lunedì 28 gennaio 2019

«Il Dio Gesù» (di Paul-Louis Couchoud) — Visita agli dèi di salvezza (XVII): CIBELE E ATTIS

(segue da qui)

PARTE QUARTA

VISITA AGLI DEI DI SALVEZZA

CIBELE E ATTIS

Gesù si sta avvicinando a noi. Ha ancora due rivali da rimuovere, due Salvatori universali che, senza essere della sua forza, gli disputeranno per più di trecento anni l'impero delle anime. Dall'aspetto li si direbbe gemelli. Giovani e senza barba entrambi, coperti tutti e due dal berretto frigio. Di carattere sono opposti. L'uno è sconfitto ai piedi della Grande Madre degli Dèi, l'altro combatte valorosamente. Uno proviene dalla religione più barbara dell'Asia: è il dio castrato, lo sterile Attis. L'altro dalla più cavalleresca: è il nobile Mitra, il dio sacrificatore.

La dea selvaggia dei Frigi, Cibele o Cybêbê (Koupapash in geroglifici ittiti) è una delle forme della montanara Dea-madre, Regina degli animali, che ha regnato in Asia Minore, sulle sommità di Creta (Rea), nell'aspra Micene (la Porta dei leoni). Il suo carro rotolò con uno schianto sulla cima delle montagne, dove la terra e il cielo si uniscono nelle tempeste. Le pinete vi crebbero per lei, proibite all'ascia (Arriano). Pastori e contadini, figure dell'età neolitica, celebravano per lei delle feste furibonde. Ruggendo, correndo, roteando, alla maniera di leoni assassini di tori, sotto il richiamo del tamburello che guida gli animali, gli uomini e gli dèi, si tagliavano i loro membri, facevano sgorgare il sangue e pervenivano ad un orribile rapimento. Alcune di queste frenesie sussistono tra i dervisci Mevlevi di Konia e tra altri. Ho visto, in Kairouan, l'estasi travolgente, i coltelli e gli aghi nella carne. Roteando esausti cadevano incoscienti sulla spalla del loro capo, che li rianimava accarezzandoli.
Cibele si chiamava, secondo i monti, l'Idea, la Dindimenia, la Berecyntia. Recava i titoli di Grande Madre (Megalê Mêtêr), di Madre degli Dei. Era servita da un clero di sacerdoti castrati, i galli, che si erano evirati per lei nel delirio di una festa sanguinosa. Il sommo sacerdote risiedeva a Pessinunte e portava i nomi sacri di Attis e di Papas (il padre, il papa). Questi erano i nomi del giovane dio-prete, sposo della Grande Madre. Un padre, se si vuole, ma molto subordinato, quasi un adolescente, e il figlio stesso della sua sposa, ciò che permetteva l'antica usanza della tribù matriarcali, ciò che tollera ancora l'usanza dei Kudiya nell'India dravidica (Thurston). Un padre, infine, che per servire e onorare la Grande Madre gli ha sacrificato la sua virilità.
Perché la castrazione? Secondo un mito antico riportato da Arnobio, [1] Agdistis, la dèa primitiva del monte Agdos a Pessinunte era bisessuale. “Aveva una forza invincibile, un'intrattabile ferocia di cuore, un'audacia impossibile da contenere”. Bacco fece addormentare per mezzo del vino la terribile ermafrodita e gli pose mentre dormiva coi piedi infilati sotto di lui, un collare così ingegnoso che al risveglio, nel sollevarsi, si castrò. Sotto questo racconto sacro traspariva il pensiero rozzo e ardito dei mandriani, dei castratori e domatori di bestie feroci. Se la violenta e indomabile Natura si lasciava castrare, si addolciva, la selvaggia. Sarebbe diventata tutta femminile, tutta materna! Simbolicamente si tagliava sul monte uno dei pini proibiti. Intorno al pino i galli, in un furore sacro, eviravano con una selce la loro virilità. Diventavano sacerdoti effeminati di Colei che non sarà più Agdistis, ma la Madre universale, “Signora di ogni vita, principio di ogni nascita” (Giuliano).
Attis è loro modello divino. Alcuni dèi sono momenti eterni dell'uomo. Nel racconto mitico, il pastore Attis, in una follia di cui si dà varie spiegazioni, si evira sotto un pino. Secondo alcuni, sopravvive, secondo altri muore. In un caso e nell'altro, è glorificato da Cibele che lo fa salire sul suo carro. Gli dona il berretto astrale che gli si vede sulla sua grande statua distesa del Museo d'Ostia. Lo rende “pastore delle bianche stelle” (Ippolito).
Per un lancio di dadi del destino, nel 204 prima della nostra era, dopo una disgrazia pubblica e la consultazione dei Libri Sibillini, la rude dèa dei pastori selvatici di Frigia fu solennemente trasportata a Roma. Vi giunse sotto forma di una pietra rosso-nera, piuttosto piccola, anfratta (Arnobio). Fu accolta con riverenza e grandi onori dalle prime signore romane, depositata nel santuario della Vittoria poi ospitata al Palatino con il suo clero di eunuchi. La pietra divenne il volto informe di una statua d'argento, ricoperta di gioielli, prototipo di future Vergini nere. Il culto urlante dei galli era confinato al segreto del tempio. Cibele usciva solo un giorno all'anno, in primavera, per realizzare, sul rio dell'Almo sulla strada per Ostia, il rito della lavatio che procurava le piogge desiderabili. Presto dimostrò il suo potere. Il primo anno, i raccolti furono splendidi. Il secondo, Annibale fu cacciato dall'Italia, sconfitto in Africa. La Grande Madre degli Dei Idea era entrata nella cerchia stretta dei più grandi dèi di Roma. Augusto, suo vicino del Palatino, confermò il suo rango elevato quando restaurò la vecchia religione.
Attis fu tenuto lontano dalla sua Madre-sposa fino al regno di Claudio. In Asia Minore, a Cizico, troviamo un gallo fiero della sua evirazione sacra e dei suoi doni profetici (iscrizione del Louvre). Ma a Roma il gallo questore che trascinava nei vicoli il suo vestito da donna, la sua guancia dipinta e il suo falsetto non ispiravano alcun rispetto. “I racconta frottole dei suonatori di tamburo, dei mascalzoni!” dice un personaggio di Plauto. Catullo che mise in poesia, su un languido ritmo frigio, la follia del giovane sacerdote Attis conclude con questa deprecazione: “Grande dea, dea Cibele, dea e domina di Dindymo, fuori restino da casa mia i tuoi aspri furori. Altri guida, concitati, altri guida, imbestialiti!”
Claudio, forse consigliato dai suoi liberti frigi, riformò integralmente il culto di Cibele e di Attis. [2] Le feste di Attis e le iniziazioni ai suoi misteri furono autorizzate in tutto l'Impero. Le castrazioni volontarie, tollerate in Frigia solamente, furono soggette a una tassa personale. A Pessinunte, un collegio di undici Attis, sotto la presidenza di un sommo sacerdote, non castrato, dal lungo abito ricamato, amministrava i luoghi santi della religione. In ciascuno degli altri centri era installato un sacerdote superiore, l'arcigallo, non castrato, che da solo aveva il diritto di vaticinare secondo lo spirito di Cibele e di Attis. Gli arcigalli nominati dal senati locali e collocati sotto l'autorità del sommo pontefice, vale a dire dell'imperatore, divennero ben presto, così come l'Attis di Pessinunte, i migliori sostenitori del culto imperiale.
In questa cornice statale, le feste e i misteri frigi presero  a Roma e in tutto l'Impero un'incredibile diffusione. Le feste di Attis furono incluse nel calendario ufficiale. A Roma, il 15 marzo, Canna intrat, delle rose sono portate al tempio del Palatino. Evocano le rive sacre del Sangarios, a Pessinunte, dove si celebrano le cerimonie modello. Il 22 marzo, Arbor intrat, il pino tagliato nel boschetto di Cibele fa il suo ingresso sul dorso dei dendrofori, per essere eretto, come un albero di Natale, nel recinto del tempio. È fasciato come un uomo ferito (o come un uomo morto). Indossa corone di violette (i fiori nati dal sangue di Attis), un'effige del dio, il suo bastone di pastore, tamburelli, cimbali, siringa, flauti, serpenti a sonagli. Un digiuno di tre giorni comincia, in cui il pane e il vino sono vietati. Il 24 marzo, Sanguis, è il giorno in cui Attis ha consumato il suo sacrificio sanguinoso (l'equivalente del nostro Venerdì santo). Intorno al pino, il lutto doloroso conduce il suo corso. I cimbali fanno baccano, i flauti gemono. Il sangue scorre dalle schiene fustigate, dalle braccia tagliate, dai petti colpiti dalle pigne. Se ne cosparge l'Albero e gli altari. Il 25 marzo, Hilaria, giorno dell'equinozio ufficiale, primo giorno in cui il Sole ha la forza di rendere la luce più lunga della notte, Cibele viene a rianimare (o resuscitare) il suo figlio-sposo. Attraverso lo spargimento di sangue umano, fonte di vita, il dio è stato rigenerato. Al fresco del mattino si grida: “Attis rivive! Salve, o promesso, salve, luce nuova!” Attis sale al carro d'argento della Grande Madre, trainato da quattro leoni d'argento, per una processione nuziale, che ci mostra, alla Brera di Milano, il grande stemma di Parabiago. [3] Tutto è giubilo e mascherata. Coribanti danzano davanti al carro, colpendo i loro scudi con le loro spade corte. Le Stagioni, l'Eternità, il Sole, la Luna, i Titani, l'Oceano, le Naiadi fanno festa. Si lanciano fiori e pezzi di monete. Il 27 marzo, il Lavatio della Signora nera nel laghetto dell'Almo. I Quindecimviri (ministri dei culti dell'Impero) conducono la processione. I più nobili Romani camminano a piedi nudi davanti alla carrozza in transito.
I misteri propri di Attis e l'iniziazione (initium) si celebravano  il 28 marzo, non al Palatino, ma in Vaticano, presso il circo di Caligola (Caianum). Sotto un pavimento chiaro è sistemata una fossa. Il mystes vi discende, vi giace. Sopra di lui l'arcigallo, circondato dal clero celebrante: cantanti, dendrofori, coribanti, timpanisti, cimbalieri, sacrificano con una lancia di caccia un agnello o un toro (criobolo o taurobolo). Il sangue caldo che si riversa a fiotti inonda il volto del mystes, cola nella sua bocca, bagna e inzuppa la sua veste. I genitali della vittima sono tagliati. Così il mystes realizza per sostituzione la castrazione di Attis. Esce dal battistero sanguinoso come da una matrice di eternità, per una vita immacolata e incorruttibile. Porta i genitali in offerta a Cibele, al tempio del Palatino.
Il resto delle cerimonie ci è noto solo per la parola d'ordine che egli pronuncia per entrare nella parte proibita del santuario: “Ho mangiato dal timpano, ho bevuto dal cembalo, ho portato il kernos, ho giaciuto nel pastòs”. Ha mangiato un boccone in un timpano, bevuto un sorso in un cembalo? Pierre Boyancé preferisce credere che queste parole designavano l'entusiasmo meraviglioso in cui lo ha gettato la musica di Cibele: mi sono nutrito del timpano che trasfonde la forza, inebriato dal cembalo. Al centro del kernos, vaso che si porta sulla testa e che contiene in secchielli separati tutti i semi, ha portato i genitali, assimilati a quelli di Attis che davano fertilità a tutti i semi della terra? Il Letto sacro (pastos) è il letto nuziale di Cibele e di Attis. Nel passare al di sotto, il mystes diventava, senza dubbio, un Attis, figlio e sposo della Grande Madre. “Il mystes di Attis è stato un morto. Dopo il cambiamento è un dio” (Ippolito). Nella chiesa greca di Parigi, ho visto, il Venerdì santo, i bambini passare sotto la tela mortuaria di Gesù, per attraversare un'aura sacra.
Così dei riti barbari tra tutti si sono raffinati con il tempo e penetrati di spiritualità. L'evirazione di Attis è stata considerata come l'esempio supremo del dominio sul corpo e sui suoi istinti. Quello dell'ardente cristiano Origene avrà lo stesso significato. (Quando Gesù, nel vangelo di Matteo, cita coloro che si sono fatti eunuchi per il Regno dei cieli, quando il vescovo Melitone è chiamato un santo eunuco, è chiaro che la parola eunuco è presa alla lettera). L'idea di espiazione si è sviluppata. In Frigia i colpevoli scrivono su una stele la confessione delle loro colpe (Cumont). La virtù del taurobolo è stata estesa ad altre persone rispetto al sacrificatore, molto spesso alla salvezza dell'imperatore. (Allo stesso modo, i cristiani di san Paolo a Corinto ricevono il battesimo per i loro morti). La fede nell'immortalità data da Attis si è affermata e precisata. Dalla sua iniziazione il mystes risale al suo vero giorno di nascita (natalicium). Dice a sé stesso tramite criobolo e taurobolo rinato per l'eternità, renatus in aeternum. (Allo stesso modo, il cristiano, rinato al battesimo, assume quel giorno il suo vero nome, che a volte è proprio Renato). Sulla tomba del mystes, si fanno il 24 marzo i lamenti di Attis, la spiga verde veniva raccolta. È disseminato di violette, vi si erige spesso una figura pensosa di Attis, a garanzia della vita eterna. Un busto funebre di Attis, il più bello che ho visto, è al Museo archeologico di Vienne, vicino al Rodano tremolante. Attis porta la mano chiusa davanti al petto, e piega l'indice misteriosamente. [4] È così profondo, così puro, così premuroso da essere dapprima preso per una statua cristiana del XIII° secolo. Il berretto frigio dimostra che è proprio Attis e non il fratello di uno dei santi meditativi di Chartres.
Ora, dalla fine del regno di Nerone, la salvezza di Attis e la salvezza di Gesù furono, nella provincia d'Asia, in violenta rivalità. San Giovanni, nell'Apocalisse, profetizza che Gesù, quando verrà, troverà insediata la potenza di un Mostro a sette teste che simboleggia sia Roma sia gli dèi del paganesimo. Una testa (un dio) attira soprattutto l'attenzione. Per un prestigio dovuto a Satana, imita l'immolazione e la resurrezione di Gesù. “Una delle sue teste come ferita a morte; ma la sua piaga mortale fu sanata” (13:3). Il nome di questo dio sarà recato dai suoi fedeli in tatuaggio sulla fronte e sulla mano. Il profeta designa questo nome, in enigma, mediante il valore numerico delle lettere. La cifra (616 o 666 secondo i manoscritti) è quella di ATTEI (“ad Attis!”) oppure di ATTEIN (“Ahimè! Attis!”). [5] Alcuni sacerdoti di Attis erano, infatti, tatuati nel nome del dio con degli aghi arroventati dal fuoco. Dopo la loro morte si copriva sul loro cadavere il nome divino tramite una lamina d'oro (Prudenzio).
Per rassomiglianza con il Dio dei cristiani la cui formula divina è: “Colui che è, che era e che viene”, il Mostro ha per formula: “Colui che era e non è più, ma riapparirà” o “colui che era ma non è più, ma salirà”. L'ascesa (anabasis), la riapparizione (parusia) sono parole del linguaggio dei misteri. Convenivano  al demone Attis, nella sua fama di resurrezione. Per quanto riguarda il Dio Gesù, la sua anabasi è una resurrezione autentica (anastasis) e la sua parusia avrà luogo quando lui verrà nella gloria sulla terra.
Giovanni vede la Roma di Nerone, assassina di cristiani, nelle vesti della puttana Cibele, pretesa Grande Madre degli Dèi. Lei cavalca il Mostro come Cibele il suo leone, e tiene come Cibele una patera: “La donna era ammantata di porpora e di scarlatto, adorna d'oro, di pietre preziose e di perle, teneva in mano una coppa d'oro... Sulla fronte aveva scritto un nome, un mistero: Babilonia la Grande Madre delle puttane e degli abomini della terra (17:3-5). In questo nome sono impliciti il nome di Roma: Babilonia la Grande, e quello di Cibele: la Grande Madre degli abomini (cioè, in termine biblico, degli dèi pagani).
Alla ferita ignobile di Attis si oppone la santa ferita dell'Agnello celeste ucciso. Alla Grande Puttana trionfante, madre-sposa di un demone, si oppone e fa da contrasto la casta Donna celeste, madre e poi sposa di Gesù. La prima si confonde con Roma maledetta che sarà annientata. La seconda è la benedetta Gerusalemme del Cielo, che sussiste eternamente. Tra il mistero satanico di Attis e il mistero di Gesù, vi sono le relazioni che suppone l'antitesi. Quando il profeta cristiano mostra l'entrata al Cielo dei primi martiri di Gesù, si direbbe che parli degli iniziati di Attis, le cui vesti erano state inzuppate di sangue nella fossa del Vaticano: “Hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell'Agnello” (7:14). Quello che è rito effettivo con Attis è simbolo in Giovanni. [6] Sorprendiamo il mistero cristiano, ancora molto fluido, nell'atto di copiare dei tratti, per  meglio combatterlo, dal mistero di salvezza, che in questa provincia d'Asia, in questo momento storico, è il suo rivale più pericoloso. Gesù è cresciuto a spese degli dèi pagani, “spogliandoli e trascinandoli, scherniti, dietro il suo carro” (Paolo).
Cibele e Attis hanno, nell'Impero, appiattito le vie a Gesù e a sua madre. La Settimana santa di Attis all'equinozio di primavera (evoluzione stessa delle feste di Adone-Tammuz) con il giorno del Sangue, quello della Gioia, il digiuno, le iniziazioni, ha fornito un modello esteriore alla Settimana santa cristiana, dove i battesimi avevano luogo il giorno di Pasqua. Le popolazioni dell'Impero, particolarmente in Italia del Nord, in Dalmazia, in Gallia, sono passate dal paganesimo locale alla religione imperiale della Mater Deum Augusta prima di passare al cristianesimo. A Vienna e a Lione nel 177, lo scontro tra le feste di Attis e le feste pasquali potrebbe essere stato all'origine delle esecuzioni dei cristiani a fil di spada e in pasto alle belve (Audin). Ad Autun, il pesante carro di Cibele percorreva la campagna per la Lavatio, quando il giovane cristiano Sinforiano lo sfidò al prezzo della sua vita.
Le chiese cristiane, dirette dapprima da profeti indipendenti e da collegi di anziani, hanno acquisito presto la forte organizzazione data da Claudio alle comunità della madre del culto. Il vescovo unico è l'equivalente dell'arcigallo. Il Vaticano, luogo sacro del Phrygius Vates, sede centrale delle iniziazioni di Attis, diventerà, per la tomba reale o fittizia e la cattedra di san Pietro, per la basilica e il battistero che vi saranno legati, la sede centrale del cristianesimo occidentale.
Infine, se la Grande Madre degli Dèi non fosse stata così a lungo, così ferventemente implorata nell'immenso dominio che Gesù ha conquistato su di lei, la Madre di Cristo forse non avrebbe affatto ricevuto il nome inaudito, popolare, di Madre di Dio che suona così strano nella religione del monoteismo. “Lei è della razza degli uomini”, obiettava dolcemente il patriarca Nestorio, “è impossibile a un uomo generare un Dio...” Fu condannato. Il 22 giugno 437, Maria è proclamata nella basilica a cielo aperto di Efeso (al di fuori il popolo acclama, illumina, le donne fanno fumare le casse d'incenso) sotto il titolo che ha mantenuto attraverso i secoli di Madre di Dio, Theotokos, Dei Genitrix, Grande Madre, Altissima Madre di Dio.

NOTE

[1] Adversus nationes, 5:5. Arnobio ha attinto da un opera perduta del teologo Timoteo, probabilmente questo sacerdote di Eleusi che ha partecipato alla creazione dei misteri di Iside. Eleusi aveva una sorta di primato sugli altri misteri di salvezza.

[2] Girolamo Carcopino. Aspects mystiques de la Rome païenne, Parigi, L'Artisan du Livre, 1941. Dimostrazione brillante.

[3] Il dipinto è disegnato nell'opera esaustiva (per nulla affatto selettiva) d'Henri Graillot; Le Culte de Cybèle, Mère des Dieux à Rome et dans l'Empire romain, Parigi, Fontemoing, 1912.

[4] Espérandieu. Recueil des bas-reliefs de la Gaule romaine, I (1907), 356 (descritto come “un Partico”).

[5] Si veda l'Apocalisse, Parigi, Rieder, 1930.

[6] P. Touilleux, L'Apocalypse et les cultes de Domitien et de Cybèle. Parigi, Geuthner, 1930, pag. 132-139. Newman ammette che dei riti pagani sono stati santificati dalla Chiesa e resi strumenti di grazia.

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