lunedì 1 aprile 2019

LE TESTIMONIANZE SULLA STORICITÀ DI GESÙ di Arthur Drews“I Pilastri Principali” di Schmiedel.

L'“Unicità” e la “Non-inventibilità” del Ritratto Evangelico di Gesù.

5. “I PILASTRI PRINCIPALI” DI SCHMIEDEL.

Ora abbiamo raggiunto un punto dove l'uomo che nega la storicità di Gesù deve essere messo in imbarazzo in modo definitivo: il “granito”, la “base storica”, che, secondo i critici teologici, resisterà a ogni tentativo di derubare le narrazioni evangeliche della loro natura fondamentalmente storica. Nove pilastri principali di una vita veramente scientifica di Gesù! Lo stesso numero come in un gioco di birilli. Qui abbiamo l'ultimo solido terreno su cui poggia la struttura della concezione liberale di Gesù. Sotto il tetto che poggia su quei nove pilastri, il critico potrebbe tranquillamente rilassarsi dalla tensione dei suoi soliti sforzi storici. Finché i pilastri stanno in piedi non c'è pericolo del crollo della credenza storica cristiana. Ma cosa succede se anche questi sono fragili — se il “granito” è semplice gesso o stucco, se i nove pilastri principali sono tali semplicemente per nascondere il vuoto e la nudità del modo teologico di scrivere la storia? Che cosa succede se sono “case costruite con materiale scadente”, intese solo per lo spettacolo? Di fatto, i pilastri reggeranno solo fin tanto a lungo ci si trattiene dal sottoporli ad una verifica seria, e ci si accontenta di ammirare la loro apparenza “realmente scientifica”; difficilmente si richiederebbe un Sansone per abbattere con uno schianto al suolo tutti i nove pilastri di Schmiedel. Poiché essi si basano interamente sul presupposto che lo scopo dei vangeli sia di rappresentare il Gesù storico umano come un essere divino; essi cadono da soli nel momento in cui si assume che, come sostiene il “mito di Cristo”, cercano, al contrario, di descrivere come un uomo reale uno che era originariamente un dio. 

I nove pilastri di Schmiedel negli ultimi anni, a causa del gran ruolo che hanno giocato nella discussione del problema di Gesù, sono stati sottoposti ad un attento scrutinio da più di uno scrittore. Hertlein cercò di rovesciarli nel 1906, e più recentemente Robertson (Christianity and Mythology), Lublinski (Das werdende Dogma, pag. 93), Steudel (Im Kampf um die C.M., pag. 88), e W. B. Smith (più importante di tutti, nel suo Ecce Deus) si sono occupati di loro e hanno dimostrato che sono del tutto insostenibili. Potrei quindi astenermi dal tornare sull'argomento se non fosse che così tanta enfasi sia ancora posta dagli storici “teologici” sui nove pilastri di Schmiedel; e una discussione fresca, almeno dei più importanti di loro, è necessaria.

In primo luogo, allora, qual è il nucleo dell'argomento di Schmiedel? Quando, lui dice, si impara su “una persona storica semplicemente da un libro che è pervaso di reverenza per il suo eroe, come i vangeli lo sono nei confronti di Gesù, egli considera autorevoli con più fiducia quei passi nel libro che non sono in armonia con questa riverenza; dice a sé stesso che, in considerazione dell'umore dell'autore, non potevano essere stati inventati da lui — anzi, non potevano essere stati scelti da lui dal materiale a sua disposizione se non fossero stati forzati su di lui in quanto assolutamente veri”.

