domenica 31 marzo 2019

LE TESTIMONIANZE SULLA STORICITÀ DI GESÙ di Arthur DrewsI Metodi della Critica Storica.

La Testimonianza della Tradizione.

3.  I METODI DELLA CRITICA STORICA.

(a) I Principi Metodici della Storia Teologica.  — Da ciò che abbiamo visto constatiamo che i critici sono convinti della storicità dei vangeli a priori, prima di indagare sull'argomento. Tutto quello che devono fare, quindi, è cercare il “nucleo storico” nella tradizione. Come si fa? “L'elemento cristiano”, dice Weinel, “deve essere spogliato dalla figura di Gesù prima che egli possa essere scoperto. Ma questo significa solo l'elemento cristiano in un certo senso. Gesù non era un ebreo, ma qualcosa di nuovo; l'elemento cristiano deve essere rimosso da lui nel senso di pensieri, idee e tendenze che potevano solo essere intrattenuti da una comunità successiva” (pag. 28). Oppure, come leggiamo in un altro passo: “L'unico criterio con cui il critico storico può discriminare tra il genuino e il corrotto è mettere da parte come spurie quelle caratteristiche della tradizione che non potevano essere dovute all'interesse di Gesù, ma solo all'interesse della comunità” (pag. 30).

Nota fin quanto si presume in tutto questo: che Gesù fosse un personaggio storico, che non fosse un ebreo, che fosse “qualcosa di nuovo” e, soprattutto — “l'interesse di Gesù”. Come fa Weinel a sapere così bene l'interesse di Gesù prima di iniziare la sua inchiesta che pensa di poter determinare con questo test cosa è spurio nella tradizione e cosa no? Si sia sinceri. Non è un problema dell' “interesse” della teologia storica e della Chiesa piuttosto che di Gesù? I vangeli, a quanto pare, devono essere compresi da “l'anima di Gesù”, non dall'anima dei loro autori! Avrei dovuto pensare che in una rigorosa inchiesta storica “l'interesse” e “l'anima” di Gesù potessero essere raccolti solo nel corso dell'indagine. Lo “storico” teologico, tuttavia, assume fin dall'inizio proprio quello che dovrebbe dimostrare e dedurre — l'esistenza e la conoscenza della natura più intima dell'uomo Gesù. Non solo Weinel lo fa, ma pure Clemen formula, per l'impiego nell'interpretazione storico-religiosa del Nuovo Testamento, il famoso “principio metodologico” — che un'interpretazione storico-religiosa è impossibile quando conduce a conseguenze insostenibili (vale a dire, la negazione della storicità di Gesù o dell'autenticità delle epistole paoline) oppure parte da queste premesse. [1] J. Weiss lo dice ancora più chiaramente quando riconosce che in tutte le sue indagini inizia con l'assunzione “che la storia evangelica in generale ha una radice storica, che è cresciuta dal terreno della vita di Gesù, risale a testimoni oculari della sua vita, e gli si avvicina così tanto da poter contare su reminiscenze storiche” (pag. 125). Non c'è da meravigliarsi se si trovano “scientificamente” costretti ad aggrapparsi alla storicità di Gesù, e considerano il cosiddetto metodo storico che usano il solo metodo corretto, perché esso sembra stabilire questa storicità. La verità è che non si tratta di un risultato, ma di un presupposto del loro metodo; il metodo è organizzato in anticipo in modo da confermare il presupposto, e non è in virtù del metodo che l'inchiesta termina in una convinzione dell'esistenza di un Gesù definito, ma perché questo era l'obiettivo tenuto in mente sin dall'inizio.

Questo, tuttavia, non è tutto ciò che dobbiamo dire riguardo al metodo teologico di indagare sulla storicità di Gesù. C'è un ulteriore principio, per cui tutto ciò che sembra possibile al critico teologico nelle narrazioni evangeliche potrebbe essere di colpo definito come reale. Quindi Weinel considererebbe valida una tradizione nella misura in cui “non sia chiaramente vista come impossibile”. Ma non ci sono un sacco di cose nelle tradizioni che sono possibili, eppure potrebbero non essere per niente reali? La storia di Tell è possibile, la storia dei sette re di Roma, o di Semiramide o di Sardanapalo; e fintanto che non esistevano documenti indipendenti, si riteneva che fossero storie reali. In effetti, sulla base di questo criterio di “possibilità” potremmo dimostrare che Ercole era un personaggio storico e tentare di estrarre un “nucleo storico” dal guscio della leggenda. Perché non poteva esserci stato un uomo con quel nome che strangolò un leone, trascinò un cinghiale selvatico, catturò una cerva viva, uccise un pericoloso serpente, ripulì una stalla e compì altre azioni eroiche, sacrificandosi infine sulla pira? Il fatto che l'idra avesse più di una testa, e che al taglio di una due nuove crescessero al suo posto, è, naturalmente, dovuto all'immaginazione successiva; forse ha avuto origine in una “visione” da parte di Ercole. Non sappiamo che era un forte bevitore? Bene, in uno stato di intossicazione le cose si vedono spesso raddoppiate, o addirittura triplicate. In tal modo sarebbe possibile dare un'interpretazione “storica” del mito di Ercole sulla base del suddetto principio. Il principio, tuttavia, trascura il fatto che, sebbene tutto ciò che è reale sia allo stesso tempo possibile, le leggi della logica ci impediscono di tracciare un'inferenza nella direzione opposta, dalla possibilità alla realtà. Eppure è semplicemente su una deduzione del genere, a parte da considerazioni dell“interesse di Gesù”, che sono basate tutte le costruzioni teologiche della vita di Gesù. Le storie nei vangeli vengono prima esaminate per vedere se sono possibili, e vengono poi trattate come realtà storiche, la cui storicità è ritenuta essere stata dimostrata dimostrando che sono possibili.

(b) Il Metodo di J. Weiss. — J. Weiss è un maestro nell'applicazione di questo metodo meraviglioso. Il suo modo di interpretare i miracoli di Gesù non deve essere ignorato. 

Weiss parte dal carattere generale dell'età in cui si suppone che i miracoli siano stati compiuti, dalla sua credulità e dalla sua sete di miracoli, un'età “per la quale salvatore e medico sono quasi la stessa cosa”. È vero che egli concede che le cure improvvise e straordinarie operate da Gesù non possono essere controllate nel loro corso ulteriore. “Non sentiamo di un solo paziente che comunichi qualcosa della sua vicenda successiva” (pag. 119), che è per lo meno molto curioso, e non dice molto della loro gratitudine. Pensa, tuttavia, che “molti [!] contro uno riconosceranno che Gesù era parecchio occupato a guarire i malati. Abbiamo, è vero, “non una buonissima idea” del modo in cui si faceva. Possiamo solo immaginare la maniera in cui Gesù ha agito. Costituisce, tuttavia, “uno scetticismo abbastanza irragionevole dire che quelle scene, a causa della difficoltà di immaginarle, e l'opera di guarigione di Gesù in generale, dovrebbero essere relegate nella leggenda. Che Gesù fosse considerato e ricercato come un guaritore dei malati siamo tenuti ad assumerlo, al pari dell'effetto popolare della grande impressione che fece sugli uomini”, la quale a sua volta è semplicemente assunta in questo paragrafo. “L'unica [...] possibile spiegazione è che fosse ricolmo della convinzione di essere alleato della forza divina; la sua fiducia nell'aiuto miracoloso di Dio, il suo “entusiasmo” in questo senso, deve essere stato [!] forte e sincero, e deve [!] essere stato basato sull'esperienza reale” (pag. 117).

Prendi, per esempio, il posseduto nella sinagoga di Cafarnao. Weiss pensa di poter spiegare la sua liberazione coll'entusiastica natura messianica della predicazione di Gesù, “grazie alla quale il paziente, identificandosi con il demone dentro di sé, sente di essere personalmente minacciato, ma allo stesso tempo attratto; e così un parossismo è provocato, ed è seguito da tranquillità. In questo”, esclama, “come abbiamo superato i limiti dell'interpretazione storica? Cosa vi è di improbabile nell'episodio?” Gesù impose il silenzio sul demone “in virtù dello spirito divino che egli sentiva in sé stesso”. Se qualcuno si avventura a differire da lui, Weiss replica aspramente: “Ognuno che dica che quelle idee ed emozioni religiose sono inconcepibili è meglio che ritragga la mano dalle questioni di storia religiosa; non ha attrezzature per trattare con loro” (pag. 121). Poi c'è la guarigione della suocera di Pietro. “Io non possiedo”, dice Weiss, “nessuna esperienza in materia [Che peccato! Quanto avrebbe potuto insegnarci se fosse stato in grado di sperimentare sulla propria suocera!]; ma non vedo che ciò che è descritto qui sia impossibile” (pag. 122). [2] È vero che si può considerare la cura di un paziente del genere tramite un'influenza ipnotica “del tutto possibile, e persino probabile”. Ma quale sorta di “scienza” sia ridurre l'intero contenuto dei vangeli a mere possibilità di questo tipo ci si deve permettere a riguardo di tenere la nostra opinione personale.

Forse il “metodo” tramite cui i teologi critici provano l'esistenza del loro Gesù non può essere studiato meglio che nel caso del Das älteste Evangelium di Weiss. Weiss prova a dimostrare che l'autore del nostro vangelo di Marco stia semplicemente incorporando una tradizione già esistente. “Non senza certe supposizioni”, ammette, “noi ci occupiamo dell'inchiesta. Siamo stati preparati dalla tradizione della Chiesa primitiva, specialmente dalle prove di Papia [!], a scoprire che nel vangelo che ci è pervenuto sotto il nome di Marco troveremo un'eco delle dichiarazioni di Pietro. Di qui [!] approcciamo il nostro argomento con la domanda particolare di quanto  lontano le reminiscenze di Pietro formino i fondamenti” (pag. 120). “Il mio obiettivo, lo ammetto candidamente, è di rintracciare il testo di Marco nelle sue linee generali [!] ad una tradizione precedente. Per quanto è possibile [!], tento di ricondurlo al modo di Pietro di guardare alle cose, e di comprenderlo nel modo più storico possibile. Io sono, perciò, un partigiano del mio autore — lo concedo ad una certa misura” (pag. 122). Adesso ascoltiamo.

“Ora, dopo che Giovanni fu messo in prigione, Gesù venne in Galilea, predicando il vangelo del regno di Dio” (Marco 1:14). “Così Pietro potrebbe aver cominciato il suo resoconto” (pag.136). Poi c'è il resoconto della chiamata dei primi discepoli. Qui identifichiamo una certa quantità di manipolazione letteraria; la storia ci rammenta con fin troppa sorpresa la chiamata di Eliseo da parte di Elia (1 Re 19:19). Non è sicuro che la frase “pescatori di uomini” sia stata pronunciata in questa occasione. Ma potrebbe essere stata detta in un'altra occasione, e l'intero racconto potrebbe scaturire da una reminiscenza di quel “momento indimenticabile” in cui la parola di Gesù ha indotto Pietro a seguirlo. La frase tecnica “gettare le reti”, ci assicura Weiss, è significativa; lui sembra ritenere improbabile il fatto che nient'altri che un pescatore dovesse usare questa frase davvero poco familiare o sapere qualcosa di un'occupazione così insolita. In questo caso potremmo avere la prima parte di quelle narrazioni di Pietro che Marco a detta di Papia avrebbe usato. Ora per il sabato a Cafarnao, la guarigione del posseduto nella sinagoga e della suocera di Pietro, le guarigioni di sera, la fuga nel mattino. Come vi è un'eccellente connessione locale e cronologica tra le storie! Quanto vividamente vengono raccontati i dettagli! Come si sente l'agitazione di tutti i coinvolti nel racconto! Da tutto questo “il solo metodo scientifico, l'unico punto di vista prudente e critico”, deduce che (tremiamo dalla curiosità) si è qui in possesso di una “eccellente tradizione” — di fatto, i ricordi di Pietro — perché (dobbiamo completare l'argomento) nessun altro uomo avrebbe potuto inventare quelle cose, o almeno non averle comunicate in quella maniera.

Nel secondo capitolo abbiamo la strana storia dell'uomo paralitico che non poteva raggiungere Gesù per via della folla, così che dovettero rimuovere il tetto della casa e farlo calare al guaritore all'interno. Siccome la scena è a Cafarnao, e c'è “menzione di una casa”, secondo Weiss è naturale supporre che fosse la casa di Pietro! Un'altra delle reminiscenze di Pietro, perciò. La parabola del seminatore appartiene alla stessa categoria? “Ci piacerebbe crederci, a causa dell'introduzione realistica [!]. La reminescenza richiama una località descritta molto chiaramente [il fatto è che si ritiene che Gesù abbia pronunciato la parabola da una barca presso la riva], e il suo tempo è determinato a sua volta da 4:35 [“In quel medesimo giorno, verso sera”]. Era un giorno perfettamente definito [?] in cui quei fatti si svolsero” (pag. 178). La barca (4:1) era, naturalmente, la barca di Pietro, anche se questo non è detto nel testo.

Nella storia della figlia di Giairo la guarigione della donna con una perdita di sangue è intrecciata in maniera piuttosto artistica. Questa combinazione artistica non può essere un espediente letterario, ma dipende da una vera reminiscenza storica. “Era indimenticabile il fatto che un evento così curioso dovesse svolgersi sulla via per la casa di Giairo” (p.180). Poi c'è la calma della tempesta. La storia è così improbabile, e suggerisce così fortemente Giona 1:3 e 5, che la maggior parte dei critici sin da  Strauss l'hanno considerata una semplice leggenda, e si è disposti a domandare, con Weiss: “Se Pietro poteva raccontare cose di quel genere, che utilità ha per noi?” Nondimeno, perché non dovremmo osservarvi alla base ancora una volta un episodio reale, e supporre che l'evangelista in seguito vi abbia dato i primi tocchi di qualità miracolosa? Allo stesso modo, la storia del posseduto di Gadara dovrebbe essere basata su “una solida tradizione” (la tradizione è sempre “solida” quando si adatta allo schema teologico). Osserva come sia assunta la familiarità dello scrittore con la località. Che descrizione realistica! Monti che scendono verso la riva e che cadono precipitosamente nel mare! [3] “Questa descrizione poteva originarsi solo tra coloro che avevano familiarità con quelli aspetti della regione”. Marco non avrebbe potuto descriverli così a meno che la tradizione non glielo avesse permesso; da qui la storia deve essere vera, e Pietro deve esserne il narratore. E poi la descrizione dell'uomo posseduto! I sintomi sono totalmente diversi da quelli del posseduto nella sinagoga; si tratta di “isteria epilettoide” (questo a sua volta lo “storico” sembra aver trovato nella Real-Encyclopädie di Eulenburg). Il resoconto, inoltre, deve essere stato dato dal paziente stesso dopo la sua guarigione o da altre persone; quindi — ancora una volta abbiamo una “solida tradizione”. Il solo difetto della descrizione dell'evangelista è che è fin troppo interessato ai porci, troppo poco all'uomo. “La storia è interessante in ogni caso, e se qualcuno ne è disturbato, gli si può dire che fu narrata proprio per quello” (pag. 189). 

Questo per quanto riguarda lo “storico” Weiss. Dopo questi esempi della sua esegesi critica potremmo astenerci dal seguirlo più oltre lungo questo sentiero, sebbene ci sia molto nella sua opera che non meriterebbe di venir dimenticato; la sua interpretazione, ad esempio, della confessione di Pietro a Cesarea di Filippo — la località è “attinta dalla vita”, il dettaglio è “completamente concreto”; possiede, come direbbe von Soden, “l'odore stesso del suolo della Palestina”, così che siamo costretti ad ammettere la sua realtà storica — e la sua concezione della trasfigurazione di Mosè, che deve, naturalmente, essere stata una “esperienza visionaria da parte di Pietro”.

Potremmo aggiungere, al credito della scienza, che lo sforzo di Weiss per ricostruire la forma fondamentale della narrazione di Marco mediante un'analisi esegetica e per dimostrare che Pietro e i suoi amici ne fossero responsabili, ha incontrato la resistenza più violenta anche tra i suoi stessi colleghi. Wellhausen trova che la tradizione di Marco per quanto riguarda la Galilea e le narrazioni galilee sia di una natura tale da non poter essere riferita ai discepoli primitivi. “È possibile”, egli chiede, “che Pietro fosse l'autorità per l'improvvisa vocazione dei quattro pescatori di uomini? — Che raccontò della passeggiata sul mare, della cacciata dello spirito maligno nei porci, della guarigione della donna con una perdita di sangue per la virtù delle sue vesti, e dei sordi e dei ciechi per mezzo di sputi? E perché non ci comunica di più, e in modo più dettagliato, a proposito del rapporto del maestro con i suoi discepoli? Non sembra probabile che la tradizione narrativa in Marco si sia originata tra i compagni di Gesù?”. [4] Otto Schmiedel si trova a sua volta indotto a mettere più di un punto interrogativo dopo le dichiarazioni di Weiss, e osserva: “Non sappiamo con così tanta fiducia (nonostante Papia) che Pietro fosse l'autorità di Marco”. [5] In realtà, l'intero metodo è sospeso in aria, ed è abbastanza inutile tentare di ricavare la storicità delle narrazioni evangeliche dalla loro natura.

NOTE

[1] Die religionsgeschichtl. Erklärung des N. T., 1909, pag. 10.

[2] Nella sua opera, Das älteste Evangelium (1903), Weiss ci comunica che si trattava “probabilmente di un caso di febbre malarica”, e ci riferisce alla Real-Encyclopädie der ges. Heilkunde di Eulenburg, pag. 146.

[3] Marco 5:11 e 13.

[4] Einl. in die drei ersten Evangelien, 1905, pag. 52.

[5] Die Hauptprobleme der Leben-Jesu-Forschung, 2 Aulf., 1906, pag. 62.

Nessun commento: