venerdì 19 aprile 2019

LE TESTIMONIANZE SULLA STORICITÀ DI GESÙ di Arthur DrewsIl Gesù Storico e il Cristo Ideale.


13. IL GESÙ STORICO E IL CRISTO IDEALE. 

Se, allora, l'individuo storico Gesù non può essere considerato il fondatore del cristianesimo e colui che ispirò i seguaci della nuova religione e li incitò a sacrificare le loro vite per la loro fede, con cosa possiamo sostituirlo come il principio determinante dell'intero movimento? Il servo sofferente di Dio di Isaia, che offre sé stesso per i peccati degli uomini, il giusto della Sapienza in combinazione con le idee mitiche di un dio-salvatore che soffre, muore e risorge delle religioni mediorientali — era intorno a quelle soltanto, come attorno ad un nucleo solido, che si cristallizzarono i contenuti della nuova religione. Il Cristo ideale, non il Gesù storico della moderna teologia liberale, fu il fondatore del movimento cristiano, e lo rese vittorioso sui suoi oppositori. È più probabile che Gesù e Isaia siano una e la stessa persona piuttosto che il Gesù della teologia liberale recasse il cristianesimo all'esistenza; che i primi cristiani, gli Iesseani, fossero seguaci del profeta; e che nelle loro sovreccitate immaginazioni la figura stessa del profeta fosse trasformata in quella del Salvatore e Redentore. [1]

Dall'inizio troviamo il cristianesimo come la religione, non dell'uomo storico Cristo, ma del sovra-storico dio-uomo Gesù Cristo, che passa semplicemente per la Storia. È lui che dovrebbe essere apparso a Paolo e si rivelò come il vero Salvatore (Galati 1:12 e 16). La sua figura è percepita abbastanza chiaramente sotto le apparenze umane nei vangeli, il cui scopo non è “elevare ad una sfera più alta la vita del Gesù storico per mezzo di miti fantasiosi e storie di miracoli, ma veicolare ai lettori tramite una rappresentazione storica la natura divina sovrumana di Gesù”. [2] Il fatto che Dio stesso abbia scambiato la sua gloria celeste per l'umiltà della terra; che Cristo sia divenuto “il figlio di Dio” e sia disceso sulla terra; che Dio si sia spogliato della sua divinità, abbia assunto la forma umana, abbia condotto una vita di povertà con i poveri, abbia sofferto, sia stato crocifisso e sepolto, e sia risorto, e abbia assicurato così agli uomini il potere di risorgere e ottenere il perdono dei peccati e un'esistenza benedetta con il padre celeste — quello è il mistero della figura di Cristo; quello è ciò che la figura trasmetteva ai cuori dei fedeli, e li spingeva ad una riverenza estatica per questa rivelazione più profonda di Dio. Non c'è al centro del cristianesimo un unico particolare essere umano storico, ma l'idea dell'uomo, del sofferente, del lottatore, umiliato, ma che emerge vittoriosamente da tutte le sue umiliazioni, “servo di Dio”, rappresentato simbolicamente nelle azioni e nelle esperienze di un particolare personaggio storico. Quanto più grandiosa, più elevata, e più spirituale è quest'idea rispetto alla credenza sfacciata dei teologi liberali nella personalità “unica” di Gesù di Nazaret di 1900 anni fa, che ha recitato a malapena una parte nell'intero sviluppo cristiano e che, a causa dei suoi limiti temporali, nazionali e temperamentali, non avrebbe mai potuto colmare il pensiero religioso di quasi duemila anni. 

Coloro che credono in un Gesù storico ci dicono che le personalità, non le idee, fanno la Storia. A parte, comunque, il fatto che questa non è una prova della storicità di Gesù, poiché, naturalmente, l'idea del Salvatore cristiano doveva essere resa il centro della nuova religione grazie a personalità, fino a tre generazioni fa la personalità non era assolutamente prominente nella concezione storica del cristianesimo, ma era usata semplicemente come un'“illustrazione” nella spiegazione dello svelamento dell'idea divina, senza possedere alcun significato indipendente in qualità di fattore determinante e costitutivo nella Storia.