 C'è, ad esempio, l'affermazione in Marco (3:21) che i parenti di Gesù, sua madre e i suoi fratelli, andarono a prenderlo, dicendo che era pazzo. Questo, dice Schmiedel, non può essere stato inventato da uno che ha riverito Gesù, perché avrebbe abbassato il suo eroe agli occhi dei suoi lettori; è la cosa meno concepibile quando riflettiamo sul fatto che gli altri evangelisti non dicono nulla del linguaggio che viene usato dai parenti di Gesù, chiaramente perché sentivano che non era in armonia con la loro concezione di Gesù. Quindi in questo passo di Marco abbiamo l'eco di una vera reminiscenza storica. Ma nel vangelo di Giovanni, che per ammissione generale trascina la glorificazione di Gesù al suo culmine, troviamo la circostanza denigratoria per cui perfino i suoi fratelli non credettero in lui (7:5); e in 10:20, l'evangelista fa dire agli ebrei: “Egli ha un demonio ed è fuori di sé”. Nel libro della Sapienza (5:4) leggiamo come gli empi parlarono del giusto: “Giudicammo la sua vita una pazzia”. In Zaccaria (13:3) è scritto: “E avverrà [nei giorni della salvezza di Gerusalemme dall'attacco dei suoi nemici] che, se qualcuno profetizzerà ancora, suo padre e sua madre che l'hanno generato gli diranno: Tu non vivrai, perché proferisci menzogne nel nome del Signore. Così suo padre e sua madre che l'hanno generato lo trafiggeranno, perché profetizza”. Nei Salmi (69:8) è detto parimenti: “Io sono diventato un estraneo per i miei fratelli e un forestiero per i figli di mia madre”. Ora, nessuno dubita che la figura di Gesù nei vangeli sia per molti aspetti determinata da passi nell'Antico Testamento. Come si può dubitare che ciò che Schmiedel pensa che “non possa essere stato inventato” si sia originato in quella fonte? 

Inoltre, Schleiermacher ha sottolineato, e Strauss ha confermato, il fatto, che l'accusa dei farisei, “Egli ha Beelzebub” (Marco 3:22), che ha un contesto molto diverso in Matteo (9:34, e 12:24) e in Luca (11:15), fornì all'evangelista un'opportunità per porla, nel suo significato, anche sulle labbra dei parenti di Gesù, pur di spiegare la sua risposta offensiva quando gli fu annunciato del loro arrivo. [1] Tuttavia, essa possiede chiaramente solo il significato simbolico secondo cui la parentela reale con Gesù è puramente spirituale, non corporale, e non è né “oltre la portata dell'invenzione”, né contraddittoria rispetto alla riverenza divina per Gesù. In fin dei conti, la condotta dei parenti del Salvatore nei vangeli non deve essere presa affatto come un deprezzamento di Gesù, così che non c'è necessità di considerarla storica per quel motivo. “Come se”, dice Steudel, "un romanziere deprezzasse il suo eroe rappresentandolo incompreso da quelli che lo circondano”. [2] Come se non potesse essere stato proprio il suo scopo quello di far emergere l'importanza suprema di Gesù rappresentandolo troppo grande per essere capito dai suoi parenti, e perfino considerato pazzo da loro. Quando la gente si rifiuta di riconoscere un “senso storico” a quelli di noi che negano la storicità di Gesù perché troviamo questo argomento così banale, dobbiamo rifiutare da parte nostra il “senso estetico” a Schmiedel e ai suoi seguaci perché comprendono così poco la finezza poetica di quel brano di Marco da trovarlo in disarmonia con il ritratto generale del Gesù nei vangeli. 

