giovedì 7 febbraio 2019

«Il Dio Gesù» (di Paul-Louis Couchoud) — La leggenda umana di Gesù (XXVI): MIRACOLI SIMBOLICI

(segue da qui)

PARTE QUINTA

LA LEGGENDA UMANA DI GESÙ 

MIRACOLI SIMBOLICI 

Vi è un altro elemento evangelico, della stessa natura profonda della parabola, diverso in apparenza. È il racconto simbolico. Si presenta come un miracolo o come un episodio immerso nel meraviglioso. È vicino alla parabola perché esprime, anch'esso, una verità spirituale. Ne differisce, perché si dà, esso, per un fatto veramente accaduto.
La differenza è a volte di pura forma. Ad esempio, Luca dà una parabola. Un uomo, dopo aver piantato un albero di fico, venne a cercarvi della frutta, non ne trovò, ordinò di tagliarlo. Marco racconta la stessa cosa in racconto ordinario. Gesù vide un albero di fico che non portava dei fichi, perché non era più la stagione. Gli disse:  Che nessuno d'ora in poi mangi del tuo frutto! Il fico fu essiccato alla radice. La storia è rigorosamente la stessa, perché il senso spirituale è lo stesso. Il fico non è affatto un albero, è Israele. Israele ha portato una volta i frutti dello Spirito, oramai è sterile. Per un narratore di cultura orientale, la parabola e il racconto simbolico si fondono nella categoria della poetica. Noi occidentali esigiamo una distinzione netta tra ciò che si dà per inventato, oppure per accaduto. È là che si fa gioco di quel candore occidentale, di cui Renan parla con ironia, anche se ne fornisce lui stesso degli ottimi esempi.
Il racconto simbolico, dal significato spirituale, può conservare il nome ebraico di midrash che gli danno gli autori rabbinici. (Il darshan è il trebbiatore, per metafora colui che regola la Scrittura per l'edificazione del popolo. Il midrash è il prodotto ottenuto). Più di un midrash è stato inserito nella Bibbia. La storia del profeta Giona che fugge in nave, gettato in mare, inghiottito da un pesce, ricondotto da lui a terra è un midrash. Impara da questo che se un profeta fugge al suo dovere, Jahvè lo riconduce a lui per le vie più straordinarie. Altre storie care ai cristiani: i tre giovani nella fornace, Susanna tra i due vecchioni, Rut, Giuditta appartengono al genere del midrash. Abramo, disposto a sacrificare, su ordine di Dio, il suo figlio unico, oggetto delle promesse divine, e arrestato all'ultimo momento da un angelo, pensiamo che questo sia raccontato come un fatto accaduto. L'autore dell'epistola agli Ebrei (11:19) ci fa sapere che è una parabola, che vuole mostrare fino a che punto la fede deve arrivare.
Ogni volta che alla lettura del vangelo incontriamo un miracolo di Gesù o un evento meraviglioso nella sua storia, dobbiamo pensare ad un midrash e domandarci quale sia il suo significato. Nella vita di un Dio tutto è significativo: è la differenza con la vita di un uomo. Midrash, la tempesta placata. Le tempeste che Gesù placa sono le persecuzioni che piombano sui fedeli. Si addormenta a poppa della Chiesa; le preghiere di angoscia, il richiamo della speranza cristiana lo risvegliano. Dice una parola, ecco la schiarita. Midrash, la moltiplicazione dei pani che rappresenta l'Eucarestia perpetua. Midrash, la pesca miracolosa che significa la cattura delle nazioni nelle reti del vangelo. È inutile domandarsi dove e quando questi fatti divini si sono prodotti. Si verificano senza posa. Valgono solo come simboli di realtà spirituali.
Anche quando un miracolo di Gesù sembra essere l'eco leggendaria di un fatto particolare, è necessario che sia trasformato in midrash, voglio dire in insegnamento spirituale, per poter entrare nel vangelo. Così un miracolo di resurrezione è raccontato con dettagli graziosi negli Atti degli Apostoli. Una donna cristiana di Ioppe, di nome Tabità (Gazzella), amata per la sua generosità, sta morendo. Si va a cercare Pietro. Entra nella stanza dove le vedove fanno dei lamenti e degli encomi di Gazzella (la moirologia, che si pratica ancora nel paese greco). Lui le caccia tutte.
Egli dice: Tabità, alzati! La morta apre gli occhi, si siede; Pietro le dà la mano e la fa alzare. È un miracolo di Gesù, operato dalla mano di Pietro. In Marco, la storia è trasposta in stile evangelico. Tabità si trasforma in Talità (Ragazza). Una ragazza è morta. Suo padre viene ad implorare Gesù. Quando Gesù entra, i lamenti fanno rumore. Caccia tutti. Prende la mano della bambina, dice: Talità kum (Ragazza, alzati!). Quella si alza e cammina. Questi sono pressappoco gli stessi dettagli. Ma nel contesto evangelico, non lontano dalla guarigione simbolica di zoppi, di lebbrosi, di ciechi, la resurrezione di Talità prende un senso spirituale che non aveva affatto quella di Tabità. Per lasciar trasparire questo significato, l'evangelista fa di Talità la figlia di un capo di sinagoga di nome Giairo,  che significa: Iah (me) resuscita. Si tratta in realtà della resurrezione di Israele che Gesù può realizzare. Tabità appartiene alla Storia reale. Talità viene dal paese di sempre, dal paese dello Spirito.
Pascal ha visto che le operazioni di Gesù che sembrano fatte sui corpi lo sono in realtà sulle anime: “Le figure del Vangelo per lo stato dell'anima malata sono corpi malati; ma poiché un corpo non può essere abbastanza malato da esprimere perfettamente questo stato, ce ne sono voluti parecchi. Così vi è il sordo, il muto, il cieco, il paralitico, Lazzaro defunto, l'indemoniato. Tutti questi stati si trovano ad un tempo nell'anima malata”.
Il più bel racconto simbolico della resurrezione che Gesù reca ai fedeli da questa vita è, in Giovanni, la meravigliosa scena della resurrezione di Lazzaro. Il significato è orientato dal nome Lazzaro che è quello di un martire leggendario dei tempi maccabei la cui resurrezione era celebrata ogni anno alla festa di Hanukkah (Bacon). I dettagli della storia sono naturali e sorprendenti. Il lutto alla casa, i movimenti delle due sorelle, i loro dolci rimproveri, la loro fede, le loro lacrime, le chiacchiere dei presenti, il morto da quattro giorni nelle sue bende, il sudario sul suo volto. Allo stesso tempo la lezione è data in termini che non possono essere più forti né più chiari: “Io sono la Resurrezione e la Vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà”. E con un forte grido: “Lazzaro, vieni fuori!” Gesù fa uscire ogni uomo cristiano dalla tomba. Dopo un racconto del genere, il tardo Nicodemo che chiedeva: è veramente successo? avrebbe mostrato in modo fin troppo evidente che non capiva.
Giovanni è il maestro del midrash. È ineguagliato, per il vigore e la novità. Non ha paura di spogliare Dioniso del miracolo rituale dell'acqua trasformata in vino per attribuirlo a Gesù. Perché no? Il significato è diverso, molto più elevato. Cambiando l'acqua in vino, Gesù inaugura, non il regno dell'entusiasmo, ma, prima dell'Ora, le nozze dell'Agnello, il banchetto dell'eternità, cominciato nella Chiesa. Che episodio suggestivo quello della Samaritana! Mentre dal fondo del pozzo di Giacobbe risale un secchio di acqua fresca per il viaggiatore stanco, le semplici parole di Gesù e di una donna fanno trasparire la storia religiosa della Samaria. Il travagliato passato della nazione, quando si univa a dèi stranieri (i cinque mariti). E il secolo presente in cui Gesù li riconcilia innanzitutto con gli ebrei (la salvezza viene dagli ebrei) prima di aprire agli ebrei e ai samaritani il tempio nuovo dove il Padre è adorato in spirito e in verità. In un semplice idillio, quale epopea!
Eppure, se dovessi designare il midrash più perfetto, potrei scegliere (in Giovanni o Luca: il luogo è incerto) la Donna adultera. Sotto il velo di una scena della strada, nella malvagia Gerusalemme, l'umanità adultera (vale a dire idolatra) è incolpata dagli ebrei. Ma gli ebrei secondo i testi delle Scritture, che Gesù scarabocchia sulla polvere, hanno commesso loro stessi l'idolatria. Chi scaglierà la prima pietra? O meglio ancora, in Luca, i discepoli di Emmaus. È possibile incidere più calorosamente nell'anima quella che avrebbe potuto essere la fede primitiva, quando Pietro e i suoi compagni si radunarono al mistero della croce? Allora il cristianesimo si riduceva alle profezie e all'eucarestia. Due discepoli camminano sulla strada, scandalizzati dalla croce. Il Crocifisso si unisce a loro senza che lo riconoscano. Spiega loro attraverso le Scritture che il Figlio di Dio doveva soffrire questa sofferenza. Il loro cuore diventa ardente. Invitano lo sconosciuto a stare con loro. Gesù spezza il pane eucaristico e manifesta la sua presenza nell'istante in cui scompare.
Un midrash nuovo è una gemma che si apre sulla radice del vangelo. Potrebbe schiudersi quasi all'infinito. Qualsiasi parabola di salvezza può diventare un atto di Gesù. Il redattore finale di Giovanni dice con l'iperbole orientale: “Se si scrivessero a una a una tutte le cose che ha fatto Gesù, penso che il mondo stesso non potrebbe contenere i libri che se ne scriverebbero”.

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