mercoledì 30 gennaio 2019

«Il Dio Gesù» (di Paul-Louis Couchoud) — Visita agli dèi di salvezza (XVIII): MITRA

(segue da qui)

PARTE QUARTA

VISITA AGLI DEI DI SALVEZZA

MITRA

La Persia lontana, la Persia nemica, ha avuto, anch'essa, un dio salvatore da offrire ai soldati e ai proletari di Roma. Il culto di Mitra è l'ultimo in ordine di tempo (con quello di Gesù) dei culti romanizzati di salvezza. E, in embrione, il primo degli ordini cavallereschi.
Mitra è un dio regale antichissimo, della nostra antica eredità, per noi europei. Il suo nome, secondo Hrosný, designa la Corona (mitra, mitra) dell'alba, questa bandiera di pura luce che precede il calderone incandescente del sole. La coppia Mitra-Varuna (Ouranos) sembra segnare due aspetti del cielo, il calmo e il diurno, il burrascoso o notturno, e anche, secondo le opinioni penetranti di Georges Dumézil, [1] due forme della regalità. L'una regolata, esatta, giuridica, benevolente, l'altra ispirata, rapida, magica, terribile. Mitra e Varuna sono attestati già nel XV° secolo prima della nostra era come gli dèi di un re ariano dei Mitanni, nell'Alta Mesopotamia. In particolare, attorno a loro erano già state create società di uomini (mariyanni) che sembrano annunciare quelle che, molti secoli dopo, si riformeranno intorno a Mitra nell'Impero romano.
La riforma religiosa di Zoroastro tendeva a ridurre Mitra (questa è la forma iraniana del nome) alla condizione di una divinità subalterna. Ciononostante manteneva il grado più alto, al di sotto del Dio supremo, Auhra Mazda, nella religione di Stato dei Gran Re persiani. Un culto maggiore continuò ad essergli reso nelle parti più occidentali del loro Impero. Quando queste parti caddero sotto la dominazione greca, dei magi medi o persiani (i Maguseni), semi-indipendenti dal sacerdozio riformato, perpetuarono il culto di Mitra. I re greci presero Mitra per loro dio personale. Antioco di Commagene eresse nella montagna una statua colossale di Apollo-Mitra. La testa cancellata è arrivata fino a noi, volto dolce e grave sotto la mitria decorata di lampi. Mitra faceva del bene col suo sguardo. Diffondeva sui re questa aura misteriosa, la gloria (hvarenô), garante di vittoria. Se Mitridate (dono di Mitra) avesse vinto i Romani, o Racine, Mitra sarebbe diventato il dio internazionale di un Impero d'Asia, incombente sull'Europa.
I magi emigrati in Cappadocia “non avevano né libri né discepoli, trasmisero il culto di padre in figlio” (san Basilio). Il momento venne, tuttavia, quando certi lo trasmisero a degli estranei. Un'iscrizione bilingue cita lo stratega aramaico di una piccola città di Cappadocia che “divenne mago di Mitra”. [2] Gradualmente il clero persiano fu estromesso, il nome del mago svanì, i confratelli greci degli adoratori di Mitra si organizzarono autonomamente e si misero a sciamare. Questo è lo stato nel quale li trova la conquista romana, quando le legioni di Tiberio, di Nerone e di Vespasiano occuparono e incorporarono l'Anatolia. Mitra piace per la sua rettitudine al soldato romano. Delle confraternite in lingua latina si formano. Attraverso gli spostamenti dei legionari e degli schiavi pubblici, esse si propagano lungo le frontiere dell'Impero e le principali vie di traffico. Un mitreo è attestato a Roma intorno all'anno 101; il gruppo di Mitra con il toro (ora al British Museum) è stato donato da uno schiavo del prefetto del Pretorio.
Mitra non ha un tempio aperto al pubblico. I suoi misteri si celebrano in cripte semi-sotterranee che figurano “l'antro fiorito, cosparso di sorgenti”, teatro della sua impresa primordiale. La cripta mistica è preceduta da una sala comune e da un apparitorium dove i mystes rivestono i costumi e le maschere rituali. Poteva contenere un centinaio di iniziati, ordinati per grado, distesi o inginocchiati su due lunghi banchi in muratura. La navata centrale permette agli officianti di procedere alle cerimonie, di distribuire pani e coppe di comunione. I rituali, gli inni, gli insegnamenti sacri erano affidati alla memoria. Tutto è dunque perito, nello stesso modo in cui è affondato l'immenso sapere dei druidi. Della massa orale inghiottita un solo verso greco è stato salvato, dove il mystes è assimilato a Mitra “Mystes, uccisore del toro, figlio della destra del Padre luminoso [3] …”. Resta qualcosa degli edifici, delle sculture, degli affreschi e mosaici, delle iscrizioni, dei magri testi letterari. Tutto ciò che sappiamo è tratto da ciò.
La cripta rappresenta il mondo (Porfirio). La volta di pietra è il cielo. Sette porte ad arco raffigurano, in mosaico o in pittura, l'accesso ai sette Pianeti che l'anima deve attraversare dopo la morte per ricevere le sue vesti di immortalità. Questi sono i quattro Elementi: sugli altari il Fuoco perpetuo; in una sorgente viva, o in un cratere, l'Acqua pura; la Terra e l'Aria sono raffigurati dal serpente e dall'uccello. Dalla lotta dei quattro, il mondo si genera e rigenera costantemente. Qui i mystes sono al centro del mondo. Sono anche al centro del tempo: contemplano sia il principio che la fine. Ecco la statua del Tempo, il primo dio (Zervan), raffigurato come un uomo dalla testa di leone, nudo, alato, circondato da un serpente che rappresenta le pieghe sinuose del sole sull'ellittica. Il suo soffio di fuoco divora tutto. Ogni ora ci avvicina al consumo dell'Era.
Ecco le tavole delle origini. Al gioioso mattino dei secoli, Mitra nasce, duro e spesso, da una roccia, oltre a filtrare da un monte la prima luce del giorno. Egli soggioga dapprima il Sole che, in ginocchio, gli rende omaggio e riceve da lui la sua corona luminosa. Salgono sullo stesso carro d'oro. Associati, preparano il mondo per gli uomini. Secondo il sentimento comune dei poeti religiosi dell'Iran e dell'India, il mondo poteva essere fondato e stabilizzato solo con il sacrificio. Giove-Oromasde (Ahura Mazda) ha creato dunque un primo essere vivente, un toro selvaggio. Mitra, per una prodezza di tauromachia ammirata da popoli pastori, lo prende per le corna, si lascia sollevare sul suo dorso, infine, lo costringe a mettere il muso a terra e lo trascina, pungolandolo da dietro, fino ad una grotta, la prima sacra cripta. È riluttante ad uccidere un essere benefico. Ma l'ordine dall'alto gli è portato dal Corvo. Solleva il coltello sacrificale e realizza l'atto che introduce la vita nel vasto e vuoto universo. Dal corpo del toro le piante si arricchiscono e abbondano, in primo luogo i cereali; dal suo sperma, purificato dalla luna, nascono gli animali.
Tale è la grande scena che occupa il posto di un altare maggiore in fondo a ciascuna cripta. Il più bello di questi gruppi di Mitra Sacrificatore, a firma dello scultore ateniese Critone, è stato rinvenuto nel 1939 in uno dei quattordici mitrei di Ostia. [4] Il giovane dio in piedi, con la testa scoperta e il vestito corto come un eroe greco, mantiene la vittima tra le sue ginocchia, raddrizzando dolcemente il muso finché il collo non è verticale. Prima di immolare, lancia al cielo un immenso sguardo di trionfo e di estasi. Non si può meglio tradurre in greco il nome persiano del dio: Nabarze, il Vincitore (anche Gesù è chiamato, nell'Apocalisse, il Vincitore, ma è lui che è l'Agnello immolato fin dalla costituzione del mondo). Altrove il soggetto è appesantito dai dettagli. Mitra indossa il mantello persiano rigonfio, il berretto frigio. Le spighe spuntano dalla ferita del Toro. Il cane, capo degli animali del Dio buono, si precipita. Lo scorpione, emissario dell'inferiore Dio Arimane, insinua il suo veleno nel seme originale. Così, alla creazione buona, una creazione malvagia è confusa. Il dovere del mitraico è di supportare l'una, di distruggere l'altra. Ogni volta che schiaccia un rettile, un topo, un verme, una formica, fa un atto di pietà, come simbolo di atti superiori. La sua forza gli proviene da Mitra. Certi giorni, prima che Mitra sacrifichi il toro, riceve in comunione un pane e un calice d'acqua, su cui vengono pronunciate parole di consacrazione (Giustino). Egli è così salvato dal sangue eterno versato in sacrificio: Et vos servastis eternali sanguine fuso (iscrizione del mitreo di san Prisco a Roma). Egli è, secondo il termine mazdeo, rinato (navazud). Il pasto sacro di Mitra è quasi identico materialmente all'eucarestia cristiana. La differenza essenziale è che il sangue salvifico viene versato da Mitra, ma non è il sangue di Mitra
Alla fine dei tempi, Mitra tornerà nel mondo per incendiarlo (bassorilievo del mitreo di Dieburg). Colpirà uomini e cavalli con la sua mazza (gadâ), come farà Gesù con la sua verga di ferro. I morti risorgeranno nei loro corpi. Un toro finale sarà sacrificato. Il suo grasso mescolato con il vino sarà per il risorto la bevanda della vita eterna. Così sarà colmato il desiderio smodato degli uomini, per i quali l'immortalità senza il corpo, senza la carne non è quella della persona. In uno dei due mitrei di Hederheim, nel Nassau, il bassorilievo  di Mitra sacrificante poteva girare su un perno di ferro. In un batter d'occhio, i fedeli venivano trasportati dalla genesi del tempo alla loro fine. Vedevano, in anticipo, un grande toro immolato dietro al quale Mitra prepara il corno da bere mentre il Sole gli presenta un grappolo ammirevole (Museo di Darmstadt). La visione mitraica delle cose ultime si incontra su questo tratto con la visione cristiana (“Io non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel Regno di Dio”).
Il mitraismo è un ordine di uomini. (Si trova per eccezione a Tripoli d'Africa una dama che porta il titolo di leonessa, lea. Tertulliano segnala delle vergini, forse dedite ai compiti di sacrestia). In linea di principio discendevano nelle cripte solo gli uomini. Sono ripartiti in una gerarchia di sette gradi, che rappresentano i sette gradi dell'ascensione dell'anima. Ciascun rango possiede il suo pianeta tutelare, il suo costume, il suo attributo, la sua funzione, il suo voto (sacramentum). Lo schiavo si può ritrovare uguale o superiore alle seguaci. Si chiamano fratelli, come fanno altrettanto i mystes di Attis e i cristiani. Disciplina e onore sono la legge di tutti.
In basso, due gradi preparatori. Il corvo (corax, hierocorax), sotto la tutela di Mercurio e l'emblema del caduceo, è assegnato ai messaggi, al servizio dei pasti sacri. Il promesso Sposo (nymphus, cryphius), sotto la tutela di Venere, è nascosto sotto un grande velo giallo. Tiene nell'oscurità la lampada accesa  [5] come la sposa che attende lo sposo (e come le vergini sagge nel vangelo). Aspetta la presentazione (ostendere cryphios) che gli aprirà il grado superiore. Il Soldato (miles), sotto il segno di Marte, deve sottoporsi nudo a dure prove: un attacco con la spada (affresco del mitreo di Capua), una morte fittizia. L'imperatore Commodo, gladiatore per vocazione, uccise realmente un mystes, con il pretesto di iniziarlo. Dopo la prova, il soldato di Mitra indossa la tunica militare bianca con tre strisce porpora sul polso, mantello in spalla, elmo e lancia. Una corona gli viene presentata sulla spada. Allontanandola dalla sua mano tesa, dice: “Mitra è mia corona!” Da quel giorno non deve più accettare una corona di alloro nell'esercito o ai banchetti una corona di rose. Egli riceve il battesimo dell'acqua, il sigillo posto sulla sua fronte al fuoco ardente, la comunione di pane e calice, “l'immagine della resurrezione”. Tertulliano, che offre questi dettagli nel De praescriptione haereticorum, era figlio di un centurione; sembra ben informato sull'iniziazione mitraica, così vicina per tanti punti all'iniziazione cristiana.
I titolari dei quattro gradi superiori partecipano alle funzioni sacerdotali. Il Leone (leo), sotto il segno di Giove e del fulmine, è vestito di rosso. Il suo attributo è la pala piatta a manico lungo che serviva ad attizzare il fuoco dell'altare e a trasportare le braci. Le sue mani e la sua lingua sono consacrate con il miele, per essere mantenute pure da ogni male (Porfirio). Egli porta all'altare le vittime animali, i recipienti d'acqua, i pani, accende le candele, fa scaturire le scintille della profondità incandescente del Tempo, brucia l'incenso che offrono i mystes per essere consumati loro stessi: Ramos Accipite, sancti leones, per quos thura damus, per quos consumimur ipsi (mitreo di san Prisco). Il Persiano (Perses, phylax carpôn) sotto il segno della Luna, porta una falce e un mazzo di spighe. Il suo strumento è la spada uncinata (harpe) con cui Perseo, l'antenato mitico dei Persiani, ha colpito la Medusa. La impiega per immolare gli animali sacrificali per garantire la prosperità dei raccolti. Il Corriere solare (heliodromus), sotto il simbolo del Sole, ha un mitra a raggi d'oro e porta un globo azzurro. Sale con Mitra sul carro del Sole. Può quindi dispensare la scienza astrologica. Infine, al piano più elevato, il Padre (Pater) sotto la tutela di Saturno-Zervan, è assiso in un mantello rosso, avvolto da una tunica rossa, il berretto frigio ricamato. I suoi attributi sono il gancio delle libagioni e la bacchetta magica. Se vi sono molti Padri, uno è il Pater patrum. Lui conferisce le iniziazioni. In alcuni giorni tutti gli iniziati gli sfilano davanti offrendogli un saluto persiano:Nama (onore) al Padre”. Risponde:Nama ai soldati! Nama al Leone Teodoro! ecc...” (Mitreo di san Prisco). Le cripte non sono soggette ad alcuna autorità centrale, sono indipendenti. Quando una è troppo numerosa, alcuni iniziati di grado elevato ne troveranno un'altra. Come talpe sacre, camminano silenziosamente attraverso l'Impero. Le cripte cristiane le hanno talvolta continuate. La tiara del Papa ebbe origine nel berretto frigio bianco concesso da Costantino a san Silvestro e ai suoi successori. [6] Tra altri onori cristiani, la mitra dei vescovi, la porpora cardinalizia, i titoli di Padre e di Santo Padre sono di spirito mitraico. [7]
Io sono nato nella città antica di Vienne, vicino ai resti di un mitreo. Ho spesso guardato le strane sculture che sono state rimosse. Il Tempo, padrone di tutto, mostro crudele dal volto orribile di leone e che un serpente avvolge, quante cose ha divorato che si credeva fossero durature! A partire dal suo proprio culto. Mi ha fatto rammentare la frase sonora di Renan: “Se il cristianesimo fosse stato fermato alla sua nascita da una qualche malattia mortale, il mondo sarebbe diventato mitraico”. Vana idea. La crescita del mitraismo è stata arrestata da una malattia mortale: la ristrettezza del reclutamento. Una società segreta di uomini duri non può espandersi alle dimensioni del mondo. Gesù che ha vinto non aveva delle logge chiuse, ma una Chiesa aperta e una vasta presa sui cuori femminili.
Il mitraismo è vicino al cristianesimo per la concezione fondamentale che entrambi hanno attinto dalla religione iraniana (uno direttamente, l'altro attraverso l'intermediario ebraico). Il mondo non è interamente impegnato, come credevano i greci, in cicli eterni, sempre rinnovati. Non è un eterno ritorno. Sta andando dritto verso il suo completamento, che sarà una catastrofe, seguita dalla Resurrezione definitiva. Il tempo è limitato, quindi si deve riempirlo con uno sforzo morale e far progredire il mondo. Il tempo è il luogo della salvezza. L'esistenza è una prova, il risultato sarà felicità o sofferenza interminabile. Tra il Padre altissimo e gli uomini vi è un Mediatore che agisce. Ha preso parte alla fondazione del mondo tramite una vittoria primordiale. È in lotta contro le potenze del male. Le annienterà alla fine e sarà l'agente del Rinnovamento. A quelle idee, quale precisione inaudita, quale sovraccarico esplosivo ha donato il cristianesimo! Ha in comune con il mitraismo il sacramento del pane e del calice. Quale virtù infinita vi è stata infusa!
Attraverso il cristianesimo una vena mitraica serpeggerà. È da lei che emergeranno gli ordini militari del Medioevo, la prodezza dell'onore cristiano. Ritorna di nuovo: Henry de Montherlant è, nel pensiero, un mitraico in mezzo a noi. O Zervan abolito, dalle mascelle rotte, vecchio Leone, alcune scaglie di fuoco sfuggiranno ancora.

“La nostra vanità fa durare il nostro essere al di là della tomba”. Questa riflessione di Plinio il Vecchio ucciderebbe le religioni di salvezza se si trattasse solamente e meramente di vanità. La storia delle religioni dimostra che l'uomo nella società, non appena ha conquistato un certo grado di coscienza personale, non sa più, senza un contrappeso di immortalità, senza un al di là, senza nessun altro a equilibrare la sua povera vita. Ha tutto la potenza di vivere solo negando l'annientamento. La morte muore in me. Devo negarlo e cambiarlo in salvezza. “L'uomo non esiste veramente che nella lotta contro i propri limiti” (Silone). Egli sente nel fondo di sé un impulso capace di attraversare in qualche modo il confine della tomba. L'uomo non si inganna quando presagisce oscuramente che esiste per lui più di un modo di esistenza. Esiste una coscienza nella quale tutte le coscienze comunicano. La civiltà umana, che cos'è se non il bellissimo capitale accumulato dai morti? L'umanità non è composta più da morti che da vivi? Nell'universo umano quasi tutto ciò che è, è passato.
La grande rivoluzione religiosa dell'Occidente è cominciata nel sesto secolo prima della nostra era, quando il fremito orfico ha percorso la Grecia e i misteri di Eleusi hanno diffuso il loro splendore. Gli spiriti bruti della Natura, gli dèi duri della Città e dello Stato, avevano regnato da soli fino ad allora. Gli uomini conobbero degli dèi più gentili che davano un valore ad ogni individuo, senza distinzione di patria, e lo conducevano alla beata immortalità. La parola salvezza acquista un significato nuovo. Non si applica più solo alla preservazione dello Stato ma a quella di ogni persona umana. La conquista romana, che mandò in frantumi tanti Stati, distrusse le religioni nazionali e accelerò la rivoluzione. L'Egitto, la Frigia, la Cappadocia tendono verso l'eterna salvezza dell'anima. Fanno scaturire dal loro vecchio fondo di divinità degli dèi di salvezza universale. La minuscola Palestina, paese della pietà più intensa e più pura, trasfigura a sua volta il suo Dio nazionale Jahvè in Gesù, il volto perfetto del Dio salvatore. La rivoluzione si diffonde e si decide in favore di Gesù, nel IV° secolo della nostra era, per l'adesione dell'imperatore Costantino. Lo Stato abdicò al proprio culto quando Graziano nel 382, fece rimuovere dal Senato la statua della Vittoria. Nel VI° secolo, la rivoluzione persegue le sue conquiste. Non restano più dèi nazionali attorno al Mediterraneo e nell'Europa occidentale, tranne che tra i Longobardi e gli Anglo-Sassoni. Oggi la rivoluzione è finita. Da mare a mare Gesù fa sentire il suo regno sui due terzi dell'umanità. Lo Stato è svuotato di ogni funzione religiosa. Le chiese, ristoratrici di anime, depositari di una dottrina e di uno strumento di salvezza, rivolgono alla salvezza eterna il grande sforzo degli uomini. “Una piccola parte dell'energia spesa alla conquista della vita eterna sarebbe stata sufficiente a fondare cento imperi” (Bernanos). Che cosa valgono cento imperi al prezzo della vita eterna? “La mia ambizione è più alta di quella di coloro che ambiscono alla monarchia del mondo” (san Cirano, pensando a Richelieu). La vita presente è senza valore. “La vita è una notte da trascorrere in un malvagio albergo” (santa Teresa).
L'era delle grandi creazioni religiose è probabilmente chiusa, come è chiusa, su un'altra scala, quella delle grandi creazioni della vita. Noi non vedremo nuove religioni di salvezza eterna. Il cristianesimo espanderà o restringerà la sua azione. Verosimilmente non sarà sostituito. Nella lenta evoluzione dell'umanità (come della vita), nessun grande passo è ripreso.

Al ritorno dai nostri pellegrinaggi ai vecchi santuari di salvezza, distinguiamo meglio in quale clima del mondo è apparso il nuovo Dio.
Che cosa importa al barbaro o al folle dei racconti sacri? Gli dèi si cristallizzano nell'ansioso inconscio degli uomini. Dioniso smembrato, divorato e vivo, Core che risale dagli inferi alla luce del giorno, Osiride il cadavere che riprende vita, Attis il dolce castrato che versò il suo sangue, Mitra il sacrificatore che effonde il sangue eterno, essi hanno tutti realizzato un gesto di liberazione. Hanno tutti aperto il cammino verso l'immortalità. Introduttori alla speranza, hanno fatto sopportare la morte, hanno collocato la breve vita dell'uomo in un magnifica sporgenza sull'eternità. È attraverso di loro che la salvezza dell'anima è diventata la grande vicenda umana. Ciascuno, salvo Mitra, è un dio che muore e che rinasce all'eternità: “Un Dio che muore è il solo Dio a cui l'umanità possa credere” (Vinet). Hanno fatto desiderare un vincitore della morte che fosse sia sacrificato che trionfante. Il Dio che si sottomette all'immolazione e al supplizio e che resuscita in gloria li surclassa, li spoglia e li realizza. Reca agli uomini un nuovo e possente mistero: l'immortalità concepita come un'assoluzione donata alla natura umana. Il cristianesimo si mostrerà il bisogno più disperato dell'uomo.
Sullo sfondo, la dolorosa Demetra, la buona Iside, la Grande Madre degli Dei, hanno abituato gli afflitti, gli inquieti ad essere surriscaldati e teneri nel seno di una Madre compassionevole. I cuori muoiono come fichi maturi. La fede cristiana raccoglierà le immagini ancestrali, le tradizioni lontane, il pianto infinito e l'inesauribile richiesta della creazione, così tante preghiere lasciate, rituali imperfetti, slanci impetuosi e diffusi. Tutti i torrenti spirituali andranno a convergere sullo stesso fiume.

Ritorniamo ora al Dio Gesù. Dobbiamo ancora spiegare cosa ha di proprio: la sua leggenda umana. Nessuno degli altri dèi salvatori ha, se ne ha avuta, l'equivalente. Gesù è il Dio perfetto di salvezza perché, derivato dall'abisso divino, si immerge nella profondità stessa dell'umanità. Come si è formata la storia semplice e persuasiva, dettagliata, che si legge nei vangeli? Cercare di dirlo è il più delicato e il più decisivo del nostro compito. È la contro-prova della soluzione alla quale siamo giunti, la chiave ultima del problema dell'Uomo-Dio.
Percepiremo quando, perché, in quali ambienti, in quali misure il Mistero cristiano è riuscito ad esprimersi in una quadrupla narrazione sacra, dove Gesù, Dio eterno, ha preso la figura di un uomo storico e famoso. La ricerca sarebbe vasta e ardua se non fosse stata preparata dalla minuziosa opera di critica di cui i vangeli sono stato oggetto. I commentari sono troppo copiosi: il ramoscello spesso nasconde l'albero. È improbabile che questo studio riduca il rispetto o la tenerezza che si associano ai quattro libri sacri che tante generazioni hanno baciato, dove tante labbra arse hanno attinto l'acqua viva.

NOTE

[1] Mitra-Varuna, Parigi, Leroux, 1940, 2° edizione, Gallimard, 1948; Naissance d'Archanges, Parigi, Gallimard, 1945.

[2] Pubblicato da Henri Grégoire. Citato da Cumont. Les Religions orientales..., 4° edizione, pag. 272.

[3] Firmico Materno, Fr. Cumont, Textes et monuments relatifs aux mystères de Mithra, Bruxelles, Lamertin, II (1986), pag. 14.

[4] Al Museo di Ostia. Riprodotto da Cumont nei Comptes rendus de l'Académie des Incriptions..., Parigi, Didier, 1945, pag. 413.

[5] Affresco del mitreo di san Prisco, mosaico di Felicissimus in un mitreo di Ostia.

[6] L. Duchesne, Origines du culte chrétien, 5° edizione, Parigi, de Boccard, 1925, pag. 414.

[7] “E non chiamate alcuno sulla terra vostro padre, perché uno solo è il Padre vostro, quello che è nei cieli”, Matteo 23:9.

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