sabato 20 aprile 2019

LE TESTIMONIANZE SULLA STORICITÀ DI GESÙ di Arthur DrewsIdea e Personalità: Soluzione della Crisi Religiosa.


14. IDEA E PERSONALITÀ: SOLUZIONE DELLA CRISI RELIGIOSA. 

Se i teologi liberali fanno davvero sul serio dei tentativi per ricavare un sistema filosofico, possono solo realizzare il loro scopo mediante un rinnovamento della fede nella ragione nell'universo, in un “senso” metafisico dell'esistenza, nel potere che definisce e controlla dell'“idea” e nella coordinazione e subordinazione della personalità umana al sistema di fini, il cui riconoscimento è l'essenza e la condizione di ogni credenza religiosa. Il pericolo principale che è giunto ai nostri giorni, specialmente alla religione, sotto l'influenza della scienza è la negazione di uno scopo oggettivo nell'universo. Si insegni agli uomini a credere di nuovo nelle idee, e allora il Monismo, nella sua forma idealistica, diventerà il primo principio di ogni profonda vita religiosa. Da questo punto di vista la personalità cessa, per quanto grande possa essere, di rivendicare un significato indipendente e unico nel processo mondiale; anche i grandi individui della Storia affondano nella condizione di semplici mezzi e strumenti; “agenti”, come dice Hegel, di uno scopo che rappresenta una fase nell'avanzata del pensiero generale. Il liberalismo si accontenta del semplice culto della grande personalità storica, come se avesse qualche valore in quanto tale. Ma quando chiediamo come la personalità si distingue dal suo ambiente, che cos'è che eleva un individuo al significato mondiale, da dove proviene la sua grande influenza e il suo potere sugli uomini, scopriamo che, come dice Hegel, lo spirito del mondo è particolarmente attivo in tale individuo, e guida la sua volontà.

In altre parole, è l'idea che ottiene coscienza in tali uomini e li spinge all'azione; sono ciò che sono solo per il potere vitale della divinità che è in loro. In questo senso è vero che in ultima istanza le idee, non le personalità, governano il mondo; e questa è l'unica visione veramente religiosa, la ragione per cui non possiamo vedere perché anche il cristianesimo non possa essersi originato a partire dall'idea vivente nei suoi seguaci di un salvatore che soffre, che muore, e che risorge. Constatiamo come questa idea abbia creato le religioni di Attis, di Adone, di Osiride, di Dioniso, e di divinità simili; come la mistica cristiana ne abbia attinto tutte le volte forza fresca, e come la filosofia speculativa tedesca ne abbia derivato un sistema che, per la sua profondità, ampiezza e contenuto religioso, ha gettato nell'ombra tutti i sistemi precedenti, e che è stata solo trattenuta per la sua forma scientifica dall'esercizio di un'influenza edificante e nobilitante sulla vita. Si dice che una religione puramente ideale di questo tipo non possa soddisfare i bisogni religiosi dell'umanità a meno di garanzie storiche della sua verità. Ma essa ha soddisfatto un numero immenso — persino mettendo da parte l'India, dove il Monismo idealistico costituisce il nucleo di tutta la vita religiosa — nel misticismo e nella pietà di Eckhart e Tauler, in quella resa umile e auto-sacrificale al tutto, come la troviamo nelle istituzioni del tardo Medioevo, nella cura dei malati e dei poveri, che dovevano la loro origine, non alla religione ufficiale della Chiesa, ma ai mistici; essa ha soddisfatto gli spiriti migliori della Germania — Lessing, Herder, Goethe, Schiller, Hegel, ecc. In che modo, allora, ci si può chiedere di ammettere che la salvezza dei tempi moderni dipende da una credenza che, nelle Chiese, è degenerata in una stupida superstizione? Tutto il meglio che il pensiero tedesco abbia mai concepito o sentito, per cui abbia lottato e sofferto, tutte le più profonde aspirazioni del suo spirito religioso nativo, che furono presto estinte dall'azione missionaria della Chiesa cristiana, devono la loro apparizione nella luce a questa religione monistica dei nostri grandi pensatori e poeti. Perché, allora, dovremmo essere costretti a ricavare i nostri beni religiosi dal passato? Le idee di un'età remota e di una cultura degenerata devono tenerci per sempre sotto il loro potere? Parecchio zelo è mostrato contro il materialismo; come se non fosse proprio un altrettanto rozzo materialismo a far dipendere la fede nella verità religiosa dalla sua realizzazione visibile in un singolo individuo umano dei tempi antichi, e come se ciò che è chiamato il “Cristo ideale”, l'azione dello spirito divino in noi, l'unica sorgente e l'unico centro di ogni vita religiosa, possa essere sostituito e vanificato da una fede nel Gesù storico. [1]

La questione della storicità di Gesù non è, come stanno le cose, semplicemente una questione storica, ma una questione eminentemente filosofica. Vi si riflette la lotta di due sistemi filosofici ostili, che hanno spronato la mente umana dall'alba del pensiero: da un lato la fede nell'idea come il principio determinante ultimo del processo mondiale, a cui le grandi personalità della Storia sono legate come i servi, gli strumenti e i realizzatori del suo contenuto; dall'altro lato, la visione secondo cui le personalità in quanto tali sono i fattori determinanti del processo mondiale, e qualcosa di ultimo e di originale. Da un lato c'è la filosofia idealistica della Storia nel senso di Platone e di Hegel; dall'altro la dottrina leibniziana delle monadi nella forma del psicologismo e dell'empirismo moderni. In sostanza, si tratta soltanto del vecchio antagonismo tra realismo e nominalismo che ha consumato il Medioevo — il problema se la personalità sia il prodotto dell'idea, oppure se l'idea sia il prodotto della personalità empirica — che è sfociato nel problema della personalità storica di Gesù. E, proprio come i pensatori profondamente religiosi hanno adottato la visione realistica e hanno rivendicato la priorità dell'idea sull'individuo, così la teoria opposta del nominalista ha condotto alla dissoluzione della religione e alla decadenza della fede nella connessione ideale del processo mondiale — in una “provvidenza” — in cui ogni vita religiosa è radicata, e con cui sta in piedi o cade; altrettanto sicuramente, ancora, la soluzione religiosa del problema si troverà solo in un ritorno alla fede nell'idea, e in una rinuncia della tesi teologica prevalente dell'assolutezza, originalità e indipendenza della personalità. Se è un fatto ricavato dall'esperienza che il valore della religione aumenta in proporzione alla decadenza della fede nel significato assoluto dell'individuo, soltanto allora la religione moderna sarà elevata al suo massimo vertice di intensità quando cesseremo di elevare una singola personalità della Storia al grado dell'assoluto, e di elevare altri individui umani al di sopra del significato di meri fenomeni variabili e incarnazioni dell'idea. Se l'umanità moderna non può essere restaurata ad una fede nell'idea, se Platone, Plotino ed Hegel sono ora semplicemente figure nella Storia, allora tutti gli sforzi legati all'ulteriore sviluppo della religione saranno infruttuosi, e il destino della religione è segnato.

Gli sforzi disperati dei teologi liberali per dare un significato centrale nella fede e nella vita al Gesù storico, per amor di continuità con il passato storico e della Chiesa, sembrano essere, dal punto di vista religioso, tanto assurdi quanto sono superflui. Si dice che Gesù sia “la più grande personalità nella storia del mondo”, “l'ideale realizzato dell'uomo”, il creatore del simbolismo cristiano (?), e addirittura un simbolo della vita cristiana di fede (Bousset); egli è glorificato come “la sempiterna incarnazione di un più alto potere religioso, il cui battito del cuore pulsa attraverso la Cristianità” (Tröltsch); la sua esistenza storica ci è garantita dai “risultati immediati” della sua azione. Tuttavia è semplicemente auto-inganno e confusione di idee affermare che in questa maniera la sua relazione con il cristianesimo si possa mantenere onestamente. È precisamente lo scopo della religione liberare l'uomo dalla dipendenza dal mondo, e perciò dalla dipendenza e dalla relatività dell'esistenza temporale. Quindi un singolo fatto storico, come la vita e la morte di un uomo Gesù, non può essere reso in alcun senso un fondamento della fede. Nella religione l'individuo evita la Storia; “Lui se ne sbarazza, per vivere la sua stessa vita”. Né in ultima istanza, né nel fine ultimo della sua vita, egli tollera questo “coinvolgimento nelle linee confuse della Storia”. [2] Come può, allora, l'uomo storico Gesù essere reso il fondamento o la chiave di volta della religione? E come può la salvezza dell'uomo essere resa dipendente dal suo approccio nei confronti di questo presunto fondatore della religione cristiana? 

Alla base di tutte le religioni più profonde si trova l'idea di un dio sofferente, che si sacrifica per l'umanità e ottiene la guarigione spirituale dell'uomo mediante la sua morte e la sua successiva resurrezione. Nelle religioni pagane questa idea è concepita in maniera naturalistica: la morte del sole, la morte annuale della natura, il felice risveglio delle sue forze in primavera, e la conquista vittoriosa del potere dell'inverno da parte del nuovo sole: questo è lo sfondo realistico del mito tragico di Osiride, di Attis, di Adone, di Tammuz, di Dioniso, di Balder, e divinità simili. Il grande progresso del cristianesimo al di là di quelle religioni della natura consiste nel fatto che esso spiritualizzò quest'idea applicandola all'uomo Gesù Cristo, fuse i numerosi dèi salvatori nell'idea dell'unico dio-uomo, e gli diede la forma più plausibile legandola ad una realtà storica. Ma questo punto di vista non è ancora il migliore. Il rivestimento storico dell'idea cristiana di redenzione viene rovinato non appena, come nel nostro tempo, è reso oggetto dichiarato di indagine scientifica e di critica storica, a causa dell'ascesa della scienza storica e della stimolazione del senso di realtà. La concezione puramente storica di Gesù non può soddisfare la coscienza religiosa della nostra epoca. Deve il suo prestigio in realtà agli effetti di un modo di pensare che è considerato obsoleto dai suoi stessi seguaci. Una singola personalità storica non può più essere il principio salvifico di un'umanità che non ha semplicemente rotto con la visione geocentrica e antropocentrica dell'origine del cristianesimo, ma ha avvistato la natura superstiziosa della cristologia ecclesiastica. Ciò che un tempo costituiva la prerogativa del cristianesimo — il fatto che superava il politeismo dell'antichità pagana e concepiva l'idea del Salvatore divino al singolare e storicamente — rappresenta oggi il più grande ostacolo alla fede. L'umanità moderna ha, perciò, il compito di universalizzare di nuovo l'idea della redenzione divina, o di ampliare l'idea di un dio-uomo, che è comune nella cristianità, all'idea di un dio-umanità

Con questa fede in una pluralità di “uomini-dèi”, lo sviluppo religioso ritorna in un certo senso alla religione pre-cristiana e ai suoi numerosi “uomini-dèi”, ma arricchito dalle verità parziali del cristianesimo, attraverso cui è passato, ricolmato dell'idea dell'unica realtà e della sua natura spirituale, a cui i vari individui sono legati solamente come modi, fenomeni o rivelazioni, confidando nel controllo divino del mondo, e perciò nella sua razionalità e bontà, a dispetto di tutti gli ostacoli apparentemente accidentali che il processo mondiale incontra qua e là. Così l'uomo si assicura una fede in sé stesso, nella natura divina del suo essere, nella razionalità dell'esistenza; così è posto in grado di salvare sé stesso, senza un mediatore, semplicemente in virtù della sua stessa natura divina. L'auto-redenzione non è una redenzione dell'io di per sé, come travisano i nostri avversari, ma dell'io dal , del fenomeno dal fondo divino dell'essere nell'uomo. Il cristianesimo riconosce solo una redenzione tramite Cristo; fa dipendere la possibilità di redenzione dalla fede nella realtà e nella verità del dio-uomo storico. La religione del futuro sarà o una fede nella natura divina del sé, oppure non sarà nulla. E se non c'è altra redenzione dell'uomo se non la redenzione da sé stesso, dalla natura spirituale e divina del sé, nessun Cristo è necessario per essa, e non c'è motivo di preoccuparsi del fatto che la religione possa perire con la negazione della storicità di Gesù.