Ci volgiamo al secondo pilastro. In Marco 10:18, Gesù rifiuta di essere chiamato un maestro “buono”: “Nessuno è buono, tranne uno solo, cioè Dio”. Quanto sia poco possibile che tale espressione possa essere stata inventata dai seguaci di Gesù che scrissero i vangeli, dice Schmiedel, lo apprendiamo da Matteo. Nel suo vangelo (19:16) il ricco dice: “Maestro buono, che devo fare di buono per avere la vita eterna? Gesù gli rispose: Perché m'interroghi intorno a ciò che è buono? Uno solo è il buono”. [3] Logicamente, Gesù avrebbe dovuto dire: “Una sola cosa è il buono”. Ma siccome Matteo aveva le parole di Marco di fronte a lui, e cercava di evitare la loro offensività, cambiò le parole. [4] Sfortunatamente, non è affatto certo che in questo caso Marco abbia il testo originale. I manoscritti più antichi recitano alla maniera di Matteo, e omettono il “buono” all'inizio del solito testo, così che il testo di Marco potrebbe essere una forma successiva del testo alterato di Matteo. Questo testo più antico, tuttavia, non è affatto illogico come lo rappresenta Schmiedel. Nella versione ebraica della risposta di Gesù il maschile e il neutro sono entrambi uguali: può essere o “una persona” o “un'unica cosa”. “Ipotizziamo (con Resch) che la risposta sia: Un'unica cosa è buona — osserva i comandamenti. Dapprima questo è stato tradotto nel genere maschile in greco: Uno è buono. In seguito venne aggiunta la nota esplicativa, e successivamente ammessa al testo — cioè, Dio. ‘Uno è buono, Dio’ sembrava essere in opposizione alla persona di Gesù. Da qui la domanda, ‘Perché mi interroghi circa il buono?’ doveva essere cambiata in, ‘Perché mi chiami buono?’ La connessione veniva rotta ora e doveva essere restaurata aggiungendo: ‘Ma se vuoi entrare nella vita’, e così venne riesumata la domanda originale”. Questa è l'ipotesi critico-letteraria avanzata da Pott per quanto riguarda l'evoluzione storica del testo. [5] Comunque sia, in un simile stato di cose nessuno ha il diritto di dire che la risposta corretta di Gesù sia in Marco, e che Matteo presenti una modifica tendenziosa del testo originale, e di estrarre da un materiale come questo un “pilastro principale”. Dal punto di vista psicologico, è proprio altrettanto improbabile il fatto che rivolgere l'epiteto innocente e consueto di “maestro buono” abbia indotto Gesù a negare l'epiteto poiché la domanda sull'azione buona avrebbe dovuto spingerlo a dire che Dio è buono. Inoltre, la risposta “Dio solo è buono” suggerisce Platone proprio con la stessa forza con cui l'espressione “Il buono è uno” suggerisce Euclide di Megara. Quindi è impossibile dire che queste parole di Gesù “non potevano essere inventate”. Per il resto, fino a Schmiedel nessuno aveva notato nulla di particolarmente offensivo nel passo di Marco. Giustino, ad esempio, trova nella risposta di Gesù una prova dell'umiltà e della modestia del Salvatore nel disconoscere l'appellativo “buono”; mentre altri padri apostolici, in senso opposto a Schmiedel, vedevano nelle parole di Gesù una prova della sua divinità, facendo applicare Gesù a sé stesso le parole: “Dio solo è buono”, come se volesse dire: “Quell'uomo giustamente mi chiama buono, perché io sono Dio”.

Altrettanto ambiguo è il valore del terzo pilastro principale. Consiste in questo, che Gesù non poteva compiere alcun miracolo a Nazaret, a causa dell'incredulità dei suoi compaesani (Marco 6:5). Ma si sostiene che la natura simbolica di questo passo è ovvia. Non è la glorificazione del potere della fede una tendenza principale del vangelo di Marco? “In verità io vi dico che chi dirà a questo monte: Togliti di là e gettati nel mare, se non dubita in cuor suo, ma crede che quel che dice avverrà, gli sarà fatto. Perciò vi dico: tutte le cose che voi domanderete pregando, credete che le avete ricevute, e voi le otterrete” (11:23 e 24). L'uomo che crede riceverà aiuto (10:52). Poco prima, nel quinto capitolo, l'evangelista ha descritto come la donna con una perdita di sangue fosse stata guarita a causa della sua fede in Gesù; e Gesù disse a Giairo, la cui figlia era morta: “Non temere; soltanto continua ad aver fede”. Come complemento di ciò abbiamo la descrizione dell'incredulità del popolo di Nazaret e il fallimento dei miracoli agognati. Può qualcuno dubitare seriamente che la storia sia stata “inventata” per illustrare l'idea fondamentale del vangelo, che la fede è necessaria per i miracoli? Inoltre, il soggiorno di Gesù a Nazaret  ricorda chiaramente all'evangelista il detto familiare del tempo, che un profeta non è da nessuna parte in nessun conto se non nel suo stesso paese e tra la sua stessa gente. Egli perciò pone il proverbio sulle labbra di Gesù, e poi lo illustra facendolo trattenere dal compiere miracoli nel suo paese. In ogni caso, è impossibile trovare qualcosa qui in contrasto con la riverenza dell'evangelista per Gesù. La cosa che il lettore imparziale sarebbe incline a considerare oltre la portata dell'invenzione è che qualcuno dovesse scandalizzarsi del passo, e da questo scandalo sforzarsi di dedurre la storicità di Gesù.

Un quarto pilastro, secondo Schmiedel, è il grido di disperazione di Gesù sulla croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” Le parole, tuttavia, si trovano all'inizio del ventiduesimo salmo, che dà vari dettagli della crocifissione — il giusto appeso al palo, le mani e i piedi perforati, la folla beffarda, i soldati che si giocano le vesti — tutto si svolge come descritto nel salmo. È possibile credere che le parole siano state realmente pronunciate da Gesù? Sì, dice Schmiedel; e Harnack è d'accordo. Se la storia di Gesù è raccontata in modo tale che le sacre parole dell'Antico Testamento sembrano essere adempiute in essa, ciò è stato fatto solo quando ha servito “l'interesse di Gesù”; ma questo interesse sarebbe stato danneggiato se le parole del salmo fossero state poste sulle labbra del Gesù morente. Come se i vangeli fossero stati composti nello stesso modo in cui uno scrittore moderno si sarebbe seduto alla sua scrivania per scrivere un grande libro, e contenessero un'idea coerente, con le varie parti accuratamente controllate e tutte le contraddizioni evitate. Come se i vangeli non pullulassero di contraddizioni e di “discordanze” nella loro descrizione della natura e delle esperienze di Gesù, le quali offrono un'altra prova del fatto che non vi si tratta in loro di un'unica persona definita e di ricordi storici, ma di una mera raccolta di dettagli tratti da fonti diversissime, la cui scelta è stata determinata, non al fine di evitare contraddizioni, ma col proposito di rendere la figura del Salvatore la più vivida e attraente possibile nel senso delle aspettative messianiche.

Lublinski ha ammirevolmente dimostrato che, nel tentativo di dare un'incarnazione concreta ad un simbolo, come lo è a nostro avviso il presunto Gesù storico, il risultato è inevitabilmente un organismo irrazionale che sicuramente presenterà molte “contraddizioni” al nostro intelletto. [6] “L'unico scopo dell'autore del vangelo primitivo”, afferma Steudel, “era di dare un'elaborazione espressiva dell'idea; e, siccome desiderava descrivere Gesù come il ‘servo sofferente’ del salmo 22, non poteva esitare per un momento a porre sulle sue labbra a mo' di preghiera la citazione in questione. Se la figura che costruiva fosse coerente o meno, dava ben poca preoccupazione all'autore”. [7]

Anche il teologo Spitta dice che è una “nozione moderna il fatto che un dogmatico successivo non avrebbe potuto porre sulle labbra di Gesù il grido disperato di Matteo 27:46, e di Marco 15:34. La dogmatica non ha avuto nulla a che fare con esso; era la tradizione cristiana primitiva a vedere nel ventiduesimo salmo una predizione della morte e della resurrezione di Gesù. È una curiosa illusione ipotizzare che vangeli dalle visioni cristologiche che Matteo e Marco rappresentano non debbano sopportare che Gesù termini la sua vita con un grido di disperazione verso Dio e la sua missione. Ciò potrebbe applicarsi a certe costruzioni della vita di Gesù, ma non è in contrasto con il sentimento degli scrittori evangelici. Non si dovrebbe aver bisogno di sottolineare il fatto che, vista l'indubbia influenza della dottrina veterotestamentaria delle sofferenze del giusto sulla figura sofferente di Gesù e sul significato centrale della morte di Gesù nella dogmatica paolina, le manipolazioni successive della tradizione evangelica non sarebbero disposte a mitigare le sofferenze e la morte di Gesù”. [8]

Solo se fosse provato che nei vangeli si tratta di una storia reale si potrebbe ammettere che l'evangelista avrebbe evitato di intrecciare nella storia della vita del suo Gesù questi dettagli dall'Antico Testamento poiché non concordavano con la sua idea principale della personalità di Gesù. Se la storicità di Gesù fosse stabilita da altri argomenti dovremmo essere giustificati nel dedurre dalla presenza di questi dettagli il fatto di una tradizione storica che l'autore era obbligato a riprodurre. Ma cercare una prova della storicità della narrazione evangelica da mere contraddizioni, reali o apparenti, non è scienza né il metodo “che ogni storico segue in materie non teologiche”; è semplicemente il modo di argomentare in un circolo vizioso che è peculiare della “Storia” teologica, dove la tesi che deve essere provata viene data per scontata. Per tornare alla nostra illustrazione precedente di Eracle, potremmo provare la storicità dell'eroe greco in base a quel metodo. Nel suo racconto ci sono molti dettagli che non si accordano con la figura altrimenti splendida di questo più forte di tutti gli eroi greci. Si suppone che sia diventato pazzo e abbia ucciso i suoi stessi figli quando era in quella condizione; si dice che si sia rifugiato con una donna tracia nella sua lotta con i Meropi, e si sia celato in abiti femminili; di fatto, si suppone che sia stato del tutto poco virile e debole di fronte a Onfale, portando la sua gonna e correndo attorno a lei nelle sue vesti. Potremmo definirli “pilastri principali di una vita realmente scientifica di Eracle”!