Nel suo lavoro, Idee und Persönlichkeit in der Kirchengeschichte (1910), Walther Köhler ha dimostrato per mezzo di fatti storici quanto poco interesse abbia il cristianesimo nelle “grandi” personalità, dal momento che i membri più illustri della religione, come Agostino, Tommaso d'Aquino, Eckhart, Tauler, Hus, Lutero, ecc., concepirono il processo mondiale come un fenomeno divino, resero secondario l'individuo rispetto allo sviluppo delle idee e lo presentarono solo occasionalmente per illustrare la Storia ideale. Quando  Maestro Eckhart parla di Cristo, non sta affatto pensando all'individuo storico, ma semplicemente all'idea del Cristo, i cui atti e detti nei vangeli egli interpreta simbolicamente, e converte nell'individuo sovra-storico del suo misticismo speculativo. Quando Lessing scrive le famose parole, “Le verità accidentali della Storia non possono mai fornire una prova delle verità necessarie della ragione”, egli mostra di non attribuire alcuna importanza al suo sentimento religioso per la persona storica di Gesù. Secondo Kant, il carattere storico serve “solo ad illustrare, non a dimostrare”. Nel suo lavoro, Die Religion innerhalb der Grenzen der blossen Vernunft, Cristo non è per lui nient'altro che “l'ideale della perfezione umana”, e dice che contiene la sua realtà “in sé” per scopi pratici: “Non abbiamo bisogno di un esempio dell'esperienza che serva da modello per noi dell'idea di un uomo che sia moralmente gradito a Dio; si trova come tale nella nostra ragione”. In effetti, Kant considera “la più grande assurdità immaginabile” prendere un credo storico, come quello in Gesù, per quanto proporzionato sia alla capacità umana, e per quanto profondamente possa essere radicato nel cuore degli uomini a causa della sua lunga influenza, come condizione di una fede universale ed esclusivamente salvifica (pag. 280). 

Quanto lontano da questo punto di vista sono i nostri teologi liberali moderni — i quali, nondimeno, giurano su Kant — quando rendono il credo nell'uomo storico Gesù, l'“esistenza personale di Gesù”, nella loro espressione raffinata, l'elemento essenziale del cristianesimo! Ciò che essi realmente apprezzano in Kant è la sua ostilità verso la metafisica, che consente loro di astenersi da affermazioni positive su cose trascendentali, e continuare ad usare espressioni bibliche perché non sono ancora disponibili espressioni più corrette. La teologia liberale è un derivato del tempo che ha scelto la scienza per guida dopo il crollo della filosofia speculativa intorno alla metà del secolo scorso e, sotto la bandiera dell'empirismo moderno e del positivismo, ha marchiato la credenza nelle idee come superstizione. Era il momento in cui l'enfasi della personalità, che era cominciata con Erasmo, e crebbe nel pietismo del diciottesimo secolo, in Schleiermacher, Humboldt, Neander e altri, alla lunga divenne generalmente popolare. L'idea è nulla; l'individuo è tutto. L'uomo, aveva insegnato Feuerbach, crea l'idea, non l'idea l'uomo. Dalla psicologia della scuola accademica e dall'apprezzamento generale dei fatti dell'esperienza i teologi hanno adottato un nuovo modo di guardare alle cose. Tra loro prevalse una tendenza che, a parte le speculazioni religiose, respingeva come obsoleta la concezione fino ad allora prevalente del cristianesimo, e sostituiva il semplice uomo Gesù al dogma scartato. “Le personalità, non le idee, fanno la storia”. Cominciò il culto del “grande uomo”. Introducendo la personalità come il fattore decisivo nel meccanismo della Storia, si sperava di trovare il fondamento necessario per il culto della “più grande personalità della storia”, il Gesù storico. Era stato trascurato il fatto che l'empirismo moderno e la psicologia sono semplicemente il complemento del materialismo scientifico. Non si era notato che sbarazzarsi della fede nell'idea oggettiva equivaleva a distruggere il fondamento della fede nella provvidenza e nel controllo divino degli eventi umani; e con questa fede ogni religione scompare. La gente parlava di sé in una riverenza estatica per la personalità “unica” di Gesù, nonostante la critica progressiva della nuova figura di Gesù lasciasse sempre meno fatti storici positivi a suo sostegno, e divenisse sempre più difficile mantenere questa riverenza. Come è andata con i professori quando hanno trovato la figura tradizionale di Gesù diventare sempre più fioca mentre la loro “critica storica” progrediva? I membri del clero continuavano a soffiare nuova vita alla figura evanescente, e trovavano ancora possibile il sentirsi personalmente “sopraffatti” dal loro Gesù. Erano orgogliosi del fatto che ora conoscevano la vera “essenza del cristianesimo” per la prima volta. E quando un'opposizione veniva sollevata a volte a questo culto ossessivo di Gesù, si consolavano con rassegnazione con le parole di Carlyle: “L'uomo non conosce nulla di più sacro degli eroi e della riverenza per gli eroi”.