In una religione Monistica, la quale sola è compatibile con il pensiero moderno, l'idea di un significato religioso di Cristo non solo è superflua, ma nociva. Carica la coscienza religiosa di dubbia zavorra storica; concede al passato un'autorità sulla vita religiosa del presente e impedisce agli uomini di dedurre le conseguenze reali dei loro principi religiosi monistici. Da qui io insisto sul fatto che credere nella realtà storica di Gesù costituisce l'ostacolo principale al progresso religioso; e perciò il problema della sua storicità non è un problema puramente storico, ma anche un problema filosofico-religioso. 

I teologi più progressisti sarebbero pronti oggi ad accettare questo ampliamento e approfondimento monistico della religione se non fossero costretti dalla loro condizione clericale, e dalla connessione della Chiesa con lo Stato, ad aderire a Gesù in un qualche senso o nell'altro, non importa quanto sia esiguo. Sostengono questa posizione con l'affermazione che una religione priva di Gesù non farebbe giustizia all'importanza della grande personalità e della Storia per la vita religiosa. In risposta a questa obiezione necessitiamo a stento di appellarci ad Hegel, il filosofo dello sviluppo storico, al quale si potrebbe far risalire questo alto apprezzamento del presente al di sopra della Storia, come pure questa rivendicazione delle “personalità della storia mondiale”. La grande personalità ha chiaramente un valore persino nel nostro modo di vedere: in esso l'unità di Dio e dell'uomo, l'umanità-Dio, raggiunge un'espressione più chiara. Serve da dimostrazione per la consapevolezza religiosa del fatto che Dio eleva l'uomo giusto al momento giusto. Rivela il legame vivente della vita individuale comune con la vita spirituale universale. Nella catena degli eventi storici la mente pia trova la garanzia di un controllo razionale pervasivo e di uno sviluppo intenzionale della vita terrena, per quanto oscuri possano essere i percorsi di questo sviluppo, e per quanto possa essere difficile a volte riconoscere il senso esistente. La divinità vive nella Storia, e si rivela in essa. La Storia è, in unione con la natura, l'unico luogo dell'attività divina. La divinità, tuttavia, non si incatena alla Storia pur di unire passato e futuro ad un singolo evento storico; ma un unico flusso continuo di attività divina scorre attraverso il tempo. Quindi non può desiderare che gli uomini siano legati a qualche unico evento del genere; in virtù della sua natura divina, il dettaglio potrebbe essere innalzato in qualsiasi punto della Storia al di sopra delle condizioni del tempo e della natura. 

Legare la religione alla Storia, come fanno i teologi moderni, e rappresentare una religione storica come l'esigenza dell'uomo moderno, non è dimostrazione di avvistamento, ma di una determinazione a persuadersi a riconoscere la religione cristiana soltanto. [3]

NOTE

[1] Si veda il mio libro, Die religion als Selbst-Bewusstsein Gottes (1906), e il secondo Berliner Religions-gespräch circa il problema, “Lebt Jesus?” 1911.

[2] S. Eck, Religion und Geschichte (1907), pag. 14.

[3] Si veda il mio Die Religion als Selbst-Bewusstsein Gottes

Nessun commento: