sabato 9 febbraio 2019

«Il Dio Gesù» (di Paul-Louis Couchoud) — La leggenda umana di Gesù (XXVIII): MARCO

(segue da qui)

PARTE QUINTA

LA LEGGENDA UMANA DI GESÙ

MARCO 

Il racconto di Marco è il più antico, il più breve, il più improvvisato, il più efficace forse su della gente semplice e rozza. È scritto a grandi linee, in uno stile popolare scarsamente punteggiato, con ripetizioni, esagerazioni, espressioni forti, colori vivaci, esplosioni di emozioni. Per impostare il tono, doveva servirsi di termini come: “Ed essi, ancora più stupiti... Ma i vignaiuoli, presolo, lo batterono... Giuseppe d'Arimatea, qualcuno autorevole...”. L'autore non è, come voleva Taine, “un puro illetterato”. Ha un sacco di arte per animare le scene simboliche, il cui ostacolo potrebbe essere la concisione. Ma ha a che fare con un pubblico non istruito, al quale è obbligato a spiegare le usanze più note degli ebrei. Lui stesso non è affatto un dottore seduto alla sua cattedra. Gestire le idee non è affatto il suo forte. È mosso da qualche grande posizione presa. Contro gli ebrei ostinati di cui mette in cattiva luce il legalismo stretto e meticoloso. Contro gli apostoli anteriori a Paolo, che considera come degli stupidi e dei codardi. Contro coloro che hanno preso il nome di Fratelli del Signore che non sono affatto dei veri cristiani.
Possiede una fede a tutta prova. È un paolino semplice e convinto. Egli crede con tutto il suo essere alla grazia di Gesù, alla remissione dei peccati, all'abolizione della legge mosaica, alla vita del Figlio di Dio data in riscatto per gli uomini, alla salvezza provata dalla Resurrezione, alla necessità della croce. E il coraggio gli fuoriesce da  tutti i pori. In tempi di persecuzione, è veramente pronto a morire per Gesù e per il vangelo. “Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà”. Questo oracolo del Signore è sicuramente quello che egli ha più sentito e che ha meglio fatto sentire.
È, secondo ogni apparenza, un evangelista, nel primo senso del termine: un missionario posseduto dallo Spirito, un catechista-esorcista. Conosce la tecnica dolorosa dell'esorcismo. Sa che non sempre riesce: esorcizza un folle incatenato dove un epilettico non è conveniente. Sa come si dorme in una barca, là, sul cuscino della poppa. Sa che allorché viene la persecuzione, tutti hanno paura e molti abbandonano il campo. Vuole formare non solo dei cristiani forti ma dei valorosi martiri. La croce è la via tracciata da Gesù. Codardi, quelli che si nascondono! Lui è  popolo. Ama lo slancio, l'energia, la fedeltà.
Nel vangelo che ha composto questo cristiano frustato e generoso, Gesù appare all'improvviso. Non si sa da dove viene. Questo è conforme alla credenza popolare sulla venuta improvvisa del Messia. In verità è nato al battesimo, così come fa il cristiano. Il vangelo è, nella sua essenza, un ciclo liturgico: va da Pasqua a Pasqua.
Gesù è presentato da Dio stesso agli ascoltatori del vangelo. Con una lacrima nel cielo, la Voce di Dio gli dice: “Tu sei il Figlio mio prediletto”. Investitura eterna e augusta, che è anche quella del Risorto. Gesù va dapprima nel deserto dove è servito dagli angeli, tentato (e riconosciuto) da Satana. Durante tutta la prima parte della sua permanenza con gli uomini, i demoni saranno i soli a conoscerlo. È l'inversione del tema di Paolo. Gli ebrei prenderanno il posto dei demoni. Questi sono gli ebrei che non riconosceranno affatto il Figlio di Dio e lo faranno crocifiggere.
A partire da là Gesù offre il modello ideale dell'apostolo itinerante ed esorcista. La sua prima parola: “Convertitevi, credete al vangelo!” è quella di un missionario per il quale il vangelo esiste già. La sua opera immediata è cacciare i demoni di questo mondo. I miracoli, segni secondo Paolo dell'apostolo, sono, a maggior ragione, i suoi. Con bagliori di miracoli egli lascia intravedere che è Lui stesso che parla con autorità, rimette i peccati, è padrone del sabato, abroga l'impurità dei piatti e degli alimenti, comanda ai venti della tempesta, resuscita i morti. Ma è Dio in incognito, in sordina. Ordina il segreto agli uditori, affinché gli ebrei non siano illuminati. Questo popolo è eletto per la cecità, eletto per uccidere il Cristo. Dio ha preso l'oscuro decreto di accecarlo con oscure parabole perché si esegua il piano divino di salvezza. Taumaturgo enigmatico, austero, Gesù ha poco tempo per insegnare ai suoi discepoli codardi e gretti quello che è realmente: il Figlio di Dio promesso a sofferenze e alla morte. Ansioso di salvare gli uomini dalla croce, si mostra (all'esempio di Jahvè suo padre), acerbo, impaziente, irritato, severo, collerico. “Si affretta come un Essere divino perso tra gli uomini e ansioso di ritornare al Cielo” (Bultmann). Quando la morte si avvicina, è teso, angosciato, come un martire. Poi cammina dritto verso la croce, realizzando una a una le profezie. Fino alla fine gli ebrei insensibili non lo hanno riconosciuto affatto. Solo il centurione romano, figura di pagano impressionato, esclamò: “Veramente quest'uomo era Figlio di Dio!”
Questo scenario severo e drammatico è riempito da un crudo assemblaggio di materiali evangelici. Il racconto salta senza ordine e senza fermarsi da un episodio all'altro, su un ritmo ansimante, fino ai picchi lamentosi della Passione. Penso a un altare primitivo, barbarico, la cui piattaforma, divisa in più file di tavolini variegati, sarebbe stata messa in ombra da un grande Cristo sanguinante sulla croce.
Questo è il primo vangelo dell'Uomo-Dio, uno schizzo approssimativo il cui valore religioso non è stato superato. È probabilmente un prodotto della chiesa di Roma (Clemente di Alessandria), pubblicato al tempo di Traiano, al culmine della persecuzione contro il nome cristiano (Marco 13:13). Sembra che sia stato raccontato e scritto in greco e in latino da un catechista bilingue per degli uditori di due lingue. [1] Lo si può immaginare ascoltato per la prima volta in una sala clandestina, sul pendio del Celio o in fondo a Trastevere, da umili catecumeni provenienti da vicoli sovraffollati, la bisaccia in spalla, la speranza nel cuore. Conoscono Gerusalemme solo vagamente, ma ardono dal desiderio di apprendere il mistero del Dio crocifisso.
All'inizio non attirò la particolare attenzione dei dirigenti della chiesa romana. L'epistola di Clemente ai Corinzi, il Pastore di Erma, non vi fanno alcuna allusione. Tuttavia fu inviato, anch'esso, alle chiese, tra le opere dello Spirito. Lo si raccomandò come se fosse il vangelo (il buon annuncio di salvezza) secondo Marco. Era per metterlo, in senso lato, sotto la copertura spirituale di un antico missionario, compagno di Paolo e di Pietro, il cui ricordo si era conservato a Roma. In materia di scritti spirituali, delle attribuzioni ben più audaci erano correnti.  Il vangelo secondo Marco fu ricevuto dalle chiese della Siria e dell'Asia Minore. Fornirà la prima idea e la prima bozza dei vangeli più elaborati che saranno messi sotto la paternità di Matteo, di Giovanni e di Luca.

NOTE

[1] Io ho esposto le ragioni per credere ad un originale latino di Marco (Premiers écrit du christianisme, 86-127). Mi ricollego al giorno d'oggi all'ipotesi di H. C. Hoskier di due originali simultanei (Codex B and its Allies, Londra, 1914, pag. 126-172). Allo stesso modo i discorsi di Olivier Maillard impiegano contemporaneamente il francese popolare e il latino scolastico. In tutti i modi la redazione è stata molto manuale.

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