gli empi, ma alla sua morte fu posto col ricco [gli empi], perché non aveva commesso alcuna violenza e non c'era stato alcun inganno nella sua bocca. 
Ma piacque all'Eterno di percuoterlo, di farlo soffrire. Offrendo la sua vita in sacrificio per il peccato, egli vedrà una progenie, prolungherà i suoi giorni, e la volontà dell'Eterno prospererà nelle sue mani. 
Egli vedrà il frutto del travaglio della sua anima e ne sarà soddisfatto; per la sua conoscenza, il giusto, il mio servo, renderà giusti molti, perché si caricherà delle loro iniquità. 
Perciò gli darò la sua parte fra i grandi, ed egli dividerà il bottino con i potenti, perché ha versato la sua vita fino a morire ed è stato annoverato fra i malfattori; egli ha portato il peccato di molti e ha interceduto per i trasgressori.
Il credo generale è che qui si sta trattando delle sofferenze di Israele nell'interesse di tutta l'umanità. Secondo Gunkel e Gressmann, tuttavia, l'idea del giusto sofferente è unita ad un'allusione al dio che espia i peccati degli uomini con la sua morte volontaria. Certamente vi scopriamo tutti gli aspetti essenziali del Cristo sofferente, che si sacrifica per l'umanità ed espia i suoi peccati. Che i primi cristiani sentissero ciò lo constatiamo in Marco 9:12, e 15:28; Matteo 8:17 e 26:23; 1 Pietro 2:21; e in Atti 8:28-35, dove le parole del profeta sono espressamente applicate a Gesù.

Isaia 53 parla dei “dolori” del giusto. Ma Platone, che ha descritto a sua volta, nella sua Repubblica, le persecuzioni e le sofferenze che colpiscono il giusto, lo raffigura flagellato, torturato, gettato in prigione e infine impalato (“crocifisso”); [1] e nella Sapienza gli empi cospirano per condannare il giusto ad una “morte vergognosa”. Secondo Deuteronomio (21:23), non c'era morte più vergognosa del “rimanere sull'albero” (in greco xylon e stauros, in latino crux); così che questa si presentò naturalmente come la vera maniera della morte del giusto. Allora il motivo particolare della morte fu fornita dal brano della Sapienza e dall'idea di Platone. Egli morì vittima degli ingiusti, degli empi, che dicono:
Spadroneggiamo sul giusto povero.......Tendiamo insidie al giusto, perché ci è di imbarazzo ed è contrario alle nostre azioni; ci rimprovera le trasgressioni della legge e ci rinfaccia le mancanze contro l'educazione da noi ricevuta. Proclama di possedere la conoscenza di Dio e si dichiara figlio del Signore. È diventato per noi una condanna dei nostri sentimenti; ci è insopportabile solo al vederlo, perché la sua vita è diversa da quella degli altri, e del tutto diverse sono le sue strade. Moneta falsa siam da lui considerati, schiva le nostre abitudini come immondezze. Proclama beata la fine dei giusti e si vanta di aver Dio per padre. Vediamo se le sue parole sono vere; proviamo ciò che gli accadrà alla fine. Se il giusto è figlio di Dio, egli l'assisterà, e lo libererà dalle mani dei suoi avversari. Mettiamolo alla prova con insulti e tormenti, per conoscere la mitezza del suo carattere e saggiare la sua rassegnazione. Condanniamolo a una morte infame, perché secondo le sue parole il soccorso gli verrà. La pensano così, ma si sbagliano; la loro malizia li ha accecati. Non conoscono i segreti di Dio.
Quelle parole suggeriscono il grido del martirizzato e insultato nel ventiduesimo salmo, i cui tormenti richiamano a loro volta la morte “sull'albero”:
 Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?.......Dio mio, invoco di giorno e non rispondi.......Ma io sono infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo. Mi scherniscono quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo: Si è affidato al Signore, lui lo scampi; lo liberi, se è suo amico.......Come acqua sono versato, sono slogate tutte le mie ossa........È arido come un coccio il mio palato, la mia lingua si è incollata alla gola.......Un branco di cani mi circonda, mi assedia una banda di malvagi; hanno forato le mie mani e i miei piedi [come un leone sono alle mie mani e ai miei piedi], posso contare tutte le mie ossa. Essi mi guardano, mi osservano: si dividono le mie vesti, sul mio vestito gettano la sorte.
È detto inoltre nel libro della Sapienza:
Le anime dei giusti, invece, sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero; la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace. Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi, la loro speranza è piena di immortalità. Per una breve pena riceveranno grandi benefici, perché Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé: li ha saggiati come oro nel crogiuolo e li ha graditi come un olocausto. Nel giorno del loro giudizio risplenderanno; come scintille nella stoppia, correranno qua e là. Governeranno le nazioni, avranno potere sui popoli e il Signore regnerà per sempre su di loro. Quanti confidano in lui comprenderanno la verità; coloro che gli sono fedeli vivranno presso di lui nell'amore, perché grazia e misericordia sono riservate ai suoi eletti. Ma gli empi per i loro pensieri riceveranno il castigo, essi che hanno disprezzato il giusto e si son ribellati al Signore.
In quelle parole percepiamo chiaramente l'idea fondamentale dei misteri cristiani. L'amore del “Signore” e la fiducia in lui sono per i buoni e per i giusti le condizioni della loro gloriosa esaltazione e di una vita eterna con Dio dopo la morte: “Sì, Dio ha creato l'uomo per l'immortalità; lo fece a immagine della propria natura. Ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo” (2:23). Quindi i malvagi cadono irrimediabilmente dinanzi a lui, non importa per quanto tempo godano la vita sulla terra. Il giusto, d'altra parte, muore giovane: 
Fu rapito.......Giunto in breve alla perfezione, ha compiuto una lunga carriera. La sua anima fu gradita al Signore; perciò egli lo tolse in fretta da un ambiente malvagio.......Il giusto defunto condanna gli empi ancora in vita; una giovinezza, giunta in breve alla perfezione, condanna la lunga vecchiaia dell'ingiusto.......Le folle vedranno la fine del saggio, ma non capiranno ciò che Dio ha deciso a suo riguardo né in vista di che cosa il Signore l'ha posto al sicuro. Vedranno e disprezzeranno, ma il Signore li deriderà.......Si presenteranno tremanti al rendiconto dei loro peccati; le loro iniquità si alzeranno contro di essi per accusarli. Allora il giusto starà con grande fiducia di fronte a quanti lo hanno oppresso e a quanti han disprezzato le sue sofferenze. Costoro vedendolo saranno presi da terribile spavento, saranno presi da stupore per la sua salvezza inattesa. Pentiti, diranno fra di loro, gemendo nello spirito tormentato: Ecco colui che noi una volta abbiamo deriso e che stolti abbiam preso a bersaglio del nostro scherno; giudicammo la sua vita una pazzia e la sua morte disonorevole. Perché ora è considerato tra i figli di Dio e condivide la sorte dei santi? Abbiamo dunque deviato dal cammino della verità; la luce della giustizia non è brillata per noi, né mai per noi si è alzato il sole.......I giusti al contrario vivono per sempre, la loro ricompensa è presso il Signore e l'Altissimo ha cura di loro. Per questo riceveranno una magnifica corona regale, un bel diadema dalla mano del Signore.
Dal momento che il giusto è qui descritto nella sua esaltazione celeste come accusatore e giudice degli empi, nell'atto di pronunciare il giudizio su di loro dopo la loro morte, sarebbe strano se nella mente dei pii la figura del giusto esaltato non si fosse mescolata istintivamente con quella dell'atteso Messia. Era un elemento essenziale di quella attesa il fatto che il Messia sarebbe apparso nella gloria celeste, e avrebbe giudicato Israele secondo le sue azioni, condannando gli empi e portando i buoni alla vita eterna in cielo. Se questo fosse accaduto, ne conseguirebbe che anche il Messia avrebbe sofferto e sarebbe morto, e con la sua morte volontaria avrebbe rimosso la colpa degli uomini, e avrebbe ottenuto la felicità celeste per coloro che lo amavano e credevano in lui e camminavano sulle sue orme. È vero che la Sapienza riferisce l'amore dei fedeli a Dio. Ma sappiamo come nella mente ebraica la figura del Messia tendesse a identificarsi con quella di Jahvè, e il “figlio di Dio”, come il giusto è chiamato nella Sapienza, è un tutt'uno con suo padre, ed è in un certo senso solo un altro nome per lui.

Leggi nel profeta Isaia i riferimenti importanti alla imminente signoria del Messia e gli indizi misteriosi della sua natura: “Beato il giusto, perché egli avrà bene, mangerà il frutto delle sue opere. Guai all'empio! Lo colpirà la sventura, secondo i misfatti delle sue mani avrà la mercede” (3:10). Questo era già contenuto nel brano che abbiamo citato dalla Sapienza:
Ecco, il mio servo avrà successo, sarà onorato, esaltato e molto innalzato. 
Come molti si stupirono di lui; tanto era sfigurato per essere d'uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell'uomo; 
così si meraviglieranno di lui molte genti; i re davanti a lui si chiuderanno la bocca, poiché vedranno un fatto mai ad essi raccontato e comprenderanno ciò che mai avevano udito. [2]
Ciò non ricorderebbe ai lettori lo stupore e il timore degli empi alla vista del giusto esaltato proprio come descritto nella Sapienza? “Egli sarà giudice fra le genti e sarà arbitro fra molti popoli” (2:4). Il profeta ha applicato questo a Jahvè, ma nella Sapienza è detto a proposito del giusto, che è elevato da Dio alla gloria celeste dopo la sua morte umiliante. È possibile dubitare che il giusto, il “servo di Dio” nel cinquantatreesimo capitolo del profeta, fosse lo stesso Jahvè, o piuttosto quel “figlio di Dio”, nel senso speciale in cui era concepito il Messia?

Poi ci sono le parole del profeta secondo cui il servo di Dio crebbe di fronte a Jahvè “come una pianticella, come una radice che esce da un arido suolo” (53:2). Qui la connessione è abbastanza ovvia, poiché l'undicesimo capitolo di Isaia, in cui il profeta descrive la gloria del regno messianico in toni particolarmente impressionanti, è cominciato quasi con le stesse parole: “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici”. Qui il servo di Dio è anche descritto della radice di Davide, come aveva detto pure il profeta Zaccaria: “Ecco, io faccio venire il mio servo, il Germoglio” (3:8; si veda anche 6:12), senza lasciare spazio a dubbi sul fatto che il Messia sia inteso qui. Si dirà ora che è impossibile che gli ebrei avessero fuso il servo di Dio in Isaia 53 con il Messia, e avessero visto nel passo un misterioso riferimento a qualche precedente sofferenza e morte umiliante del Salvatore atteso, e che quindi il Salvatore di Israele fosse allineato con gli dèi sofferenti, morenti e risorgenti delle religioni del medioriente?

(b) La Natura e i Miracoli del Messia. Di tutte quelle divinità erano riportati miti speciali dai loro seguaci. Era riportata loro biografia, ed erano dette cose curiose sulla loro origine, la loro natura, le loro azioni, ecc., dalla nascita alla morte. Il profeta che parlò delle sofferenze, della morte, della resurrezione e dell'esaltazione del servo di Dio fornì alcuni indizi di questo personaggio?  Si legga il capitolo quarantaduesimo: 
Ecco il mio servo, io lo sosterrò; il mio eletto di cui mi compiaccio; io ho messo il mio spirito su di lui, egli manifesterà la giustizia alle nazioni. 
Egli non griderà, non alzerà la voce, non la farà udire per le strade. 
Non frantumerà la canna rotta e non spegnerà il lucignolo fumante; manifesterà la giustizia secondo verità. 
Egli non verrà meno e non si abbatterà finché abbia stabilito la giustizia sulla terra; e le isole aspetteranno fiduciose la sua legge.
Così il servo di Dio deve essere saggio, gentile, tenero, pieno di infinita pietà per gli oppressi e i sofferenti. È instancabile nell'esercizio del compito affidatogli da Dio, e la sua missione è proclamare la verità e stabilire la giustizia sulla terra — il regno di quella perfetta giustizia di tutto, che è per il profeta la condizione del compimento di tutto ciò che Dio ha promesso al suo popolo (capitolo 58). In accordo con questo leggiamo nel capitolo 1:4:
Il Signore, Dio, mi ha dato una lingua pronta, perché io sappia aiutare con la parola chi è stanco...…. 
Il Signore, Dio, mi ha aperto l'orecchio e io non sono stato ribelle, non mi sono tirato indietro. 
Io ho presentato il mio dorso a chi mi percoteva, e le mie guance a chi mi strappava la barba; io non ho nascosto il mio vòlto agli insulti e agli sputi. 
Ma il Signore, Dio, mi ha soccorso; perciò non sono stato abbattuto; perciò ho reso la mia faccia dura come la pietra e so che non sarò deluso.
L'obbedienza a Dio, suo padre, la fiducia nel suo potere celeste, la paziente sottomissione alla sua sorte, non turbate neppure dalla più atroce tortura e vergogna, sono i tratti essenziali del servo di Dio. Egli si sottomette volontariamente al comando di Dio, proprio come gli dei-salvatori e redentori delle religioni pagane discesero sulla terra al comando dei loro “genitori” divini; come il babilonese Marduc fu obbediente a suo padre Ea; come Eracle, l'eroe più risoluto e possente, nondimeno si chinò al comando del suo padre celeste e intraprese le più ardue fatiche.

Ora possiamo anche capire le parole del capitolo sessantunesimo: 
Lo Spirito del Signore, di Dio, è su di me, perché il Signore mi ha unto per recare una buona notizia agli umili; mi ha inviato per fasciare quelli che hanno il cuore spezzato, per proclamare la libertà a quelli che sono schiavi, l'apertura del carcere ai prigionieri; 
Per proclamare l'anno di grazia del Signore, il giorno di vendetta del nostro Dio; per consolare tutti quelli che sono afflitti.
Sembrano essere le parole dello stesso servo di Dio, che vi rivela il significato del suo compito messianico. Egli non è inviato ai ricchi e ai fortunati, ma ai poveri e ai miserabili; non viene come un potente condottiero di eserciti, per condurre i suoi seguaci alla vittoria sui loro nemici; ma, come gli dèi salvatori degli altri popoli, guarisce principalmente la sofferenza del corpo e dell'anima e allevia la sorte della gente, come leggiamo nel capitolo 35:4: “Ecco il vostro Dio.......verrà egli stesso a salvarvi. Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e saranno sturati gli orecchi dei sordi; allora lo zoppo salterà come un cervo e la lingua del muto canterà di gioia. E ancora (29:18): “In quel giorno, i sordi udranno le parole del libro e, liberati dall'oscurità e dalle tenebre, gli occhi dei ciechi vedranno; gli umili avranno abbondanza di gioia nel Signore e i più poveri tra gli uomini esulteranno nel Santo d'Israele”.

Annunciare il vangelo, il messaggio felice della realizzazione della salvezza, del compimento delle speranze di una vita felice, è l'attività essenziale del servo di Dio durante la sua vita sulla terra. Poiché così parla Dio, il Signore, che ha dispiegato i cieli: “Io, il Signore, ti ho chiamato secondo giustizia e ti prenderò per la mano; ti custodirò e farò di te l'alleanza del popolo, la luce delle nazioni, per aprire gli occhi dei ciechi, per far uscire dal carcere i prigionieri e dalle prigioni quelli che abitano nelle tenebre.......Io non darò la mia gloria a un altro, né la lode che mi spetta agli idoli”.

Che misterioso indizio della vera natura del servo di Dio! L'alleanza che Jahvè ha fatto con Mosè è rinnovata da lui; egli è perciò un secondo Mosè. Anzi, il profeta non sembrava intendere che Jahvè gli avrebbe conferito la sua stessa gloria, e questo non sembra implicare la sua uguaglianza per natura con Jahvè? Sicuramente non era un uomo comune, questo servo di Dio del profeta; e le speranze del popolo per il regno di Dio si sarebbero realizzate in modo molto diverso da quello che si aspettavano, se la salvezza doveva essere estesa ai gentili tanto quanto agli ebrei. Ma che il servo di Dio del profeta sia veramente colui che agognava il popolo ebraico è mostrato dalle sue azioni meravigliose.

Così possiamo spiegare i miracoli di Gesù su cui i critici hanno speso tanta fatica inutile; essi risultarono di colpo dai brani di cui sopra, nel momento in cui si tentò di dare un quadro dettagliato della vita del servo di Dio, e di incarnare gli annunci dei profeti in storie impressionanti. Quei miracoli devono essere stati eseguiti da Gesù semplicemente perché facevano parte della natura del servo di Dio. Essi servono da prova del suo potere soprannaturale e della sua relazione misteriosa con Jahvè, e non differiscono in nulla dai miracoli che i pagani attribuivano a loro volta ai loro dèi-salvatori, come Asclepio, Ermes, Anubi, ecc., proprio come l'Antico Testamento li aveva attribuiti a Mosè, ad Elia e a Eliseo, e proprio come, nel sentimento comune dei tempi antichi, erano attesi da ogni uomo eccezionale. Prendi Apollonio di Tiana, per esempio.

Il profeta parla della guarigione dei ciechi, dei sordi, degli storpi e dei muti. Questi sono precisamente i miracoli dei vangeli. È vero che non parla di resuscitare i morti o di scacciare i demoni — imprese che furono riportate a proposito di Asclepio e di Apollonio. Egli, tuttavia, fa liberare al servo di Dio i prigionieri. Ma se interpretiamo il testo con avvistamento più profondo, non sembra intendere l'apertura delle porte della materia e della vita fisica, che costituiscono il regno del diavolo, e che Platone aveva descritto come la prigione dell'anima, oppure l'apertura dei sepolcri che tengono prigionieri i morti? Introdotte nel mondo mentale della dottrina dei misteri, le parole del profeta avrebbero perso naturalmente il loro significato originale e reale e sarebbero divenuti simboli di una verità misteriosa nascosta in esse, il cui significato sarebbe stato chiaro solo agli iniziati. Se il servo di Dio di Isaia era un salvatore, un signore sulle forze naturali scelto da Dio, come gli dèi-salvatori pagani, egli, al pari di loro, deve avere soprattutto un dominio sul temibile mondo degli spiriti e dei demoni, dal quale gli uomini del tempo si vedevano ovunque circondati e minacciati, in cui riconoscevano le cause dei mali, e da cui per proteggersi si rifugiavano nel reame magico dei misteri. [3] Sarebbe quindi puerile prendere alla lettera i miracoli di Gesù, e cercare di estrarre un “nucleo storico” dalle narrazioni evangeliche che li descrivono. Confronta una storia come quella dei porci gadareni (Marco 5:1) nella spiegazione simbolica che ne dà Lublinski (pag. 131) con la  concezione storica della medesima storia in Weiss. Solo una completa assenza di intelligenza potrebbe tentare di dedurre dalla descrizione della località, dalla presenza dei porci, ecc., il luogo storico e la verità della storia; laddove ovviamente si sta alludendo al mondo inferiore, ad una rappresentazione simbolica del potere del Salvatore sui demoni, e i porci vengono introdotti solo da animali “tifonici”, per suggerire lo scenario del mondo inferiore. [4] Una gran dose di attenzione è stata concentrata sui miracoli puerili che i vangeli attribuiscono al figlio di Dio. Dobbiamo, tuttavia, soltanto riconoscere che essi sono costruiti sugli annunci del profeta e ispirati da loro, e sono semplicemente simboli della diffusione della fede in Gesù, come Smith ha mostrato per esteso nel suo Ecce Deus; e vedremo che anche riguardo i miracoli, si può giustificare la maniera evangelica di presentare le cose. In questo modo si potrebbe risolvere il problema molto discusso dei miracoli dei vangeli.


SUPPLEMENTO.

Come abbiamo visto, Isaia e il testo della Sapienza costituiscono la cellula germinale della figura di Gesù nei vangeli e della teoria cristiana di redenzione. Ma un terzo elemento è stato all'opera — la figura di Giobbe.

Il libro canonico di Giobbe raffigura per noi un giusto che, proprio come il servo di Dio del profeta, è provato da un conflitto con Satana, da intollerabile sofferenza e umiliazione, e in seguito è risorto alla sua condizione precedente. C'è molto nel libro che ci ricorda direttamente Isaia 53 e il Salmo 22; per esempio, la circostanza per cui Giobbe e il servo di Dio sono entrambi afflitti dalla lebbra (Isaia 52:14; 53:4). Oppure leggi il seguente lamento di Giobbe: 
Spalancano la bocca contro di me, mi schiaffeggiano con insulti, insieme si alleano contro di me. 
Dio mi consegna come preda all'empio, e mi getta nelle mani dei malvagi... 
I suoi arcieri mi circondano; mi trafigge i fianchi senza pietà, versa a terra il mio fiele... 
La mia faccia è rossa per il pianto e sulle mie palpebre v'è una fitta oscurità. 
Non c'è violenza nelle mie mani e pura è stata la mia preghiera... 
Non abbia sosta il mio grido. 
Ma ecco, fin d'ora il mio testimone è nei cieli, il mio mallevadore è lassù; 
miei avvocati presso Dio sono i miei lamenti mentre davanti a lui sparge lacrime il mio occhio... 
Il mio spirito vien meno, i miei giorni si spengono; non c'è per me che la tomba! 
Non sono io in balìa di beffardi? Fra i loro insulti veglia il mio occhio. [Il mio occhio si sofferma sui loro insulti. Confronta i soldati che lanciano i dadi per le vesti di Gesù.]

Così son diventato ludibrio dei popoli sono oggetto di scherno davanti a loro.
[Sono divenuto uno a cui si sputa in faccia.
Si offusca per il dolore il mio occhio e le mie membra non sono che ombra. 
Gli onesti ne rimangono stupiti e l'innocente s'indigna contro l'empio. 
Ma il giusto si conferma nella sua condotta e chi ha le mani pure raddoppia il coraggio. [5]
Giobbe grida di nuovo (capitolo 29):
Oh, potessi tornare com'ero ai mesi di un tempo, ai giorni in cui Dio mi proteggeva, 
quando brillava la sua lucerna sopra il mio capo e alla sua luce camminavo in mezzo alle tenebre; 
com'ero ai giorni del mio autunno... 
quando l'Onnipotente era ancora con me e i giovani mi stavano attorno... 
Quando uscivo verso la porta della città e sulla piazza ponevo il mio seggio:

…….e i vecchi si alzavano in piedi; 
i notabili sospendevano i discorsi e si mettevan la mano sulla bocca. [Confronta Isaia 52:15.] 
La voce dei capi si smorzava e la loro lingua restava fissa al palato; 
con gli orecchi ascoltavano e mi dicevano felice, con gli occhi vedevano e mi rendevano testimonianza, 
perché soccorrevo il povero che chiedeva aiuto, l'orfano che ne era privo. 
La benedizione del morente scendeva su di me e al cuore della vedova infondevo la gioia……. 
Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo. 
Padre io ero per i poveri ed esaminavo la causa dello sconosciuto.

E rompevo la mascella al perverso e dai suoi denti strappavo la preda...…. 
Mi ascoltavano in attesa fiduciosa e tacevano per udire il mio consiglio. 
Dopo le mie parole non replicavano e su di loro scendevano goccia a goccia i miei detti.

Se a loro sorridevo, non osavano crederlo, né turbavano la serenità del mio volto.
Indicavo loro la via da seguire e sedevo come capo, e vi rimanevo come un re fra i soldati o come un consolatore d'afflitti.
Quelle parole ci ricordano il servo di Dio del profeta. Ma allo stesso tempo vediamo Gesù davanti a noi, mentre, circondato dai suoi discepoli, parla alla gente nel luogo di mercato e nelle strade, disputa con i farisei e gli scribi, e li zittisce, trascorre la vita aiutando, operando miracoli, consolando, guarendo e incoraggiando, ed è benedetto dalla folla, dai perduti e dai salvati.

Ancora più grande, tuttavia, della concordanza con il libro canonico di Giobbe è la concordanza della figura evangelica di Gesù con le popolari aggiunte ebraiche ad esso. Abbiamo una di quelle nel cosiddetto Testamento di Giobbe, che fu pubblicato per la prima volta nel 1883, e di nuovo nel 1897 da Montague Rhodes James e da K. Kohler, e studiato minuziosamente da Spitta nella sua relazione con il Nuovo Testamento. [6] James ha sostenuto inizialmente che il Testamento di Giobbe era puramente ebraico e pre-cristiano, ma in seguito lo ha attribuito ad un convertito ebreo al cristianesimo, siccome non ha trovato altra spiegazione delle sue stupefacenti concordanze con il Nuovo Testamento, non solo per quanto riguarda il suo contenuto generale, ma a volte anche nelle parole. [7] Kohler lo considera pre-cristiano, un Midrash essenico sul libro di Giobbe; questo è, tuttavia, negato da Spitta. Bousset, un uomo attento, trova una “leggera modificazione cristiana” di un testo ebraico, mentre Spitta crede che l'opera singolare abbia una natura puramente ebraica: “Una natura delle pre-condizioni ebraiche del cristianesimo, una cui conoscenza completa è di grande importanza per l'apprezzamento del cristianesimo stesso, e specialmente della figura di Gesù”. “In questo caso, a mio avviso”, dice, “sarebbe più plausibile  la tesi secondo cui la figura di Gesù sia di origine pre-cristiana  piuttosto che in connessione con l'epopea di Gilgamesh o con il Gesù precristiano di W. B. Smith”. Egli enfatizza i seguenti punti: “Giobbe e Gesù sono entrambi di stirpe regale; entrambi sono guaritori dei poveri e disgraziati; entrambi lottano contro il potere di Satana, e sono tentati invano da lui ad abbandonare Dio; entrambi subiscono la sofferenza e il disprezzo, persino la morte, per le macchinazioni del diavolo; entrambi sono salvati dalla necrosi [lo stato di morte], ottengono onore sulla terra, e sono elevati al trono alla destra di Dio” (pag. 119). Spitta non manca di sottolineare le differenze tra Giobbe e Gesù; ma ritiene che la somiglianza sia così grande da essere, a suo parere, sufficiente “a spiegare come sia potuto accadere che la figura di Gesù fosse stata involontariamente rivestita da scrittori ebrei di tratti che in origine appartenevano alla leggenda di Giobbe” (pag. 200). Che questa figura possa essere sorta solo in connessione con la figura di Giobbe è una possibilità che, ovviamente, si pone al di là dell'orizzonte del teologo. Eppure è stato dimostrato che così tanti dettagli del ritratto evangelico di Gesù sono dovuti all'influenza straniera che difficilmente possiamo dire ciò che in realtà dovrebbe essere storico in esso. Per il resto, i cristiani stessi erano ben consapevoli della somiglianza del loro Gesù con Giobbe. È dimostrato da Giacomo 5:10, dove leggiamo: “Prendete, fratelli, come modello di sopportazione e di pazienza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore. Ecco, noi definiamo felici quelli che hanno sofferto pazientemente. Avete udito parlare della costanza di Giobbe, e conoscete la sorte finale che gli riserbò il Signore, perché il Signore è pieno di compassione e misericordioso”. Qui Gesù è posto al livello di Giobbe, assumendo che per “il Signore” si debba intendere Gesù, e non Jahvè, che sembra più probabile, in vista del riferimento ai profeti che hanno parlato “nel nome del Signore”. [8]

(c) Giovanni il Battista e il Battesimo di Gesù. — Weiss parla giustamente del vangelo di Marco come “una storia della Passione prolungata all'indietro”. Questa ricca pienezza della vita terrena di Gesù è sicuramente qualcosa di più di uno sviluppo del principio paolino: egli si umiliò e fu obbediente fino alla morte in croce. Dal solo vangelo paolino l'evangelista non avrebbe potuto evolvere la sua narrazione (pag.132). Ma nessuno ha detto che poteva farlo. Quello che io dico è che il profeta Isaia ha fornito i tratti principali della storia di Gesù, e il quadro generale. Là, e solo là, troviamo i veri “pilastri principali di una vita veramente scientifica di Gesù”. Non solo le sofferenze, la morte, la resurrezione e l'esaltazione, ma anche la descrizione del suo carattere, della sua attività e del suo potere miracoloso provengono dalle parole del profeta. Perfino la prima apparizione di Gesù, in connessione con la predicazione di conversione di Giovanni, si collega al testo di Isaia. Le parole con cui si apre il più antico vangelo sono anche l'inizio della seconda parte del libro del profeta, il cui autore è conosciuto come il Deutero-Isaia, e è distinto dal profeta più anziano; si crede che abbia scritto la sua opera a Babilonia negli ultimi giorni dell'esilio.
Una voce grida: Nel deserto preparate la via al Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro Dio. 
Ogni valle sia colmata, ogni monte e colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in pianura.

Allora si rivelerà la gloria del Signore e ogni uomo la vedrà, poiché la bocca del Signore ha parlato
(40:3-5).
Il vangelo riferisce le parole al Battista, la “voce di uno che grida nel deserto”, su cui “la parola di Dio scese” (Luca 3:2). Ma sappiamo che, come dice Marco stesso, lui è stato influenzato dal profeta Malachia, che dice nel suo terzo capitolo: “Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me”; che le parole “nel deserto” sono state inserite da un copista nel punto sbagliato; in realtà, non indicano il luogo da cui è venuto il grido, ma significano che la via deve essere preparata nel deserto. Siamo così indotti a sospettare che pure la figura del “precursore” possa essere derivata dal suddetto passo nel profeta, e che l'idea di una doppia missione di Jahvè per il suo popolo possa essere sorta dal passo in cui Isaia, consolando i suoi simili, dice che Gerusalemme ha ricevuto “il doppio dalla mano del Signore” per tutti i suoi peccati (40:2). Le idee del messaggio del Battista concordano anche con le parole ammonitrici che il profeta rivolge ardentemente a Gerusalemme. “Dopo di me viene colui che è più forte di me”, leggiamo in Marco (1:7), “al quale io non sono degno di chinarmi a sciogliere il legaccio dei calzari”. In Isaia è detto: “Ecco il Signore, Dio, viene con potenza”. Il profeta descrive poi il potere e la grandezza di Jahvè, davanti a cui tutti i popoli e le potenze della terra sono nulla, il cui spirito è incommensurabile, il suo potere incomparabile e che dice: “Io l'ho suscitato dal settentrione ed egli viene; dall'oriente, ed egli invoca il mio nome; egli calpesta i prìncipi come fango, come il vasaio che calca l'argilla” (41:25). “Egli ha il suo ventilabro in mano,” — così Matteo e Luca completano le parole del più antico vangelo — “ripulirà interamente la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio, ma brucerà la pula con fuoco inestinguibile” (Matteo 3:12; Luca 3:17). In Isaia Jahvè dice a Israele: “Ecco, io faccio di te un erpice nuovo dai denti aguzzi;
tu trebbierai i monti e li ridurrai in polvere, e renderai le colline simili alla pula”
(41:15). E in 47:14, è detto dei gentili: “Ecco, essi sono come stoppia; il fuoco li consuma; non salveranno la loro vita dalla violenza della fiamma”. [9]

È un linguaggio di pentimento e di avvertimento che l'evangelista mette sulle labbra del Battista: “Pentitevi, perché il Regno di Dio è vicino”. Il giudizio finale si avvicina. Il Messia atteso è vicino. Così nel profeta anche Jahvè appare come una sorta di giudice che convoca le nazioni dinanzi al suo trono, per dimostrare loro il nulla delle loro divinità rispetto all'eroe che ha sollevato per la redenzione del suo popolo. “Fa' uscire il popolo cieco che ha occhi, e i sordi che hanno orecchi! Si adunino tutte assieme le nazioni, si riuniscano i popoli”. “Ecco, voi siete niente”, dice, insultando gli dèi delle nazioni, “l'opera vostra non vale nulla. È una cosa abominevole scegliere voi” (41:24). Chi non si ricorda dei rimproveri che Giovanni rivolge ai farisei, flagellando la loro cocciutaggine e oscurità: “Razza di vipere, chi vi ha insegnato a sfuggire l'ira futura?” 

I pubblicani vengono da Giovanni e chiedono: “Che dobbiamo fare?” E lui risponde: “Non riscotete nulla di più di quello che vi è ordinato”. I soldati pongono la stessa domanda e ricevono la risposta: “Non fate estorsioni, non opprimete nessuno con false denunce, e contentatevi della vostra paga” (Luca 3:12-14). Leggiamo in Isaia (33:15): “Colui che cammina per le vie della giustizia, e parla rettamente; colui che disprezza i guadagni estorti, che scuote le mani per non accettare regali, che si tura gli orecchi per non udir parlare di sangue e chiude gli occhi per non vedere il male. Egli abiterà in luoghi elevati, le rocche fortificate saranno il suo rifugio”.

“Fate dunque dei frutti degni del ravvedimento”, il Battista grida ai farisei, “e non cominciate a dire in voi stessi: "Noi abbiamo Abramo per padre!" Perché vi dico che Dio può da queste pietre far sorgere dei figli ad Abramo. Ormai la scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero dunque che non fa buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco” (Luca 3:8 e 9). Può essere una semplice coincidenza che ci sia anche menzione della “discendenza di Abramo” nel quarantunesimo capitolo di Isaia, e Israele è consolato proprio come i farisei lo sono nei vangeli, quando si vantano della loro “giustizia” nell'avere Abramo per padre? E cosa leggiamo all'inizio del cinquantunesimo capitolo del profeta? “Ascoltatemi, voi che perseguite la giustizia, che cercate il Signore: considerate la roccia da cui foste tagliati.......Considerate Abramo vostro padre”. Isaia a sua volta predice che “il giorno del Signore” umilierà tutti quelli che sono orgogliosi e superbi (2:12), ed Ezechiele fa cadere le fiere querce del Libano al comando di Jahvè a causa della loro superbia e natura empia (31:12).

Robert Eisler, in un saggio sul battesimo di Giovanni, [10] ha derivato attenzione a Michea 7:14, dove il profeta fa dire a Sion rivolto a Jahvè:
 Pasci il tuo popolo con la tua verga, il gregge della tua eredità che sta solitario nella foresta, in mezzo al Carmelo.......

Come nei giorni in cui uscisti dal paese d'Egitto, io ti farò vedere cose meravigliose.

Le nazioni lo vedranno e saranno confuse, nonostante tutta la loro potenza...le loro orecchie saranno assordate.

Leccheranno la polvere come il serpente, come gli animali che strisciano sulla terra. Usciranno spaventate dai loro ripari, verranno tremanti al Signore, nostro Dio, e avranno timore di te.

Quale Dio è come te, che perdoni l'iniquità e passi sopra alla colpa del resto della tua eredità?.......

Egli tornerà ad avere pietà di noi, metterà sotto i suoi piedi le nostre colpe e getterà in fondo al mare tutti i nostri peccati.

Tu mostrerai la tua fedeltà a Giacobbe, la tua misericordia ad Abramo, come giurasti ai nostri padri, fin dai giorni antichi.
Qui la situazione è proprio la stessa, non solo come nei capitoli quarantesimo e quarantunesimo di Isaia, ma anche nel racconto evangelico dell'apparizione di Giovanni. Quasi ogni dettaglio delle parole messe sulle labbra del Battista si trova nelle parole del profeta: Jahvè concepito come un abitante pastorale del deserto di Israele, attorno al quale si raduna il popolo nel deserto nonostante i frutteti che lo circonda, il riferimento all'ira imminente di Jahvè, la caparbietà delle “nazioni”, la minaccia che esse saranno umiliate davanti a Jahvè nonostante tutto il loro potere, il paragone dei caparbi con i serpenti (“razza di vipere”), l'osservazione che gli stessi caparbi non condividono il perdono dei peccati e non ereditano la grazia perché discendono da Abramo, al quale Jahvè promise queste cose; mentre, d'altra parte, il penitente vedrà le meraviglie che furono fatte durante la fuga dall'Egitto, e specialmente il battesimo, tramite cui i peccati sono gettati nel mare e lavati via dalle sue onde. Non era raro porre un significato espiatorio al passaggio degli israeliti attraverso il Mar Rosso e considerarlo  una specie di battesimo e di perdono dei peccati di tutto il popolo, come dice Paolo: “Tutti i nostri padri passarono.......attraverso il mare, furono tutti battezzati nella nuvola e nel mare, per essere di Mosè” (1 Corinzi 10:1).

In Isaia anche il “Santo di Israele”, Jahvè, promette al suo popolo che si rallegrerà per lui. “I miseri e i poveri cercano acqua, e non ce n'è; la loro lingua è secca dalla sete. Io, il Signore, li esaudirò.......Io farò scaturire dei fiumi sulle nude alture, delle fonti in mezzo alle valli; farò del deserto uno stagno, della terra arida una terra di sorgenti” (41:17). “Non temere, Giacobbe mio servo...….Io infatti spanderò le acque sul suolo assetato e i ruscelli sull'arida terra; spanderò il mio spirito sulla tua discendenza e la mia benedizione sui tuoi rampolli; essi germoglieranno come in mezzo all'erba, come salici in riva a correnti d'acque” (44:2). La figura delle sorgenti nella landa desertica ricorda i “germogli sulla terra arida”, e abbiamo la connessione tra il battesimo di Giovanni e il battesimo del servo di Dio: “Ecco, io sto per fare una cosa nuova; essa sta per germogliare; non la riconoscerete? Sì, io aprirò una strada nel deserto, farò scorrere dei fiumi nella steppa.......per dar da bere al mio popolo, al mio eletto” (43:19 e 20).

“Io vi battezzo con acqua”, Matteo e Luca fanno dire a Giovanni, “ma viene uno che è più forte di me, vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco”. In Isaia è scritto: “Quando dovrai attraversare le acque, io sarò con te; quando attraverserai i fiumi, essi non ti sommergeranno; quando camminerai nel fuoco non sarai bruciato e la fiamma non ti consumerà” (43:2); e i versi seguenti mostrano chiaramente che egli ha anche in mente il battesimo nel Mar Rosso, il battesimo con l'acqua, distinto dal battesimo con il fuoco, poiché dice: “Io ho dato l'Egitto come tuo riscatto.......perciò io do degli uomini al tuo posto, e dei popoli in cambio della tua vita”.

E ora leggiamo nel famoso capitolo undicesimo del profeta, sul “ramo dal tronco di Iesse”: “Lo Spirito del Signore riposerà su di lui: Spirito di saggezza e d'intelligenza, Spirito di consiglio e di forza, Spirito di conoscenza e di timore del Signore” (11:2). Quelle sono le parole che hanno dato origine alla storia del battesimo di Gesù e della discesa dello Spirito Santo su di lui, e ora comprendiamo perché il predicatore del pentimento, Giovanni, minaccia con un giudizio imminente. La “verga” del passo è rappresentata principalmente nel personaggio di un giudice retto, di cui è detto che “giudicherà i poveri con giustizia, pronuncerà sentenze eque per gli umili del paese. Colpirà il paese con la verga della sua bocca, e con il soffio delle sue labbra farà morire l'empio. La giustizia sarà la cintura delle sue reni, e la fedeltà la cintura dei suoi fianchi” (11:4 e 5).

Così l'intera storia dell'apparizione di Giovanni e del battesimo di Gesù è costruita sul profeta Isaia. Questo rimuove le difficoltà che incontra una concezione puramente storica della storia, specialmente nella dichiarazione contraddittoria che un Gesù poteva sottomettersi al battesimo di Giovanni; tutti gli innumerevoli tentativi di spiegare questo episodio sono semplicemente giochi di parole. Cosa non è stato scritto sul personaggio di Giovanni e sulla sua relazione con Gesù! Sarebbe proprio altrettanto ragionevole prendere come oggetto di un'indagine “scientifica” il problema sul perché Achille rimase inattivo dieci anni di fronte a Troia, invece di andare a casa e dedicarsi ad altre faccende. Si deve considerare con commiserazione una scienza che, a causa del suo legame con la vita ecclesiastica, deve proporre tali problemi e trattarli in opere accademicamente approvate ed erudite, quando è chiaro dai passi di cui sopra di Isaia che tutta la storia del battesimo appartiene alla provincia della finzione.

Ancora non abbiamo toccato gli aspetti astrali che sembrano presentarsi nella storia del battesimo.

Dupuis tempo fa identificò il Giovanni dei vangeli con il babilonese Cannes, Joannes o Hanni, la creatura dalla forma strana, metà pesce e metà uomo, che, secondo Berosso, fu il primo legislatore e inventore di lettere e fondatore della civiltà, e che si levava ogni mattina dalle onde del Mar Rosso per istruire gli uomini sulla loro vera natura spirituale. Credeva di poterlo riconoscere nella costellazione meridionale dei Pesci, siccome questa agli abitanti di Babilonia sembrava levarsi dal Mar Rosso, e il suo sorgere e il suo tramonto indicavano i due solstizi annuali. [11] Forse, tuttavia, era originariamente Acquario, poiché questa costellazione è raffigurata come un uomo-pesce nella antica sfera orientale, e in seguito la costellazione dei Pesci vi si staccò. [12] In ogni caso, egli era collegato alla divisione dell'anno per solstizi, ed era in questo senso un “maestro di astronomia”. Abbiamo una reminiscenza di questo primitivo significato astrale di Giovanni nel fatto che celebriamo ancora la sua festività nel giorno del solstizio, quando la costellazione meridionale dei Pesci si leva appena il sole tramonta, e scompare appena sorge il sole. Anche i cristiani appena battezzati venivano chiamati pesci (pisciculi in Tertulliano), e la fonte battesimale è ancora chiamata la piscina, o stagno dei pesci. Così l'uomo-pesce è stato trasformato nel cristianesimo in una sorta di pescatore di uomini. A questo c'è un'allusione nel coro ambrosiano (hamum profundo miserat piscatus est verbum Dei), che rappresenta Giovanni nell'atto di derivare il convertito fuori dall'acqua con un braccio della croce; fatto che ricorda Oannes, che salvò il primo uomo dal diluvio, e si suppone che lo abbia dotato della sua vita reale di uomo e di spirito.

Che l'evangelista stesso abbia percepito questa relazione di Giovanni con i pesci è dimostrato dalla parabola attribuita al Salvatore, che paragona la generazione attuale ai bambini che siedono nella piazza del mercato e si dicono tra loro: “Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato” (Matteo 11:16, Luca 7:32). Infatti quelle parole ricordano un sacco Erodoto, secondo il quale, quando Ciro udì la volontà degli Ioni, i quali fino a quel momento si erano rifiutati di obbedire, di sottomettersi dopo la sua vittoria su Creso, disse in una parabola: “Un flautista, che aveva visto pesci nel mare, suonò il flauto, pensando che essi sarebbero usciti e venuti a terra. Ma, deluso nella sua speranza, prese una rete e ne avvolse una gran massa, che trasse in secco; e, vedendoli agitarsi, disse loro: Cessate di danzare, giacché quando suonavo non volevate uscire”.

Come colui che indica i solstizi e divide l'anno, Oannes diventa identico al sole stesso, come una stella che si leva e tramonta. Per via di ciò entrò nel gruppo di miti di Giosuè, di Giasone e di Gesù, e, in effetti, corrisponde al Caleb dell'Antico Testamento, da rappresentante del solstizio d'estate, quando la stella del cane (Sirio) tramonta nel mese del Leone, o dell'equinozio d'autunno, che è la divisione dell'anno equivalente alla prima, quando il sole scende sotto l'equatore celeste nella terra dell'inverno. Giosuè (Gesù), d'altra parte, rappresentava il solstizio d'inverno, in cui i giorni cominciano a crescere più a lungo, oppure l'equinozio di primavera, quando il sole avanza di nuovo oltre l'equatore, ed entra vittoriosamente nella “Terra Promessa” al di là del Giordano (o la Via Lattea) del celeste Eridano, la regione acquatica dei cieli, in cui predominano i segni zodiacali dell'Acquario e dei Pesci. L'evangelista esprime ciò facendo nascere Giovanni sei mesi prima di Gesù (Luca 1:36), e lo fa uscire di scena  e mettere a morte nel momento in cui Gesù vi entra (Marco 1:14). Da qui le parole di Giovanni: “Lui deve crescere; io, invece, diminuire” (3:30). Ancora, come simbolo del sole al tramonto il Battista assomiglia al greco Ermete Psicopompo, il quale, al momento dell'equinozio d'autunno, guida le costellazioni o le anime nel mondo inferiore, la metà oscura e sterile dell'anno — rappresentata simbolicamente dal “deserto”, in cui il popolo viene da Giovanni, che è là. D'altra parte, Gesù, in quanto simbolo del sole nascente, assomiglia a Ermete Necropompo, che riporta le anime al tempo dell'equinozio di primavera alla dimora celeste della luce, il “regno dei cieli”, la loro vera dimora. Quindi è detto del Battista nel vangelo: “È venuto Giovanni, che non mangia e non beve”; ma di Gesù: “È venuto il Figlio dell'uomo, che mangia e beve” (Matteo 11:17). Questo è abbastanza comprensibile quando vediamo la relazione dell'uno con l'inverno, e dell'altro con l'estate.

L'immaginazione orientale, tuttavia, non è soddisfatta di questa idea generale. Colpisce trovare il Battista nella costellazione di Orione, presso la quale, nel momento in cui il punto equinoziale di primavera cade nella costellazione del Toro, il sole è trovato al momento dell'equinozio di primavera. Sta nel celestiale Eridano, nella Via Lattea, a Bethabara (Giovanni 1:28), il “luogo del tramonto”  — vale a dire, vicino al punto in cui il sole attraversa la Via Lattea nello zodiaco. Con un piede emerge da Eridano, che si connette con la Via Lattea, e sembra attingere acqua da essa con la mano destra, alzando contemporaneamente la sinistra come nell'atto di benedire — veramente davvero una vivida figura astrale del Battista; abbiamo anche le tre stelle della cintura di Orione nella cintura (di pelle) che i vangeli danno al Battista, e il popolo è visto nelle costellazioni attorno ad Orione, e, secondo le idee babilonesi, un incontro degli dèi si svolge all'equinozio di primavera quando il sole ha attraversato il suo corso per lo zodiaco. [13]

È inutile opporre a questa concezione di Giovanni il passo familiare di Flavio Giuseppe (18:5, 2) come prova della storicità del Battista. L'autenticità del brano è altrettanto dubbia di quella dei due riferimenti in Flavio Giuseppe a Gesù. Non solo il modo in cui interrompe la narrazione mostra chiaramente che si tratta di un'interpolazione, ma la cronologia dello storico ebreo riguardo a Giovanni è in contraddizione inconciliabile con quella dei vangeli. Secondo i vangeli, l'apparizione o la morte di Giovanni deve aver avuto luogo nell'anno 28 o 29; mentre la guerra di Erode con il nabateo Areta, il cui esito sfortunato, secondo Flavio Giuseppe, doveva essere considerato una punizione per l'uccisione di Giovanni, cade negli anni 35 e 36 dell'era comune. Inoltre, le denunce contro Erode Antipa a causa del suo matrimonio incestuoso con la moglie di suo fratello, che avrebbero dovuto causare la morte di Giovanni, non possono essere state fatte prima di allora. [14] In fin dei conti, Giovanni potrebbe essere stato una personalità storica senza che ci sia alcuna verità storica in ciò che i vangeli dicono di lui. La sua connessione con la storia di Gesù è dovuta certamente a considerazioni astrali e ai passi che abbiamo citato da Isaia. Non abbiamo perciò motivo di considerarla storica.

Lo spazio non ci permetterà di esaminare più da vicino a questo punto gli aspetti astrali della narrativa evangelica. Qui c'è un campo aperto alla ricerca futura che è stata finora toccata solo da pochi studiosi isolati, e dalla quale la teologia storica potrebbe aspettarsi spiacevoli sorprese. L'esame della storia evangelica dal punto di vista astrale-mitologico fu iniziato da Dupuis, da Volney e da Nork un secolo fa; e Niemojewski ha svolto più recentemente un lavoro molto promettente in questo campo. Altri lo seguiranno e ci forniranno una chiave completamente nuova per i problemi del Nuovo Testamento. [15] Tuttavia, sarà sempre difficile dire fino a che punto la storia di Gesù è influenzata dalle relazioni astrali e fino a che punto dall'Antico Testamento, quale delle due influenze era la più antica, e se i passi rilevanti dell'Antico Testamento potrebbero non essere influenzati a loro volta da considerazioni astrali.

In generale si potebbe dire che la mitologia astrale ha fornito la cornice o lo scheletro della storia evangelica, e ha chiarito che molti episodi che sembrano essere scollegati nei vangeli devono la loro posizione al loro punto nel sistema astrale. Basta qui menzionare l'importanza della mitologia astrale nell'interpretazione dei vangeli e mostrare nel caso del Battista come i due metodi di interpretazione operano assieme. Quando l'attuale pregiudizio contro la mitologia astrale scompare, quando una conoscenza più approfondita dei cieli stellati di quanta ne abbiamo ora colloca lo studioso nella posizione di verificare quelle relazioni in dettaglio, quando è generalmente riconosciuto che l'astronomia e una conoscenza del linguaggio astrologico sono almeno altettanto necessarie per una corretta comprensione dell'oriente antico come la filologia lo è per la teologia critica, arriverà il momento in cui collasserranno gli ultimi sostegni dell'attuale concezione puramente storica dei vangeli, il momento in cui il metodo simbolico-mitico trionferà completamente sul presente metodo storico, e il momento in cui ci sarà il “crepuscolo degli dèi” della teologia critica. Per il momento i teologi sanno quello che stanno facendo quando incontrano tutta questa ricerca con un sorriso sdegnoso e la dichiarano “non scientifica”. La loro posizione riguardo ad essa è molto simile alla posizione della Chiesa antica riguardo alle speculazioni astrologiche degli gnostici, i quali furono accolti con l'ostilità più aspra, perché essi tradivano fin troppo delle vere origini del cristianesimo, e costituivano l'ostacolo più pericoloso alla sua rappresentazione come storica.

(d) Il Nome del Messia. — Nel frattempo ciò che abbiamo visto basterà a convincere qualsiasi lettore imparziale del fatto che, come abbiamo detto, la figura del salvatore o redentore nei vangeli è dovuta in realtà al profeta Isaia e che il personaggio del servo sofferente di Dio, come descritto dal profeta, era nella mente degli evangelisti. [16] Il suo stesso nome, Christus, l'“unto”, può essere ricondotto a Isaia (41:1), dove il profeta dice che lo spirito del Signore riposa su di lui, perché Jahvè lo ha “unto” (si veda anche 42:1) . È, tuttavia, molto significativo il fatto che il salvatore e il servo di Dio si sottomette dappertutto a lui, come se stesse pronunciando le parole dell'altro, e Jahvè, il profeta, e il servo di Dio si combinano in un'unica personalità; proprio come nel vangelo di Luca, Gesù applica da subito la parola del profeta a sé stesso, e per suo mezzo spiega il programma del suo lavoro futuro nella sua prima apparizione pubblica nella sinagoga. Nella mente ebraica l'“unto” è il Messia, che è semplicemente il termine ebraico per Cristo. È una fresca dimostrazione del fatto che l'idea di un Messia sofferente era destinata a cominciare presto a costruire sui passi di cui sopra in Isaia, non appena l'annuncio della lieta novella fu concepito come un annuncio del servo di Dio oppure del Jahvè che era identificato con lui.

Ora, in Isaia 7:14, il “figlio della vergine” è chiamato Emmanuele, e questo è tradotto “Dio con noi”. Questo è anche il significato del nome Gesù, dal momento che in Matteo 1:21, il figlio di Maria riceve questo nome, “affinché si adempisse quello che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: La vergine sarà incinta e partorirà un figlio, al quale sarà posto nome Emmanuele”. Nella Septuaginta, come sappiamo, Gesù è la forma greca dell'ebraico Jeschua, che a sua volta è l'equivalente di Jehoschua o Giosuè. Giosuè, tuttavia, significa qualcosa come “Jahvè è salvezza”, “Jah-Salva”, e corrisponde al nome tedesco “Gotthilf”. Leggiamo in Matteo: “Ella partorirà un figlio, e tu gli porrai nome Gesù, perché è lui che salverà il suo popolo dai loro peccati”. Il nome era abbastanza comune tra gli ebrei, e a questo proposito è equivalente tra gli ebrei ellenistici al nome Giasone o Iasio, che è di nuovo semplicemente una versione greca di Gesù. [17] Come è potuto accadere che il nome insolito  Emmanuele per il salvatore di Israele fosse stato sostituito dal nome comune Gesù?

Per questo si possono offrire varie ragioni. Primo, il fatto che nel nome Gesù il significato simbolico della salvezza in senso spirituale e fisico, come Isaia lo attribuiva al servo di Dio, era percepito più chiaramente, specialmente tra gli ebrei dispersi. Iaso (da iasthai, guarire) era il nome della figlia del guaritore e medico Asclepio. Lui stesso era adorato in molti luoghi sotto il nome di Giasone. Così leggiamo in Strabone che i templi e il culto di Giasone erano diffusi in tutta l'Asia, la Media, la Colchide, l'Albania e l'Iberia, e che Giasone godeva degli onori divini anche in Tessaglia e nel golfo di Corinto, dove il culto di Frixos, l'ariete o l'agnello, era associato al suo (1:2, 39). Giustino ci dice che quasi tutto l'occidente adorava Giasone e gli costruiva templi (42:3), e questo è confermato da Tacito (Annali 6:34). Si supponeva che Giasone fosse anche il fondatore delle feste Lemniche, che venivano celebrate ogni anno all'inizio della primavera, e si credeva che impartissero l'immortalità a coloro che vi partecipavano. Iasios (Iasione) era chiamato Asclepio, oppure il “dio mediatore” a lui legato a questo riguardo, e il conduttore di anime, Ermes, a Creta e nei famosi misteri di Samotracia, i quali godevano della più alta reputazione circa all'inizio dell'era comune, ed erano frequentati da individui di alto e basso ceto da tutti i paesi principali. [18] Anche in questo caso l'idea della guarigione e della salvezza è combinata nel nome, e avrebbe portato facilmente all'attribuzione del nome al salvatore del culto misterico ebraico. Epifanio (Haeres, capitolo 29) ha chiaramente percepito questo legame quando tradusse il nome Gesù “guaritore” o “medico” (curator, therapeutes). È certo che quest'allusione all'azione guaritrice del servo di Dio e la sua affinità con il ben noto Giasone contribuirono non poco all'accettazione del nome di Gesù e alla sua apparente familiarità in età antica. [19]

Per gli ebrei c'era l'ulteriore e intima relazione del salvatore con il Giosuè dell'Antico Testamento. Come si credeva che Giosuè, da successore di Mosè nel comando, avesse condotto gli israeliti dalla schiavitù dell'Egitto nella “terra promessa”, la terra dei loro “padri”, la loro dimora ancestrale, così si aspettavano dal salvatore di Israele che avrebbe radunato gli ebrei dispersi e li avrebbe condotti nell'agognata terra dei loro “padri” — cioè, delle anime; alla loro dimora celeste, da dove le anime erano arrivate in origine e dove ritornano dopo la morte. Fu quindi considerato un secondo Giosuè, ed era naturale dargli lo stesso nome.

Nell'Epistola di Barnaba (intorno all'anno 115) Giosuè è descritto come il “precursore di Gesù nella carne” (12:20). Giustino sottolinea a sua volta la relazione di Gesù con il Giosuè dell'Antico Testamento, e osserva che quest'ultimo, che fu originariamente chiamato Osea (Auses), ricevette il nome di Giosuè da Mosè, non a caso, ma in vista di Cristo, di cui egli era predecessore nel comando (Contra Tryph., 113). Eusebio traccia non solo il nome di Gesù, ma anche il nome Cristo, a Mosè, dicendo: “Ad aver conosciuto per primo il nome particolarmente venerabile e glorioso di Cristo fu Mosè. E volendo esaltare il sommo sacerdote di Dio, per quanto fosse possibile a un uomo, lo chiamò Cristo e a questa dignità riguardante la carica suprema di sacerdote, che per lui superava ogni primato fra gli uomini, egli aggiunse il nome di Cristo come un soprappiù d'onore e di gloria: [20] egli riteneva così che Cristo fosse un qualcosa di divino. Il medesimo Mosè, ad opera dello spirito divino, avendo visto in anticipo il nome di Gesù, tuttavia lo giudicò degno di questo eccezionale privilegio, cioè di avere anche quest'altro nome. E quando il nome di Gesù non era ancora pronunciato fra gli uomini, prima di essere conosciuto da Mosè, questi lo diede per la prima volta e unicamente a colui che secondo il modello e il simbolo egli sapeva che gli sarebbe succeduto dopo la sua morte nella carica suprema. Ma in realtà, precedentemente, il suo successore, che ricevette il nome di Gesù, era chiamato con un altro nome che gli avevano dato i suoi genitori: Ausé. Fu lo stesso Mosè che lo chiamò Gesù, donandogli un nome che era come un premio prestigioso, molto più grande di qualsiasi diadema regale, giacché questo Gesù, figlio di Navè, portava l'immagine del nostro Salvatore e fu il solo che, dopo Mosè e la conclusione del culto simbolico trasmesso per opera sua, ricevesse l'eredità del potere della vera e più pura religione. E Mosè, in questo modo, ai due uomini che per virtù e gloria si distinguevano in mezzo a tutto il loro popolo, al sommo Sacerdote e a colui che avrebbe preso il comando dopo di lui, impose il nome di Gesù Cristo, nostro Salvatore, come massimo segno d'onore” (Storia Ecclesiastica, 1:3).

Vi è, tuttavia, nell'Antico Testamento un sommo sacerdote Giosuè, che recita una parte simile a quella di Gesù e del successore di Mosè; anche lui avrebbe radunato gli ebrei dispersi e imprigionati, e li avrebbe ricondotti alla loro antica dimora, la Palestina, come ci si aspettava dal Messia. Lo troviamo in Esdra 3:2. Secondo Zaccaria 3, il profeta vede il sommo sacerdote Giosuè davanti all'angelo di Jahvè e Satana che sta alla sua destra per accusarlo. Ma l'angelo ordina che gli abiti sporchi siano rimossi da lui e siano sostituiti da abiti festivi, e gli promette la continuazione del sacerdozio se camminerà nelle vie di Dio. Lo chiama “un tizzone strappato dal fuoco”, proprio come si credeva che il salvatore Asclepio fosse stato estratto dal ventre ardente di sua madre da suo padre Apollo. Infatti, Giosuè stesso è rappresentato nella luce di un salvatore, quando l'angelo parla di lui e dei suoi compagni come “uomini di presagio” e allude al suo “servo il germoglio”, che verrà, avvistando che Jahvè spazzerà via in un giorno la colpa della terra. È vero che apprendiamo subito che il “germoglio” è Zorobabele, il capo degli ebrei della razza di Davide, nel quale il profeta vide quel “germoglio” che Isaia (11:1) aveva riferito al futuro Messia. Nondimeno, in Zaccaria 6:11, il profeta pone una corona sul capo di Giosuè, così come di Zorobabele, ed essi sono posti su un trono comune. Ma il testo greco del profeta era alterato, poiché le grandi speranze intrattenute da Zorobabele non furono soddisfatte; il nome di Zorobabele fu cancellato, il plurale (6:12) cambiò nel singolare, e solo Giosuè fu rappresentato come incoronato, e fu elevato al grado dell'atteso Messia. [21] Così i due Giosuè, il successore di Mosè e il sommo sacerdote, si fusero in un'unica persona; il nome “Gesù” ricevette un significato messianico e venne ad essere usato per il “germoglio” del profeta Isaia.

Perciò, non c'era semplicemente un Cristo pre-cristiano, come ammette Gunkel, “un credo nella morte e resurrezione di Cristo nei circoli giudeo-sincretisti” [22], ma c'era anche un Gesù pre-cristiano, poichè Gesù e Cristo erano solo due nomi diversi per il servo di Dio sofferente e risorgente, la radice di Davide in Isaia; e i due avrebbero potuto essere combinati qualora si desiderasse esprimere il sommo sacerdozio o la natura messianica di Gesù. Gesù era semplicemente il nome generale del salvatore e redentore; e se in due occasioni critiche nella storia di Israele un Gesù aveva salvato il popolo e lo aveva condotto dall'estero nella sua vera dimora, era naturale supporre che anche nella terza occasione l'impresa sarebbe stata realizzata da un Gesù. [23] Ora, se il suo stesso nome diventa così ambiguo, cosa vi rimane del Gesù storico? [24]


(e) La Topografia dei Vangeli.

1. NAZARET.

È detto che il Gesù storico sia nato a Nazaret. Questo, tuttavia, è a sua volta tutt'altro che certo. Può essere una pura coincidenza il fatto che né l'Antico Testamento né Flavio Giuseppe né il Talmud menzionano il luogo; e, tranne che nei vangeli, il nome è sconosciuto fino al quarto secolo (Eusebio, Girolamo ed Epifanio). Ma la dichiarazione di Weiss, secondo cui “non si può negare che fu creduto fermamente dai cristiani del primo secolo che Gesù venne da Nazaret” (pag. 21), è del tutto ingiustificata, e si basa solo sull'ipotesi ingiustificata che i vangeli esistevano già allora nella loro forma attuale. D'altra parte, è del tutto inammissibile che la setta dei Nazarei, come i seguaci di Gesù sono dapprima chiamati in Atti (24:3), abbiano preso il loro nome dal presunto luogo di nascita del loro fondatore, poiché Nazaret non recitò quasi alcun ruolo nella vita di Gesù che era loro nota. È vero che Matteo (2:23) dice che Gesù ricevette il suo epiteto “il Nazaraios” da Nazaret e si appella a un passo nei profeti. Ma non si può trovare un simile passo, al di là del fatto che in tal caso dovrebbe essere chiamato “Nazarettano”, o altrimenti Nazaret, il suo presunto luogo di nascita, dovrebbe essere chiamato Nazara; questo nome, in effetti, è trovato in alcuni dei manoscritti antichi, ed è stato affermato, ma semplicemente per armonizzarlo con il nome Nazoraios, Nazaraios o Nazareno, che è dato a Gesù nei vangeli.

Il fatto è che il nome si presenta solo nell'ultimo strato dei vangeli (Matteo 2:23, Luca 4:16), mentre lo strato più antico (Marco 6:1, Matteo 13:54) parla semplicemente del suo “villaggio natale”. Marco 1:9, è chiaramente solo un'amplificazione della lettura più antica di Matteo 3:13, dove è detto semplicemente che Gesù venne “dalla Galilea”; e Matteo 4:13 e 21:11, sono chiaramente interpolazioni, poiché Nazaret non è stata menzionata in precedenza. Lo stesso si deve dire di Matteo 27:71, dove è scritto “Gesù di Nazaret”, secondo la precedente espressione dell'evangelista. D'altra parte, nessun teologo negherà che la storia dell'infanzia in Luca sia di data posteriore. In Marco Gesù è chiamato “il Nazareno” in 1:24; 10:47; 14:67; e 16:6, senza alcun indizio che questo indichi il luogo della sua origine. Pertanto, potrebbe anche avere un significato diverso e potrebbe essere un nome di una setta.

Questa è la tesi di William B. Smith. A suo avviso il nome può essere ricondotto all'antica radice N-Z-R, che significa qualcosa come osservatore, protettore, guardiano, salvatore. Quindi Gesù il Nazoreo o Nazareno era Gesù il Protettore, proprio come Jahvè, [25] o l'arcangelo Michele, l'“angelo-principe”, che spesso prende il posto del Messia, è conosciuto come il “protettore di Israele”, il suo portavoce presso Dio, e il suo liberatore da tutti i suoi affanni (Daniele 19:13 e 12:1; Genesi 48:16); anche il Metatrone rabbinico recita questo ruolo di protettore e di sostenitore del popolo ebraico ed è considerato “l'angelo della redenzione”, specialmente dalla dannata sofferenza negli inferi. I seguaci di Gesù, pertanto, si sarebbero chiamati nazorei perché concepivano principalmente il Messia atteso nel senso di un Michele o di un Metatrone, un protettore; ciò è, ad ogni caso, più probabile rispetto alla loro derivazione del loro nome dal luogo Nazaret, con il quale non avevano alcun legame stretto. [26] Non è affatto impossibile che il luogo Nazaret abbia preso il suo nome dalla setta dei Nazarei, invece del contrario, come ammette uno studioso così illustre del calibro di W. Nestle. [27] Secondo l'assiriologo Haupt (di Baltimora), Nazaret era un nuovo nome per la più antica Hethlon (Ezechiele 47:15), o Hittalon o Hinnathon, che significa “protezione”, e si riferisce alla posizione protetta di Nazaret tra le colline. In tal caso sarebbe naturale per l'evangelista scegliere un luogo chiamato “protezione” come il luogo di nascita del “protettore”.

Secondo Marco 10:47, il cieco Bartimeo, sentendo passare “Gesù il Nazareno”, lo chiama “Gesù, figlio di Davide”. È possibile che qui abbiamo un altro indizio del significato originale del nome. In Isaia nazar è la parola ebraica per il “germoglio”, chiamato zemah in Zaccaria; ed è chiamato in Isaia “un germoglio dal tronco di Iesse” — cioè un “figlio (discendente) di Davide”. Non potrebbe essere che l'espressione nazareo o nazareno contenga anche un'allusione al “germoglio”, come suggerisce Robertson? [28] Se la figura di Gesù e persino il suo nome, come abbiamo visto, derivano da Isaia, è naturale supporre che il suo nome secondario “il nazareo” possa essere ricondotto a sua volta alla stessa fonte e che nel nome della sua setta ci sia una relazione con il germoglio di Davide del profeta. “È cresciuto come un virgulto, un nazar (Isaia 53:2); da ciò un'età più tarda lo ha reso un “Nazareno” e ha collocato la sua nascita a Nazaret. [29] Questo consentirebbe anche una semplice spiegazione dello strano riferimento in Matteo 2:23, a qualche passo sconosciuto nei profeti, e non c'è bisogno di supporre che Nazaret divenne solo il nome di un luogo ad una data successiva; potrebbe essere esistita già, ed essere stata scelta come luogo di nascita di Gesù a causa della sua connessione con nazar.

Siamo disposti a credere che la setta dei Nazorei fosse originariamente la stessa dei nasirei, gli “iniziati” o “santi”, che si distinguevano dal resto degli ebrei per la loro astinenza da olio e vino e dall'uso del rasoio, e per il rigore delle loro vite; e che i nazirei fossero quei nasirei che concepivano l'atteso Messia nel senso del nazar di Isaia. In Lamentazioni (4:7) i “puri” sono chiamati “naziriti” [Nazarei] e Flavio Giuseppe scrive Nazaraios in Antichità 4:4, 4, ma Naziraios in 19:6, 1.

È ammesso che l'origine di Gesù da Nazaret è in contraddizione con il credo che il Messia dovesse nascere a Betlemme come un germoglio da Davide. Ma non è una contraddizione tra il dogma messianico e un “duro fatto di Storia”, come dice Weiss (pag. 22); è dovuto semplicemente al fatto che l'uomo della stirpe di Davide è chiamato dal profeta un “germoglio” (nazar); e quando gli uomini cominciarono a fare di Gesù una persona storica, trovarono nella concordanza della parola con Nazaret un'occasione molto gradita per nascondere la vera origine di Gesù in Isaia. La contraddizione non procurava più fastidio ai primi cristiani di quanto ne avrebbe dato il fatto che forse non esisteva un luogo come Nazaret al tempo di Gesù. Probabilmente non c'era nemmeno un luogo come Cafarnao, Emmaus, Bethesda, Nain, Getsemani, o Golgota. E se i nostri avversari obiettassero che, se ciò fosse stato così, la storia di Gesù avrebbe tradito la sua natura di finzione, e un ebreo avrebbe constatato subito l'inganno, potremmo ricordare loro che la strage degli innocenti a Betlemme, il vagabondaggio della gente per farsi registrare al censimento, l'eclissi astronomicamente impossibile del sole, che sarebbe dovuta durare tre ore, alla morte di Gesù, e molti altri dettagli, non hanno procurato il minimo fastidio agli evangelisti. Perfino oggi il devoto lettore della Bibbia non è disturbato da queste cose. Né vi era alcun timore di un'obiezione ebraica alla provenienza di Gesù da Nazaret, perché il processo della storicizzazione del mito di Cristo fu completato solo in un momento in cui nessuna prova storica di sorta della vera origine di Gesù poteva essere addotta, poiché, come abbiamo visto, il più antico vangelo usa probabilmente il nome Nazareo non per indicare il luogo di nascita di Gesù, ma come un nome di una setta con riferimento al “protettore” o “salvatore” e al nazar di Isaia. [30]

2. GERUSALEMME.

Finora, quindi, la derivazione del nome Nazareo, o Nazoreo, o Nazareno, dal villaggio di Nazaret, dobbiamo dire che questa è la meno probabile di tutte le possibili suggestioni. I nomi dei luoghi nei vangeli, infatti, non offrono alcuna prova della storicità di Gesù, poiché l'intera topografia della vita di Gesù è attinta nelle sue linee principali da Isaia e da altri profeti. Quindi era inevitabile che, non appena il processo cominciasse ad essere considerato dal punto di vista storico, il grande dramma della sofferenza e della morte del servo di Dio e la relativa redenzione dell'umanità si dovessero localizzare a Gerusalemme. Come dice Luca (13:33, si veda anche Salmo 116:14-19): “Non può essere che un profeta muoia fuori di Gerusalemme”. È il tema invariabile dei profeti che Gerusalemme sarà glorificata da Jahvè, e diventerà il centro della storia del mondo (Isaia 62:7). Nel profeta Zaccaria leggiamo degli abitanti della città: 
Essi guarderanno a me, a colui che essi hanno trafitto, e ne faranno cordoglio come si fa cordoglio per un figlio unico, e lo piangeranno amaramente come si piange amaramente un primogenito. 
In quel giorno ci sarà un gran lutto in Gerusalemme, pari al lutto di Adadrimmon nella valle di Meghiddo. 
Il paese farà cordoglio, ogni famiglia per proprio conto; la famiglia della casa di Davide da una parte, e le loro mogli da un'altra parte (12:10-12).
A Gerusalemme gli occhi dell'intera nazione sono rivolti. Là il loro desiderio sarà soddisfatto. Da là la salvezza si diffonderà sulla terra, e il giudizio sarà assegnato agli uomini (Isaia 2).

“Ecco, io ho posto come fondamento in Sion una pietra, una pietra provata, una pietra angolare preziosa, un fondamento solido” (Isaia 28:16). “Egli sarà un santuario, ma anche una pietra d'intoppo, un sasso d'inciampo per le due case d'Israele, un laccio e una rete per gli abitanti di Gerusalemme. Molti di loro inciamperanno, cadranno, saranno infranti, rimarranno nel laccio e saranno presi” (Isaia 8:14, 15 — si veda anche 28:13). Così l'evangelista fa dire a Gesù, in riferimento al profeta: “La pietra che i costruttori hanno rifiutata è diventata pietra angolare [Salmo 118:22]……Perciò vi dico che il regno di Dio vi sarà tolto, e sarà dato a gente che ne faccia i frutti. Chi cadrà su questa pietra sarà sfracellato; ed essa stritolerà colui sul quale cadrà” (Matteo 21:42-44). In Isaia il profeta parla nello stesso modo a coloro che santificavano Jahvè, i suoi “discepoli”: “Eccomi con i figli che il Signore mi ha dati; noi siamo dei segni e dei presagi in Israele da parte del Signore degli eserciti, che abita sul monte Sion” (8:18). “Avverrà che i sopravvissuti di Sion e i superstiti di Gerusalemme saranno chiamati santi: chiunque, cioè, in Gerusalemme sarà iscritto tra i vivi” (4:3). Così il fabbricatore di tende di Tarso Paolo chiama “i santi” i cristiani di Gerusalemme; e ci si ricorda di Atti, a proposito del raduno pentecostale e della prima propaganda cristiana, quando è scritto: 
 Come un uomo consolato da sua madre così io consolerò voi, e sarete consolati in Gerusalemme......

Sta per giungere il tempo in cui raccoglierò tutte le nazioni e tutte le lingue; esse verranno e vedranno la mia gloria.

Io porrò un segno nel loro mezzo e manderò alcuni dei loro superstiti alle nazioni: a Tarshish
[!], a Pul e a Lud......alle isole lontane che non hanno udito la mia fama e non hanno visto la mia gloria; essi proclameranno la mia gloria fra le nazioni

e ricondurranno tutti i vostri fratelli da tutte le nazioni come un'offerta all'Eterno......al mio santo monte di Gerusalemme, dice l'Eterno, come i figli d'Israele portano un'offerta in un vaso puro nella casa dell'Eterno.

Prenderò pure alcuni di essi per sacerdoti e per Leviti
(Isaia 66:13-21).
In che cosa consiste questo conforto che Jahvè promette al suo popolo? Egli stesso verrà come re d'Israele e condurrà i suoi verso Gerusalemme: “Quanto sono belli sui monti i piedi del messaggero di buone novelle, che annunzia la pace, che reca belle notizie di cose buone, che annuncia la salvezza, che dice a Sion: Il tuo Dio regna!” (Isaia 52:7 — confronta 12:6). “Passate, passate per le porte! Preparate la via per il popolo! Appianate, appianate la strada, rimuovete le pietre.......Dite alla figlia di Sion: Ecco la tua salvezza giunge; ecco, ha con sé il suo salario, e la sua ricompensa lo precede. Li chiameranno Il popolo santo, I redenti dell'Eterno, e tu sarai chiamata Ricercata, La città non abbandonata” (Isaia 62:10 — si veda anche 26:2). Il profeta riferisce immediatamente le parole a Jahvè. Ma abbiamo già visto come Jahvè sia costantemente identificato con la figura del servo di Dio e redentore. Con quale facilità la storia dell'entrata a Gerusalemme si sviluppa a partire da questi passi!

“Esulta grandemente, o figlia di Sion, manda grida di gioia, o figlia di Gerusalemme”, dice il profeta Zaccaria (9:9), in parole simili a quelle di Isaia: “Ecco, il tuo re viene a te; egli è giusto e porta salvezza, umile e montato sopra un asino, sopra un puledro d'asina”. Quindi, in Matteo 21:2, Gesù ordina ai discepoli di portargli l'asino e il suo puledro che troveranno, l'evangelista avendo in mente anche le parole di Genesi 49:11: “Egli lega il suo asinello alla vite e il puledro della sua asina alla vite migliore”. E Marco (11:2) aggiunge alle parole di Gesù la precisazione che nessun uomo ha ancora cavalcato l'asino, perché è detto in Numeri (19:2) che una giovenca senza macchia “su cui non è mai stato posto alcun giogo” sarà portata al sacerdote Eleazaro. [31

L'osanna del popolo e il loro grido: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore” (Matteo 21:9), è tratto dal 118° Salmo: “O Signore, dacci la salvezza [“Salvaci” è il significato dell'ebraico hoschia-na, che l'evangelista sembra aver inteso erroneamente per un grido di gioia!] Benedetto colui che viene nel nome del Signore” (26). Le parole che Gesù avrebbe detto riguardo ai suoi seguaci entrando a Gerusalemme, “Vi dico che se costoro tacciono, le pietre grideranno” (Luca 19:40), si basano sul profeta Abacuc: “Poiché la pietra griderà dalla parete” (2:11). Persino il nome “Getsemani”, che in nessun'altra parte si trova come nome di un luogo, è ispirato, come osserva Smith, a Isaia. Il nome significa “pressa dell'olio” o “frantoio”. Sembra riferirsi a Isaia 63:2, dove è detto di Jahvè: “Perché questo rosso sul tuo mantello e perché le tue vesti sono come quelle di chi calca l'uva nel tino [in ebraico [gath] ?” “Io sono stato solo a calcare l'uva nel tino”, dice Jahvè; “e nessun uomo di fra i popoli è stato con me; io li ho calcati nella mia ira, li ho calpestati nel mio furore; il loro sangue è spruzzato sulle mie vesti, ho macchiato tutti i miei abiti. Poiché il giorno della vendetta, che era nel mio cuore, e il mio anno di redenzione sono giunti. Io guardai, ma non c'era chi mi aiutasse; fui stupito che nessuno mi sostenesse; allora il mio braccio mi ha salvato”. Qui abbiamo una chiara relazione con l'abbandono di Gesù sul Getsemani e con il suo conforto da parte di un angelo (Luca 22:43), e con il riferimento al sangue (Luca 22:44). La vendetta di Jahvè sui gentili si trasforma nei vangeli nell'atto contrario del sacrificio di Gesù; e mentre in Isaia è il vino dell'ira e della vendetta che scorre dalla pressa, qui è l'olio di guarigione e di salvezza che si riversa dalla pressa (gath) sui popoli.

Al pari del Getsemani, il Golgota, “il luogo del cranio”, è un altro luogo che non possiamo verificare. È possibile che il nome sia collegato ai pilastri (golgoi) della madre degli dèi occidentale-asiatica e indichi un antico centro gebuseo del culto di Adone sotto il nome di Golgos. Ma forse c'è un elemento astrale, visto che Matteo (27:33) rende la parola “luogo del teschio” (dall'ebraico gulguleth, il teschio), e suggerisce il teschio o la coppa (teschio come recipiente) che è trovato sotto la croce di primavera nei cieli. [32]

3. GALILEA.

Secondo i vangeli, il Salvatore non vive inizialmente nella città santa. Da dove provenne? Ancora una volta troviamo la risposta in Isaia: “” (41:25). Nel nord c'è la Galilea, di cui si dice nel profeta: “” (Isaia 9:1-2). Che la Galilea, in realtà, era generalmente considerata la terra da cui il Messia sarebbe venuto è confermato dal Talmud, il quale afferma che, essendo i Galilei i primi a essere cacciati in esilio, dovrebbero essere i primi a ricevere consolazione, in armonia con la legge di compensazione che governa tutti i piani divini. [33] Quindi le seguenti parole del profeta potrebbero essere riferite ai galilei e alla loro allegrezza: “Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete e come si gioisce quando si spartisce la preda......Poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace; grande sarà il suo dominio e la pace non avrà fine sul trono di Davide e sul regno, che egli viene a consolidare e rafforzare con il diritto e la giustizia, ora e sempre” (Isaia 9:3, 6, 7).

Quindi è la parola del profeta, non un “duro fatto di Storia”, a richiedere la nascita del Salvatore in Galilea. Allora Nazaret, con la sua relazione a nazar, si presentò da subito come il luogo di nascita adeguato per Gesù, non appena gli uomini cominciarono a concepire l'episodio storicamente.

Considerazioni astrali potrebbero aver cooperato. La Galilea, da galil = cerchio, riferisce al cerchio zodiacale che il sole attraversa; anche nel profeta il Salvatore è identificato con il sole. Il “popolo che camminava nelle tenebre” e che “abitava nel paese dell'ombra” potrebbe facilmente identificarsi con gli “spiriti” di cui parla Isaia (8:19), in cui “non c'è luce”, popolo che “andrà peregrinando per” il paese, “affranto, affamato; quando avrà fame, si irriterà, maledirà il suo re e il suo Dio; volgerà lo sguardo in alto, lo volgerà verso terra, ed ecco, non vedrà che difficoltà, tenebre, oscurità piena d'angoscia; sarà sospinto in mezzo a fitte tenebre”. Suggerisce le anime nel mondo inferiore, le stelle nel loro corso al di sotto dell'equatore celeste, che “gioiscono” alla nascita della “grande luce” al solstizio d'inverno e sono condotte al loro momento di splendore. In questa prospettiva, la Galilea dei Gentili (Galil-ha-goim) coincide con la metà inferiore, la “regione d'acqua” dello zodiaco, nella quale si trovano i segni acquatici della costellazione del Pesce Australe, l'Acquario, i Pesci, la Balena. ed Eridano. [34] Comprendiamo così perché “la Galilea, sulla via del mare, al di là del Giordano”, recita un ruolo così grande nella storia di Gesù; era destinata ad essere riconosciuta in un'era messianica. Quindi questa “regione acquatica” del cielo è il teatro principale della vita del Salvatore; da qui nei vangeli il “Mare di Galilea”, il Mare di Genesaret, e i molti nomi di luoghi della regione. Per i Greci e i Romani non avevano alcun significato ulteriore, ed erano semplici nomi, ma molto simili ai nomi di luoghi di Omero o di Virgilio, o della descrizione della spedizione degli Argounati da parte di Apollonio di Rodi. È incredibile che von Soden cerchi in questi nomi una dimostrazione della storicità della narrativa evangelica. [35]

Abbiamo già visto che il Giordano ha un significato astrale nei vangeli e corrisponde al celeste Eridano (egiziano, iero o iera = il fiume) o alla Via Lattea. Potrebbe essere lo stesso con altri presunti nomi di luoghi. Per quanto riguarda il più importante di tutti loro, Cafarnao, Steudel ha richiamato l'attenzione a Zaccaria 13:1, dove è detto: “In quel giorno vi sarà una fonte aperta per la casa di Davide e per gli abitanti di Gerusalemme, per il peccato e per l'impurità”, e ci ricorda che nella sua Guerra Giudaica (3:10, 8) Flavio Giuseppe menziona una “quanto mai fecondatrice” e prosperosa sorgente “che la gente del posto chiama Cafarnao”. Quando leggiamo in Flavio Giuseppe la descrizione del pescoso Mare di Genesaret e della regione circostante, con la sua bellezza e il suo fascino, le sue palme, noci, fichi, olive e alberi da frutta di ogni tipo, riteniamo che non sia necessaria altra “conoscenza del luogo” per “inventare” l'intero contesto regionale della vita di Gesù con l'aiuto di questi indizi.

(f) La Cronologia dei Vangeli. — Non solo la topografia dei vangeli si basa chiaramente su Isaia, ma, come abbiamo già visto, la cornice cronologica degli eventi ivi descritti presenta delle difficoltà molto serie. Sembra che molti nomi di supposti personaggi storici nei vangeli siano stati originariamente di un personaggio astrale e siano stati successivamente inseriti nello schema storico; tali sono Erode, i sommi sacerdoti Anna e Caifa, e Pilato. Vi è a malapena riportato qualcosa intorno a loro che concorda con i fatti a noi noti per altre vie, ma ciò concorda benissimo con gli aspetti astrali e le costellazioni. [36] La concezione del giusto come “appeso” e la trasformazione simbolica del palo del martire nella forma mistica della croce come segno di fuoco e di vita, corrispondente alla costellazione di Orione, suggerirono l'idea di far sì che il servo di Dio e portatore di vita, che muore sulla croce, sia messo a morte dai romani, non dagli ebrei, poichè gli ebrei uccidevano il blasfema con la lapidazione. Questo stabilì il periodo per la storia di Gesù. Si può anche immaginare che la figura di Augusto abbia avuto qualche influenza su questo; sarebbe naturale opporre al signore romano del mondo, il cui regno aprì una nuova era della storia e che fu salutato come salvatore e redentore del mondo, il vero salvatore nella persona di Gesù, nato ai suoi tempi. [37]

Poi c'era, forse, una ragione più generale per fissare il tempo della morte di Gesù. Secondo il vangelo di Luca, Gesù deve essere morto nell'anno 29. Siccome morì nello stesso anno di Giovanni, e Giovanni, secondo le indicazioni di Flavio Giuseppe, morì poco prima dell'anno 36, Keim [38] e altri hanno assegnato la morte del salvatore a quell'anno. Keim ricorda il sentimento generale di tensione nell'Impero romano nell'anno 34, e a questo collega l'apparizione del Battista. A Roma la morte di Tiberio si attendeva ogni giorno. I Parti minacciavano da oriente e il loro principe Artabane aveva strappato l'Armenia ai Romani e rivolto la sua attenzione alla Siria. Più o meno nello stesso periodo si annunciavano grandi eventi in Egitto, che sembravano indicare l'apertura di una nuova epoca. Nell'anno 34 si credeva che la favolosa fenice, la quale ogni cinquecento anni veniva ad Eliopoli per bruciare sé stessa e risorgere ringiovanita, fosse stata vista. La fenice era legata all'attesa messianica degli ebrei. Proprio come il meraviglioso uccello si distruggeva alla fine di ogni epoca mondiale e si ricreava, così il Messia era atteso come il creatore di un nuovo mondo. [39] Il mondo intero stava discutendo l'evento straordinario al tempo, e ciò potrebbe aver contribuito alla localizzazione in quel periodo della morte del salvatore e alla sua gloriosa resurrezione dalle fiamme del vecchio mondo.

Inoltre, l'indù Krishna, che, come salvatore, vincitore di draghi, e “crocifisso”, è sotto molti aspetti simile a Gesù proprio come un uovo è simile ad un altro, si diceva che avesse predetto alla sua morte che il quarto periodo mondiale, Kali Yuga, l'età del ferro, avrebbe avuto inizio trentasei anni dopo, e gli uomini sarebbero diventati malvagi e miserabili. Per gli ebrei, l'anno 70, in cui Gerusalemme fu espugnata e il tempio, il santuario nazionale e il centro della fede, fu distrutto, costituì il punto di svolta nella storia del mondo. Era l'anno del grande giudizio sugli ebrei, come aveva predetto Isaia, la cui venuta avrebbe dovuto presagire il salvatore. Calcolando a ritroso, questo dà ancora l'anno 34 come quello della morte di Gesù, e concorda con l'idea che i vangeli raggiunsero la loro forma attuale nel primo quarto del secondo secolo, nel terribile periodo in cui ebrei e cristiani cominciarono a separarsi, come Lublinski ha mostrato in maniera così vivida. [40]

Che questo sia così o no, non abbiamo una data certa della morte del salvatore, e ogni tentativo di riconciliare gli indizi contraddittori è inutile. [41] Quei fatti, comunque, ci permettono di sospettare perché, quando il mito del servo di Dio cominciò ad assumere una forma storica, la sua morte fu fissata intorno all'anno 30 della nostra era. La vita di Gesù potrebbe essere stata raccontata per un lungo tempo non storicamente nella misura in cui è interessato un preciso periodo di tempo; forse essa era astrale in origine, come crede Niemojewski. Possiamo solo ripetere che anche dal punto di vista cronologico non c'è nessun bisogno di prendere sul serio i presunti dati storici dei vangeli. Ciò è sfortunato per coloro che li rappresentano come Storia reale, poiché essi per la maggior parte derivano il loro materiale soltanto dai vangeli. È ormai tempo di ascoltare gli eruditi ebrei (Graetz, Joel, Chwolson, Lippe, Lublinski) che dicono che in realtà sono le condizioni del secondo secolo, non del primo, ad aver fornito in dettaglio la cornice della storia evangelica. Le sette gnostiche, da cui si originò il cristianesimo, conoscevano all'inizio solo un Gesù astrale, la cui “storia” mitica era composta da brani dei profeti, di Isaia, del Salmo ventiduesimo e della Sapienza. In questo non erano molto lontani dai farisei, i quali, essendo “credenti nel fato”, come sappiamo da Flavio Giuseppe e dal Talmud, favorivano a loro volta le idee astrologiche. [42] Fu solo dopo la distruzione di Gerusalemme, quando i farisei abbandonarono quelle speculazioni e aderirono rigorosamente alla legge — anzi combatterono espressamente le fantasie della mitologia astrale — e quando la nuova fede si diffuse in circoli più ampi che non comprendevano il significato astrale del mito di Gesù e consideravano il mito una storia reale, che la conoscenza degli aspetti astrali andò perduta gradualmente, e la gente cominciò a cercare un fondamento saldo per la storia di Gesù nel corso reale degli eventi.

Gli gnostici del secondo secolo, tuttavia, preservavano ancora in linea di principio la natura astrale della storia del salvatore, e forse abbiamo un'eco della lotta crescente contro la limitatezza e l'unilateralità della concezione farisaica da parte di coloro che erano “iniziati” ai “misteri” della dottrina astrale nelle parole di Gesù agli scribi: “Guai a voi, dottori della legge! Perché avete tolto la chiave della conoscenza. Voi stessi non siete entrati e a chi voleva entrare l'avete impedito” (Luca 11:52).

(g) Il Gesù Pre-Cristiano. — Abbiamo visto che c'era un Cristo pre-cristiano come pure un Gesù pre-cristiano. In entrambi i casi, Isaia ha fornito l'occasione immediata per la figura. C'era un credo nella sofferenza e nella morte del “servo di Dio”, nella sua resurrezione ed esaltazione da parte di Dio e nella redenzione spirituale e corporale degli uomini per questo mezzo, come gli ebrei si aspettavano dal loro Messia. Il servo di Dio, è vero, non era lui stesso, nella sua umana umiltà e povertà, il Messia, poiché al Messia era associata l'idea di un conquistatore del mondo che trionfava sui nemici di Israele, che restaura il potere di Davide, un potente signore della vita e della morte, che discende dal cielo per giudicare i peccatori, per fondare un nuovo cielo e una nuova terra, e che inaugura un'età dell'oro per i suoi seguaci (Isaia 65). Ma la sua apparizione sulla terra doveva essere la condizione per la venuta del Messia, e la sua morte doveva essere la grande espiazione per la colpa degli uomini, senza la quale gli ebrei non potevano condividere la gloria del regno messianico (Isaia 68). La figura del servo di Dio, inoltre, a volte si fondeva con quella di Jahvè stesso, ed era lui che doveva sostenere l'ultimo giudizio e condurre il suo popolo nel regno agognato (Isaia 13:7; 25, 26, 31, ecc.); altre volte sembrava essere un essere speciale, accanto o al di sotto di Jahvè, il “figlio di Dio”, o il rappresentante del “giusto”, che secondo Platone e la Sapienza, sopportano molto dai loro nemici sulla terra, ma sono elevati ad altezze divine dopo la morte e ottengono la vita eterna. Era una visione strettamente affine al credo, tra i popoli non ebrei, in un Dio-salvatore sofferente, morente e risorgente, celebrato in culti segreti e rappresentato da varie sette. È naturale sospettare che l'idea della missione del Messia derivata da Isaia fosse una dottrina segreta tra gli ebrei, e avesse i suoi principali rappresentanti in circoli o sette particolarmente mistici, ai margini della religione ebraica ufficiale.

Forse i Nazorei o Nazarei, come Epifanio chiama i primi cristiani, erano una tale setta, siccome egli osserva che esistevano prima di Cristo, e non sapevano nulla di Cristo — vale a dire, di un uomo storico con quel nome (Haeres, 17:29). È vero che afferma questo solo a proposito dei Nasarei, una setta ebraica che viveva ad oriente del Giordano, praticava la circoncisione, osservava il Sabato e le feste ebraiche, ma rifiutava cibo e sacrifici animali e considerava falso il Pentateuco, [43] e lui si adopera con la massima cura a distinguere tra le due sette, i Nazorei e i Nasarei. Ma non è facile credere che fossero davvero distinti, e la confusione del suo testo nel passo relativo è dovuta, sospetta Smith (The Pre-Christian Jesus), semplicemente al suo tentativo di oscurare la situazione reale.

Secondo Epifanio, i Nazorei erano strettamente affini ai Iesseni; infatti, è detto che il nome era stato in origine un nome dei Nazorei. Epifanio lascia aperta la possibilità che prendessero il loro nome da Gesù oppure da Iesse (Isai), padre di Davide e antenato del Messia. Ciascuno dei due casi è possibile, dal momento che il nome ebraico Giosuè può essere reso Gesù oppure Jessus in greco, come si vede nella relazione tra Maschiach e Messia. Forse, tuttavia, abbiamo nel loro nome (Iesseni = Iesaiani[Jessaioi]) un'eco del nome del profeta a cui dovevano la loro concezione particolare del Messia sofferente. Il nome Isaia è inoltre, strettamente connesso al nome Gesù, Jehoschua o Giosuè e significa “salvezza di Jahvè”. “Salvezza di Dio” sarebbe, naturalmente, un nome altrettanto appropriato per il “dio-salvatore” proprio come “Dio-Salva”.

Inoltre, gli Iesseni o Jesseni dovevano essere stati strettamente collegati con gli Esseani o Esseni che, al pari dei Terapeuti dell'Egitto, coltivavano una mistica dottrina esoterica, e curavano le malattie ed espellevano i diavoli con la magia dei nomi. Il “servo di Dio” in Isaia era anche un medico dell'anima, un guaritore, e un espulsore di demoni. Quando, quindi, Epifanio osserva che il nome Gesù significa in ebraico curator o therapeutes (guaritore o medico), non è affatto improbabile che gli Esseani adorassero il loro dio sotto il nome Gesù o Giosuè.

Nei vangeli (Marco 9:39, Luca 9:49, 10:17), in Atti (3:16), e nell'epistola di Giacomo (5:14), leggiamo che il nome Gesù aveva un potere miracoloso, e il Talmud dice anche che verso la fine del primo secolo le malattie erano guarite nel nome di Gesù. Secondo Weiss, questa è “una delle più forti prove che fosse conosciuto da ebrei e da gentili come un esorcista di successo” (pag. 19); e Weinel accusa Smith di “una scarsa conoscenza dell'argomento”, perché conclude da ciò che il nome Gesù deve essere stato dall'inizio il nome di un dio. “Perché”, ci informa saggiamente, “i demoni erano espulsi nel nome di Salomone, ad esempio, come pure nel nome di Dio o di un dio. [44] In questo modo si assicuravano il potere misterioso che, secondo le idee dell'epoca, possedeva Salomone o Gesù — quest'ultimo in virtù delle cure che aveva realmente compiuto” (pag. 94). Infatti! Sfortunatamente, nel passo citato da Flavio Giuseppe, non si dice affatto che il mago ebreo Eleazaro abbia esorcizzato i demoni “nel nome di Salomone”, ma semplicemente che li ha esorcizzati e allo stesso tempo ha “ricordato” il nome di Salomone e ha pronunciato le formule magiche composte da lui. Da ciò non segue affatto che fosse il nome di Salomone, e non il nome di qualche essere divino, che operasse i miracoli. Si suppone che Solomone abbia espulso i demoni nel suo stesso nome? Sarebbe troppo simile a Zeus nell'operetta di Offenbach, Orfeo agli Inferi, che giura “per me”! Ciò non è stato fatto nemmeno da Gesù, che cacciò i demoni nel nome dello Spirito Santo (Matteo 12:28). Leggiamo in Giustino, inoltre, che il Giosuè dell'Antico Testamento fu reso capace solo di compiere miracoli quando Mosè cambiò il suo nome da Osea in quello del salvatore cristiano (Numeri 13:16). [45] Quindi, non si facevano miracoli nel nome di Gesù perché il Gesù storico era stato “un esorcista di successo”, ma il nome stesso avrebbe dovuto avere il potere di espellere demoni e la natura irresistibile, in modo del tutto indipendente, sembra, dai miracoli del Gesù “storico”.

A questo proposito sembra esserci più probabilità nel suggerimento di Smith secondo cui le parole del papiro magico pubblicate da Wessely, “Ti scongiuro per il Dio degli Ebrei, Gesù”, indicano un uso pre-cristiano del nome Gesù negli esorcismi. Weiss, è vero, dice che il papiro era “certamente” scritto da un pagano “che non era in grado di distinguere tra ebrei e cristiani” (pag. 19). Deissman crede anche che il nome sia stato successivamente interpolato da un pagano, dal momento che né un cristiano né un ebreo chiamerebbero Gesù il Dio degli ebrei. Ma cosa succede se Gesù fosse stato in origine il nome di un dio? Che cosa accadrebbe se ci fosse un dio-Gesù precristiano giudeo-gnostico? È possibile che Deissman sia caduto qui nell'errore dei “distruttori di nomi” che lui disprezza così tanto — quelli che pensano “nulla di genuino che non sia banale”, e che cancellano “un grande nome” ovunque lo trovino ? Il copista ha aggiunto “i cathari” (ossia, “i puri”) alle parole citate. Noientemeno che uno studioso del calibro di Albrecht Dieterich ha dichiarato che i “puri” sono identici agli Esseni o ai Terapeuti, e ha sottolineato che il papiro non tradisce alcuna influenza cristiana, ma appartiene ai circoli giudeo-ellenistici, [46] e, se questo è così, gli esseni devono aver riconosciuto un dio-Gesù. Che cosa dice di questo Weinel, che pensa che sia “puerile” identificare “i puri” con gli esseni? Dice recisamente: “Tutti sanno che abbiamo un'influenza cristiana qui; che è il Gesù cristiano ad essere inteso, e ad essere erroneamente rappresentato come un Dio degli Ebrei” (pag. 103). La verità è che i teologi hanno finora pensato di aver dimostrato questo, perché non hanno considerato alcuna alternativa al loro punto di vista.

Poi c'è l'inno Naasseno, che Ippolito ha conservato per noi, in cui si presenta il nome Gesù. Egli “prega suo padre” di farlo discendere per portare la redenzione a coloro che camminano nelle tenebre. “Portando i sigilli io discenderò; passerò attraverso gli eoni; rivelerò tutti i misteri e mostrerò la forma degli dèi: trametterò i segreti della santa via, che chiamerò Gnosi”. I teologi dicono, in opposizione a Smith, che questo inno è post-cristiano. Ma siccome ci furono Naasseni o Ofiti prima dell'apparizione del cristianesimo, come hanno supposto Mosheim (Geschichte der Schlangenbrüder) e Baur (Die christliche Gnosis, 1835, pag. 37, 52 e 194), e come Hönig ha completamente provato (Die Ophiten, 1889), equivale semplicemente ad aggirare il problema dire che nel caso di questo salmo abbiamo “Naasseni cristiani”, specialmente visto che il salmo stesso ha una natura molto antica ed è strettamente correlato alle forme corrispondenti babilonesi di invocazione. Al contrario, è difficile resistere al sospetto che l'antico nome magico babilonese fosse combinato in un primo momento con l'idea di un guaritore divino, e Gesù (Giosuè, Giasone, Iasios) era un nome usato negli esorcismi presso le sette gnostiche pre-cristiane. Inoltre, il nome deve indicare una sorta di essere divino, come in pochi dubiteranno tra chi abbia qualche conoscenza delle antiche formule di invocazione e magia.

Whittaker (The Origins of Christianity, seconda edizione, 1909, pag. 27) ha attirato l'attenzione su Giuda 5, dove è scritto: “Ora io voglio ricordare a voi, che già conoscete tutte queste cose, che il Signore, avendo salvato il popolo dalla terra d'Egitto, dopo [47] fece perire in seguito quelli che non vollero credere, e che gli angeli che non conservarono la loro dignità ma lasciarono la propria dimora, egli li tiene in catene eterne, nelle tenebre, per il giudizio del gran giorno”. Così recita nel testo riveduto. Ma nel testo originale, come ce l'abbiamo nell'edizione greca del Nuovo Testamento di Buttmann, leggiamo il nome Gesù invece di “il Signore”, e questo, come abbiamo visto, equivale a Giosuè. Se poi rimuoviamo la virgola dopo “Egitto”, dove è abbastanza arbitraria e non ha significato, e la mettiamo dopo “una seconda volta”, leggiamo: “che Gesù avendo salvato il popolo dalla terra d'Egitto una seconda volta” e abbiamo una forte prova della presenza di un salvatore pre-cristiano con quel nome conosciuto nei circoli giudeo-cristiani a cui è rivolta l'epistola. Non solo conferma il credo in un dio Gesù in quelli ambienti, poiché, naturalmente, solo un dio poteva giudicare gli angeli e metterli in catene; allo stesso tempo ci mostra l'identità di questo Gesù con il Giosuè dell'Antico Testamento e rafforza la nostra convinzione che anche Giosuè, che salvò gli Israeliti dalla schiavitù dell'Egitto una seconda volta, Mosè avendoli salvati la prima volta, era considerato in quei circoli un essere divino e non un semplice eroe. Che “Gesù” sia in realtà la lettura più antica è mostrato dal quarto verso, dove Gesù è descritto come “unico Signore” dei cristiani, così che è impossibile che proprio nel verso successivo lo scrittore chiami un altro — diciamo, Jahvè — il Signore, specialmente in quanto Gesù Cristo è anche espressamente chiamato il “Signore” nei versi 17, 21 e 25. Quindi abbiamo nella epistola di Giuda e nei cambiamenti del suo testo originale una prova positiva di un tentativo di nascondere le tracce di un dio-Gesù precristiano.

A questo passo nell'Epistola di Giuda Whittaker paragona uno degli “Oracoli Sibillini”, un'opera essenzialmente ebraica, in cui leggiamo: “Allora di nuovo verrà dal cielo un uomo eccelso, lui che distese le mani sul legno fruttifero, il migliore tra gli ebrei, lui che una volta fermò il sole chiamandolo con belle parole e con labbra pure”. La traduzione tedesca recita: “Lui che distese le mani sul legno fruttifero del migliore degli ebrei”, e riferisce “lui” a Mosè e la croce ad Esodo 17:22. Ma Mosè non stende le sue mani sulla croce, ma nella forma di una croce; e non era Giosuè che fece fermare il sole, ma Aronne e Hur che sostennero le sue braccia, mentre nel frattempo Giosuè era impegnato a combattere gli amaleciti. Qui di nuovo le figure di Gesù e di Giosuè sono combinate, e apprendiamo dal passo che essi identificarono il Giosuè dell'Antico Testamento, non solo con il servo “crocifisso” di Dio, ma anche con il Messia che discende dal cielo.

Una prova ulteriore del fatto che Gesù era il nome di un dio in tempi pre-cristiani si trova nell' “Insegnamento dei Dodici Apostoli”, secondo Harnack e altri un'opera originariamente ebraica, che fu in seguito cristianizzata, alquanto superficialmente. Dice, a proposito dell'Ultima Cena: “Ti ringraziamo, o Padre nostro, per la santa vite di Davide tuo servo, che a noi rivelasti per mezzo di Gesù, tuo servo......Ti ringraziamo, Padre nostro, per la vita e la conoscenza che a noi rivelasti per mezzo di Gesù tuo servo......Ti rendiamo grazie, Padre santo, per il tuo santo nome che hai fatto abitare nei nostri cuori, e per la conoscenza, la fede e l'immortalità che ci hai rivelato per mezzo di Gesù tuo servo”. Com'è che le parole di istituzione dell'Ultima Cena nei vangeli, che devono essere state così importanti e care ai cristiani, sono omesse e sostituite dalle parole di cui sopra? È questo Gesù dell'“Insegnamento”, che si suppone abbia fatto conoscere ai suoi seguaci la “santa vite di Davide”, lo stesso Gesù dei vangeli? Questo Gesù che rivela vita e conoscenza, e in questo modo comunica l'immortalità ai suoi seguaci, ha una sospetta somiglianza con il Gesù degli antichi gnostici, nel cui caso anche la conoscenza (gnosi) rivelata da lui era il segno e la condizione essenziale della vita eterna.

Poi c'è la cosiddetta “Rivelazione” di Giovanni! Qui, di nuovo, apparentemente, abbiamo un'opera originariamente ebraica che è stata successivamente modificata in senso cristiano, e nessuno può dire con sicurezza se il nucleo della rivelazione sia stato composto prima o dopo il presunto tempo di Gesù. C'è la raffigurazione terribile del “figlio dell'uomo” che viene sulle nubi, che dice: “Io sono l'Alfa e l'Omega”, proprio come dice Jahvè di se stesso in Isaia: “Io sono il primo e sono l'ultimo” (48:13). “Il suo capo e i suoi capelli erano bianchi come lana candida, come neve; i suoi occhi erano come fiamma di fuoco; i suoi piedi erano simili a bronzo incandescente, arroventato in una fornace, e la sua voce era come il fragore di grandi acque. Nella sua mano destra teneva sette stelle; dalla sua bocca usciva una spada a due tagli, affilata, e il suo volto era come il sole quando risplende in tutta la sua forza” (Apocalisse 1:14-16). Poi c'è l'agnello con sette corna e sette occhi, che è “come morto”, e il misterioso libro aperto con i sette sigilli (5:5), e il figlio della donna “rivestita del sole, con la luna sotto i piedi e una corona di dodici stelle sul capo” che è portato sul trono di Dio, e del quale è detto che “deve reggere tutte le nazioni con una verga di ferro” (12). Oppure considera  il cavaliere sul cavallo bianco, con molti diademi sul capo, vestito con un mantello macchiato di sangue, il cui nome è “la Parola di Dio......e pigerà il tino del vino dell'ira ardente del Dio onnipotente. E sulla veste e sulla coscia porta scritto questo nome: Re dei Re e Signore dei Signori” (19:11). Cosa hanno a che fare tutte quelle forme con il “semplice” Gesù dei vangeli? Come potremmo spiegare la trasformazione di un tale Gesù in quelle straordinarie miscele di grottesco e di gigantesco così presto dopo la sua morte? Non abbiamo piuttosto un prodotto dell'immaginazione sfrenata di qualche setta o conventicola religiosa, per la quale Gesù era fin dall'inizio, non un uomo, ma un essere divino, soprannaturale, e nelle cui visioni estatiche elementi mitici e profetici si svilupparono nelle raffigurazioni deliranti che abbiamo nell'Apocalisse?

Nei dettagli percepiamo un legame con il profeta Isaia — nella forma del bambino e dell'agnello che è stato ucciso, nell'allusione alla “radice e la discendenza di Davide, la lucente stella del mattino” (22:16; Isaia 60), nella figura del cavaliere che calpesta il torchio dell'ira del giudizio (Isaia 63), nel riferimento alle sofferenze dei santi, che non si riferiscono in alcun modo alle persecuzioni dei cristiani, come è stato creduto fino ad ora, ma piuttosto alle sofferenze dei giusti della Sapienza, nel conforto con la “fonte della vita” e con la luce eterna dell'agnello, in cui le nazioni camminano e alle quali i re della terra recano la loro gloria (Isaia 60) , nella promessa della nuova Gerusalemme, in cui i tesori delle nazioni saranno ammucchiati e solo i giusti vivranno, nella lotta di Jahvè con il Leviatano, e nella figura dell'ultima tromba (Isaia 27). Il Gesù storico, che avrebbe dovuto essere l'occasione per tutto questo, non è da riconoscere in nessun luogo, e non potrebbe essere assolutamente trovato nel testo dell'Apocalisse, se non fosse letto sotto la convinzione che appartiene ai circoli cristiani, e che il Gesù di cui parla è colui la cui presunta biografia è raccontata nei vangeli. Potrebbe essere un lavoro esoterico degli “Iesseani”, nel senso della parola  spiegata in precedenza. Non vi è alcuna prova che si tratti di un'opera cristiana e che si riferisca al Gesù “storico”. Le numerose allusioni astrali-mitologiche nell'opera indicate da Dupuis puntano, non ad un Gesù storico, ma ad un Gesù puramente mitico.

Se, quindi, Gesù aveva un significato mitico nei tempi pre-cristiani, sarebbe molto sorprendente se non fosse anche adorato in certe sette, specialmente in vista del ruolo recitato dal nominato in maniera simile Iasios o Giasone come guaritore e patrono di medici nei misteri greci. È certo che Mosè era considerato divino, non solo nella filosofia religiosa alessandrina di Filone, che è strettamente legata alle sette palestinesi, ma anche nel credo delle medesime sette. Proprio come Filone vede in lui il legislatore e il profeta, lo “spirito più puro”, il tipo ideale di umanità, il mediatore e riconciliatore con Dio, perfino un essere divino, e lo rende uguale al Messia, così, per la sua stessa dimostrazione, questo accadeva in parecchie sette giudeo-gnostiche, che guardavano a Mosè come una specie di dio, avevano una leggenda della sua assunzione in cielo, e per questo motivo lo veneravano come il vincitore della morte e dei demoni. Filone dice che i Terapeuti tenevano una grande festa il settimo Sabato, il cinquantesimo giorno dell'anno a quel tempo, in cui, dopo un festoso pasto notturno, che probabilmente aveva un significato mistico, gli uomini e le donne erano sistemati in un doppio coro, che Filone definisce un'imitazione del coro che Mosè e sua sorella Miriam organizzarono per celebrare la loro vittoria e gratitudine dopo il passaggio del Mar Rosso. In Filone e nei Terapeuti la liberazione degli ebrei dalla schiavitù d'Egitto significa la liberazione dell'anima dai lacci dei sensi e il passaggio al regno del puro spirito. Ma siccome il pasto dei Terapeuti era certamente legato alla cena pasquale, che gli ebrei celebravano prima della fuga dall'Egitto, esso aveva un significato storico oltre che mistico, come la Cena cristiana. “L'anima prepara nella Pasqua ebraica o nella sua imitazione i pasti terapeutici per la liberazione dai lacci dei sensi; domanda poi l'aiuto divino nel passaggio attraverso il Mar Rosso che costeggia l'Egitto (o il corpo) e gioisce nei cori sacri, inebriata dell'amore celeste e ricolma di gratitudine per il Dio salvatore, il redentore”. [48]

Ora Giosuè è in stretta relazione, se non un semplice duplicato, di Mosè. Nel suo caso il passaggio del Mar Rosso è rispecchiato dal passaggio del Giordano, il fiume del cielo, come lo consideravano i mandei [49] e nel suo caso anche il passaggio è legato alla festa della Pasqua ebraica (Giosuè 5). La storia di Giosuè è costruita, punto per punto, su quella di Mosè; [50] in effetti, sembra che siano solo due diverse forme della stessa figura mitica, il legislatore e il capo di Israele — vale a dire, il sole nel suo passaggio attraverso i segni d'acqua dello Zodiaco in primavera, in combinazione con Oannes che determina e annuncia la divisione dell'anno (si veda pag. 190). Dopo questo, è un'ipotesi forzata e precaria il fatto che anche Giosuè fosse in origine un nome efraimita per il sole, un antico dio settario ebraico, un eroe del culto in certi circoli gnostici, che erano influenzati in questo dai loro vicini pastorali pagani e dalla loro venerazione di simili personalità mitiche? Se Melchisedec, che, come Mosè, è messo da Filone sullo stesso piano della “parola” divina, del Logos e del Messia — se Noè, Enoc, Giuseppe e persino Caino erano adorati, è probabile che Giosuè, il secondo Mosè, sia stato trascurato?

Ora sappiamo che c'era uno gnosticismo ebraico pre-cristiano. Nella sua opera ammirevole, Der vorchristliche jüdische Gnostizismus (1898), Friedländer ha ampiamente descritto esso e il suo legame con la filosofia religiosa di Alessandria, [51] Gunkel ha tracciato le sue relazioni con le idee persiane e babilonesi. [52] Dobbiamo rifiutare completamente l'idea di un culto pre-cristiano di Gesù perché non ne abbiamo la prova diretta? Possiamo, tuttavia, dedurre la sua esistenza dalle poche tracce esistenti in base alle stesse regole della scienza tramite cui deduciamo qualsiasi altro fatto da indizi e frammenti nelle indagini storiche quando non ci sono prove dirette. È vero che possiamo solo ricavare supposizioni più o meno sicure, specialmente se si sta parlando di un culto segreto, la cui dottrina non era probabilmente destinata alla scrittura (Gunkel, pag. 63), e perché la Chiesa cristiana e la sinagoga ebraica hanno fatto tutto quanto in loro potere per distruggere le opere eretiche e ogni traccia della vera origine del cristianesimo.

Abbiamo ampia esperienza della condotta della Chiesa romana nel sopprimere testi scomodi. Com'era probabile che dovesse agire quando aveva mezzi migliori per agire così rispetto ad ora, quando possedeva ancora un potere illimitato sulle anime, e quando la difficoltà di pubblicare opere era tale da limitare il loro numero in un modo che noi ora possiamo a malapena apprezzare; tanto più che, in ogni caso, vi sarebbero state poche copie di quei testi gnostici esoterici? Tutto ciò che sappiamo dello gnosticismo è derivato dai resoconti distorti dei suoi avversari ecclesiastici, poiché la Chiesa mosse cielo e terra per distruggere le opere dei suoi sostenitori. Non possiamo dimenticare i tesori che abbiamo perso in questo modo più di quanto possiamo dimenticare la sua distruzione brutale della nostra letteratura più antica (canti degli dèi, leggende di eroi, formule magiche, ecc.) nei primi anni della missione cristiana in Germania e durante il Medioevo; in quegli anni abbiamo perso un tesoro inestimabile, strappato dalle mani di preti fanatici, calpestato sotto i pesanti piedi dei monaci, e dato alle fiamme.

E anche se respingessimo l'idea di un culto pre-cristiano di Gesù, coloro che credono nella sua natura storica non ne ricavano nulla. Non è assolutamente vero, come è detto costantemente negli opuscoli, nelle conferenze e nelle riviste, che il Mito di Cristo si regge o cade con l'esistenza di un Gesù pre-cristiano. La natura mitica del salvatore cristiano è provata a sufficienza dalla natura degli stessi vangeli e dalla mancanza di prove indipendenti; è del tutto indipendente dal problema se Gesù fosse o non fosse stato adorato in precedenza. Il credo in un culto precedente getterebbe semplicemente una luce benvenuta sull'origine del cristianesimo e sul suo legame con il mondo circostante ebraico e pagano. Ci si potrebbe azzardare a dire che i teologi hanno trovato così tanto nei loro documenti, quando si adattavano al loro scopo, che certamente saranno in grado di scoprire un Gesù pre-cristiano ogni volta che la loro teoria ne richieda uno, e non siano più impediti per la loro dipendenza dalla Chiesa da uno studio imparziale della materia.

(h) La Conversione del Gesù Mitico in un Gesù Storico. — Dobbiamo ora fare un'indagine speciale sulla questione di come il Gesù mitico — il salvatore Isaianico (o Iesseano), il servo di Dio sofferente, morente, e risorgente e il giusto  — fu convertito nel Gesù storico, e osservare fino a che punto le promesse profetiche e le speculazioni mitologico-astrali delle sette gnostiche contribuirono al processo, e fino a che punto le esperienze personali e le disposizioni religiose delle comunità determinarono la figura del Gesù storico e trasformarono uno schema astratto in una personalità vivente. Il Mito di Cristo si è accontentato di alcune indicazioni generali a questo riguardo. Ha semplicemente raccolto materiale da cui poter ricavare qualche idea dell'origine del cristianesimo. Forse non è ancora giunto il momento per uno studio più approfondito della questione, poichè si deve prima compiere l'opera di purificare  una vera e propria stalla di Augia dai pregiudizi ed errori e preparare il terreno per una costruzione sobria. È chiaro che la conversione del Gesù mitico nel Gesù storico non avrebbe potuto aver luogo prima dell'inizio del secondo secolo, quando non ci sarebbero stati testimoni viventi degli eventi relativi. I settanta o ottanta anni che sarebbero trascorsi dopo la presunta morte di Gesù sarebbero stati sufficienti a permettere che la sua “storia” sembrasse plausibile, specialmente perché la distruzione di Gerusalemme aveva turbato così tanto la vita della gente da non esserci timore di avversari ebrei in grado di dimostrare la falsità delle loro asserzioni. Allo stesso tempo, non abbiamo bisogno di postulare un deliberato inganno nella conversione del mito in Storia. Siccome tutti gli aspetti principali della natura di Gesù erano stati a lungo in esistenza, come abbiamo visto, e il mito avrebbe teso naturalmente ad assumere la forma di una narrazione, come se si stesse trattando di eventi reali nel passato, l'intero processo avrebbe potuto svolgersi così gradualmente e inconsciamente che non c'è occasione di parlare di “sfacciata menzogna” e “completa truffa”, come dicono alcuni.

La leggenda del culto parlava di un Emmanuele o Gesù che, secondo Isaia, si era sacrificato per i peccati del popolo, e sarebbe poi disceso dal cielo nella forma dell'atteso Messia e avrebbe guidato i suoi seguaci nel regno che desideravano. Poiché il problema del Messia era diventato urgente dopo la distruzione di Gerusalemme e il crollo di tutte le speranze politiche degli ebrei, e nel mezzo delle sofferenze del popolo per l'oppressione romana, gli ulteriori interrogativi dovevano sorgere spontaneamente sulle labbra: Quando soffrì veramente il servo di Dio? Dove morì? Com'era? Che cosa fece prima che fosse messo a morte dai suoi nemici? Chi erano questi nemici? E così via. Ed era proprio altrettanto inevitabile che la risposta fosse trovata nelle indicazioni dei profeti e della speculazione astrale-mitologica, e condurre così alla storicizzazione della figura originariamente mitica di Gesù.

La sua morte non può essere posta troppo a lungo prima della distruzione di Gerusalemme per le ragioni che abbiamo già visto. Il Messia doveva essere nato nei giorni di Augusto, che i pagani hanno considerato l'agognato salvatore del mondo. La mitologia astrale fornì il nome di Pilatus per trafiggere con la sua lancia (pilum) il figlio di Dio appeso all'albero del mondo, la Via Lattea; e Pilato, secondo Flavio Giuseppe, era stato procuratore al tempo di Tiberio. Secondo le parole del profeta, il servo di Dio doveva essere un guaritore di mali spirituali e corporali, un sostenitore dei poveri e degli oppressi. Miracoli di specie straordinarie dovevano rivelare il suo futuro significato messianico, tuttavia egli non doveva essere compreso dalla sua stessa gente e doveva soccombere agli attacchi dei suoi nemici. E chi potevano essere quei nemici se non i farisei e gli scribi, che erano stati sempre più ostili alle sette ebraiche dopo la distruzione di Gerusalemme? [53]

Finché la loro fede nella morte redentrice del servo di Dio costituiva un credo segreto all'interno della setta, non potevano esserci conflitti con i farisei; infatti, a volte i farisei erano uniti ai settari, sia nelle loro tendenze mistiche e astrologiche che nella loro ostilità nei confronti della nobiltà sacerdotale mondana dei sadducei. Abbiamo visto come in Isaia la figura del Salvatore si combina costantemente con quella di Jahvè. Com'è noto, lo scopo della predicazione di Isaia è di confermare il popolo nelle idee monoteiste, nella fede nell'unico Dio, che dice: “Io sono il Signore e non v'è alcun altro; fuori di me non c'è dio. Io sono il primo e l'ultimo”. Quelle parole sono poste sulle labbra del “figlio dell'uomo” nell'Apocalisse. In Isaia 45:15, Jahvè è chiamato un “Dio nascosto”, un “Salvatore”, proprio come il servo di Dio e Salvatore avrebbe dovuto crescere nell'oscurità, e il giusto espiare i peccati con la sua morte senza attirare molta attenzione oppure il vero significato della sua morte sarebbe stato riconosciuto. Cosa accadrebbe se, secondo la maniera di Isaia, il credo in Jahvè dovesse fondersi con il credo in Gesù nella mente della setta, e Gesù dovesse diventare la forma in cui Jahvè era adorato come guaritore, espiatore e redentore nei culti mistici ed esoterici? Infatti la religione di Gesù era semplicemente una religione di Jahvè dal misticismo più profondo, un'espressione nuova e speciale del monoteismo ebraico; e gli ebrei ortodossi, per i quali il monoteismo rappresentava l'essenza della loro fede, non avevano per questo nessun motivo di ostacolare i cristiani originari, gli Iesseani o Nazorei, i “santi”, come venivano chiamati in Isaia. [54]

Weiss pensa che i primi cristiani, con il loro credo che il Gesù crocifisso fosse il Messia, si siano opposti radicalmente all'ebraismo, e abbiano subito odio e persecuzione, e afferma che è “assolutamente ridicolo pensare che i primi cristiani avrebbero incontrato volontariamente questa difficoltà” (pag. 44). Ma quello non era il credo dei “primi cristiani”; essi credevano che Gesù, il servo di Dio, il Salvatore di Isaia, che si credeva avesse sofferto una morte umiliante tra gli uomini, come Messia, sarebbe tornato nella gloria, e avrebbe realizzato la loro speranza di vita eterna. Potrebbe sembrare “audace” e “paradossale” immaginare Jahvè che si sacrifica per il suo popolo ed  entra così nelle fila degli dèi-salvatori pagani — Marduk, Adone, Tammuz, Attis, Osiride, ecc. Eppure questo potrebbe essere stato semplicemente un risveglio di un'idea più antica, che Jahvè fosse lui stesso Tammuz, morente ogni anno, pianto dalle donne di Gerusalemme secondo Ezechiele (8:13), che risorge e muore di nuovo, per entrare ancora una volta in vita. [55] Una riluttanza ad associare Jahvè all'idea di finitudine potrebbe aver impedito a coloro che sostenevano questo credo una stretta identificazione del Salvatore con il Dio supremo. Questa potrebbe essere stata la ragione per cui Gesù, sebbene essenzialmente uno con Dio, fosse nondimeno distinto da lui come un essere speciale. Costituiva uno “scandalo per i giudei” il fatto che il loro Dio fosse imparentato agli dèi pagani; costituiva una “follia per i pagani” il fatto che il redentore del mondo dovesse essere una divinità ebraica. Ma questo sembra impossibile solo quando uno, al pari di Weiss, concepisce il Gesù crocifisso come un essere umano storico. Che i cristiani avessero creato arbitrariamente la difficoltà di rappresentare questa persona come il Messia dovremmo certamente evitare di pensarlo. Ma l'origine del credo in un salvatore crocifisso non ha affatto bisogno di essere situata in eventi storici; potrebbe essere dovuta perché il fatto della sofferenza e della morte di Gesù fu rivelato dal profeta Isaia.

Fintantoché Gesù era l'oggetto di culto di un minuscolo gruppo, e il credo in lui era oscurato da confusione mistica e da nebbie mitologiche, sembrò innocuo agli ebrei ortodossi. Le figure di Gesù e di Jahvè erano mescolate, e il fondamento religioso dell'ebraismo, il monoteismo, sembrava non essere in pericolo. Ma quando, dopo la distruzione di Gerusalemme, gli ebrei ortodossi, privati della loro indipendenza politica, riposero ora la loro unità nazionale e la loro coesione in un'unità di fede, e quindi serrarono le fila del reggimento ecclesiastico in modo più rigoroso e indurirono la legge rituale del monoteismo in un dogma, Gesù fu distaccato da Jahvè, il dio della setta fu in opposizione al dio della religione ufficiale in quanto un essere divino indipendente, e un'aspra ostilità si instaurò tra gli scribi e i farisei, da un lato, i quali rappresentavano il monoteismo nella sua forma più astratta e, in relazione ad esso, si attenevano rigidamente alle forme della legge, e le sette dall'altro lato, con le quali la gente comune simpatizzava come leggiamo nei vangeli. Sotto la terribile pressione dello sradicamento del popolo ebraico, e in vista del bisogno religioso dell'epoca, che aveva raggiunto il suo apice con la perdita del tempio, sembrava che fosse arrivato il terribile momento predetto dai profeti, e che si dovesse attendere l'immediata apparizione del Messia. Le promesse che erano state fatte dovevano ora essere realizzate. Questa fu l'opportunità dei settari ebrei per emergere dalla marginalità delle loro sette e conventicole mistiche con la loro “gnosi” e per proclamare a tutti i popoli la loro fede in Gesù.

Forse esaltati dalle visioni, in cui credevano di aver visto il “Signore” risorto in forma fisica, gli emissari della fede andarono annunciando la “lieta novella” della venuta del Messia e l'imminente instaurazione del regno dei cieli sulla terra. Nel luogo di mercato e per la strada risuonò l'appello alla conversione del cuore attraverso la fede nel Signore Gesù Cristo. Allora l'innovazione diventò pericolosa per la religione ebraica ufficiale. Weiss può attribuire soltanto ad un “vero Gesù”, “l'influenza di una personalità” e all'esperienza della sua vita sulla terra, “l'immenso passo dalla vaga speranza messianica alla fiducia del possesso, del compimento, della gioia e della gratitudine per quello che Dio ha donato loro nel suo servo Gesù, come lo troviamo nelle preghiere di quel primo tempo” (pag. 48). Ma questa fiducia del possesso era stata a lungo una peculiarità delle sette ebraiche prima che rendessero pubblica la loro fede e ne facessero l'oggetto di una propaganda popolare; Paolo e altri potrebbero aver cominciato questo in un periodo precedente. Se questo si fa ora con più vigore e su una scala più ampia, non è perché l'ha causato un Gesù storico, ma perché le condizioni generali del tempo infiammavano il sentimento religioso e facevano sembrare ai settari un dovere comunicare la loro “conoscenza” (gnosi) ai loro compatrioti e al resto dell'umanità e “rivelare” l'incombenza del regno dei cieli, e portarli così ad una conversione del cuore. È vero che anche il resto degli ebrei credeva nella venuta imminente del Messia. Ma il credo era stato così spesso falsificato che la sua forza e le sue fonti minacciavano di indebolirsi. I settari, tuttavia, avevano una potente cornice per quel credo nella loro leggenda astralmente e profeticamente fondata di Gesù, di cui si credeva che si fosse sacrificato volontariamente e che stesse per ritornare come sovrano e giudice del suo popolo. Ciò era nuovo e insolito, e proprio per quel motivo faceva appello al sentimento del tempo, e trovava credibilità tra i loro compatrioti ebrei tanto più facilmente nella misura in cui la fede forniva loro un'arma contro la detestata santità e l'orgoglio dei farisei, e la concentrazione dei settari sulla moralità semplice e comprensibile dei profeti e dei libri sapienziali offriva la possibilità della salvezza religiosa a tutti gli uomini che si sarebbero sforzati di condurre una buona esistenza. Potrebbe essere stato allora che il detto di Luca fu formulato: “Guai a voi, dottori della legge! Perché avete tolto la chiave della conoscenza. Voi stessi non siete entrati e a chi voleva entrare l'avete impedito” (11:52). Significa che i rappresentanti della religione ufficiale ebraica avevano abbandonato la predilezione precedente per l'astrologia, e ora associavano le speculazioni astrologiche agli gnostici. Ciò pose fine al fondamento astrale della speranza in un Messia; vi rimaneva solo il fondamento profetico, e l'originale Gesù astrale divenne sempre più vago e fu sostituito dal Gesù storico. Più la nuova fede si diffondeva tra la gente, più la gnosi si adattava alla loro intelligenza, e così la presunta storicità del Salvatore fu sostituita alla natura mitica e astrale delle loro idee religiose. [56]

(i) Gesù, i Farisei e gli Scribi. Passiamo ora a considerare la relazione di Gesù con i farisei. Studiosi ebrei come Chwolson [57] hanno spesso espresso il loro stupore per il modo in cui questa relazione è descritta nei vangeli. Che cosa, chiedono, potrebbe essere la ragione per la letale inimicizia tra Gesù e i rappresentanti della religione ebraica ufficiale? Le ragioni etico-religiose non potrebbero essere sufficienti a spiegarle. Da questa prospettiva non vi era una forte opposizione tra loro. “Nell'insegnamento e nei detti di Gesù”, dice Chwolson, “non c'era nulla che potesse offendere il sentimento religioso di chiunque fosse istruito secondo le leggi farisaiche e a conoscenza della letteratura farisaica — vale a dire, della letteratura rabbinica” (pag. 88). Si suppone che Gesù abbia predicato nelle sinagoghe, di cui i farisei erano i padroni; non può, perciò, aver violato la legge. Inoltre, si suppone che abbia aderito strettamente alla legge, dal momento che afferma di non essere venuto per disfare, ma per adempiere (Matteo 5:17) — un detto che si trova quasi parola per parola nel Talmud: “Nessuna lettera della legge sarà mai distrutta” e “Le leggi di Noè non sono state abolite, ma aumentate” (Cosri, 1:83). [58] Matteo 23:3 fa esortare a Gesù i suoi discepoli perchè ascoltino in ogni cosa i precetti dei farisei. Questo, tuttavia, sembra essere basato su Siracide 7:31: “Temi il Signore e onora il sacerdote, consegna la sua parte, come ti è stato comandato”. Nel tralasciare l'una o l'altra prescrizione, o nell'interpretarla in un senso non familiare, egli non fece nulla di straordinario. C'erano tra gli stessi farisei e scribi molte differenze nell'esposizione e nell'applicazione delle prescrizioni della legge, anche se questo non portò mai ad accuse di eresia o a persecuzione. 

Una delle peggiori delle sue trasgressioni è che lui e i suoi discepoli abbiano violato la legge del Sabato guarendo i malati in quel giorno. Anche tra i rabbini, tuttavia, la santità del Sabato doveva essere trascurata quando la vita di un uomo era in pericolo. In effetti, era obbligatorio ignorare il Sabato quando c'era pericolo nella sua osservanza, e l'uomo che in tal caso si atteneva alla lettera era considerato un “assassino”. Leggiamo in Levitico 18:5: “Osserverete le mie leggi e le mie prescrizioni, per mezzo delle quali chiunque le metterà in pratica vivrà”. E nel Talmud (Tract. Joma, 85b) leggiamo: “Il Sabato è dato a voi, non voi al Sabato”. Guarire semplicemente stendendo la propria mano sul paziente, come è detto che Gesù abbia fatto di sabato in Marco 3:5, non era proibito dai rabbini, e quindi i farisei non potevano essere “pieni di furore”, come si dice che siano stati in tale  occasione in Luca 6:11.

Anche sulla questione del divorzio, Gesù non ha assunto una posizione contraria a quella dei farisei. Leggiamo in Matteo 5:31: “Fu detto: Chiunque ripudia sua moglie le dia l'atto di ripudio. Ma io vi dico: chiunque manda via sua moglie, salvo che per motivo di fornicazione, la fa diventare adultera e chiunque sposa colei che è mandata via commette adulterio”. Ma è anche detto nel Talmud: “Chiunque ripudia la propria moglie, su di lui l'altare versa lacrime” (Pessachim, 113), e “Chiunque ripudia la propria moglie è odiato di Dio” (Gittin, 90b). Perfino il profeta Malachia aveva detto: “Nessuno tradisca la donna della sua giovinezza. Perché io detesto il ripudio, dice il Signore Dio d'Israele” (2:15). Il divorzio è permesso solo quando una violazione interna tra gli sposi è già avvenuta a causa dell'infedeltà dell'uno o dell'altro, come si dice in Isaia riguardo all'unione di Jahvè e del suo popolo, che è concepito come un vincolo matrimoniale: “Dice il Signore: Dov'è il documento di ripudio di vostra madre, con cui l'ho scacciata? Oppure a quale dei miei creditori io vi ho venduti? Ecco, per le vostre iniquità siete stati venduti, per le vostre scelleratezze è stata scacciata vostra madre” (50:1). Nel passo citato in merito al divorzio, Gesù si limita a pronunciarsi a sostegno dell'opinione più severa della scuola di Gamaliele contro la scuola più permissiva di Hillel. 

Non solo non c'è opposizione tra Gesù e i farisei su questo punto, ma anche il fatto che si supponeva che si fosse proclamato apertamente il Messia non era previsto che li volgesse contro di lui. Non solo i figli di Israele, ma anche singoli uomini, sono chiamati “figli di Dio”, e gli stessi sacerdoti e rabbini a volte hanno chiamato un uomo il Messia e lo hanno sostenuto con il loro rispetto; considera Zorobabele e la relazione del rabbino Akiba con Bar-Kochba.

In Matteo 15:5, e Marco 7:11, Gesù rimprovera ai farisei di pervertire il precetto di onorare il padre e la madre in favore del proprio dovere verso Dio. Non troviamo, tuttavia, nessuna traccia di una cosa del genere nella tradizione ebraica, la quale proibisce espressamente qualsiasi interpretazione errata dei comandamenti della legge. Ancora una volta, per quanto riguarda le leggi che regolano il cibo, Gesù non può aver agito come avrebbe dovuto fare in Matteo 15:11, e in Marco 7:15, perché in quel caso sarebbe incomprensibile per Pietro rifiutare di toccare cibo impuro (Atti 10:14). Inoltre, si suppone che Gesù gli abbia dato il pieno potere di legare e di sciogliere, o di decidere questioni della Torà secondo il proprio giudizio.

È altrettanto accurato per Gesù incolpare i Farisei per fare proseliti (Matteo 23:15). Se dovessimo prendere sul serio le sue parole, essi erano completamente intenti nel convertire uomini alla fede ebraica dovunque potessero. Difatti, il Talmud proibisce espressamente questo proselitismo indiscriminato, e fa dipendere l'entrata nell'ebraismo dalla rettitudine del cuore. Ancora meno può esserci un problema nel fatto che i farisei dichiarano che giurare per il tempio e l'altare non era vincolante, ma è vincolante giurare per l'oro del tempio e per il sacrificio sull'altare (Matteo 23:16). Se Gesù intendeva che la santità dipendesse dal tempio e dall'altare, non alle cose ivi contenute, questa è precisamente l'opinione dei rabbini. [59] E quando Gesù dice (Matteo 23:23): “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché pagate la decima della menta, dell'aneto e del comino, e trascurate le cose più importanti della legge: il giudizio, la misericordia, e la fede. Queste sono le cose che bisognava fare, senza tralasciare le altre” l'accusa cade a terra per il semplice fatto che le piante dalla crescita spontanea e le verdure non erano soggette alla decima. [60

Quelle accuse erano o portate da qualcuno che non era a conoscenza dei fatti reali, oppure erano state inventate arbitrariamente per confondere gli avversari, senza alcun riguardo per la verità storica. Lo stesso accade quando Gesù accusa i farisei dell'omicidio dei profeti, e li accusa di aver ucciso Zaccaria, figlio di Barachia, tra il tempio e l'altare, e li ritiene responsabili dello spargimento del suo sangue innocente (Matteo 23:35). Qui Zaccaria, figlio di Jehoiada, che fu lapidato nella corte del tempio per ordine del re Ioas (2 Cronache 24:21), è identificato o confuso con Zaccaria, il figlio di Baruc, che fu ucciso dagli zeloti nel tempio per presunto tradimento durante l'assedio di Gerusalemme da parte dei Romani. [61] In effetti, tutte le parole di Matteo 23:34: “Perciò ecco, io vi mando profeti, sapienti e scribi; di questi alcuni ne ucciderete e crocifiggerete, ecc.” assieme alla successiva predizione della distruzione di Gerusalemme, si basano sul profeta Geremia (7:25):
Dal giorno in cui i vostri padri uscirono dal paese d'Egitto fino a quest'oggi, vi ho mandato tutti i miei servi, i profeti ogni giorno con urgenza ed insistenza.

Essi però non mi hanno ascoltato né hanno prestato orecchio, ma hanno indurito la loro cervice e si sono comportati peggio dei loro padri.

Perciò tu dirai loro tutte queste cose, ma non ti ascolteranno; li chiamerai, ma non ti risponderanno...

 Tagliati i capelli e gettali via, e intona sulle alture un lamento, perché l'Eterno ha rigettato e abbandonato la generazione della sua ira...

  I cadaveri di questo popolo diverranno così pasto per gli uccelli del cielo e per le bestie della terra, e nessuno li spaventerà.

Farò cessare nelle città di Giuda e nelle vie di Gerusalemme le grida di allegrezza e le grida di gioia, la voce dello sposo e la voce della sposa, perché il paese diventerà una desolazione.
Molti scrittori hanno insistito sul fatto che la relazione di Gesù con gli scribi e con i farisei fornisce una prova della sua storicità. Eppure quasi le stesse accuse che Gesù solleva contro i Farisei sono portate da Isaia contro i capi del popolo. “Le vostre mani infatti sono contaminate dal sangue”, dice il profeta (1:15, si veda anche 59:3); “Lavatevi, purificatevi, togliete il male delle vostre azioni dalla mia vista. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l'oppresso, rendete giustizia all'orfano, difendete la causa della vedova”. E Isaia si lamenta che Gerusalemme, “la città fedele, piena di rettitudine, la giustizia vi dimorava”,  è “diventata una prostituta” ed è piena di “assassini”. “Guai a coloro che fanno decreti iniqui e scrivono in fretta sentenze oppressive, per negare la giustizia ai miseri e per frodare del diritto i poveri del mio popolo, per fare delle vedove la loro preda, e per spogliare gli orfani” (10:1 e 2, si veda Marco 12:40). “Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l'amaro in dolce e il dolce in amaro. Guai a coloro che si credono sapienti e si reputano intelligenti” (5:20). Confronta con questo le accuse che Gesù porta contro i farisei e gli scribi, e si vedrà che qui ancora Isaia era il modello degli evangelisti. Gesù definisce i farisei “ciechi, guide di ciechi” (Matteo 15:14) e “farisei ciechi” e li incolpa per i modi perversi tramite cui hanno scelto di raggiungere la salvezza (Matteo 23:16, 19, 24 e 26). Ma leggiamo in Isaia (3:12): “Popolo mio, le tue guide ti traviano, distruggono la strada che tu percorri” e il profeta ritorna incessantemente sulla cecità del popolo e dei loro capi. Gesù rimprovera i farisei di ipocrisia, e dice loro che il loro servizio a Dio è mera adesione di facciata, e che con i loro particolari e molteplici precetti hanno reso difficile la via della salvezza per loro stessi (Matteo 15:8). Isaia si lamenta anche presso “il Signore” del fatto che la sua gente si avvicina a lui solo con le labbra, ma il suo cuore è lontano da lui; che il suo timore di Dio è appreso solo dal precetto di uomini (29:13), e non lo onora nel modo giusto. “Infatti...le vostre labbra proferiscono menzogna, la vostra lingua sussurra perversità.  Nessuno muove causa con giustizia, nessuno la discute con verità; si appoggiano su ciò che non è, dicono menzogne, concepiscono il male, partoriscono l'iniquità” (59:3 e 4). Gesù definisce i farisei “serpenti e razza di vipere”, come avrebbe dovuto fare Giovanni (Matteo 23:33). Anche in questo caso fa semplicemente ciò che aveva fatto Isaia: “Covano uova di serpente, tessono tele di ragno; chi mangia le loro uova muore, e l'uovo che uno schiaccia, dà fuori una vipera. Le loro tele non diventeranno vestiti, né costoro si copriranno delle loro opere; le loro opere sono opere d'iniquità......i loro pensieri sono pensieri iniqui......si fanno dei sentieri tortuosi” (59:5-8).

Abbiamo, perciò, ogni ragione per dubitare della verità storica dei passi rilevanti nei vangeli, e questo dubbio aumenta quando troviamo che perfino una scena così importante come l'espulsione dei mercanti dal tempio e le parole messe sulle labbra di Gesù in quella circostanza sono ispirate da Isaia, e seguono da vicino i passi del profeta. Cosa dice “il Signore” nel primo capitolo del profeta?
 Che m'importa dei vostri sacrifici senza numero? dice il Signore. Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di giovenchi; il sangue di tori e di agnelli e di capri io non lo gradisco. 
 Quando venite a presentarvi a me, chi richiede da voi che veniate a calpestare i miei atri?

 Smettete di presentare offerte inutili, l'incenso è un abominio per me.
“Ecco”, dice il profeta Malachia (3:1), continuando questo,
Io vi mando il mio messaggero, che spianerà la via davanti a me e subito il Signore, che voi cercate, l'Angelo del patto, che voi desiderate, entrerà nel suo tempio. Ecco egli viene, dice il Signore degli eserciti.

 Chi potrà resistere nel giorno della sua venuta? Chi potrà rimanere in piedi quando egli apparirà? Egli infatti è come il fuoco del fonditore, come la potassa dei lavatori di panni.

Egli si metterà seduto, come chi raffina e purifica l'argento, e purificherà i figli di Levi e li raffinerà come si fa dell'oro e dell'argento; ed essi offriranno al Signore offerte giuste.
 
Allora l'offerta di Giuda e di Gerusalemme sarà gradita al Signore come nei giorni antichi, come negli anni lontani.

Io mi accosterò a voi per il giudizio e sarò un testimone pronto contro gli incantatori, contro gli adùlteri, contro gli spergiuri, contro chi froda il salario all'operaio, contro gli oppressori della vedova e dell'orfano e contro chi fa torto al forestiero. Costoro non mi temono, dice il Signore degli eserciti.
Aggiungi le parole di Zaccaria (14:21):
Anzi, tutte le caldaie di Gerusalemme e di Giuda saranno sacre al Signore, re degli eserciti; quanti vorranno sacrificare verranno e le adopereranno per cuocere le carni. In quel giorno non vi sarà neppure un Cananeo [mercante] nella casa del Signore degli eserciti.
E se concludiamo ulteriormente col fatto che le parole di Gesù: “La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti. Voi invece ne avete fatto una spelonca di ladri” (Marco 11:17), sono una combinazione di Isaia 56:7 (“Il mio tempio si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli”), e Geremia 7:11 (“Forse è una spelonca di ladri ai vostri occhi questo tempio che prende il nome da me?”), la storicità della narrazione collassa del tutto. Il settimo capitolo di Geremia descrive a sua volta una situazione strettamente simile, come il primo capitolo di Isaia e la narrazione della purificazione del tempio:
Fermati alla porta del tempio del Signore e là pronunzia questo discorso dicendo: Ascoltate la parola del Signore, voi tutti di Giuda che attraversate queste porte per prostrarvi al Signore.

Così dice il Signore degli eserciti, Dio di Israele: Migliorate la vostra condotta e le vostre azioni e io vi farò abitare in questo luogo......

Poiché, se veramente emenderete la vostra condotta e le vostre azioni, se realmente pronunzierete giuste sentenze fra un uomo e il suo avversario;

se non opprimerete lo straniero, l'orfano e la vedova, se non spargerete il sangue innocente in questo luogo e se non seguirete per vostra disgrazia altri dèi,

io vi farò abitare in questo luogo, nel paese che diedi ai vostri padri da lungo tempo e per sempre. 
Vediamo da questo perché Gesù doveva andare a Gerusalemme e cominciare la sua opera con la purificazione del tempio, e perché il suo discorso minaccioso contro i farisei e la sua predizione della distruzione di Gerusalemme dovevano essere collegati all'episodio. È tutto prefigurato nelle parole del profeta, e non c'è alcuna garanzia di realtà storica. Nel tredicesimo capitolo di Marco e nel ventiquattresimo capitolo di Matteo, rileviamo una realtà storica; ma gli eventi a cui si riferiscono, come ha dimostrato Graetz, hanno la colorazione del terribile periodo della guerra di Bar-Kochba nel secondo secolo, quando ebrei e cristiani si opposero l'un l'altro in letale ostilità e si resero a vicenda rei di condanna, quando il nome dei seguaci di Gesù era odioso per gli ebrei, quando i “minim” furono apertamente maledetti, e sia gli ebrei che i cristiani furono uccisi con spaventosa crudeltà durante la persecuzione religiosa sotto Adriano. [62] Tuttavia qui di nuovo il modello per la predizione di Gesù, o per l'Apocalittica ebraica che è alla sua base, era il profeta Isaia, quando dice, riguardo al giudizio su Gerusalemme e agli orrori che l'accompagneranno: “Il popolo userà violenza: l'uno contro l'altro, individuo contro individuo; il giovane tratterà con arroganza l'anziano, lo spregevole, il nobile” (3:5, si veda Marco 13:12). Quando Geremia (7:30) dice, nello stesso contesto, “Hanno posto i loro abomini nel tempio che prende il nome da me, per contaminarlo”, ci viene ricordato dell'“abominio della desolazione che dev'essere, secondo Marco (13:14), un segnale di esortazione a fuggire per i cristiani, e a proposito del quale Gesù stesso si appella a Daniele 9:27. In quale misura l'intera storia nei vangeli sia stata influenzata dai profeti lo si constata dalla maledizione del fico, che si suppone si sia verificata all'epoca della purificazione del tempio, poiché anche questo dettaglio era, apparentemente, fornito da Isaia (1:29 e 30): “Arrossirete dei giardini che vi siete scelti. Infatti sarete come quercia dalle foglie appassite”. Possiamo aggiungere le parole di Geremia (8:13), che nello stesso contesto fa dire al “Signore”: “Non ci sarà [non c'è] più uva nella vigna né frutti sui fichi; anche le foglie saranno [sono] avvizzite. Ho procurato per loro degli invasori” (si veda anche Osea 13:15).

È ancora disputato quanto lontano il movimento iniziato da Gesù fosse un movimento del proletariato. Il vangelo di Luca rappresenta il salvatore principalmente come un amico dei poveri e degli oppressi. Chiunque consideri attentamente le circostanze vedrà che pure questo aspetto è stato attinto da Isaia. Nel profeta “il Signore” è, soprattutto, il salvatore dei poveri e dei maltrattati e dei sofferenti, che rimprovera alla classe superiore la loro condotta e li accusa di violenza e di ingiustizia: “Il Signore inizia il giudizio con gli anziani e i capi del suo popolo: Voi avete devastato la vigna; le cose tolte ai poveri sono nelle vostre case. Quale diritto avete di opprimere il mio popolo, di pestare la faccia ai poveri?” (3:14). È molto probabile che la setta di Gesù consisteva principalmente fin dall'inizio dei ceti più inferiori del popolo, quelli che non avevano nulla da perdere e nulla da sperare nella vita, e i cui interi pensieri e sentimenti erano legati tanto più intimamente alla promessa di un futuro felice nel mondo dell'aldilà, che era associato alla venuta del Messia. Qui, ancora, è a Isaia, non a Gesù, che dobbiamo ricondurre la simpatia ai poveri, che unisce la pietà e benevolenza verso gli schiavi in contrasto ai ricchi e agli oppressori, e ha fornito così le basi della filosofia del cristianesimo. Quando il testo della Sapienza raffigura particolarmente malvagi e ingiusti gli avversari del Salvatore e servo di Dio, sta semplicemente sviluppando la lezione di Isaia, e sta dichiarando che essi sono i nemici dei poveri e dei deboli, gli oppressori del popolo inferiore, una classe orgogliosa, ipocrita e arrogante; così ricaviamo la raffigurazione dei farisei e degli scribi come la troviamo nei vangeli, benché siano i farisei del secondo secolo, piuttosto che del primo, ad aver contribuito ai suoi tratti concreti, poichè questi erano, in realtà, gli avversari più aspri e più irriducibili dei poveri membri della setta di Gesù. E se questa era la caratteristica degli avversari del Salvatore, c'era un motivo in più per rappresentarlo come un uomo povero, proveniente dalla classe inferiore, e l'antitesi tra ebreo e gentile, tra giusto ed ingiusto, di cui vi era stata originariamente allusione nel “servo di Dio” di Isaia, ricevette nel rivestimento storico delle idee mitiche la natura di una lotta dei poveri contro i ricchi e i potenti, dei laici contro l'arroganza dei sacerdoti e degli scribi, della ricerca sincera di salvezza contro l'ipocrisia, della semplice pietà dei profeti contro la legge e l'orgoglio dei suoi rappresentanti ufficiali.

(k) Ulteriori Modifiche dei Passi Profetici e Storici. In quelle circostanze nessuna importanza storica sarà attribuita all'atteggiamento di Gesù verso i luoghi che gli erano ostili (Matteo 11:20; Luca 10:13). È di per sé molto improbabile che Gesù maledica un luogo perché non fu convertito dai suoi miracoli alla fede in lui, dal momento che i suoi parenti e discepoli più vicini sono rappresentati a volte come increduli nei suoi confronti; e qui di nuovo gli evangelisti sembrano aver avuto in mente il profeta Isaia, che non è mai stanco di invocare le sue sciagure sulle città pagane e di predire la loro distruzione, e le cui parole minacciose sono inequivocabilmente riecheggiate nelle parole di Gesù. [63]

Un'illustrazione classica di questo legame delle parole di Gesù con quelle di Isaia e dell'invenzione di situazioni per loro è trovata in Matteo 16:15, dove abbiamo la famosa confessione di Pietro e la successiva nomina del discepolo come successore nel potere del chiavi. Chi può mancare di vedere che qui c'è una combinazione di Isaia 28:16 (“Ecco io pongo una pietra in Sion, una pietra scelta, angolare, preziosa, saldamente fondata: chi crede non vacillerà [non diventerà debole]), e di Isaia 51:1 (“Ascoltatemi, voi che siete in cerca di giustizia, voi che cercate il Signore; guardate alla roccia da cui siete stati tagliati......Guardate ad Abramo vostro padre......poiché io chiamai lui solo, lo benedissi e lo moltiplicai”), con gli impressionanti rimproveri da parte del profeta nei confronti di Sebna, il “tesoriere” e capo della casa del re, perché aveva fatto scavare il suo sepolcro in una roccia. Il profeta minaccia che Jahvè lo caccerà dal suo ruolo per questo, e continua (22:20): 
In quel giorno chiamerò il mio servo Eliakìm, figlio di Chelkia;

lo rivestirò con la tua tunica, lo cingerò della tua sciarpa e metterò il tuo potere nelle sue mani.
Sarà un padre per gli abitanti di Gerusalemme e per il casato di Giuda.

Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide; se egli apre, nessuno chiuderà; se egli chiude, nessuno potrà aprire.

Lo conficcherò come un paletto in luogo solido e sarà un trono di gloria per la casa di suo padre.
Zaccaria fa anche sì che il sommo sacerdote Giosuè sia provvisto in maniera cerimoniosa dal Signore delle insegne della sua funzione, e costituito capo della sua casa e sovrintendente dei suoi tribunali. E il sommo sacerdote Giosuè è nella stessa relazione con il Messia Zorobabele come Pietro lo è con Gesù, e alla fine prende il suo posto.

Il fatto che Gesù doveva morire a Gerusalemme e, nel ruolo del “servo di Dio” di Isaia, espiare i peccati degli uomini con la sua morte, fu il punto di partenza di tutta questa inchiesta. Fino a che punto i motivi mitici e veterotestamentari hanno contribuito nella descrizione del processo e hanno influenzato la storia evangelica lo ho già mostrato nella prima parte del Mito di Cristo. Qui mi accontenterò di attirare l'attenzione su un'ulteriore circostanza che, con tutta probabilità, ha avuto un'influenza molto decisiva sulla narrazione evangelica delle sofferenze e della morte di Gesù. Nella sua storia della Guerra Giudaica (6:5, 3), Flavio Giuseppe dice che un certo Gesù (!), figlio di Anano, un marginale illetterato, si recò a Gerusalemme per la festa dei tabernacoli quattro anni prima che scoppiasse la guerra, quando la città godeva ancora di perfetta pace e di prosperità, e improvvisamente cominciò a gridare: “Una voce da oriente, una voce da occidente, una voce dai quattro venti, una voce contro Gerusalemme e il tempio, una voce contro sposi e spose, una voce contro il popolo intero”. Gridò questo giorno e notte, passando per tutte le strade della città. Arrestato e percosso, ripeteva semplicemente  le sue parole senza dire una parola in sua difesa o contro i suoi aggressori. Portato davanti all'autorità romana e flagellato fino a quando la carne gli fu strappata dalle ossa, egli non bramò pietà né versò lacrime, ma accompagnò ogni colpo con il lamento funesto: “Guai a Gerusalemme”. Quando Albino, il funzionario, gli chiese chi era, da dove veniva, e perché gridava così, egli non tentò nessuna risposta, e Albino, convinto che quell'uomo fosse pazzo, lo liberò. Né imprecava contro quelli che lo percuotevano, prosegue Flavio Giuseppe, “né benediceva chi gli dava qualcosa da mangiare; l'unica risposta per tutti era quel grido di malaugurio, che egli lanciava soprattutto nelle feste”. Alla fine fu ucciso da una pietra durante l'assedio.

NOTE

[1] Apollonio si riferisce al passo della Repubblica di Platone (2:361) nella sua Apologia: “Anche uno dei filosofi greci dice: Il giusto sarà martirizzato, coperto di sputi, e infine crocifisso”. Il passo sembra essere stato nella mente di Giacomo quando dice: “Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non può opporre resistenza”; e leggiamo in Giustino: “Infatti avete ucciso il giusto” (Dial. 16).

[2] Isaia 52:13-15.

[3] Confronta Zaccaria 13:2: “In quel giorno...gli spiriti immondi farò sparire dal paese”.

[4] Che l'intera storia sia solo intesa essere simbolica è riconosciuto da alcuni teologi, come von Baur e Volkmar. Ma a quali assurdità il loro punto di vista storico porterà i teologi, ne abbiamo un'affascinante illustrazione in Otto Schmiedel (pag. 114). Secondo lui, l'uomo posseduto non è altri che Paolo, e l'intera faccenda è un pezzo di malizioso scherno giudeo-cristiano dell'apostolo. Eppure questi sono gli uomini che ci rimproverano di spiegazioni “fantastiche” e ci chiedono di rispettare il “metodo” dei teologi.

[5] Giobbe 16:10-17:9. Si veda anche 39, 1, 9-11, e 20.

[6] Zur Geschichte und Literatur des Urchristentums, 1907, 3, 2.

[7] Confronta, in particolare, la notevole somiglianza con la storia dei Magi in Matteo 2. Si veda Spitta, pag. 192, e James, pag. 169, 199, e 204.

[8] Giacomo è un'epistola cristiana nel significato comune del termine? L'epistola, è vero, contiene detti  di Gesù, ma non sono descritti come tali, e non vi è alcun chiaro indizio del fatto che l'epistola non rifletta altro che idee puramente ebraiche. Forse appartiene al “cristianesimo precristiano”, quando l'ebraico Jahvè, “il Signore”, era adorato sotto il nome di Gesù. Si veda più di seguito.

[9] Si veda anche Isaia 5 e il Salmo 1:3, dove il giusto, che si rallegra nella legge di Jahvè, viene paragonato all'albero vicino al torrente, “il quale dà il suo frutto nella sua stagione”, mentre gli empi sono descritti come “pula”, che “il vento disperde”.

[10] Nel Süddeutsche Monatshefte, 1909, Heft 12.

[11] Dupuis, L'origine de tous les cultes, 1795, III, pag. 619 e 683.

[12] Creuzer, Symbolik und Mythologie der alien Völker, 1820, II, pag. 78.

[13] Prendo in prestito questa indicazione della connessione del Battista con la costellazione di Orione dal lavoro di Fuhrmann, Der Astralmythos von Christus. Si veda anche, per quanto riguarda le caratteristiche astrali del Battista, Niemojewski (opera citata, sotto “Joannes” nell'indice).

[14] Confronta Graetz, Gesch. der Juden, 1888, III, pag. 278.

[15] Si veda anche Wilhelm Erbt, Das Markusevangelium. Eine Untersuchung über die Form der Petruserinnerungen und die Geschichte der Urgemeinde, 1911.

[16] Confronta anche Matteo 12:17.

[17] Confronta 2 Maccabei 4.

[18] Preller, Griech. Mythologie, 1894, pag. 862.

[19] Iasio è, secondo Virgilio (Eneide 3:168), il nome del antico dio italico Giano Quirino (“Padre Iasio, da cui discende la nostra razza”). La più antica moneta romana in bronzo, su un lato della quale c'è una figura di Iasio o Giano, prende il nome da questo — asse, eis, jes. Secondo l'Odissea (17:443), Giaso (Iaso) è il nome di un potente re di Cipro, il cui figlio Dimetore è identico a Diomede, un nome sotto il quale era adorato Giasone, con sacrificio di cavalli, dai Veneti sul Mare Adriatico. Sotto il nome di Ischenos, come il dio veniva anche chiamato dai Veneti, Chronos (Saturno-Giano) veniva onorato ogni cinque anni in Elide con le feste Ischenie (Cronie, Olimpiadi). Ischenos avrebbe dovuto essere l'amante di Coronide, la madre di Asclepio (Giasone). Jes Crishna era il nome della nona incarnazione di Jesnu, o Visnù, il cui animale è il pesce, come nel caso di Giosuè, il figlio del pesce Nun, Ninus, un nome che sembra a sua volta essere stato scritto Nin-jes. Jes è un titolo del sole. Iesse era il nome del dio del sole degli slavi meridionali. Jasny è in slavo il nome del cielo luminoso, e Jas è ancora un nome proprio tra i popoli della Crimea e del Caucaso. La parola si presenta anche nel nome di Osiride = Jes-iris o Hes-iris (secondo Ellenico), in Hesus (il nome di un dio celtico), in Isskander, come i Persiani chiamavano Alessandro, che riverivano come un salvatore del mondo; e nel nome del popolo italico meridionale, gli Jazygi, Jesygi, Jezidi o Jesidi, che era affine ai Veneti. Tra i maomettani la parola sta per “eretico”. I turchi danno il nome ad una detestata razza nomade, che apparentemente adora Gesù Cristo, anche se in realtà Jes Crishna, e si distingue in diversi modi sia dai maomettani che dai cristiani. La madre di tutti quei dèi il cui nome contiene Jes è una vergine (Maya, Mariamma, Maritala, Mariam, ecc.); il suo simbolo è la croce, il pesce, o l'agnello; la sua festa è l'Huli (Jul), da cui Cesare prese il nome di Giulo o Giulio quando fu deificato nel tempio di Giove Ammone; e la sua storia concorda in particolari essenziali con quella di Gesù Cristo. Si vedano le prove nel lavoro importante di Alex, del Mar, The Worship of Augustus Caesar (New York, 1900). In questo, sulla base di un'approfondita ricerca, viene mostrato quale significato avesse l'indiano Jes, per quanto riguarda le divisioni cronologiche, in tutto il mondo antico, specialmente nelle riforme del calendario sotto Cesare e Augusto. I nostri storici e teologi dovrebbero studiare questo lavoro con molta attenzione. Si veda anche Ruins di Volney, pag. 198.

[20] Questo si riferisce a Levitico 4:16, dove è detto nella traduzione greca: Ho Hiereus, ho Christos (il sommo sacerdote, l'unto).

[21] Stade, Gesch. des Volkes Israel, 1888, II, pag. 126, nota; Hühn, Die messianischen Weissagungen des israel. Volkes, 1889, pag. 62.

[22] Zum religionsgeschichtl. Verständnis des Neuen Testaments, 1903, pag. 82.

[23] La possibile connessione di Gesù con i due Giosuè dell'Antico Testamento è stata discussa da Robertson e da M. Brückner nel suo Der sterbende und auferstehende Gottheiland, anche se quest'ultimo si astiene dal trarre alcune “conclusioni particolari sul significato pre-cristiano di un Giosuè-Gesù” (pag. 39). Quelle relazioni, quindi, non possono essere così folli come sono state rappresentate quando le troviamo discusse da un teologo in un'opera religiosa popolare destinata alla divulgazione generale. L'eccellente ebraista Prof. T. K. Cheyne scrive presso Hibbert Journal (aprile 1911), pag. 658: “L'evidenza diretta del nome divino  Ieshua o Giosuè in tempi pre-cristiani è al contempo scarsa e discutibile. Tuttavia, sono incline (per motivi miei personali) a concordare con il Prof. Drews nel suo punto di vista sul punto principale in discussione”. Si veda pag. 662: “A mio avviso il Prof. Drews e le sue autorità hanno ragione nel complesso”.

[24] Considera, inoltre, l'ammissione di Zimmern secondo cui il nome “Gesù” potrebbe “benissimo essere stato non storico”, nel suo Zum Streit um die Christusmythe, pag. 4.

[25] Salmo 121. Il fatto che il protettore sia qui chiamato schomer, non nozer, non ha nulla a che fare con la questione, non più di quanto ne abbia il fatto che i palestinesi del tempo attorno alla nascita di Cristo non usavano l'ebraico nazar per “il protettore”, ma l'aramaico ne'tar: è risaputo che il linguaggio di una setta tende a preservare parole antiche, e qui ci occupiamo non della parola stessa, ma del suo significato.

[26] Smith, The Pre-Christian Jesus, 1906. Si veda pure il suo articolo “The Real Ancestry of Jesus” presso Open Court, Gennaio, 1910, pag. 12, e l'articolo  “The Nazarene”, del dottor P. Carus, l'editore, nello stesso numero (pag. 26). A differenza dei teologi tedeschi, che non possono parlare abbastanza sdegnosamente delle ipotesi di Smith, su basi filologiche, Carus ammette la possibilità di quell'origine del nome, e considera improbabile l'esistenza di un luogo chiamato Nazaret al tempo di Gesù. Infatti, nel suo libro The Pleroma: An Essay on the Origins of Christianity (1910), afferma che è assolutamente impossibile che il Nazareno possa significare l'uomo di Nazaret (pag. 46). Inoltre, Schmiedel ha recentemente mantenuto contro Weinel nel Protestantenblatt, 1910, Numero 17, pag. 438, che l'ipotesi di Smith è filologicamente ammissibile. Quindi l'accusa di “grossolana ignoranza delle lingue semitiche” che Weinel porta contro Smith è abbastanza ingiustificata.

[27] Südwestdeutsche Schulblätter, 1910, Heft 4 e 5, pag. 163. M. Brückner dice anche, riguardo all'ipotesi di Smith: “La sua dimostrazione che l'epiteto ‘Nazareo’ applicato a Gesù in Matteo 2:23, non può essere stato derivato da Nazaret, ma era il nome di una setta ebraica pre-cristiana, specialmente merita attenzione” (pag. 47). In Hugo Winckler leggiamo: “Dalla parola neçer deriva il nome della religione di coloro che credono nel ‘salvatore’ —  i Nazareni-Cristiani o Nazarei. Nazaret come la casa di Gesù è semplicemente una conferma della sua natura di salvatore per la tendenza simbolizzante” (Ex oriente lux, Fascicolo 2, 1906, pag. 59, nota). Si veda anche Winckler, Die babylonische Geisteskultur (1907), pag. 147.

[28] Si veda anche Alfred Jeremias, Das Alte Testament im Lichte des alien Orients, 2 Aufl., 1906, pag. 353, 577.

[29] Forse anche nazar ha un significato astrale, siccome la costellazione delle Iadi nella costellazione del Toro ha la forma di un ramo; e Orione, in cui abbiamo già sospettato il Battista, sembra portare il “ramoscello” (Fuhrmann).

[30] Confronta Robertson, Christianity and Mythology, pag. 311, e Krit. Kommentar zu den Evangelien di P. van Dyk, pag. 28 e 152.

[31] Confronta Deuteronomio 21:8.

[32] Niemojewski, pag. 420. Rifletti sulle immagini familiari di una coppa o di un teschio ai piedi del crocifisso.

[33] Sohar su Esodo, citato da Gfrörer, Das Jahrhundert des Heils, 1838, 2, pag. 231.

[34] In verità, Zabulon, secondo Genesi 49, si riferisce al segno dello zodiaco Capricorno e Neftali all'Ariete, entrambi appartenenti ai segni d'acqua dello zodiaco, la parte oscura dell'anno. (Si veda A. Jeremias, Das Alte Testament in Lichte des alten Orients, pag. 398.) Secondo M. Müller, galil significa, in un derivato del copto, la “ruota idraulica”. Una ruota idraulica (secondo Fuhrmann) potrebbe essere riferita alla costellazione di Orione, dato che i raggi sono rappresentati dalle quattro stelle principali e l'asse dalle stelle della cintura, la ruota essendo messa in moto dall'“acqua” cadente della Via Lattea. Nella misura in cui Orione è la figura sofferente del 22° Salmo, possiamo notare che quest'ultima è un galil (galileo), e siccome la costellazione di Orione, come abbiamo visto, è correlata astralmente al nazar (le Iadi), la nascita del Salvatore di Nazaret potrebbe essere ricavata da questo. Si veda Niemojewski, pag. 161 e 193.

[35] Opera citata, pag. 21. Il tentativo di Herr von Soden di provare la storicità di Gesù dall'“odore del suolo di Palestina” mi sembra più o meno lo stesso di chi dovesse concludere che Guglielmo Tell fosse storico a causa dei molti toponimi della leggenda. Un albergatore svizzero potrebbe farlo, ma — uno studioso di Storia!

[36] Niemojewski, pag. 367, 370. Il sommo sacerdote Anna, che si suppone abbia ricoperto l'incarico con Caifa, è identico nel nome alla profetessa Anna (Sib-Zi-Anna dei Babilonesi, Anna Perenna dei Romani), e secondo Niemojewski (pag. 367) corrisponde alla stella gamma nella costellazione dei Gemelli, ma secondo Fuhrmann alla costellazione di Cassiopea che dimora “nel tempio” ovvero nel punto più alto della Via Lattea. Caifa è chiaramente, in quel caso, la costellazione di Cefeo, vicino Cassiopea; e i due nomi furono applicati successivamente ai sommi sacerdoti ebrei a causa della somiglianza. Il Talmud enumera i nomi dei principali uomini che diressero il sinedrio da Antigono (250 A.E.C.) fino alla distruzione del tempio; un Caifa non si trova tra il numero. Egli fu sommo sacerdote per diciotto anni; ma questo non è nemmeno menzionato nel Talmud, sebbene fornisca i nomi di tutti coloro che sono stati sommi sacerdoti per dieci anni o più.

[37] Confronta Del Mar, The Worship of Augustus Caesar.

[38] Geschichte Jesu, 1873.

[39] Possiamo ricordare che Giuseppe, che si credeva fosse stato venduto in Arabia, che si fosse recato da lì in Egitto e avesse sposato la figlia del sacerdote di On (Eliopoli), portava in Egitto il nome Zaphnat Phanech (“nascondimento della fenice” vale a dire, del sole o del dio dell'anno — nei cinque giorni epagomeni o intercalari durante i quali il vecchio anno passa nel nuovo). Giuseppe era una specie di Adone o Tammuz; era un prototipo del Messia, ed è chiamato anche in Apollodoro (3:14, 4) un “figlio della Fenice”, proprio come Giosuè è chiamato un figlio della colomba (Semiramide-Miriam), e Asclepio un figlio del corvo, dal cui grembo ardente fu liberato. Si veda Gruppe, Griech. Mythologie, 2, pag. 144, dove si suggerisce che il mito della nascita di Asclepio potrebbe essere una versione della leggenda della fenice. Sembra che anche Gesù abbia originariamente avuto una colomba per madre, poiché il battesimo nel Giordano era, secondo alcuni, l'atto di nascita del salvatore; e lo Spirito Santo, che discese su di lui nel fuoco e nella fiamma sotto forma di una colomba, fu rappresentato in alcune sette gnostiche come “la madre di Gesù” (Il Mito di Cristo).

[40] Confronta A. Kniepf, Zehn Thesen zur natürlichen Welt- und Lebensanschauung, 1903, pag. 34. Nota anche la storia di Gesù, il figlio di Anano, raccontata da Flavio Giuseppe, che accadde poco prima della distruzione di Gerusalemme (si veda più avanti), e potrebbe anche essere una ragione per situare la morte del Gesù evangelico verso quel tempo.

[41] Questo vale anche per il tentativo di determinare la data della crocifissione che si fa di tempo in tempo per motivi astronomici. A tutte queste speculazioni possiamo dire che eclissi, terremoti e altre catastrofi naturali fanno parte dei requisiti permanenti nelle descrizioni della nascita e della morte dei salvatori, come Krishna, Buddha, Dioniso, ecc. Anche alla nascita di Cesare una stella impressionante si presume che abbia annunciato l'evento, e si dice che un terremoto abbia avuto luogo alla sua morte. La stessa cosa si riporta intorno alla nascita e alla morte di Augusto, la cui vita, inoltre, viene fatta rassomigliare dagli scrittori contemporanei a quella del salvatore divino sotto molti aspetti. Si veda Alex, del Mar, pag. 92, 99, 124, 162 e 169.

[42] Si veda E. Bischof, Babylonisch-Astrales im Weltbilde des Talmud im Midrasch, 1907.

[43] Secondo Nilo, un giovane contemporaneo di Epifanio (10:430), essi non erano cristiani (nel senso corrente), ma una sorta di Recabiti, che vivevano in tende, evitando il vino e altri lussi, e conducendo una vita estremamente semplice. Questo concorderebbe con la nostra idea di una fusione dei Nazarei e dei Nazirei.

[44] Flavio Giuseppe, Antichità Giudaiche, 8:2, 57.

[45] Si veda Giustino, 113, 4.

[46] Abraxas, 1891, pag. 143; si veda anche il suo Mithrasliturgie, 1903, pag. 27 e 44.

[47] [Non “dopo”, ma “una seconda volta”, nel testo greco.—J.M.]

[48] Gfrörer, Philo und die jüdisch-alex. Theosophie, 1835, 2, pag. 295.

[49] Brandt, Die mandäische Religion, 1889.

[50] Jeremias, Das alte Testament im Lichte des alten Orients, 2 Aufl., 1906, pag. 465.

[51] Si veda anche Harnack, Gesch. der altchristl. Literatur, 1, pag. 144.

[52] Zum religionsgesch. Verständniss, ecc.

[53] Chowlson afferma che erano i Sadducei, non i Farisei, che furono i veri nemici di Gesù e portarono alla sua condanna. Ciò storicamente non è molto probabile, come ha dimostrato Steudel (Im Kampf um die Christus-Mythe, pag. 45). Se c'è qualcosa di vero in tutto ciò, può essere solamente che, secondo la Sapienza, la quale, come abbiamo visto, ha contribuito molto alla raffigurazione delle sofferenze del giusto, gli empi nemici del giusto potrebbero essere considerati come i Sadducei, poichè è scritto nel secondo capitolo (verso 22): “Non conoscono i segreti di Dio; non sperano salario per la santità né credono alla ricompensa delle anime pure. Sì, Dio ha creato l'uomo per l'immortalità; lo fece a immagine della propria natura”. La differenza principale tra i mondani sadducei e i farisei era che i primi non credevano nell'immortalità, o in una ricompensa o punizione eterna degli uomini al di là della tomba.

[54] Ciò è suggerito da Smith nel suo Ecce Deus, che cerca di dimostrare che il movimento cristiano originario costituiva una protesta contro il politeismo, una “crociata a favore del monoteismo”.

[55] Si veda H. Schneider, Kultur und Denken der Babylonier und Juden, 1910, pag. 282.

[56] In ogni religione pagana il dio morente e risorto è un essere astrale; il sole che scende nel solstizio d'estate o nell'equinozio d'autunno, e sale nel solstizio d'inverno o nell'equinozio di primavera. Così Dupuis, nella sua opera monumentale L'origine de tous les cultes (1794), ha mostrato in riferimento a Tammuz, Adone, Attis, Osiride, Mitra, ecc. Si veda anche Jeremias, il lavoro sopra citato.

[57] Das Passahmahl, pag. 85.

[58] Sanhedrim, 107; Bereschit rabba, 27.

[59] Si veda Nedarim, 10b e 14b.

[60] Menachoth, 1.

[61] Flavio Giuseppe, Guerra Giudaica, 4:5, 4. Si veda anche sul soggetto K. Lippe, Das Evangelium Matthaei vor dem Forum der Bibel und des Talmud.

[62] Lublinski, Das werdende Dogma, pag. 75; confronta K. Lippe, opera citata, pag. 245.

[63] Si veda Isaia  14:12, e Matteo 11:23; Isaia 13:19, e 17:9; e Matteo 11:22 e 24. 

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