Quindi per Schmiedel è puro autoinganno immaginare di aver “stabilito” l'esistenza di un Gesù storico oltre un'ombra di dubbio. I suoi pilastri principali sono “geniali scoperte di un teologo, capolavori di pignolerie apologetiche” (Steudel); sono “minuscole cose che bisogna esaminare al microscopio per dare loro la natura di granito che dovrebbero avere da colonne centrali del Gesù liberale” (Krieck).

Eppure i quattro di cui abbiamo discusso sono gli unici tra loro che sembrano anche avere qualche importanza. Questo non si può dire degli altri cinque. Quando Gesù confessa, riguardo al giorno e all'ora della fine del mondo, che “nessuno li sa, neppure gli angeli del cielo, neppure il Figlio, ma solo il Padre” (Marco 13:32), possiamo solo dire che non c'è da aspettarsi da lui l'onniscienza, siccome l'evangelista lo descrive come un semplice uomo, con qualità umane e limiti umani. Inoltre, l'incertezza in termini di tempo della fine del mondo è una delle caratteristiche normali di ogni apocalittico. Quindi l'ignoranza di Gesù su quel punto è così naturale che l'evangelista si astiene prudentemente da ogni affermazione cronologica. Infine, Smith sottolinea come si possa dedurre la natura divina del Figlio dalla sua collocazione dopo gli angeli nelle parole di Gesù.

E quando Matteo (11:5) fa dire al Salvatore: “I ciechi recuperano la vista e gli zoppi camminano; i lebbrosi sono purificati e i sordi odono; i morti risuscitano e il vangelo è annunciato ai poveri”, fino a che punto possiamo vedere in questo una contraddizione dell'idea che l'evangelista aveva di Gesù? Schmiedel prende le parole spiritualmente: il cieco in senso spirituale vedrà, lo storpio in senso spirituale camminerà, ecc., perché Gesù, pensa, “non avrebbe potuto distruggere più seriamente l'effetto delle sue parole se non facendo una serie di miracoli, che si elevano così in alto come il risveglio dei morti, presso qualcosa di così semplice e comune come la predicazione ai poveri”. Tuttavia leggiamo in Isaia (35:5), in relazione alla venuta promessa del Signore: “Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e saranno sturati gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo e la lingua del muto canterà di gioia”. E in Isaia 61:1, è detto: “Lo Spirito del Signore Dio è su di me,perché il Signore mi ha unto per recare una buona notizia agli umili; mi ha inviato per fasciare quelli che hanno il cuore spezzato, per proclamare la libertà a quelli che sono schiavi, l'apertura del carcere ai prigionieri [la vista ai ciechi]; per proclamare l'anno di grazia del Signore, il giorno di vendetta del nostro Dio; per consolare tutti quelli che sono afflitti”. [9] Chiaramente, il “pilastro” è semplicemente costituito da quei due passi, e perciò il detto di Gesù non ha pretese di storicità.

Del resto dei “pilastri principali” è meglio non dire nulla. Coloro che sono interessati possono consultare Schmiedel e le opere che abbiamo citato. Da parte mia, ho tentato invano di vedere in loro qualche sorta di argomento per un Gesù storico. Un uomo deve essere un teologo per apprezzare argomenti di questo tipo. Possiamo presumere che i veri storici volgano le loro spalle ai “nove pilastri principali” di Schmiedel, se si sono spinti fino al punto di esaminare la questione. I “nove pilastri principali” di Schmiedel sono eccellenti compagni dei tre “apostoli-pilastri” dell'epistola ai Galati. A distanza sembrano molto belli; quando ti avvicini a loro si dissolvono in atomi. Schmiedel pensa di “sapere” in virtù dei suoi “pilastri” che la persona di Gesù non può essere relegata al mondo della favola. Egli “sa” anche che “Gesù era un uomo nel pieno senso della parola, e che in lui il divino, che ovviamente non è negato a causa di ciò, deve essere ricercato solo in quanto può essere trovato in un uomo”. [10] Lo lasciamo con questa “conoscenza”; da parte nostra, ci rifiutiamo di stabilirci in una casa che si appoggia su questi “nove pilastri principali di una vita realmente scientifica di Gesù”. [11] Schmiedel ha il sostegno del suo collega Weiss nella sua ricerca di “indubitabili caratteristiche storiche” nella figura evangelica di Gesù. “Il potere di Gesù”, dice Weiss, “si basa sullo spirito che gli fu dato al battesimo; vediamo come questo spirito combatte con gli spiriti” (Marco 1:25, 3:11, 5:6, 8; 25, ecc.). Poi segue la lista dei pilastri principali di Schmiedel, e lo “storico” continua: “Osserviamo [!] come la concezione dogmatica dell'evangelista non sia stata in grado di assorbire la figura storico-umana” (pag. 133). Sicuramente abbiamo qui un decimo pilastro principale! [12]

Questo, allora, per quanto riguarda la storicità di Gesù, è il frutto “solido” di quel penetrante “lavoro analitico sui vangeli che si definisce esegesi storica”, che va avanti da oltre un secolo. Comprendiamo bene che “ci sono molti che sono indifferenti a questa indagine sulla struttura interna di un documento, e dichiarano con toni di avvertimento che il lavoro dei teologi è senza speranza, sebbene loro stessi non faranno nulla” (Weiss, pag. 134).

NOTE

[1] Strauss, Leben Jesu, I, 692.

[2] Im Kampfe um die Christusmythe, pag. 89.

[3] [La traduzione inglese della Bibbia ha la stessa risposta in Matteo e in Marco. Trovo che ci siano versioni diverse del testo greco di Matteo 19:16. — J. M.]

[4] Das vierte Evangelium, pag. 19.

[5] Der Text des Neuen Testaments nach seiner geschichtlichen Entwicklung, 1906, pag. 63. Si veda anche Christianity and Mythology di Robertson.

[6] Das werd. Dogma, pag. 93.

[7] Im Kampf um die Christusmythe, pag. 117.

[8] Zur Geschichte und Literatur des Urchristentums, III, 2, 1907, pag. 204. Si veda Feigel, Der Einfluss des Weissagungsbeweises, u.s.w., 63-69.

[9] Si veda anche Isaia 42:7.

[10] Die Person Jesu, pag. 9.

[11] Osserva il gioco di contrasti nella frase “un uomo nel pieno senso della parola”, in cui, nondimeno, “il divino non è negato”, tuttavia esso “deve essere ricercato solo in quanto può essere trovato in un uomo”. (Si veda anche il suo Das vierte Evangelium, pag. 17, dove è detto che, mentre riconosciamo che c'era qualcosa di divino in Gesù, egli pensava e viveva in una maniera che noi dobbiamo considerare realmente umana. A quale trivialità è ridotta questa “Dio-umanità” nei nostri teologi liberali!). È Gesù un uomo-Dio nel senso cristiano oppure non lo è? Potremmo domandare a quei teologi nelle parole di Elia: “Fino a quando tentennerete fra due opinioni?” (1 Re 18:21).

[12] Alcuni potrebbero vedere una sorta di pilastro principale nelle parole di Gesù (Marco 13:30): “Questa generazione non passerà, prima che tutte queste cose siano avvenute”. Perché, potrebbero dire, se una profezia di questo tipo, che non fu confermata dal corso degli eventi, poteva rimanere nei vangeli, essa deve essere stata pronunciata da Gesù. Ma non è possibile che il detto di Gesù sia parte dell'apocalittica ebraica che è incarnata nel capitolo citato di Marco? In quel caso non è più storico di Matteo 10:23, di Marco 9:1, e di Luca 9.27, che sono semplicemente dovuti a modifiche di Marco 13:30. Il detto non può essere un “pilastro principale” perché esso contraddice il primo “pilastro” (Marco 13:32), secondo il quale Gesù si rifiutò di comunicare il tempo della fine del mondo. 

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