In questa condizione di estasi autosufficiente intorno a Gesù, nella quale non si pensava più che fosse necessario preoccuparsi circa le grandi questioni della filosofia generale per qualche eccessiva tenerezza verso il “sovra-sensibile”, e l'“inconoscibile” fu silenziosamente ignorato, Il Mito di Cristo piombò come una bomba, con un effetto sorprendente. L'inadeguatezza della loro stessa teoria cominciò ad albeggiare perfino al più semplice di loro. Un certo nervosismo e insicurezza si diffuse tra i teologi e prese la forma di furiosa amarezza e di odio quando l'autore di quell'opera tentava, per mezzo di conferenze, di interessare l'opinione pubblica alla sua negazione della storicità di Gesù. Ora la Stampa intera è impegnata contro il disturbatore della pace; è con estrema facilità che la parola “liberale” confonda il liberale nel senso teologico e nel senso politico, a dispetto di enormi differenze, e la Stampa “ortodossa” è prontamente ottenuta. Conferenze opposte e riunioni protestanti si organizzano, e J. Weiss dichiara pubblicamente che l'autore del libro non ha “alcun diritto ad essere preso sul serio”. Ma tra i suoi colleghi, all'interno delle quattro pareti dell'aula magna, e nella versione stampata delle sue lezioni, Weiss assicura ai suoi lettori che ha preso la questione “molto seriamente” e parla dell'“ora fatidica attraverso cui sta passando la nostra scienza [teologica]” (pag. 170). Bousset dichiara nel Congresso Scientifico dei Predicatori di Hannover che la questione della storicità di Gesù “non è degna di attirare l'attenzione pubblica”. Ma al Congresso Mondiale per il “Libero Cristianesimo e il Progresso Religioso” concede che le idee de Il Mito di Cristo, le quali “non sono nemmeno state rese approssimativamente plausibili”, hanno nondimeno (?) risvegliato la convinzione della necessità di una “certa revisione” delle opinioni teologiche liberali. Invero, questo protagonista del culto moderno di Gesù, che si presume abbia dimostrato “trionfalmente” contro Kalthoff la correttezza delle sue opinioni, riconosce che “un intenso lavoro storico ha reso acuta la situazione dell'attuale posizione teologica, e ha posto difficoltà insopprimibili al teologo”, e che la Storia, “quando è spinta risolutamente fino alla fine, conduce ad una regione al di là di sé stessa”; e, appellandosi a Kant e a Lessing, domanda un fondamento differente per la fede invece che la Storia — cioè “la ragione”. [3]

NOTE

[1] Com'è noto, esisteva una leggenda di Isaia secondo cui era stato assunto in cielo, come Mosè, Elia, Enoc, ecc. — una prova del fatto che circa all'inizio dell'era attuale la figura del profeta aveva veramente assunto caratteri sovrumani.

[2] Ferd. Jak. Schmidt, Der Christus des Glaubens und der Jesus der Geschichte (1910), pag. 29.

[3] Die Bedeutung der Person Jesu für den Glauben, pag. 6, 10, ecc.

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