domenica 27 gennaio 2019

«Il Dio Gesù» (di Paul-Louis Couchoud) — Visita agli dèi di salvezza (XVI): ISIDE E OSIRIDE

(segue da qui)

PARTE QUARTA

VISITA AGLI DEI DI SALVEZZA

ISIDE E OSIRIDE

Segreto Egitto, santo e ossessionato antenato, copia del cielo, tempio del mondo intero! Si poteva vedere tutto in questa terra di estraneità, dove i cadaveri rivendicavano la vita tanto quanto i vivi, dove i re, fiore della cultura greca, adoravano gli animali, dove il clero più orgoglioso dedicava ai conquistatori stranieri onori più divini di quanto aveva consentito ai suoi propri sovrani. Così, intorno al 290 della nostra era, il compagno di Alessandro, Tolomeo I°, creò per decreto un Dio Supremo, Serapide, per il culto comune dei greci e degli egiziani, per sostituirlo ad Osiride, l'unico dio venerato dall'intero Egitto, per unirlo a Iside, sposa fedele di Osiride, per modellare infine, con l'aiuto tecnico di Timoteo, sacerdote di Eleusi, dei misteri di salvezza accessibili a tutti, senza distinzione di nazione o di lingua. Si videro queste temerarie decisioni di Stato riuscire a meraviglia, perché si accordavano a dei veri bisogni religiosi. Una bravo scultore, Briasside, diede a Serapide una forma maestosa e oscura. Ci saranno quarantadue templi di Serapide nel fertile Egitto, altri in Grecia e in Italia. I misteri di Iside partivano alla conquista del mondo. 
Nell'antico Egitto, Iside era la regina divina che aveva ottenuto dagli dèi che il cadavere di Osiride, suo fratello-sposo, fosse rianimato. Il Racconto sacro di questo fatto divino era già stato fissato al tempo delle Piramidi, [1] mentre Demetra fluttuava ancora nel limbo cretese. Attratto in una trappola da suo fratello Set, il buon re Osiride viene ucciso, gettato nel fiume dove il suo corpo, diventato verde e nero, galleggia. Iside e la sua alleata Nefti, la donna di Set, percorrono il paese alla sua ricerca. Lo ritrovano, Iside lo tira fuori dall'acqua. Fanno la veglia funebre. “Iside piange, Nefti grida; gli dèi di Buto (da dove Osiride era originario) si colpiscono le braccia e si strappano i capelli”. Nuit, la madre di Osiride, si china verso di lui “riaggiusta le ossa, rimette il cuore, rimette la testa”. Gli dèi si prendono cura di lui, il grande dio Ra gli sostiene la testa. L'ordine è dato a Osiride di risvegliarsi. Osiride si risveglia a una seconda vita, insensibile, manifestata nell'organo virile. Iside si era distesa sotto forma di un avvoltoio, sul corpo del suo sposo, rimane incinta di lui. Fugge nelle paludi del Delta, si rifugia nei cespugli di papiro. Mette al mondo Horus “il bambino dal dito in bocca”. Lei ne fa un vendicatore. Cavaliere, apprende a trafiggere il coccodrillo. Divenuto uomo, Horus combatte l'assassino di suo padre, e davanti al Tribunale degli dei, a Eliopolis, fa riconoscere i diritti di suo padre e dei suoi. Osiride governerà i morti. È “il dio che non ha nemici ... L'afflizione ha preso fine, il riso è tornato”.
La rianimazione di Osiride è diventata la pietra angolare della religione egiziana. “Il cuore di Osiride è in tutti i sacrifici”. È ripetuta liturgicamente ogni anno nelle feste drammatiche di Abido con il lungo lamento: “O bel giovane vieni nella tua dimora. Sono tua sorella che tu ami” e tutti i giorni nel rituale del culto divino. (Così la morte-resurrezione di Gesù sarà ripetuta ogni anno a Pasqua, ogni giorno alla Messa). È imitata dai riti costosi che, dopo la morte, preservano e fanno rivivere i cadaveri, al fine di assicurare ai defunti la sopravvivenza. Solo il faraone riceve la garanzia d'immortalità prima della morte.
Ora, sotto i Tolomei, Iside si ingrandirà smisuratamente. Nel segreto delle cripte, Osiride è relegato a una remota pienezza di maestà. Non è mai stato che un dio venerabile da semi-risvegliato. Iside diventa la Dea universale. Lei ha mille nomi. Gli stranieri la adorano sotto quelli di Cibele, Atena, Afrodite, Artemide, Demetra, Era. Gli egiziani la chiamano con il suo vero nome: la Regina Iside. Lei è il principio femminile che agisce divinamente nell'Universo, l'Eterno in forma femminile che Goethe evocherà e che tanti cuori umani hanno invocato nella loro notte. Canta su una stele del tempio di Ptah, a Menfi, la sua alta monodia: [2]
Io, Iside, unica sovrana dell'Eternità...
Io, ho dato agli uomini le leggi,
decreto che nessuno può cambiare...
Io, io mi levo nella Stella del Calore,
io sono chiamata Dea dalle donne...
Io, io ho separato il cielo dalla terra,
mostrato il cammino per le stelle,
stabilito la marcia del sole e della luna,
inventato la navigazione...
Ho prescritto ai bambini di amare i genitori,
con mio fratello Osiride ho messo fine al cannibalismo.
Io, io ho rivelato agli uomini i misteri,
insegno ad adorare le statue degli dèi,
fissato i territori dei templi degli dèi,
rovesciato il governo dei tiranni,
obbligato gli uomini ad amare le donne, 
reso la Giustizia più forte dell'oro e dell'argento,
ordinato di considerare bello il vero...
Io, io sono vittoriosa sul Destino,
Il Destino mi obbedisce ...
Io, io sono tutto ciò che era, che è e che sarà.
Lei è la “grandissima Dea, Signora di Salvezza”. [3] Ad uno di coloro che ha scelto, dice: “Ecco, mi presento, Lucio, mosso dalle vostre preghiere, Me, Madre della Natura, Padrona di tutti gli elementi, emanazione originale dell'Eternità, divinità suprema, regina dei morti, prima delle entità celesti, uniforme volto degli dei e delle dèe... Vivrai felice, vivrai glorioso sotto la mia tutela. E quando, compiuta l'età, discenderai agli inferi, anche là, in questo emisfero sotterraneo, io che ti vedo, io brillerò nelle tenebre dell'Acheronte, io regnerò nelle profondità dello Stige. E tu, che vivrai nei campi elisi, tu adorerai spesso quello che ti sarà propizio... Saprai che prolungare la tua vita al di là dei limiti fissati dal destino è  mio unico potere”.
Per gli uomini perseguitati e solitari delle grandi città nuove non è più questione di acquistare mediante delle pratiche funerarie effettuate sul cadavere irrigidito, gonfio, putrefatto, una dubbia sopravvivenza. Vi affidate a dei genitori per assicurare la vostra immortalità? No, è a voi, gli indifesi, gli estenuati, è durante la vostra vita, proprio come al faraone, che deve essere data la garanzia di immortalità. Fui, non sum, non curo (ero, io non sono, non me ne f...), questa maniera di affrontare la morte, che si vede su alcuni  epitaffi antichi è la meno naturale per l'uomo. In mezzo alla vita, rappresentare sé stesso (questo lucido me che è tutto me stesso) come non esistente assolutamente, dà un brivido al più coraggioso. Prima della morte e dopo la morte l'uomo naturale ha il sentimento di Gilgamesh: l'attacco di panico. Quanto più è isolato e cosciente, invecchiato e per tre quarti inghiottito dalla morte, tanto più tende la mano verso l'inconoscibile. Il Misericordioso prende questa mano contratta. Perpetua salvatrice del genere umano (humani generis sospitatrix perpetua), Iside “ha trovato il rimedio che conferisce l'immortalità” (Plutarco). Non salva gli uomini in grandi gruppi presentati da un ierofante, in una sola festa, come Demetra ad Eleusi. No, lei elegge e chiama chi gli pare tramite una rivelazione personale (proprio come Gesù ha eletto e chiamato Paolo). Lei gli permette di macerare e maturare nell'attesa, alla fine gli concede la sua grazia dal ministro e nella notte che lei ha scelto. Lei non ha, come Demetra,  un obbligo nei confronti degli uomini, li ama per puro favore.
Alla fine della piacevole storia d'amore in cui fa passare il suo eroe attraverso le tre condizioni dell'asino, dell'uomo e del dio, Apuleio ci racconta la sua iniziazione isiaca. A Chencrea, uno dei porti di Corinto, dopo aver visto e ascoltato la dea in un sogno, e prestato giuramento nella sua santa milizia, affittò una camera nelle sale del suo tempio. Segue in solitudine (diremmo da oblato) la liturgia quotidiana. Al levar del sole, delle porte del tempio aperte e delle bianche vele ammainate, adora in silenzio la statua vivente. Abbandona la sua anima ad una contemplazione che non conosce il tempo, mentre il sacerdote pronuncia in lingua egiziana, con l'intonazione desiderata, le parole consacrate e purifica il santuario con l'acqua del Nilo. Sospira dopo la sera quando la camera da letto (cubiculum) della Dea si aprirà per lui. La notte santa è infine designata da Iside. Il sacerdote che avrà il terribile fardello dell'iniziazione sarebbe colpito a morte se procedesse senza un ordine divino, “perché i recinti dell'inferno e la guardia della salvezza sono nelle mani della Dea”. L'iniziazione (traditio) è celebrata sotto la forma di una  morte volontaria e di una resurrezione anticipata. “Sì, quelli che, compiuta la vita, si tengono sulla soglia dove finisce la luce, quelli, voglio dire, a cui avrebbero potuto essere confidati i grandi silenzi (magna silentia) della religione, la Dea tramite il suo potere li attira a lei. La sua provvidenza li fa, in un certo modo, rinascere e riaprire per loro la carriera di salvezza”.
Rigenerato da un battesimo di purezza, emaciato, purificato da un'astinenza di dieci giorni, Apuleio vestito di lino è guidato dal discreto iniziatore dalla testa rasata fino alla camera sotterranea di Iside. Legato dal segreto, non dice quello che è successo nelle ore immense della notte, in questo uditorio divino. Esprime solamente la verità mistica: “Ho raggiunto il confine della morte, oltrepassando la soglia di Proserpina, passando attraverso tutte le stelle. Nel mezzo della notte ho visto il sole brillare di luce bianca. Ero alla presenza degli dèi di sotto e degli dei dell'alto, li ho adorati più da vicino”. Secondo un oscuro testo di Firmico Materno, una statua di Osiride era posata a pezzi su una barella. Delle lamentazioni venivano cantate in silenzio. Quindi le membra scomposte erano rimesse al loro posto. La luce era portata. Il sacerdote faceva un'unzione sulla gola dei mystes tremanti, mormorando in un soffio: “Coraggio, mystes, il dio è salvato. Anche a voi, dai dolori verrà la salvezza”. [4]
L'alba è nata. I mystes risalgono. Su una piattaforma eretta davanti alla statua di Iside, Apuleio, nello stridore dei sistri e nel lungo movimento del flauto, viene presentato ai fedeli come un nuovo Osiride. Al mattino porta la veste osiriaca: dodici vesti di consacrazione, tunica di lino di un colore brillante, clamide prezioso che cade ai piedi, torcia in mano, corona palmata sulla fronte, come il sole. Una statuetta in smalto di Cirene, [5] che rappresenta un iniziato di Iside, conferma la descrizione di Apuleio. La parte inferiore del corpo è stretta, come una mummia, nelle bende. Un mantello di porpora cade dalle spalle, un diadema rosso cinge la testa. Quindi due fasi successive sono mostrate contemporaneamente: la morte e la trasfigurazione.
Il battesimo cristiano è definito da Paolo come una partecipazione mistica alla morte e alla resurrezione di Gesù. L'iniziazione isiaca ne è una bozza nella modalità minore. Per la bontà della Divinità suprema, da garanzia di salvezza, l'iniziato di Iside rinato  in qualche modo (quodammodo renatus) è pienamente assimilato al Dio morto e resuscitato. Anche prima della morte diventa un Osiride. Tuttavia il Dio, sole dei morti, non agisce in lui. Non vive in lui costantemente e intensamente come Dioniso nell'Orfico, Gesù in Paolo.
Cleopatra, novella Iside, e Antonio, novello Dioniso, se fossero stati vincitori al largo di Azio, avrebbero istituito, forse, la religione di Iside come religione dell'Impero e inaugurato l'attesa età dell'oro. In questo giorno fatidico Iside non ha soggiogato il Destino. Augusto e Tiberio la detestavano. Vincerà il fervore di Caligola, fedele alla memoria del suo antenato Antonio, il compiacimento del cupo Domiziano, di Adriano, anima leggera, del brutale Caracalla. Ma lei sarà abbandonata da altri imperatori. Il suo culto, stabilito per decreto di Stato, languiva non appena si indeboliva il protettore, per poi riaccendersi con un nuovo fervore. Era troppo impregnato forse dell'odeur de femme per compiacere a lungo gli austeri romani. Per una castità colpevole, la Delia di Tibullo, che è sposata, si mantiene vergine per ottenere da Iside che il suo giovane amante non parta per la guerra. Accadde che una signora romana venuta al tempio nella speranza di un'apparizione di Anubi vi trovasse un audace, inviato da un sacerdote. Grande scandalo (Flavio Giuseppe). Giovenale tratta crudamente la santissima Iside come una puttana. Osserva con disgusto un'esaltata rompere il ghiaccio del Tevere, immergersi tre volte fino ai capelli e poi trascinarsi nuda, sulle sue ginocchia sanguinanti, attorno al tempio di Iside nel Campo di Marte.
Gesù, rivale attivo dell'inerte Osiride, sarà infine il più forte. Nel 391, i cristiani prenderanno d'assalto e distruggeranno l'enorme Serapeo di Alessandria. Per un secolo e mezzo Iside manterrà un ultimo tempio a Philae, per i barbari della Nubia. Oggi il piccone degli archeologi scopre a volte, in Francia, in Germania, delle statuette in maiolica, i rispondenti (chaouabti) che gli iniziati di Iside mettevano nelle loro tombe. Oppure una situla d'argento per l'acqua sacra del Nilo, come quella del Museo di Bruxelles, che ha la forma perfetta di una goccia d'acqua. La festa del Navigium Isidis descritto da Apuleio si continua nella festa delle Saintes Marie de la Mer, dove i gitani (posterità vagabonda di egiziani) guidano in mare la barca di Iside e Nefti, divenuta quella di Maria di Giacomo e Maria Salomé. Il saio nero dei melanefori di Iside si è trasmesso ai monaci d'Egitto e da loro ai nostri benedettini. Iside che allatta Horus sorride in alcune delle nostre madonne. Horus, sotto il nome di san Giorgio, continua a uccidere il coccodrillo sul retro della sterlina. Iside ritroverà un riflesso di esistenza al momento in cui Maria Antonietta adottava il suo fisciù annodato e orlato e si faceva modellare il corpetto in un'acconciatura isiaca. Il suo ultimo devoto era Mozart. Come un sacrificio di profumi alla luna, lei è svanita nella musica divina del Flauto magico.

NOTE


[1] È ricostruito da Erman, La Religion des Egyptiens, Parigi, Payot, 1937, pag. 96-97 e da Sainte-Faire Garnot. La Vie religieuse dans l'ancienne Egypte, Parigi, Presses Universitaires de France, 1948, pag. 51-52.

[2] Inno ricostruito secondo le iscrizioni trovate a Cymé, Io, Andros (Peck, Der Isis Hymnus von Andros und verwanddte Texte, Berlino, 1930) e secondo l'iscrizione della statua di Iside a Sais (Plutarco, De Iside, 9).

[3] Iscrizione di Philae, 74 dopo Gesù Cristo.

[4] De errore profanarum religionum, 22.

[5] Pubblicato da Ghislanzoni, riprodotto in Cumont. Les Religions orientales..., 4° edizione, p. 5, 3.

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